IL TRIBUNALE

    Ha    pronunciato    la    seguente    ordinanza   nel   processo
sopraemarginato,  a carico di Giwa Osagie Nosa nato il 14 agosto 1977
a Edo State Benin City (Nigeria), straniero arrestato per il reato di
cui  all'art. 14,  comma 5-ter,  d.lgs.  n. 286/1998, come modificato
dalla legge n. 189/2002 e presentato a questo giudice, nei termini di
legge, per la convalida dell'arresto e la contestuale celebrazione di
giudizio direttissimo.
    Osta  alla pronuncia di convalida, il dubbio di costituzionalita'
avanzato   dal   difensore,   ad   avviso   di   questo  giudice  non
manifestamente  infondato,  che  investe  la  previsione dell'arresto
obbligatorio   in   relazione   al  reato  de  quo,  consistente  nel
trattenersi,  senza  giustificato motivo, sul territorio dello Stato,
oltre il termine assegnato con provvedimento adottato dal questore ai
sensi dell'art. 14, comma 5-bis, t.u. cit.
Contrasto con gli artt. 3 e 13, Cost.
    Trattasi   di  arresto  obbligatorio  in  flagranza  previsto  in
relazione  a figura contravvenzionale, sanzionata con la modesta pena
dell'arresto da sei mesi ad un anno, pena la cui entita' non consente
l'emissione di misura cautelare.
    La   previsione   della   obbligatorieta'   dell'arresto   appare
ingiustificatamente   "eccentrica"   rispetto  all'ordinario  sistema
processuale  italiano,  che vede la privazione della liberta', in via
obbligatoria,  circoscritta a delitti la cui gravita' si evince dalla
pena  edittale  stabilita nella reclusione non inferiore nel minimo a
cinque   anni,   in   via  facoltativa,  legata  alla  necessita'  di
fronteggiare  fattispecie,  pur  sempre  delittuose, dunque connotate
dall'elemento   psicologico  del  dolo,  considerate  di  particolare
gravita'  per  l'allarme  sociale dalle medesime destato (artt. 380 e
381,  c.p.p.).  Sul  punto  merita  rammentare che gia' in passato la
Corte,  nella sentenza n. 39/1970, pur decidendo in relazione a reato
punito  con  la  sola ammenda (art. 220, Tulps), ha comunque statuito
osservando che l'obbligatorieta' della misura coercitiva deve trovare
fondamento  nella  necessita'  di  fronteggiare  "reati  e situazioni
(obiettive  e  subbiettive)  di  singolare gravita'", si da risultare
ancorata a "ragionevoli movivi di prevenzione".
    Questi   requisiti   devono   essere   presenti   anche   laddove
disposizioni  speciali prevedano l'arresto per reati che, come quello
in  questione,  sono  caratterizzati  da  modesta pena edittale e non
consentono l'emissione della misura cautelare.
    Infatti,  la  stessa  Corte,  in  altra decisione, la n. 305/1996
(relativa all'art. 189, c.d.s., ritenendo legittima la previsione del
comma   6   che   contempla   l'arresto,  peraltro  facoltativo,  del
conducente,  che,  causato  incidente  con danno alle persone, si dia
alla  fuga), ha chiarito come tali particolari ragioni di prevenzione
possano  sussistere  anche anche in relazione a figure particolari di
reato,  la cui pena sia inferiore a quelle di cui alle norme inerenti
l'arresto   dettate   dai   codice   di  rito,  giustappunto  facendo
riferimento  ad  una  ratio  normativa  improntata  al  "giudizio  di
disvalore  nei  confronti  di comportamenti contrari a quel minimo di
solidarieta'  umana,  che  impone  di  non  abbandonare le vittime di
incidenti   stradali".  Si  e'  dunque  in  presenza  di  ragionevole
previsione di privazione della liberta', al fine dell'identificazione
di  individui  che  hanno  tenuto condotte lesive o pericolose per la
persona   e   che,   fuggendo,   tendono   a   sottrarsi   alle  loro
responsabilita'.
    Non  si  vede  invece  quale  motivo  di eccezionale necessita' e
urgenza,  tale dunque da giustificare una disparita' di trattamento e
conferire ragionevolezza alla norma, possa sottendere alla previsione
dell'obbligatorieta'   dell'arresto   di   soggetto  espulso  che  si
trattenga  sul  territorio in violazione all'ordine di allontanarsene
(spesso,  non  si  dimentichi,  si  tratta di persone clandestine, ma
completamente  immuni da precedenti penali). Cio', soprattutto, se si
pone  mente  al  fatto  che,  a tutela dell'eventuale allarme sociale
determinato  dalla  permanenza  sul  territorio  di soggetto espulso,
l'amministrazione    puo',   anzi   deve,   procedere   coattivamente
all'espulsione:  ne'  un  arresto,  cui  nel giro di poche ore, segue
ineluttabilmente  -  se non ad opera del p.m. ex art. 121, disp. att.
c.p.p.,   ad  opera  del  giudice  adito  -  la  liberazione  imposta
dall'impossibilita'  di  applicazione di misura cautelare, puo' dirsi
in qualche modo funzionale alla effettivita' della stessa espulsione.
    Non  pare  poi si possa legare l'obbligatorieta' della privazione
della  liberta'  alla  previsione,  per  tali  fattispecie,  del rito
direttissimo.  L'instaurazione  di  tale  rito non presuppone, di per
se',  se  non  che  sia evidente la prova, non l'arresto. Il giudizio
direttissimo  e',  ad  esempio,  previsto,  senza  previo arresto, in
relazione  a reati che pongono in serio pericolo la civile convivenza
sociale  (reati  aggravati  da finalita' di discriminazione razziale;
art. 6,  u.c.,  legge  n. 122/1993) ed e', in generale, adottabile, a
sensi  dell'art. 449,  c.p.p.,  nei  confronti  di  persona che abbia
confessato,  a  prescindere  da una precedente privazione di liberta'
della medesima.
    L'arresto  obbligatorio  per  la  fattispecie di cui si tratta si
pone dunque quale infondata anticipazione di pena detentiva per reato
contravvenzionale  e  di  natura  tale da non suscitare allarme nella
coscienza  sociale  per  la  lesione  di valori universali largamente
condivisi  (quali  il citato rispetto della persona e dei principi di
solidarieta' umana).
Contrasto con gli artt. 2 e 10, comma 2, Cost.
    L'obbligatoria  privazione  della  liberta' per reato bagatellare
non  pare  possa  trovare giustificazione nemmeno nella condizione di
straniero.
    Ove  si  voglia, infatti, superare il dettato dell'art. 3, Cost.,
ancorando   la   "ragionevolezza"   della   previsione  alla  diversa
condizione  personale  del  soggetto,  resta  il  contrasto con altri
principi costituzionali.
    Quello di solidarieta' espresso all'art. 2, Cost., che garantisce
i   valori   inviolabili   dell'uomo,   indipendentemente  dalla  sua
nazionalita' e quello di cui all'art. 10, comma 2, Cost., che prevede
che  la  legge, nel regolare la condizione giuridica dello straniero,
deve  rispettare  i  principi dettati dai trattati. E l'Italia ha con
legge  4  agosto  1955,  n. 848,  ratificato  la  Convenzione  per la
salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e delle liberta' fondamentali,
nella  quale  sono contenute norme che stabiliscono ampie garanzie in
materia di arresto (artt. 5 e 6).
Contrasto con l'art. 97, Cost.
    Si  e'  gia'  accennato  all'inutilita'  concreta dell'arresto in
vista dell'espulsione.
    Si  deve  aggiungere che da un arresto che non puo' che protrarsi
per  poche  ore, e che peraltro e' obbligatorio eseguire, deriva, per
gli   organi   di   Polizia   e   per   quelli   dell'Amministrazione
penitenziaria,  un  enorme  - e, quel che piu' conta, sostanzialmente
gratuito  -  aggravio  di  lavoro (redazione immediata di verbali, di
informative al p.m. e al difensore, conduzione in carcere; formalita'
di  ingresso in carcere, traduzione dell'arrestato, formalita' per la
liberazione),  con  conseguenti ingiustificati costi per l'Erario, il
che  si  pone  in contrasto con il principio del buon andamento della
pubblica amministrazione sancito nella norma de qua.
    La   questione   e',  oltre  che  non  manifestamente  infondata,
rilevante.
    Infatti,   come   gia'  osservato  dalla  Corte  nella  decisione
n. 54/1993,  si  tratta  di  stabilire se la liberazione - che questo
giudice  con  il presente provvedimento altresi' dispone, non potendo
la  convalida in relazione alla quale sospende il procedimento, avere
luogo   nei  termini  di  legge  -  debba  avvenire  per  intervenuta
inefficacia  dell'arresto  medesimo,  ovvero  per la "caducazione con
effetto retroattivo della disposizione in base alla quale gli arresti
furono eseguiti".