IL TRIBUNALE

    Letta  l'istanza  con  la  quale  all'odierna udienza il pubblico
ministero  in  sede  ha  chiesto sollevarsi questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 14,  comma  5-quinquies,  d.lgs.  25 luglio
1998,  n. 286  cosi'  come  modificato  dall'art. 13, legge 30 luglio
2002, n. 189; sentite le parti;

                              Premesso

    che  in  data  20 febbraio 2003 le sedicenti Voroljova Viktorija,
Raimona  Adina  e  Veizi  Daniela  sono  state  tratte  in arresto in
flagranza   del   reato  di  cui  all'art. 14,  comma  5-ter,  d.lgs.
n. 286/1998,  in  conformita'  al  disposto del comma 5-quinquies del
medesimo  articolo come modificato dall'art. 13, legge n. 189/2002, e
che   le   stesse  sono  state  tratte  a  giudizio  direttissimo  in
conformita' alla medesima disposizione;
    che,  in sede di richiesta di convalida dell'arresto, il pubblico
ministero   ha  sollevato  dubbi  di  costituzionalita'  sulla  norma
indicata piu' sopra, sotto i profili che si specificheranno appresso;
    che  la norma in questione deve trovare applicazione nel giudizio
in  corso,  costituendo la stessa il parametro al quale rapportare la
legittimita'  dell'arresto  operato  dalla  p.g.  nei confronti delle
arrestate,  di  modo  che  la  questione  e'  rilevante  ai  fini del
decidere;
    che  la  questione  non  appare  manifestamente  infondata  per i
seguenti

                               Motivi

    1. - Premessa. - La  novella  del  luglio  2002 ha ridisegnato le
ipotesi   criminose   relative  alle  conseguenze  per  il  cittadino
extracomunitario  che,  sprovvisto  di un valido titolo di permanenza
nel nostro Paese, venga trovato sul territorio nazionale.
    In  particolare,  la norma incriminatrice oggetto dell'ipotesi di
reato  contestata  nel  presente procedimento e' quella dell'art. 14,
comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998, ai sensi del quale «Lo straniero che
senta  giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato in
violazione  dell'ordine  impartito  dal  questore  ai sensi del comma
5-bis  e' punito con l'arresto da sei mesi ad un anno». L'intimazione
cui la norma rinvia e' quella che il questore emana nei confronti del
cittadino   extracomunitario   «quando   non   sia   stato  possibile
trattener[lo] presso un centro di permanenza temporanea, ovvero siano
trascorsi  i termini di permanenza senza aver eseguito l'espulsione o
il  respingimento»,  nel  quale caso allo straniero viene intimato di
lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni.
    Nel  caso  in  esame, la Vorobjova e la Veizi avevano ricevuto il
provvedimento  di  espulsione del questore di Como in data 18 gennaio
2003;  la  Raimona  il 3 dicembre 2002; le stesse erano state trovate
dagli  operanti  in  Mariano  Comense, in atto di prostituirsi. Sulla
base   di   questi   elementi  gli  agenti  operanti  hanno  ritenuto
sussistente  la  flagranza  del reato di cui all'art. 14, comma 5-ter
sottoponendo  di  conseguenza  le  straniere, ai sensi del successivo
comma 5-quinquies, all'arresto obbligatorio previsto dal tale norma.
    2. - Contrasto  con  l'art. 13 Cost. - Questo giudice ritiene non
manifestamente   infondati   i   prospettati  dubbi  di  legittimita'
costituzionale  della  norma  di  cui all'art. 14, comma 5-quinquies,
d.lgs. n. 286/1998.
    Sotto  un primo aspetto, si ritiene che la previsione generale di
un  obbligo  di  arresto  da  parte  della  p.g.  per il reato di cui
all'art. 14,   comma   5-ter  violi  il  dettato  dell'art. 13  Cost.
L'articolo  in  questione,  dopo  aver  affermato  (comma  1)  che la
liberta'  personale  e' inviolabile ed aver specificato (comma 2) che
eventuali  restrizioni  della liberta' in questione quali detenzione,
ispezione,  perquisizione  ed altre, possono essere disposte solo nei
casi  e  modi previsti dalla legge e per atto motivato dell'autorita'
giudiziaria,  detta,  al comma 3, una norma derogatoria facoltizzando
«in   casi   eccezionali   di   necessita'   ed   urgenza,   indicati
tassativamente  dalla  legge»  l'autorita'  di  pubblica sicurezza ad
adottare   «provvedimenti   provvisori»,   immediatamente  comunicati
all'autorita'  giudiziaria  e  da questa convalidati entro brevissimi
termini, a pena di decadenza dei provvedimenti stessi.
    Tale  previsione  si  e' tradotta, nel sistema processuale penale
vigente  e  limitandoci  al  profilo della limitazione della liberta'
personale  in  senso stretto, nel complesso delle disposizioni di cui
agli  artt. 380  e  ss.  c.p.p.  i  quali  hanno  legato il potete di
intervento  suppletivo  dell'autorita'  di  pubblica sicurezza (e, in
taluni casi, dei privati) all'esistenza di uno stato di flagranza nel
reato  (definito  all'art. 382  c.p.p.)  nonche'  ad  un complesso di
condizioni positive e negative tra cui rilevano in modo particolare i
limiti  edittali previsti dagli artt. 380 e 381 c.p.p. per procedere,
rispettivamente,     all'arresto    obbligatorio    o    facoltativo.
L'individuazione  di  tali  limiti e' affiancata da un'elencazione di
specifiche  ipotesi  di  reato  nella  cui flagranza e' consentita la
provvisoria  restrizione  della  liberta' personale a prescindere dal
trattamento    sanzionatorio    previsto    dalle    singole    norme
incriminatrici.  Per  quanto  inoltre  riguarda  i  casi  di  arresto
facoltativo,  all'esistenza  delle condizioni suddette se ne affianca
un'altra,  prevista  dall'art. 381,  comma  4  allorche' esso demanda
all'autorita'  che procede all'arresto una valutazione in merito alla
gravita'  (in  concreto) del fatto od alla pericolosita' del soggetto
«desunta  dalla  sua  personalita'  o  dalle  circostanze del fatto»:
secondo  uno  schema,  dunque,  che ricalca il disposto dell'art. 133
c.p.
    Tale  valutazione,  mentre nel caso dell'arresto facoltativo deve
conseguire  ad  un  giudizio  caso  per  caso,  nel caso dell'arresto
obbligatorio   di   cui  all'art. 380  consegue  ad  una  valutazione
effettuata in astratto dal legislatore.
    La  disciplina  in  questione  si  e'  arricchita,  in  sede  sia
codicistica  che  extracodicistica,  di  numerosi  casi  nei quali il
legislatore ha ritenuto opportuno estendere il potere di arresto sia,
per  taluni  reati, al di fuori dei casi di flagranza sia al di fuori
dei  limiti  edittali genericamente dettati da artt. 380 e 381 c.p.p.
v.  ad  es.  l'art. 3  decreto-legge n. 152/1991 in tema di evasione;
art. 6,  legge  n. 205/1993  in tema di discriminazione razziale, che
prevede  la  facolta'  di  arresto  in  flagranza  per i reati di cui
all'art. 4,   legge   n. 110/1975.   La  norma  di  cui  all'art. 14,
comma 5-quinquies  rientra  tra  questi ultimi casi, prevedendo per i
reati   di  cui  ai  precedenti  commi  5-ter  e  5-quater  l'arresto
obbligatorio  in flagranza nonostante siano puniti con pene inferiori
ai  parametri generali ed addirittura - per il reato in contestazione
nel  presente procedimento - costituenti contravvenzione, laddove gli
artt. 380 e 381 c.p.p. fanno esclusivo riferimento a delitti.
    La  disciplina  generale  in  tema di arresto e' completata dalla
previsione  di  cui  all'art. 391,  comma  5  c.p.p.,  che prevede la
possibilita'  per  il giudice chiamato a convalidare il provvedimento
provvisorio assunto dall'autorita' di pubblica sicurezza di applicare
una  misura cautelare coercitiva anche al di fuori dei limiti di pena
previsti  dagli  artt. 274,  comma  1, lettera c) e 280 e c.p.p., nei
casi  di  delitti indicati nell'art. 381, comma 2, ovvero nei casi di
delitti  per  i  quali  e' consentito l'arresto anche al di fuori dei
casi di flagranza.
    Da  ultimo,  merita richiamare la norma di cui all'art. 121 disp.
att.  c.p.p.  la  quale  obbliga  il  pubblico ministero, qualora non
ritenga   di   avanzare  al  giudice  della  convalida  richiesta  di
applicazione  di  misure  coercitive  nei confronti dell'arrestato, a
provvedere con decreto motivato alla sua liberazione.
    Tale  essendo  il quadro normativo di riferimento, si ritiene che
una  corretta  interpretazione  della norma costituzionale in tema di
liberta'  personale  non  possa  non  tenere  conto  della  relazione
sistematica  tra  i  commi  2  e 3 dell'art. 13: il potere attribuito
all'autorita'  di  pubblica sicurezza di cui al comma 3, infatti deve
leggersi  in  funzione  esclusivamente  derogatoria,  anticipatoria e
suppletiva   rispetto   alla   generale   competenza   dell'autorita'
giudiziaria.
    Confortano   tale   interpretazione   sia   la   morfologia   del
procedimento  per  il  successivo  intervento  di  questa  autorita',
caratterizzato   da  termini  ristrettissimi,  sia  l'impiego  stesso
dell'espressione    «convalida»    con   riferimento   all'intervento
dell'autorita'     giudiziaria    sul    provvedimento    provvisorio
dell'autorita'  di pubblica sicurezza: espressione, quest'ultima, che
in  tutte le sue molteplici accezioni e specificazioni adottate nelle
varie   branche   del   diritto   positivo   sottintende  sempre  una
imperfezione  genetica dell'atto sul quale il successivo potere viene
ad incidere.
    Pertanto,  appare  corretto  leggere il dettato costituzionale in
questi  termini:  in  tanto  l'autorita'  di  pubblica sicurezza puo'
esercitare   (nei   casi   eccezionali   di   necessita'  ed  urgenza
tassativamente  predeterminati  dal  legislatore) il potere di cui al
comma  3  in  quanto  cio'  possa  portare  - una volta assicurata la
conservazione  dell'esistente  merce'  detto  intervento suppletivo -
all'esercizio  del  potere di limitazione della liberta' personale da
parte del suo legittimo titolare - l'autorita' giudiziaria - nei casi
e modi previsti dalla legge.
    La  norma  dell'art. 391,  comma  5 c.p.p., della quale si diceva
prima,   appare   affatto   coerente  con  tale  interpretazione:  il
legislatore  ha  infatti  voluto  creare  un  legame tra il potere di
arresto  da  parte  della  P.G.  ed il potere del giudice, chiamato a
convalidare  l'arresto,  di disporre una misura cautelare anche al di
fuori  dei  limiti  edittali  previsti  dagli  artt. 274 e 280 c.p.p.
Questa estensione e' giustificata in ragione della gravita' del fatto
per  il  quale  e'  stato  disposta  la misura precautelare, gravita'
valutata  in  astratto  (arresto obbligatorio) o in concreto (arresto
facoltativo).
    La disposizione di cui al comma 1 dell'art. 121 disp. att. c.p.p.
costituisce  peraltro  espressione  del medesimo principio, imponendo
l'immediata  cessazione della misura precautelare qualora il pubblico
ministero  non ritenga di dover chiedere la sua trasformazione in una
misura cautelare.
    Un sostegno a tale interpretazione si rinviene anche nella stessa
giurisprudenza  della Corte costituzionale. Con sentenza 18-24 luglio
1996,   n. 305   questa   ha   ritenuto  infondata  la  questione  di
legittimita'  costituzionale dell'art. 189, comma 6, d.lgs. 30 aprile
1992,  n. 285 sotto il profilo del contrasto con l'art. 3 Cost. nella
misura   in   cui  prevede  la  possibilita'  di  arrestare  (arresto
facoltativo)  il  conducente che non abbia ottemperato all'obbligo di
fermarsi  in  caso di incidenti con feriti da lui causati, obbligo la
cui  inosservanza e' peraltro sanzionata con la pena della reclusione
sino  a  quattro  mesi.  Nel  motivare il rigetto della questione, la
corte, dopo aver osservato che la previsione di casi di arresto al di
fuori  delle  ipotesi di flagranza ed al di fuori dei limiti edittali
previsti  in via generale dagli artt. 380 e 381 c.p.p. rientra «nella
discrezionalita'  del  legislatore»,  ha  aggiunto  che  l'ipotesi di
arresto   facoltativo  oggetto  di  denuncia  da  parte  del  giudice
remittente  «richiede  pur  sempre  la  sussistenza, nei singoli casi
concreti,  dei  presupposti ai quali l'art. 381, comma 4 subordina in
via  generale l'adozione di tale misura: con l'ulteriore precisazione
che, trattandosi di misura precautelare provvisoria facoltativa, essa
puo'  essere  adottata  solo  sulla  ragionevole  prognosi di una sua
trasformazione ope iudicis in una misura cautelare piu' stabile».
    Alla  luce  di tale interpretazione del dettato costituzionale, i
prospettati  dubbi  di  legittimita'  costituzionale  della norma non
appaiono manifestamente infondati.
    La  natura  contravvenzionale del reato di cui all'art. 14, comma
5-ter, d.lgs. n. 286/1998, infatti, esclude in radice che l'autorita'
giudiziaria  sia  titolare  anche  solo  in  astratto  del  potere di
disporre  una  limitazione della liberta' personale in relazione alla
commissione   di  tale  reato.  Restano  infatti  escluse  le  misure
cautelari previste in via generale dal c.p.p., facendo riferimento le
norme  in  materia  (art. 280  c.p.p. in primis) ai soli delitti. Ne'
puo'  ritenersi  applicabile  la  deroga di cui all'art. 391, comma 5
c.p.p., in quanto anche questa fa riferimento ai soli delitti; non vi
e'   peraltro  dubbio  che  la  norma,  disciplinando  un  potere  di
limitazione della liberta' personale, sia di stretta interpretazione.
    Infine,  il  legislatore  non  ha  dettato  per  questa peculiare
situazione  -  come  invece  ha  fatto  per  altri  casi  di  arresto
«speciale»  -  norme  ad  hoc che prevedano deroghe o integrazioni al
sistema codicistico in tema di misure cautelari.
    Appare  dunque  reciso,  nel  caso  in esame, quell'indissolubile
legame  tra intervento dell'autorita' giudiziaria e potere suppletivo
ed  anticipatorio  dell'autorita'  di pubblica sicurezza che - solo -
rende  legittima  ogni  deroga  al  principio stabilito dall'art. 13,
comma  2  Cost.: se ne desume la non manifesta infondatezza dei dubbi
in  merito  alla legittimita' costituzionale della norma sotto questo
profilo.
    3. - Contrasto  con  gli artt. 3 e 13, comma 3 Cost. - Non appare
manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
della norma di cui all'art. 14, comma 5-quinquies, d.lgs. n. 286/1998
in relazione all'art. 13 Cost. anche sotto un altro profilo.
    Questo  giudice  non sconosce l'insegnamento della giurisprudenza
costituzionale  in merito alla sussistenza di un potere discrezionale
del  legislatore nell'individuazione dei casi di arresto in flagranza
o addirittura fuori dallo stato di flagranza «in considerazione della
presumibile pericolosita' sociale degli autori, delle caratteristiche
poste  in  essere  o  della  particolarita' e diffusione dei fenomeni
delittuosi  da  fronteggiare» (cosi' sent. 18-24 luglio 1996, n. 305;
cfr.  anche,  per un'altra affermazione del medesimo principio, sent.
22 giugno-6 luglio 1972, n. 126).
    Si  ritiene tuttavia che l'esercizio di tale potere discrezionale
vada soggetto, tra gli altri, al rispetto di un generale parametro di
ragionevolezza quale gia' da tempo e' stato desunto dall'art. 3 Cost.
    Il  quesito  che ci si pone, allora, riguarda il rispetto di tale
canone  di  ragionevolezza  da  parte  del legislatore allorquando ha
previsto l'arresto obbligatorio dello straniero colto nella flagranza
del reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998.
    Come infatti menzionato piu' sopra, la possibilita' di sottoporre
l'autore   di   un  fatto  ad  arresto  implica  necessariamente  una
valutazione  della gravita' del fatto stesso che, nel caso di arresto
obbligatorio,  viene  compiuta  una  volta per tutte dal legislatore,
mentre   per   i   casi   di   arresto  facoltativo  viene  demandata
all'apprezzamento in concreto dell'autorita' che procede all'arresto.
    Nel caso del reato in esame non e' dato comprendere sulla base di
quali  elementi il legislatore abbia basato l'astratta valutazione di
gravita'  del  fatto  che lo ha indotto a prevedere come obbligatorio
l'arresto in flagranza.
    Non   puo',  infatti,  configurarsi  una  generale  pericolosita'
dell'autore  del  fatto,  posto  che  la  situazione  personale dello
straniero che si trovi illegalmente in Italia non lo rende di per se'
soggetto  pericoloso  ma  al  piu'  lede  l'interesse  dello  Stato a
regolamentare e controllare i flussi migratori verso il nostro Paese.
    Ne' appare in pericolo, nell'ambito del complesso della normativa
in  questione,  l'effettivita'  dei  provvedimenti  di  polizia volti
all'allontanamento dello straniero dal territorio dello Stato, atteso
che,  ai sensi dello stesso art. 14, comma 5-quinquies, ultima parte,
il  questore puo' disporre il trattenimento dello straniero presso un
centro   di   permanenza   al   fine   di   assicurare   l'esecuzione
dell'espulsione: esistono dunque altri strumenti deputati a garantire
tale effettivita'.
    Ne', infine, l'obbligo di arresto e' funzionale all'esperibilita'
del rito direttissimo per il giudizio sui fatti di cui ai commi 5-ter
e  5-quater,  atteso che lo stesso c.p.p. prevede ipotesi in cui tale
rito  prescinde  dallo stato di detenzione dell'imputato. In mancanza
di  tali  requisiti,  si  ritiene  che  la  scelta del legislatore di
derogare  alla  normativa  generale  in  tema  di misure precautelari
imponendo  l'arresto dello straniero che si trovi nella flagranza del
reato  di  cui  all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998 violi il
principio  di  ragionevolezza, non apparendo manifestamente infondato
il dubbio in merito alla compatibilita' con gli artt. 3 e 13 Cost.
    4. - Contrasto  con  l'art. 3,  comma  1  Cost.  - Da ultimo, non
appare  infondata  la  questione relativa al contrasto della norma in
oggetto  con il principio di eguaglianza formale sancito dall'art. 3,
comma 1 Cost.
    Il  contrasto  si evidenzia non tanto in relazione ad altre norme
incriminatrici  che  rivedono  sanzioni  ben  piu'  gravi  di  quella
dell'art. 14, comma 5-ter, ma che non entrano nei parametri stabiliti
dagli artt. 380 e 381 c.p.p. per l'attribuzione alla p.g., del potere
di  arresto  in  flagranza,  quanto  dal  raffronto di tale norma con
quelle  di cui all'art. 13, d.lgs. n. 286/1998, sempre nella versione
modificata ad opera della legge n. 189/2002.
    Infatti,  il comma 13 del detto articolo punisce con l'arresto da
sei  mesi  ad  un  anno  lo straniero che, trasgredendo all'ordine di
espulsione  emanato  dal  prefetto, rientri nel territorio nazionale;
mentre  il  comma  13-bis  prevede  due  distinte ipotesi delittuose,
punite  con  la reclusione da uno a quattro anni, rispettivamente per
la  trasgressione  all'espulsione  disposta dal giudice ovvero per lo
straniero  gia' condannato per il reato di cui al comma 13 che faccia
nuovamente ingresso nel territorio dello Stato.
    Per tutte queste ipotesi di reato comma 13-ter stabilisce che «e'
sempre consentito l'arreso in flagranza dell'autore del fatto».
    Appare evidente il discrimine rispetto alla norma qui denunciata.
Non   solo,   infatti,  l'art. 13,  comma  13-ter  prevede  l'arresto
facoltativo  anziche'  obbligatorio  per  un  reato (quello di cui al
comma  13)  punito  con  pena  identica  a quello dell'art. 14, comma
5-ter,  ma  addirittura  prevede  la  facoltativita' dell'arresto per
delitti  puniti  con pena di ben altra rilevanza, quali quelli di cui
all'art. 13, comma 13-bis.
    La  disparita'  di trattamento appare vieppiu' evidente allorche'
si  consideri  che  la  fattispecie  di  reato  di  cui  all'art. 14,
comma 5-ter  e' strutturalmente identica a quella di cui all'art. 13,
comma 13  (in  entrambe  in  casi  e' sanzionata come contravvenzione
l'inosservanza di un ordine amministrativo di espulsione), essendo le
norme   in  questione  preposte  alla  tutela  di  un  identico  bene
giuridico,  ossia  la  regolamentazione dei flussi migratori verso il
nostro Paese.
    Non   rinvenendosi   a   ragionevole   giustificazione  per  tale
disparita'  di  trattamento questo giudice ritiene non manifestamente
infondata  la  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14,
comma 5-quinquies,   d.lgs.   n. 286/1998,   anche  in  relazione  al
principio di eguaglianza dettato dall'art. 3, comma 1 Cost.