IL GIUDICE DI PACE

    Nella  persona  dell'avv.  Natale Randazzo, rilevato che la causa
civile  n. 664/03  R.G.  promossa con ricorso del 2 settembre 2003 da
Riccobene  Dario,  elettivamente  domiciliato in Trapani, via Nicolo'
Riccio n. 94, presso l'avv. Anna Fileccia contro il Comune di Trapani
ha  per  oggetto: «opposizione a verbale di contravvenzione al codice
della strada»;
        che  il  verbale n. 56630 elevato dalla Polizia municipale di
Trapani  impugnato  dal ricorrente indica il pagamento della somma di
Euro  33,60,  oltre  Euro  5,16  per spese, qualora il contravventore
intendesse conciliare in via breve la contestazione inflittagli;
        che l'art. 204-bis n. 3 della legge 1° agosto 2003 n. 214 che
ha  convertito in legge, con modificazioni il decreto-legge 27 giugno
2003  n. 151 recante modifiche ed integrazioni al codice della strada
impone  che  il  ricorso  al  giudice  di  pace avverso un verbale di
contravvenzione  al  codice  della strada deve essere accompagnato, a
pena  di  inammissibilita', dal deposito di una somma pari al massimo
edittale;
    Vista la legge 11 marzo 1953 n. 87;
    Solleva  di  ufficio  la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 204-bis  n. 3  della legge 1° agosto 2003 n. 214 perche' in
evidente contrasto degli articoli 3, 24 e 113 della Costituzione.
    Questo giudice fonda le sue convinzioni in base ai seguenti

                             M o t i v i

    Violazioni dell'art. 3 della Costituzione.
    L'arcaico  principio  del solve et repete previsto dalla legge 20
marzo  1965  n. 2248 lett. e) eliminato con la storica sentenza n. 21
del 1961 della Corte costituzionale vietava al cittadino che riteneva
illegittimo  il  tributo  di  adire  la giustizia se prima non avesse
pagato quanto impostogli dall'amministrazione.
    Nel  caso  in  esame  non e' stato ripristinato (e ci mancherebbe
altro!)  l'angarioso  principio  del  solve  et  repete in quanto, ad
avviso   di  questo  giudice,  il  potere  legislativo  ha  preferito
introdurre   la  «tagliola»  per  evidenti  motivi  di  «fare  cassa»
istituendo quel deposito obbligatorio, a pena di inammissibilita' del
ricorso, di una somma pari alla meta' del massimo edittale.
    Chiara  appare  la  violazione dell'art. 3 della Costituzione per
evidente  disparita'  di  trattamento  tra  chi e' in grado di pagare
anche  l'intera  sanzione  ed  il  cittadino  che  non  abbia i mezzi
sufficienti  per  far  fronte  al  pagamento,  ne' possa procurarseli
agevolmente ricorrendo al credito.
    In   sostanza  la  norma  denunziata  consente  al  cittadino  in
condizioni  economiche ottimali di chiedere ed ottenere giustizia ove
possa provare le sue ragioni.
    Al   cittadino   meno   abbiente  tale  possibilita'  viene  resa
difficile,  se  non  talvolta  impossibile,  poiche'  lo si obbliga a
sopportare  l'onere  del  versamento  preventivo  di  una  somma  che
eventualmente  puo'  essere ingente e notevolmente superiore a quella
per cui oggi si controverte.
    Violazione dell'art. 24, primo comma, e 113 della Costituzione.
    Detti  articoli  mirano chiaramente a ribadire la salvaguardia di
diritti  e  di  fatti  di  tutti  i  cittadini per quanto concerne la
possibilita'  di  chiedere  ed ottenere la tutela giurisdizionale sia
nei confronti di soggetti privati, sia dello Stato o di enti pubblici
minori.
    E'  appena  il  caso di ricordare che l'eventuale accoglimento di
questa   denunzia  di  incostituzionalita'  non  farebbe  venir  meno
l'indiscutibile  principio  di esecutorieta' dell'atto amministrativo
per  cui la pubblica amministrazione, indipendentemente da un ricorso
pendente, puo' procedere esecutivamente contro il cittadino.
    Questo   principio,   fra   l'altro,   indebolisce   notevolmente
l'efficacia dell'onere economico imposto con la norma denunziata.