ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 81, commi 1
e  2,  della  legge  della  Regione Friuli-Venezia Giulia 19 novembre
1991, n. 52 e successive modifiche e integrazioni (Norme regionali in
materia  di  pianificazione territoriale e urbanistica), promosso con
ordinanza   del   15 marzo   2002  dal  Tribunale  di  Pordenone  nel
procedimento  penale  a  carico  di  Manente  Gianfranco, iscritta al
n. 212  del  registro  ordinanze  2002  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 20, 1a serie speciale, dell'anno 2002.
    Visto l'atto di intervento della Regione Friuli-Venezia Giulia;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 15 gennaio 2003 il giudice
relatore Ugo De Siervo.
    Ritenuto  che  il  Tribunale  di Pordenone, con ordinanza in data
15 marzo  2002, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 81,  commi 1  e 2, della legge della Regione Friuli-Venezia
Giulia  19 novembre  1991,  n. 52  (Norme  regionali  in  materia  di
pianificazione  territoriale e urbanistica) e successive modifiche ed
integrazioni,  deducendo la violazione degli artt. 3, primo e secondo
comma, 25, 112 e 117 della Costituzione;
        che   l'ordinanza  e'  stata  pronunciata  nel  corso  di  un
procedimento  penale  a  carico  di un soggetto imputato del reato di
costruzione   in   assenza  di  concessione,  previsto  dall'art. 20,
lettera b),  della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di
controllo  dell'attivita'  urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e
sanatoria  delle  opere edilizie) perche', in forza di autorizzazione
edilizia  in  precario,  rilasciata ai sensi dell'art. 81 della legge
regionale  n. 52 del 1991, aveva realizzato un manufatto destinato ad
essere utilizzato come ricovero per materiale in legno;
        che  tale  manufatto  non  era stato tempestivamente demolito
allo  scadere  del  termine di validita' dell'autorizzazione, termine
prorogato due volte dall'amministrazione comunale;
        che,  ad  avviso  del  giudice  a  quo, l'art. 81 della legge
regionale  del  Friuli-Venezia  Giulia  -  nel  prevedere che possano
essere  autorizzati  a  titolo  precario  gli  interventi  soggetti a
concessione   od  autorizzazione  edilizia,  benche'  difformi  dalle
previsioni  degli  strumenti  urbanistici, qualora siano destinati al
soddisfacimento di esigenze di carattere improrogabile e transitorio,
non   altrimenti   realizzabili   -,   determinerebbe   una  radicale
modificazione  dei presupposti del reato di costruzione in assenza di
concessione,    con   inevitabile   pregiudizio   per   la   concreta
applicabilita' delle sanzioni previste dalla legge penale statale;
        che,   in   particolare,  l'incostituzionalita'  della  norma
emergerebbe  dalla  prassi  applicativa,  dal  momento che gli organi
competenti  comunicano  la notizia di reato all'autorita' giudiziaria
solo  dopo  la scadenza del termine di validita' della autorizzazione
in  precario  (che, nel caso di piu' proroghe, puo' arrivare fino a 3
anni)  con  la  conseguenza che, per tutto il periodo di validita' di
tale   autorizzazione,   viene  ad  escludersi  la  violazione  della
normativa  urbanistica  e  dunque  qualsiasi  ipotesi  di  reato, pur
essendo l'opera realizzata in assenza di concessione;
        che  la situazione descritta pregiudicherebbe fin dall'inizio
la  possibilita'  di  un utile esercizio dell'azione penale in quanto
spesso,  gia'  prima  dell'avvio  del  procedimento  penale, e' ormai
decorso il termine di prescrizione del reato (tre anni decorrenti dal
giorno  di  ultimazione  dei  lavori), ovvero in quanto la notizia di
reato  non giunge affatto all'autorita' giudiziaria allorche' l'opera
urbanisticamente   rilevante,   assentita   con  l'autorizzazione  in
precario,    venga    demolita   entro   i   termini   di   validita'
dell'autorizzazione suddetta;
        che  -  prosegue il tribunale - il "diritto vivente" (meglio:
la  prassi  applicativa)  che  si  e'  formato  sulla norma regionale
determinerebbe  l'alterazione della fattispecie penale, identificando
il   reato   nella   omessa   demolizione  dell'opera  alla  scadenza
dell'autorizzazione   in   precario,  anziche'  nella  esecuzione  di
un'opera in assenza di concessione edilizia;
        che,   in   definitiva,  la  norma  censurata  violerebbe  la
tipicita'  e  determinatezza  della  fattispecie  criminosa delineata
dalla normativa statale, con conseguente lesione dell'art. 25 Cost;
        che l'art. 81 della legge del Friuli-Venezia Giulia n. 52 del
1991,  pregiudicherebbe  l'utile  esercizio  dell'obbligatoria azione
penale   (art. 112  Cost.)  e  contrasterebbe  con  l'art. 117  della
Costituzione,  che  al  secondo  comma  lettera l)  attribuisce  alla
competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia penale;
        che   il   giudice  a  quo  ravvisa  inoltre  una  violazione
dell'art. 3  della  Costituzione, sia in quanto identiche fattispecie
concrete  sarebbero  assoggettate  ad  un  trattamento  sanzionatorio
penale  diverso  a  seconda della loro localizzazione geografica (nel
Friuli-Venezia  Giulia  ovvero  in altra regione), sia in quanto, pur
all'interno  del  territorio  del  Friuli,  la persecuzione penale di
fatti   analoghi   verrebbe   a  dipendere  dall'esercizio  altamente
discrezionale,  da  parte dei comuni, del potere di rilasciare o meno
l'autorizzazione in precario;
        che  infine  la  norma  censurata  contrasterebbe  anche  con
l'art. 3,  secondo comma, Cost. introducendo una definizione di opera
precaria   ontologicamente   incompatibile  con  il  senso  logico  e
giuridico  stesso del concetto, come emergerebbe dal "diritto vivente
consacrato  nella  circolare  della  competente  direzione  regionale
interpretativa dell'art. 81";
        che,  in  ordine alla rilevanza della questione, il Tribunale
di  Pordenone  osserva che nel giudizio a quo "la condotta contestata
concerne  la  realizzazione del manufatto in regime di autorizzazione
in   precario   (la   cui  illegittimita'  conseguente  alla  censura
costituzionale  renderebbe  ab  origine  illecita la realizzazione in
difetto  di  valido titolo) oltre che la sua mancata demolizione alla
scadenza del termine";
        che,  aggiunge  il  rimettente,  pur  applicando il principio
della   non  punibilita'  dell'imputato  per  condotte  che  assumono
carattere  penalmente  illecito  solo  a  seguito  di declaratoria di
illegittimita'  costituzionale, questa sarebbe comunque rilevante sia
in  relazione  alla  diversa formula di proscioglimento da adottare e
dei   relativi   effetti,   anche   extrapenali,   sia  "ai  fini  di
individuazione della istantaneita' ovvero permanenza della violazione
e   del  conseguente  termine  iniziale  di  prescrizione  (che  puo'
risultare in concreto gia' maturata a seconda di questo)";
        che  nel  giudizio  e'  intervenuta la Regione Friuli-Venezia
Giulia,   la  quale  ha  chiesto  che  la  questione  sia  dichiarata
inammissibile  sia  per  la  mancata  prospettazione,  da  parte  del
remittente,  di  un'interpretazione  della norma censurata conforme a
Costituzione,  sia  sotto  il  profilo del difetto di rilevanza della
questione  nel  giudizio a quo, in quanto il reato contestato sarebbe
comunque estinto per prescrizione;
        che  la  difesa  regionale ha inoltre eccepito l'infondatezza
della  censura, dal momento che la norma impugnata avrebbe ad oggetto
opere  che,  pur  se  potenzialmente  soggette  a concessione qualora
destinate  ad  uso  permanente,  in  realta'  in concreto non lo sono
perche'  destinate  ad  un  uso temporaneo e precario, come affermato
dalla giurisprudenza ormai costante;
        che  quindi  appare  legittima  la  rigorosa disciplina di un
istituto,  assente  nella  preesistente  legislazione urbanistica, da
parte di una Regione come il Friuli-Venezia Giulia, dotata in materia
di una potesta' legislativa di tipo primario.
    Considerato   che   il   Tribunale   di  Pordenone  dubita  della
legittimita'  costituzionale  dell'art. 81,  commi 1 e 2, della legge
della  Regione  Friuli-Venezia  Giulia 19 novembre 1991, n. 52 (Norme
regionali  in  materia di pianificazione territoriale e urbanistica),
nella  parte  in  cui prevede che interventi soggetti a concessione o
autorizzazione  edilizia,  anche  se  difformi dalle previsioni degli
strumenti  urbanistici, qualora siano destinati al soddisfacimento di
esigenze  improrogabili  e  transitorie, possono essere autorizzati a
titolo  precario  per un periodo di validita' di un anno, prorogabile
per due volte;
        che  dall'ordinanza  di  remissione emerge che nel giudizio a
quo  l'imputato  e' chiamato a rispondere per il reato di costruzione
in  assenza  di concessione per aver realizzato un manufatto in forza
di  autorizzazione  in  precario  rilasciata  ai  sensi dell'art. 81,
manufatto  che  non veniva tempestivamente demolito alla scadenza del
termine di validita' della autorizzazione stessa;
        che il remittente non ha chiarito le ragioni che a suo avviso
rendono  applicabile  la  norma  censurata  nel  giudizio  a quo, dal
momento  che non si comprende se il comportamento considerato ai fini
della valutazione della responsabilita' penale sia quello consistente
nella  realizzazione  del  manufatto (disciplinato dalla disposizione
regionale  sottoposta a questo giudizio), ovvero quello della mancata
demolizione dell'opera, alla scadenza dell'autorizzazione in precario
(che,  al  contrario,  esula dall'ambito di applicazione della stessa
disposizione);
        che,   conseguentemente,  l'ordinanza  di  remissione  appare
carente   di  specifica  motivazione  in  punto  di  rilevanza  della
questione prospettata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale