IL TRIBUNALE

    Visto  il  ricorso  avanzato  da  Bonvissuto  Gianluca avverso il
decreto emesso dall'intestato tribunale in composizione collegiale in
data  21  febbraio  2003,  con  cui, ai sensi dell'art. 112, comma 2,
d.lgs.  113/2002,  e'  stato  revocato  il  decreto  di ammissione al
patrocinio  a  spese  dello  Stato,  gia'  accordato nel procedimento
penale  a  carico  del  predetto,  pendente innanzi al cennato organo
giurisdizionale (n. 1299/2001 R.G.T.);
    Visto  il  provvedimento  di designazione spiccato dal presidente
del Tribunale;
    Udite  le  parti  nell'udienza  in  camera  di  consiglio  del 18
settembre 2003;
    Ritenuto   che   avverso  il  decreto  con  cui  e'  revocato  il
provvedimento  di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, sulla
base  delle  informazioni  richieste,  ex  art.  96,  comma 3, d.lgs.
113/2002, al questore, alla Direzione investigativa antimafia ad alla
Direzione  nazionale antimafia, deve ammettersi ricorso, ai sensi del
primo  comma dell'art. 99 d.lgs. 113/2001, «davanti al presidente del
tribunale  o  al presidente della corte d'appello ai quali appartiene
il   magistrato   che   ha  emesso  il  decreto»,  essendo  riservata
dall'art. 113  d.lgs.  citato  l'impugnativa tout court alla Corte di
cassazione,  solo  per  l'ipotesi  di  revoca  disposta  su richiesta
proveniente   dall'ufficio   finanziario  (vedi  Cass.  pen. s.u.  24
novembre 1999 n. 25, nonche' la relazione illustrativa al testo unico
sulle spese di giustizia, pag. 46);
    Ritenuto,  poi,  che il comma 3 del cennato art. 99, prescrivendo
che  «il  processo  e'  quello  speciale  previsto per gli onorari di
avvocato  e l'ufficio procede in composizione monocratica prevede ora
una  competenza dell'organo giudiziario monocratico, di cui non vi e'
tuttavia  traccia  alcuna  nella  disciplina  previgente,  disponendo
infatti  gli  ormai  abrogati  commi 4 e 5 dell'art. 6 legge 217/1990
(come  modificati  dalla  legge  134/2001),  che  l'interessato  puo'
proporre  ricorso  «davanti  al  tribunale  o alla corte d'appello ai
quali  appartiene  il  giudice  che  ha  emesso il decreto di rigetto
dell'istanza»,  intendendosi  pacificamente  il  giudice  del gravame
quale  organo  collegiale,  sulla  base  dei  rinvio  procedurale ivi
contenuto   all'art.   29   legge   794/1942,   laddove   si  prevede
espressamente  «la comparizione degli interessati davanti al collegio
in camera di consiglio»;
        che l'art. 7 legge 50/1999 (come modificato dall'art. 1 della
legge   340/2000)   -  disposizione  peraltro  odiernamente  abrogata
dall'art.  23  comma  3,  legge  229/2003 -, nel disporre il riordino
della  materia che ci occupa mediante l'emanazione di un testo unico,
comprendente  -  in un unico contesto - le disposizioni legislative e
regolamentari,  si  e'  limitato a delegare al Governo la facolta' di
emanare  un  decreto legislativo e un regolamento di delegificazione,
attenendosi  ai  criteri e principi direttivi indicati analiticamente
nel comma 2 della detta norma;
        che tra tali criteri direttivi - oltre alla previsione di una
delegificazione   delle   norme  di  legge  concernenti  gli  aspetti
organizzativi  e  procedimentale (lett. a) e una espresso riferimento
alla sola materia universitaria (lett. g) entrambi privi di rilevanza
alcuna  in  questa  sede  -  il legislatore delegato si e' limitato a
prescrivere  la  «puntuale  individuazione  del  testo  vigente delle
norme»  (lett.  b),  la  «esplicita indicazione delle norme abrogate,
anche  implicitamente,  da  successive  disposizioni  (lett.  c),  il
coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti apportando
nei  limiti  di  detto  coordinamento,  le  modifiche  necessarie per
garantire  la  coerenza logica e sistematica della normativa anche al
fine  di  adeguare e semplificare il linguaggio normativo» (lett. d),
la  «esplicita indicazione delle disposizioni, non inserite nel testo
unico,  che  restano  comunque  in  vigore»  (lett. e) ed, infine, la
«esplicita  abrogazione  di  tutte  le  rimanenti  disposizioni,  non
richiamate,  che  regolano  la materia oggetto di delegificazione con
espressa  indicazione  delle  stesse  in  apposito  allegato al testo
unico» (lett. f);
        che,  dunque,  all'interno  dei  principi  direttivi espressi
dalla  suddetta  delega,  all'evidenza  non si rinviene la previsione
della  facolta'  di  modificare i criteri di riparto della competenza
tra il giudice monocratico e quello collegiale, in tema di giudizi di
opposizione  avverso  i  provvedimenti  di  rigetto  dell'istanza  di
ammissione   al   patrocinio   a   spese  dello  Stato  o  di  revoca
dell'ammissione  gia'  disposta,  resi  nell'ambito  di  un  processo
penale, al contrario di quanto ad esempio e' stato anche recentemente
previsto  dalla lettera b) dell'art. 12 della legge 366/2001, con cui
si  e'  conferita  delega  al  Governo  per introdurre nuove norme di
procedura  in  materia  societaria (vedi d.lgs. 5/2003), ovvero dalla
lett.   a)   dell'art. 16   della   legge  273/2002,  attraverso  cui
l'esecutivo   e'   stato  deputato  all'istituzione  di  sezioni  dei
tribunali  specializzate  in  materia  di  proprieta'  industriale  e
intellettuale (vedi d.lgs. 168/2003);
        che  in  direzione  contraria,  non  vale  invocare - come si
mostra  persuasa  la  detta  relazione ministeriale al testo unico in
parola  -,  l'esigenza  di armonizzazione della disciplina oggetto di
riordino  con  la  sopravvenuta  riforma  del  giudice  unico (d.lgs.
51/1998),  laddove  si  prevede la competenza dell'organo monocratico
«come  regola generale se non derogata da norme ad hoc», poiche' come
visto  supra,  di una tale volonta' armonizzatrice tra la materia, in
discussione e quella, di natura strettamente processuale, oggetto del
cennato  decreto  legislativo,  non vi e' traccia alcuna nella citata
legge   delega,   dovendo   trovare  luogo  la  ridetta  esigenza  di
omogeneizzazione  normativa  solo  all'interno  e  nei  limiti  delle
singole discipline oggetto di riordino;
        che,   peraltro,   sul   punto  non  e'  neppure  convincente
richiamare  -  come ritiene di dover fare sempre la cennata relazione
ministeriale  (pag.  71)  -  l'art. 50, lett. c) del d.lgs. 274/2000,
laddove  si  prevede,  nell'ambito dei giudizi dinnanzi al giudice di
pace,  la facolta' di delega delle funzioni di pubblico ministero nei
procedimenti  di  opposizione al decreto di liquidazione dei compensi
emesso  da  quest'ultimo magistrato, poiche' siffatta norma nella sua
formulazione,  per  un verso, non puo' definirsi idonea ad attribuire
al  giudice di pace una competenza nella materia - oggi pacificamente
riconosciuta, infatti, al tribunale in composizione monocratica (vedi
art. 170  T.U.  115/2002),  senza che si sia resa necessaria per vero
alcuna  abrogazione  di  norme  -  e,  per  altro verso, attenendo la
medesima  disposizione  esclusivamente al tema della liquidazione dei
compensi  agli  ausiliari  del  magistrato,  non puo' di certo essere
richiamata  quale unico parametro di riferimento in sede di revisione
della   disciplina   processuale   concernente   la  ben  distinta  e
differenziata materia del patrocinio a spese dello Stato;
        che, pertanto, deve ritenersi non manifestamente infondata la
questione  di  costituzionalita' dell'art. 99 comma 3 d.lgs. 113/2001
nella parte in cui dispone che nel processo di opposizione avverso il
provvedimento  di  rigetto  dell'istanza  di  ammissione  al gratuito
patrocinio  ovvero  di  revoca  del decreto gia' accordato, l'ufficio
giudiziario  procede  in  composizione  monocratica, per contrarieta'
all'art.  76  della  Costituzione,  avendo  il  legislatore  delegato
ecceduto  rispetto alla delega conferitagli nell'art. 7 legge 50/1999
(come modificato dall'art. 1 della legge 340/2000);
    Ritenuto,  inoltre,  in  via subordinata, che la norma censurata,
prevedendo  la  descritta competenza di un organo monocratico in sede
di  giudizio  di  opposizione  avverso provvedimenti emessi anche dal
collegio (del tribunale o della corte d'appello), si mostra contraria
al  canone  di  ragionevolezza,  cosi'  impingendo  nella  violazione
dell'art. 3  Cost.,  ingiustificatamente  attribuendo  - per la prima
volta nell'ordinamento - ad un giudice monocratico (indefettibilmente
dotato  di  un  bagaglio  culturale  e  di  esperienza  professionale
inferiore a quello della terna di magistrati che compone il collegio)
la  potesta'  di  sindacare  i  provvedimenti di un organo giudicante
collegiale;
        che,  invero,  non  e' dato ravvisare nel sistema processuale
vigente alcuna fattispecie in cui, alla decisione emessa da un organo
giurisdizionale  in composizione collegiale segua, in sede di gravame
avverso la stessa, la devoluzione della trattazione dell'affare ad un
organo  monocratico,  potendosi  ricordare  -  limitatamente  al rito
civile  e  senza  pretesa  di  completezza  -,  che  sono soggette ad
impugnazione  innanzi  ad  un organo indefettibilmente collegiale (id
est   la   Corte  d'appello)  tutte  le  sentenze  del  tribunale  in
composizione collegiale (art. 341 c.p.c)., come i decreti impugnabili
emessi  dal  tribunale  fallimentare  (artt.  29, comma secondo e 119
comma  secondo  r.d. 267/1942), nonche', in forza del generale rinvio
di  cui  all'at.  739  c.p c, tutti i decreti emessi dal collegio nei
procedimenti c.d. in camera di consiglio;
    Ritenuto,  infine, che entrambe le questioni di costituzionalita'
sopra   esposte   sono   altresi'   rilevanti,   trattandosi  qui  di
individuare,  in  via  pregiudiziale di ogni altra statuizione, quale
debba essere la composizione - collegiale o monocratica - dell'organo
giurisdizionale chiamato a pronunciarsi sulla opposizione avanzata da
Bonvissuto  Gianluca  avverso il decreto di revoca dell'ammissione al
patrocino  a  spese  dello  Stato,  emesso  dal  Tribunale di Gela in
composizione collegiale;