IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale contro Aram Mohammed, nato a Tangeri (Marocco) il 20 maggio 1978, alias Adenen Ba, nato a Uaran (Algeria) il 1 gennaio 1970, attualmente detenuto presso la Casa circondariale "Le Vallette" di Torino, difeso d'ufficio dall'avv. Sveva Insabato, del Foro di Torino, sottoposto ad indagini per il reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998 come modificato dalla legge n. 189/2002. F a t t o Alle ore 16 del 31 dicembre 2002 il cittadino straniero sopra generalizzato era tratto in arresto nella flagranza del reato sopra indicato, perche' sorpreso in territorio nazionale dopo la scadenza del termine di giorni cinque entro il quale - sotto le generalita' di Adenen Ba, nato a Uaran (Algeria) il 1 gennaio 1970 - gli era stato imposto dal Questore di Torino, con provvedimento emesso il 16 dicembre 2002 ai sensi dell'art 14, comma 5-bis, del citato T.U., di lasciare l'Italia. Il predetto straniero e' stato presentato a questo giudice, nei termini di legge, per la convalida dell'arresto e il successivo giudizio direttissimo, a norma dell'art. 14, comma 5-quinquies, T.U. cit. Questo giudice, peraltro, non ritiene di poter convalidare l'arresto del suddetto, poiche' il disposto dell'art. 14, comma 5-quinquies, d.lgs. n. 286/1998 modificato, nella parte in cui introduce nell'ordinamento una nuova figura di arresto obbligatorio in flagranza, appare in conflitto con le norme costituzionali in appresso indicate. 1. - Violazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione. La previsione di un arresto obbligatorio in flagranza in riferimento ad un reato di mera natura contravvenzionale e sanzionato con una pena di modesta entita' (da sei mesi ad un anno di arresto) appare confliggere con il principio di ragionevolezza e di uguaglianza affermato dalla norma costituzionale in questione, non trovando alcuna apprezzabile giustificazione nell'ambito dei principi generali che reggono l'attuale sistema processuale penale italiano (art. 380, c.p.p.), che disciplinano tale provvedimento restrittivo ponendolo in esclusiva correlazione con illeciti penali aventi natura delittuosa e contraddistinti da una elevata pericolosita' sociale, cosi' come del resto era stato enunciato esplicitamente dalla direttiva n. 32 dell'art. 2 della legge delega 16 febbraio 1987, n. 81 per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale, ove tale obbligatorieta' era circoscritta alla sola materia dei delitti puniti con la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e consentiva l'arresto facoltativo - avuto riguardo a speciali esigenze di tutela della collettivita' - esclusivamente per quei delitti che apparissero connotati da particolare gravita' oggettiva o da particolare pericolosita' del soggetto agente: direttiva rispetto alla quale la norma dell'art. 14 comma 5-quinquies T.U. cit. costituisce un passo indietro oggettivamente inspiegabile. Da tale palese disarmonia deriva, a carico dello straniero irregolare in Italia, un quadro ingiustificatamente repressivo che appare chiaramente ispirato ad un atteggiamento di prevenzione che mal si concilia con il principio di solidarieta' solennemente enunciato dall'art. 2 della Carta costituzionale, in quanto manifestamente discriminatorio nei confronti di una categoria di soggetti socialmente sfavoriti. 2. - Violazione dell'art. 13, terzo comma della Costituzione. L'arresto obbligatorio nella flagranza della contravvenzione in oggetto non sembra, inoltre, rispettare la riserva di legge imposta da tale principio costituzionale, poiche' non rientra nei casi eccezionali di necessita' ed urgenza ai quali e' sempre subordinata la restrizione della liberta' della persona. Ed invero, se si considera che nei confronti dello straniero che non abbia ottemperato all'ordine del questore di lasciare il territorio dello Stato non e' consentita, ne' dal codice di procedura penale ne' dal T.U. sull'immigrazione, l'applicazione di alcuna misura cautelare, riesce arduo riconoscere un qualsiasi connotato di necessita' nel suo arresto in flagranza, essendo evidente che in tanto l'arresto in flagranza di reato ad opera della polizia giudiziaria si giustifica in quanto lo stesso sia preordinato all'eventuale applicazione, da parte del giudice, di una misura cautelare nei confronti dell'arrestato, di talche' sembra essere addirittura obbligatorio per il p.m., informato dell'intervenuto arresto, dispone l'immediata liberazione del soggetto, ai sensi del vigente art. 121 disp. att. c.p.p. Ne' tale necessita' e' dato di poter ancorare alla immediata instaurazione del giudizio direttissimo obbligatorio richiesto dall'art. 14 comma 5-quinquies T.U. cit., per la semplice ragione che nei casi in esame tale giudizio sara' - a tutto concedere - celebrato dopo la necessaria liberazione dell'arrestato, resa doverosa a causa della impossibilita' per il p.m. di richiedere al giudice l'emanazione di una misura cautelare, salvo restando per il giudicabile il diritto di chiedere un termine a difesa (art. 558, comma 7 c.p.p). E neppure e' dato di ravvisare, nell'arresto obbligatorio nella flagranza della contravvenzione de qua, il requisito dell'urgenza, poiche' sarebbe una forzatura indebita ritenere che tale arresto sia pragmaticarnente finalizzato a render possibile l'immediata espulsione dell'arrestato da effettuarsi mediante il suo accompagnamento alla frontiera, potendo (come e' noto) tale espulsione - ove in ipotesi ne sussistessero in partenza gli improbabili presupposti amministrativi e burocratici - essere ipso facto posta in essere dalla polizia subito dopo aver sorpreso lo straniero inottemperante all'ordine di espatrio (al riguardo merita osservare, in ogni caso, come l'esperienza quotidiana stia viceversa a dimostrare in maniera inoppugnabile che l'espulsione dello straniero inottemperante o irregolare richiede comunque, per poter aver corso, la permanenza dello stesso - per un consistente periodo di tempo - in un centro di permanenza temporanea). Tutto cio' porta inevitabilmente a ritenere che l'arresto in flagranza dello straniero inottemperante altro non sia, in concreto, che un provvedimento perfettamente inutile, ponendosi percio', come tale, in insanabile contrasto con la natura straordinaria delle esigenze che sempre, ai sensi della norma costituzionale sopra citata, devono essere sottese a un provvedimento del genere. 3. - Violazione degli articoli 97, primo comma e 111 secondo comma della Costituzione. L'introduzione obbligatoria del giudizio direttissimo entro le quarantotto ore di cui all'art. 449, comma 1, c.p.p., (comprensivo, cioe', del giudizio sulla convalida dell'arresto) per tutti i casi di arresto obbigatorio in flagranza conseguenti alla violazione del disposto dell'art. 14, comma 5-ter, del T.U. sull'immigrazione sta producendo conseguenze a dir poco drammatiche sul regolare funzionamento degli uffici giudiziari, costringendo i giudici del tribunale a sedere in udienza con turni continuativi per ogni giorno della settimana, cosi' costringendoli - fino a quando non si ponga mano a un futuribile ampliamento degli organici - a rallentare in maniera massiccia la trattazione dei processi ordinari contro la delinquenza criminale attualmente pendenti: situazione, questa, che si traduce in un immediato, costante e sensibile pregiudizio per il corretto andamento della pubblica amministrazione tutelato dalla norma costituzionale in questione, con grave danno per l'intera collettivita' e con grave lesione del principio costituzionale recentemente introdotto circa la ragionevole durata del processo. D i r i t t o La presente decisione di sollevare la questione di costituzionalita' dell'art. 14, comma 5-quinquies, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, cosi' come modificato dalla legge 26 agosto 2002, n. 189, comporta la sospensione del giudizio di convalida dell'arresto di Aram Mohammed, del quale - se non detenuto per altra causa - e' da ordinare contestualmente l'immediata liberazione, dovendo per legge la convalida precedere l'eventuale applicazione di misura cautelare, che peraltro il p.m. non potrebbe mai richiedere nel caso di specie. La rilevanza della presente questione e' in re ipsa, poiche' da un lato la mancanza di decisione sulla convalida dell'arresto entro i termini previsti dall'art. 391, comma 7, c.p.p., comporta la perdita di efficacia dell'arresto, e dall'altro la persistenza del procedimento di convalida dell'arresto nonostante la liberazione dell'arrestato rende evidente l'interesse generale ad una pronuncia sulla legittimita' dell'arresto in esame, trattandosi di stabilire - come ha motivato il giudice delle leggi nella sentenza n. 54 del 16 febbraio 1993 - se la liberazione dell'arrestato debba considerarsi conseguente all'applicazione dell'art. 391, comma 7, c.p.p., ovvero, piu' radicalmente, alla caducazione con effetto retroattivo della disposizione in base alla quale l'arresto fu eseguito.