IL GIUDICE DI PACE

    Letti  gli  atti  e  i  verbali  di causa; sciogliendo la riserva
assunta   all'udienza  del  24  marzo  2003,  pronuncia  la  seguente
ordinanza.

                             Motivazione

    Le  questioni  di  illegittimita'  costituzionale  sollevate  nel
presente   giudizio   riguardano   la   previsione   dell'art. 1  del
decreto-legge  n. 18/03,  che sottrae al giudizio di equita' le cause
devolute  alla  competenza  del giudice di pace relative ai contratti
conclusi  mediante  moduli  e  formulari  e  il cui valore non ecceda
millecento euro.
    In  via  preliminare,  si osserva che il decreto-legge 8 febbraio
2003,  n. 18  intitolato «Disposizioni urgenti in materia di giudizio
necessario  secondo  equita», in quanto atto normativo non definitivo
in  attesa  di  attuazione  della  conversione,  e'  sottoponibile al
sindacato  di  legittimita'  della  Corte  costituzionale: invero, il
decreto  e'  in vigore dal giorno successivo alla sua pubblicazione e
la Corte costituzionale ha piu' volte affermato la propria competenza
in  ordine  al  sindacato di legittimita' dei decreti legge anche nel
periodo  antecedente alla conversione (cosi' come da ultimo affermato
nella sentenza del 20 luglio 1999, n. 327).
    Nonostante il carattere provvisorio del provvedimento impugnato e
i  ristretti  tempi  a  disposizione  del  giudice  delle leggi prima
dell'approvazione    delle   Camere,   la   decisione   della   Corte
costituzionale   sulla   questione   incidentale   sollevata  dinanzi
all'odierno  giudicante, sia essa di rigetto che di accoglimento, non
sarebbe priva di effetti.
    Qualora,  poi,  la disposizione impugnata fosse riprodotta, prima
della  pronuncia  della Corte costituzionale sul decreto legge, nella
legge  di  conversione  con  la  medesima  forma,  la  Corte potrebbe
estendere   la   verifica   della   legittimita'   costituzionale   a
quest'ultima  legge,  che  continuerebbe  ad  esprimere  il contenuto
precettivo della norma denunciata.
    Nel  merito  delle  questioni di incostituzionalita' sollevate si
osserva quanto segue:
    1) Violazione del principio del giudice naturale ex art. 25 Cost.
    Non sembra che gli effetti dell'art. 1 del decreto-legge n. 18/03
siano  quelli di sottrarre ai ricorrenti il giudice precostituito per
legge  ex  art. 25  Cost.  Il  provvedimento  impugnato, in forza del
mutamento  delle regole processuali e, segnatamente, della esclusione
del  giudizio  di  equita' ex art. 113 c.p.c. per determinati tipi di
controversie,  sebbene  si  applichi  in base al principio del tempus
regit  actum  ai  giudizi  pendenti  alla  data di entrata in vigore,
incide sulle modalita' del giudizio senza compromettere, pertanto, il
principio del giudice naturale.
    2)  Violazione  del  diritto  di  difesa  ex  art. 24 cost. e del
principio del giusto processo ex art. 111 cost.
    L'esclusione del giudizio secondo equita' del giudice di pace per
le  controversie  di  valore  inferiore a millecento euro e aventi ad
oggetto  i contratti di cui all'art. 1342 c.c., normalmente stipulati
tra   professionisti   e   consumatori,   comporta   un  aggravamento
dell'esercizio  del  diritto  di  difesa  dei  consumatori, non tanto
perche'  precluda  in  astratto l'azionabilita' dei diritti di questi
ultimi,  bensi'  nella  misura  in  cui le conseguenze della modifica
legislativa  sono  quelle di: a) rendere appellabili le sentenze rese
rn  questa  materia  dal  giudice  di  pace,  b) comportare l'obbligo
dell'assistenza di un avvocato ex art. 82, comma. 3, c.p.c., anche se
la  parte  si  e'  difesa personalmente dinanzi al giudice di pace ex
art. 82, comma 1, c.p.c., c) rendere di fatto antieconomica la tutela
giudiziaria   dei  diritti  dei  consumatori  lesi  dall'adesione  ai
cosiddetti  contratti  di  massa  e, pertanto, dissuadere costoro, in
concreto, dall'avviare contenziosi presumibilmente lunghi e costosi.
    I  profili  di incostituzionalita' del provvedimento impugnato si
apprezzano,  altresi',  rispetto  al  principio del giusto processo e
della  ragionevole  durata  del  giudizio  di  cui all'art. 111 Cost.
evidentemente   compromessi   da  una  dilatazione  dei  tempi  della
giustizia  incomprensibile  se  si  considera che le controversie del
medesimo  valore,  ma  diverse  da  quelle  relative ai contratti tra
professionisti   e   consumatori,  vengono  decise  con  il  criterio
valutativo  dell'equita'.  Ora,  non  sembra  che  la  particolarita'
dell'elemento  soggettivo, che caratterizza, per lo piu', i contratti
conclusi  per moduli e formulari, possa giustificare un prolungamento
dei  tempi  del  giudizio, semmai dovendo rappresentare la ragione di
una giustizia piu' celere ed efficace.
    Peraltro,   la   sottrazione   delle  suddette  controversie  tra
consumatori  e professionisti al giudizio secondo equita' del giudice
di   pace   non   pare  giustificabile  in  relazione  all'obiettivo,
proclamato   nello   stesso   decreto,   del  raggiungimento  di  una
uniformita' di giudizi, atteso che l'uniformita' nell'interpretazione
della  legge  e'  assicurata  dalla  Corte  di  cassazione e anche le
pronunce  rese  dal  giudice di pace secondo equita' sono soggette al
sindacato di legittimita' della Suprema Corte.
    Inoltre,  la  motivazione  addotta  a  sostegno  dell' intervento
normativo  in  questione,  secondo  cui  il  giudizio secondo diritto
garantirebbe   maggiormente   contro   difformita'   di  giudizi  per
situazioni   identiche,   appare  irragionevole  atteso  che  non  si
comprende   perche'   una   decisione   assunta   secondo  i  criteri
dell'equita'  formativa o sostitutiva (quale e' quella del giudice di
pace  ex  art. 113,  comma  2,  c.p.c.) e, quindi, nel rispetto delle
norme  costituzionali  e di quelle comunitarie, oltre che delle norme
regolatrici  del  processo  (Cass. 4 febbraio 2003, n. 1610) dovrebbe
dare  risultati  difformi  sul piano sostanziale in ordine a rapporti
contrattuali  che,  peraltro,  si  presumono  identici  su  un  piano
astratto,  ma che, inevitabilmente, possono presentare, nel concreto,
aspetti di differenziazione.
    3)  Violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. sotto
il profilo della ragionevolezza.
    Da quanto fin qui esposto discende la violazione del principio di
uguaglianza  ex  art. 3  Cost.,  posto  che la previsione dell'art. 1
decreto-legge  n. 18/2003, scoraggiando, per i motivi sopra indicati,
l'accesso   alla  giustizia  di  determinate  categorie  di  soggetti
«deboli»  (cui  il  legislatore,  ha  invece,  dedicato  una  copiosa
produzione  normativa  di protezione), conduce ad un duplice effetto,
censurabile    ex    art. 3    Cost.:    quello   di   avvantaggiare,
ingiustificatamente  e contro l'attuale tendenza legislativa ispirata
ai  valori costituzionali e comunitari, i contraenti «forti», ossia i
professionisti   che  redigono  ed  impongono  la  sottoscrizione  di
contratti   standard  ad  un  numero  tendenzialmente  indefinito  di
consumatori, e quello di prevedere un trattamento diverso secondo che
i  ricorrenti,  pur  avendo  stipulato  contratti del medesimo valore
(entro  i  millecento  euro),  abbiano o meno aderito ad un contratto
standard.
    In merito a tale ultimo profilo, e' pacifico l'insegnamento della
Corte  costituzionale  secondo  il quale un trattamento differenziato
per  situazioni simili puo' trovare legittima applicazione ove vi sia
l'indefettibile   presenza   di  «ragionevoli  motivi»  (Corte  cost.
n. 61/1964), «presupposti logici obiettivi» (Corte cost. n. 7/1963) e
del «limite della ragionevolezza» (Corte cost. n. 2/1966, 200/1972).
    Queste  circostanze  non  ricorrono  nella fattispecie che occupa
l'odierno giudicante, giacche' non si spiega perche' l'inibizione del
giudizio  secondo equita', in ordine ad ipotesi analoghe a quelle per
cui   rimane   in   vigore,   dovrebbe  garantire  il  raggiungimento
dell'obiettivo  di una maggiore uniformita' e certezza del diritto, a
meno  di  non  considerare  le  pronunce secondo equita' un minus dal
punto  di  vista  giuridico.  Sennonche'  tale  ultima considerazione
risulta  inaccettabile,  dato  che  come  si  e'  gia'  avuto modo di
osservare,  le  decisioni  rese  secondo  equita'  non possono essere
completamente  disarticolate  dalla  realta' processuale e normativa,
ne'  il fatto che sul contenuto delle stesse possa incidere il libero
convincimento  del  giudice  ne  inficia  la  validita'  e  il valore
giuridico.
    Cio'  e'  tanto  piu'  dimostrato, innanzitutto, dal fatto che il
principio  del  soggettivo apprezzamento delle risultanze processuali
(prove,   argomenti   di   prova,  comportamento  delle  parti,  ...)
costituisce uno dei cardini del processo civile, in generale, quindi,
presiede  anche  alle  pronunce  secondo  diritto. Inoltre, la stessa
Corte  di  cassazione  ha  affermato  che  il giudizio equitativo del
giudice  di  pace  e'  insindacabile,  salvi  i casi di «inesistenza,
perplessita'  o  mera apparenza della motivazione» (Cass. n. 1610/03)
e,  cio'  al  pari  del convincimento espresso dal giudice di merito,
nell'ambito di un ordinario giudizio di cognizione (Cass. n. 95/1643,
97/12960).
    Si  conferma, pertanto, la violazione dell'art. 3 Cost., sotto il
profilo  del  principio  della  ragionevolezza,  da parte dell'art. 1
decreto-legge n. 18/03, giacche' la discrezionalita' legislativa deve
sempre  trovare  un  limite  nella  ragionevolezza delle disposizioni
volte  a  giustificare  la  disparita' di trattamento fra cittadini e
tale  norma,  viceversa,  introduce  irragionevoli  e  ingiustificate
discriminazioni.
    4)  Violazione  delle  funzioni  costituzionalmente  riservate al
potere giudiziario ex artt. 101, 102 e 104 Cost.
    Secondo  l'orientamento  espresso  in  piu' occasioni dalla Corte
costituzionale   (sent.   n. 397/1994,   6/1994,  429/1993,  ...)  il
legislatore viola le funzioni riservate al potere giudiziario, quando
il  suo  intervento si riveli intenzionalmente diretto ad incidere su
concrete  fattispecie  sub judice. Non v'e' dubbio che tale evenienza
sia   riscontrabile  nel  caso  in  esame,  giacche'  la  statuizione
contenuta  nell'art. 1  decreto-legge n. 18/03, anziche' presentare i
caratteri  della  generalita'  e  astrattezza, si dimostra diretta ad
incidere  su  concrete  fattispecie  sub  judice  e, segnatamente, ai
procedimenti  di  risarcimento e rimborso in corso promossi contro le
societa'  assicurative,  operanti  nel  settore RC auto,«colpite» dal
provvedimento  sanzionatorio  dell'Autorita' antitrust n. 8546 del 28
luglio 2000, con cui l'organo di garanzia dichiarava nullo un accordo
di   cartello,   intervenuto   tra   un  certo  numero  di  compagnie
assicurative, in quanto vietato ex art. 21, n. 287/1990.
    Questi  elementi  confermano  l'irragionevolezza della previsione
normativa  impugnata e la sua incostituzionalita' ai sensi, altresi',
degli artt. 101, 102 e 104 Cost.
    5)   Violazione  dei  principi  di  cui  all'art.  77  Cost.  per
l'emanazione dei decreti d'urgenza.
    Non  si  ravvisano in relazione alla emanazione del decreto-legge
n. 18/03,  ragioni  sufficienti  ad  integrare  i  requisiti  di  cui
all'art. 77,  comma 2, Cost. per l'emanazione da parte del Governo di
provvedimenti  provvisori  aventi  forza  di  legge.  Invero,  non si
comprende  perche',  a  distanza di molti anni dall'istituzione degli
Uffici  dei  giudici  di  pace, il legislatore ravvisi la presenza di
motivi   cosi'  straordinari  di  necessita'  e  indifferibilita'  da
giustificare  il  ricorso  alla  decretazione  d'urgenza  al  fine di
introdurre  la valutazione secondo diritto nei confronti di contratti
standard,  pur  rientranti  nei  limiti  di  valore  della  decisione
equitativa.
    Peraltro  sul  punto lo stesso preambolo del decreto argomentando
in  modo  generico  e  inconsistente,  con  riguardo  all'esigenza di
uniformita'  di giudizio (sulla cui irrilevanza si e' gia' avuto modo
di soffermarsi), presta il fianco a censure di ordine costituzionale,
sotto  il  profilo  dell'insussistenza  di  ragioni  giustificative a
sostegno del ricorso alla decretazione d'urgenza.
    6) Violazione dell'art. 41 Cost.
    L'art. 1   decreto-legge  n. 18/03  appare  emesso,  inoltre,  in
violazione  dell'art. 41 Cost., giacche' nel limitare l'esercizio dei
diritti   dei   consumatori,  ne  comprime  i  correlativi  interessi
garantiti,   viceversa,   dal  regolare  svolgimento  dell'iniziativa
economica  privata  assicurata,  tra  l'altro, dall'Autorita' Garante
della Concorrenza e del Mercato.
    Quest'ultima  con  il  provvedimento  di  chiusura  d'istruttoria
n. 8546/2000  ha  accertato  e sanzionato un'intesa vietata, ai sensi
dell'art. 2   legge   n. 287/1990,   quale   l'accordo   di  cartello
intervenuto  tra  un  determinato  numero  di  imprese assicuratrici,
diretto  ad  aumentare  ingiustificatamente  i premi delle polizze RC
auto  dovuti  dai  clienti, con conseguente aggravio delle condizioni
contrattuali  e violazione delle regole della concorrenza. Il decreto
legge  impugnato,  oltre  a  non  rispettare  l'azione dell'Autorita'
interviene  a  falsare  (per  le  ragioni gia' ampiamente esposte) il
gioco  della  concorrenza e, pertanto, si pone in netto contrasto con
la  disposizione  dell'art. 41 Cost. a mente della quale l'iniziativa
economica  privata,  seppur  libera, non puo' svolgersi in contrasto,
tra l'altro, con l'utilita' sociale.
    7) Questione pregiudiziale ex art. 153 - 234 tratt. U.E.
    Si   osserva   preliminarmente  che  l'art. 153  Tratt.  U.E.  ha
riconosciuto  nel  consumatore  un  soggetto  attore  del mercato, in
posizione  pariordinata  rispetto  a quella riconosciuta alle imprese
controparti  nei  rapporti  contrattuali  e,  piu' in generale, nelle
relazioni   economiche   e  giuridiche.  Si  tratta,  a  ben  vedere,
dell'attribuzione, in capo al consumatore, di un situazione giuridica
che,  a  livello  comunitario, ha assunto un rilievo costituzionale e
tale  per  cui  questo  soggetto  dovrebbe  poter  ricoprire un ruolo
essenziale  nell'ambito  del  rispetto  delle  norme  a  tutela della
concorrenza e del mercato.
    Di  cio' e' stato, finora, consapevole il legislatore, atteso che
ha  provveduto  a  dare  attuazione,  nel diritto interno, a numerose
direttive  comunitarie  a  tutela  dei consumatori e degli utenti (si
pensi,  a  titolo  esemplificativo, al decreto legislativo n. 50/1992
sui  contratti  conclusi  fuori  dai  locali  commerciali, al decreto
legislativo  n. 111/1995  sui  viaggi, le vacanze e i circuiti «tutto
compreso»,  alle  norme  sui  contratti dei consumatori e le clausole
vessatorie  di  cui  al  capo  XIV-bis  del  cod.  civ.,  alla  legge
n. 281/1998   sui  diritti  dei  consumatori  e  utenti,  al  decreto
legislativo n. 427/1998 relativo ai c.d.contratti di multiproprieta',
al decreto legislativo n. 185/1999 sui contratti a distanza).
    L'art. 1  decreto-legge  n. 18/03, nella misura in cui comprime i
diritti  dei  consumatori  e  danneggia  la  loro posizione giuridica
rispetto  quella  dei  professionisti, appare, pertanto, incongruente
rispetto  alla  descritta  evoluzione normativa, nonche' in contrasto
con  i  principi  contenuti  nei  Trattati istitutivi delle Comunita'
europee,   nel  Trattato  sull'U.E.  e  nella  normativa  comunitaria
derivata.
    Si rende, quindi, necessario, ai sensi dell'art. 234 Tratt. U.E.,
l'intervento  della  Corte  di  giustizia,  quale  organo deputato ad
assicurare   il   rispetto   del   diritto   nell'interpretazione   e
nell'applicazione  del Trattato stesso, affinche' si pronunci, in via
pregiudiziale,  sulla compatibilita' con il diritto comunitario della
norma impugnata dinanzi all'odierno giudicante.
    Si  fa  presente  che  il  procedimento  de  quo  non puo' essere
definito  indipendentemente  dalla  risoluzione  delle  questioni  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 1  decreto-legge  8  febbraio
2003, n. 18 che non appaiano manifestamente infondate.
    Si   ritiene,   altresi',   necessaria   una   pronuncia  in  via
pregiudiziale  della  Corte  di giustizia, sulla questione sottoposta
all'esame  dell'odierno  giudicante, perche' lo stesso possa emettere
la propria decisione.