IL CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA
    Ha  pronunciato  la  presente ordinanza nelle Camere di Consiglio
del  9  e  del 10 marzo 2004, visti gli art. 21 u.c., e l'art. 23-bis
comma 3 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034;
    Visto l'appello proposto da Impresa «La Lucente» in persona della
titolare  Maria  Lombardo,  rappresentata  e difesa dall'avv. Ignazio
Scuderi,  con  domicilio  eletto in Palermo, via Domenico Trentacoste
n. 89 presso l'avv. Pietro Allotta;
    Contro  la  Fondazione  Teatro  Massimo  «Vincenzo  Bellini»,  in
persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa
dall'avv.  Pietro Paterniti La Via, con domicilio ex lege in Palermo,
via   Filippo   Cordova  n. 76,  presso  il  Consiglio  di  giustizia
amministrativa  e  nei confronti di Impresa La Puligienica di Navarra
Toto',  rappresentata  e  difesa  dagli  avv. Corrado Diaco e Carmelo
Giurdanella,   con   domicilio   eletto   in  Palermo,  via  Domenico
Trentacoste  n. 89,  presso l'avv. Pietro Allotta, per l'annullamento
dell'ordinanza del Tribunale amministrativo regionale della Sicilia -
Catania  sezione  II  - n. 1994/2003 del 9 dicembre 2003, resa tra le
parti, concernente: esclusione dalla gara d'appalto per l'affidamento
del  servizio di pulizia di tutti i locali ed uffici della Fondazione
Teatro Massimo «Vincenzo Bellini»;
    Visti gli atti e documenti depositati con l'appello;
    Vista  l'ordinanza di rigetto della domanda cautelare proposta in
primo grado;
    Visto  l'atto di costituzione in giudizio della Fondazione Teatro
Massimo  «Vincenzo  Bellini» e dell'Impresa La Puligienica di Navarra
Toto';
    Udito   il   relatore  Consigliere  Giorgio  Giaccardi  e  uditi,
altresi',  per  la  parte  appellante  l'avv.  I.  Scuderi, l'avv. P.
Paternita' La Via per la Fondazione Teatro Massimo «Vincenzo Bellini»
e  l'avv.  R.  Zammataro,  su  delega  dell'avv.  C. Giurdanella, per
l'Impresa La Puligienica di Navarra Toto';

                              F a t t o

    In  prime  cure  l'Impresa  «La  Lucente»  ha proposto ricorso al
Tribunale   amministrativo  regionale  Sicilia  Sezione  staccata  di
Catania  per  l'annullamento, previa sospensiva, del provvedimento di
cui  al  verbale di gara 11 luglio 2003, n. 28604 prot., con il quale
la  Fondazione  Teatro  Massimo Vincenzo Bellini ha escluso l'impresa
ricorrente dalla gara d'appalto relativa all'affidamento del servizio
di pulizia di tutti i locali ed uffici della predetta Fondazione, per
ritenuta anomalia dell'offerta, ed ha provvisoriamente aggiudicato il
servizio  all'impresa  controinteressata,  nonche' di ogni altro atto
presupposto,  connesso e consequenziale, nonche' per il risarcimento,
anche   in   forma   specifica,  del  danno  ingiusto  derivante  dal
provvedimento anzidetto.
    Con  l'ordinanza  impugnata il Tribunale amministrativo regionale
Sicilia  -  Sezione  staccata  di  Catania  rigettava  la  domanda di
sospensione.
    L'Impresa La Lucente ha proposto appello, lamentando l'erroneita'
della  pronunzia  cautelare, in ordine alla deliberazione negativa di
ambedue i presupposti del fumus boni juris e del periculum in mora.
    Conseguentemente,  l'appellante  chiede  che  questo Consiglio in
accoglimento  dell'appello  annulli  l'ordinanza impugnata e sospenda
l'esecuzione del provvedimento gravato in prime cure.
    Si  sono costituite la Fondazione Teatro Massimo Vincenzo Bellini
e  la  controinteressata  Impresa  La  Puligienica  di Navarra Toto',
resistendo  all'appello  e  depositando  memorie difensive a sostegno
delle rispettive difese.
    Con  successiva  memoria depositata il 2 marzo 2004 la Fondazione
appellata  ha  altresi'  sollevato  talune  questioni di legittimita'
costituzionale concernenti la composizione del Collegio.

                            D i r i t t o

    Il   Collegio  chiamato  a  decidere  sull'appello  cautelare  in
epigrafe  ritiene  innanzitutto  di  dover affrontare taluni dubbi di
costituzionalita'   concernenti  la  composizione  del  Consiglio  di
giustizia  amministrativa  per  la Regione siciliana come risulta da1
d.lgs.  n. 373/2003,  in  parte  sollevati  anche  dalla difesa della
Fondazione  Teatro Massimo Vincenzo Bellini nella memoria del 2 marzo
2004.
    Al  riguardo il Collegio osserva che tali questioni, rilevanti ai
fini   dell'esercizio  della  giurisdizione  e  preliminari  ad  ogni
decisione  in rito e in merito, non appaiono manifestamente infondate
per quanto di seguito verra' esposto.
    1.  -  Lo  Statuto  speciale della Regione siciliana, per ragioni
storiche,  in parte legate al secondo conflitto mondiale, e anteriore
alla proclamazione della Repubblica ed alla Costituzione repubblicana
in  quanto  e'  stato approvato nel 1946 con r.d.lgs. 15 maggio l946,
n. 455  e  con  la  espressa  riserva,  contenuta  nel  secondo comma
dell'art.  unico,  di essere sottoposto all'Assemblea costituente per
essere coordinato con la nuova Costituzione dello Stato.
    Come e' noto, tale coordinamento non vi e' stato.
    Invero,  la  Costituzione  repubblicana  e stata pubblicata il 27
dicembre  1947  ed  e'  entrata in vigore il 10 gennaio 1948 ai sensi
della  XVIII  disposizione  transitoria  e lo Statuto siciliano venne
convertito  in  Legge  costituzionale con l'art. 1, primo comma della
Legge  costituzionale  26 febbraio 1948 n. 2 ed e' entrato in vigore,
ai sensi dell'art. 2 della legge anzidetta, il 10 marzo 1948.
    Il  coordinamento  con la Costituzione non avvenne ne' in sede di
Assemblea costituente e neppure in epoca successiva. Il secondo comma
dell'art.  1  della  Legge  costituzionale n. 2/1948 prevedeva bensi'
modifiche   allo  statuto,  modifiche  che  avrebbero  dovuto  essere
effettuate  entro  un  biennio  con  legge ordinaria, d'intesa con la
regione,  ma,  come  e'  noto,  l'Alta Corte per la Regione siciliana
dichiaro'   incostituzionale   tale  disposizione  con  decisione  10
settembre  1948,  n. 4. Pertanto, lo Statuto siciliano e' rimasto nel
testo  originario  ed  il  mancato  coordinamento  e'  stato  sovente
sottolineato    dalla   dottrina   e   dalla   giurisprudenza   anche
costituzionale   (v.   Corte  cost.  nn. 38/1957;  6/1970,  115/1972,
113/1993 e, da ultimo n. 314/2003).
    Per  quello  che concerne la questione in oggetto l'art. 23 dello
Statuto    siciliano    prevede   semplicemente   che   «gli   organi
giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per
gli affari concernenti la regione» e che «Le sezioni del Consiglio di
Stato  e  della  Corte  dei  conti svolgeranno, altresi' le funzioni,
rispettivamente,   consultive,   e   di  controllo  amministrativo  e
contabile.».
    Il  decentramento non ha mai avuto attuazione per quanto concerne
le  sezioni  civili  e  penali  della  Cassazione, la quale ha sempre
respinto  le  questioni di costituzionalita' in relazione all'art. 25
Cost.  argomentando con la natura meramente programmatica della norma
statutaria  (v.  Cass.  12  settembre  l991,  n. 9534; 8 aprile 1992,
n. 4270). Non sono state decentrate neppure la Commissione tributaria
centrale e il Tribunale superiore delle acque pubbliche.
    Il  decentramento  e'  stato  invece  attuato per il Consiglio di
Stato  e  la  Corte  dei  conti con i coevi decreti legislativi del 6
maggio 1948 rispettivamente n. 654 e n. 655.
    Questo  Consiglio  con  ordinanza  n. 185/2003  pubblicata  nella
Gazzetta  Ufficiale - prima serie speciale - n. 28 del 16 luglio 2003
e   con  ordinanza  n. 303/2003  ha  sollevato  talune  questioni  di
costituzionalita'  del  d.lgs.  n. 654/1948  sotto  vari  profili  in
rapporto  a  numerose  disposizioni  sia  dello Statuto siciliano sia
della Costituzione.
    Nelle  more  del  giudizio  innanzi  alla Corte costituzionale e'
stato   emanato   n. 373/2003   il   quale,  come  recita  l'art. 14,
sostituisce  integralmente  il  d.lgs.  n. 645/1948  ed il decreto di
modifica dello stesso, e cioe' il d.P.R. n. 204/1978.
    Non  pochi  interrogativi  posti  nelle  anzidette ordinanze sono
stati  superati  dalle  nuove disposizioni. In particolare, e' venuto
meno  un  gruppo  di  questioni concernenti la supposta violazione di
principi  costituzionali  sia  in  tema  di  delega  legislativa  sia
dell'art. 43  dello  Statuto  siciliano,  e  cioe'  poiche' il d.lgs.
n. 654/1948  sarebbe  stato  emanato  in  base  a  norme  di delega a
contenuto indeterminato e comunque prescindendo dall'intervento della
commissione paritetica di cui all'art. 43 dello Statuto siciliano. Un
altro   gruppo   di   censure   concerneva  altri  supposti  vizi  di
costituzionalita' dell'art. 2 del d.lgs. n. 654/1948 (come sostituito
dal d.P.R. n. 204/1978) in relazione a taluni principi costituzionali
per   non   essere   assicurata   ai   membri   laici  della  sezione
giurisdizionale  del  Consiglio  di  giustizia  amministrativa per la
Regione   siciliana   sufficienti   garanzie  di  indipendenza  e  di
imparzialita'  e  per  non  essere  previsto  un  termine per la loro
designazione nonche' meccanismi sostitutivi.
    Anche   tali   interrogativi   sono  stati  superati  dal  d.lgs.
n. 373/2003 e, in particolare, dalle previsioni degli artt. 6 e 7 che
hanno  esteso  ai  membri  laici  il regime giuridico e disciplinare,
nonche'  il  trattamento  economico dei togati e ne hanno previsto la
cessazione automatica al termine del sessennio di nomina.
    Peraltro,   ad   avviso  del  Collegio,  e  come  rilevato  dalla
Fondazione  appellata,  il  d.lgs.  n. 373/2003  non  ha eliminato un
dubbio   di   costituzionalita',   gia'   adombrato  nelle  ordinanze
n. 185/2003   e   n. 303/2003,  e  concernente,  in  particolare,  la
possibilita'  che  in  sede di norme di attuazione dell'art. 23 della
Statuto  siciliano  sia possibile prevedere una composizione mista di
laici  e  togati  del  Consiglio  di  giustizia amministrativa per la
Regione siciliana in sede giurisdizionale.
    Pertanto,  gli  artt. 4, primo comma e secondo comma, e 6 secondo
comma  del d.lgs. n. 373/2003 lasciano inalterati gli stessi dubbi di
costituzionalita'  che  erano  stati  gia'  evidenziati in precedenza
nelle   citate  ordinanze  n. 185/2003  e  n. 303/2003  in  relazione
all'art.   2  del  d.lgs.  n. 654/1948  come  sostituito  dal  d.P.R.
n. 204/1978.
    2.  - Al riguardo, si premette in via generale che anche le leggi
costituzionali  (come ad esempio gli Statuti speciali regionali) sono
soggette  al sindacato di legittimita' costituzionale (v. Corte cost.
n. 38/1957    sull'Alta    Corte    siciliana   e   n. 6/1970   sulla
responsabilita'  penale  avanti  all'Alta  Corte del Presidente della
Regione).
    A  fortiori sono denunciabili per incostituzionalita' le norme di
attuazione  degli  Statuti delle Regioni a Statuto speciale le quali,
sotto  questo  profilo,  sono state ritenute sullo stesso piano delle
leggi  statali  (Corte cost. 14 luglio 1956 nn. 14, 15, 16; 16 luglio
1956, n. 20; 19 luglio 1956, n. 22; 26 gennaio 1957, n. 15; 18 maggio
1959,  n. 30,  etc.)  e  cio'  ancorche' le norme di attuazione degli
Statuti  speciali si ritiene operino ad un livello superiore a quello
della  legge  statale (Corte cost. 18 maggio 1959, n. 30, Corte cost.
n. 13/1974).
    Per  quanto poi concerne la natura ed il contenuto delle norme di
attuazione,   va   rilevato   che   la   giurisprudenza  della  Corte
costituzionale  (dec.  n. 20/1956  cit.) ha precisato come queste non
siano  da  qualificare alla stregua di norme di mera esecuzione dello
Statuto  regionale,  come  se  si  trattasse  di semplici regolamenti
esecutivi.  Al  contrario,  esse  possono  contenere  norme primarie,
ancorche' di «attuazione» degli Statuti, e quindi rivestono carattere
legislativo.
    Da  tale  carattere  discende la necessita' che il loro contenuto
non  sia  in  contrasto  ne'  con  la  Costituzione, e neppure con lo
Statuto  speciale,  ma  debbono,  semmai,  essere  «in  aderenza»  al
medesimo.
    Il concetto di «aderenza» puo' essere poi sottoposto al controllo
della Corte costituzionale proprio con riferimento al contenuto delle
norme  di attuazione e cioe' verificando se le stesse siano contrarie
o meno allo Statuto.
    Al  di la' delle ipotesi di norme di attuazione «contra statutum»
la Corte costituzionale (sempre nella citata decisione n. 20/1956) si
e' posta il problema delle norme di attuazione praeter legem, o anche
apparentemente secundum legem, risolvendolo testualmente come segue.
    «Se poi le norme di attuazione siano praeter legem, nel senso che
abbiano  integrato  le disposizioni statutarie od abbiano aggiunto ad
esse  qualche cosa che le medesime non contenevano, bisogna vedere se
queste  integrazioni  od  aggiunte  concordino  innanzi  tutto con le
disposizioni  statutarie  e col fondamentale principio dell'autonomia
della regione, e se inoltre sia giustificata la loro emanazione dalla
finalita'  dell'attuazione  dello statuto. Laddove, infine, si tratti
di  norme  secundum  legem,  e' ovvio che se esse, nel loro effettivo
contenuto e nella loro portata, mantengano questo carattere, non e' a
parlarsi  di  illegittimita' costituzionale, ma sarebbe pur sempre da
dichiararsene  la illegittimita' nel caso che esse, sotto l'apparenza
di  norme secundum legem, sostanzialmente non avessero tal carattere,
ponendosi  in  contrasto con le disposizioni statutarie e non essendo
dettate dalla necessita' di dare attuazione a queste disposizioni».
    Questo insegnamento e' stato mantenuto fermo fino ad ora e, sullo
specifico  punto,  la  decisione  n. 20/1956  e'  stata costantemente
richiamata  dalla  successiva  giurisprudenza  costituzionale  (v. da
ultimo Corte cost. n. 353/2001).
    3.  -  Orbene,  se si esaminano a confronto le disposizioni dello
Statuto   siciliano   e   le   norme  di  attuazione  in  materia  di
giurisdizione  amministrativa  relativamente  alla composizione mista
del  Collegio  si  evince come queste ultime siano di segno contrario
rispetto alle previsioni statutarie e comunque non in aderenza con la
lettera e con lo spirito delle previsioni statutarie stesse.
    L'art. 23   primo   comma   dello   statuto,  infatti  stabilisce
semplicemente  che  «gli  organi  giurisdizionali centrali avranno in
Sicilia le rispettive sezioni per gli affari concernenti la regione».
    Nello  statuto  non  e'  contenuto  alcun  accenno, come tutta la
dottrina   costituzionalistica   dell'epoca   non   ha   mancato   di
sottolineare,  alla composizione dei Collegi giudicanti e neppure per
i  Collegi  chiamati  a  decidere  in  sede consultiva e di controllo
(art. 23 secondo comma).
    Gli  artt. 4 e 6 del d.lgs. n. 373/2003 non si limitano a dettare
norme  attuative  o  che  comunque costituiscano la logica e naturale
espansione  del  principio  statutario  (decentramento degli uffici e
trasferimento  di  personale  per  consentire  la presenza in loco di
sezioni  delle  giurisdizioni superiori per gli affari regionali), ma
modificano   la   struttura   ordinaria  dell'organo  giurisdizionale
introducendo   un   principio  del  tutto  estraneo  allo  statuto  e
contrario,  come  verra'  in  seguito  chiarito,  a  precise  norme e
principi di rango costituzionale.
    D'altra   parte   e'  del  tutto  evidente  che  la  composizione
dell'organo  giurisdizionale  in modo diverso dall'ordinario non puo'
essere  considerata, nel silenzio dello statuto al riguardo, come una
necessaria integrazione e specificazione della norma statutaria.
    La  citata  decisione  della  Corte  n. 20  del  1956, e' precisa
nell'affermare  che  la  legittimita'  costituzionale  delle norme di
attuazione e' subordinata alla sussistenza di due requisiti.
    Innanzitutto  occorre  la  concordanza  tra norme di attuazione e
Statuti  (e  nella specie ictu oculi tale concordanza non esiste); in
secondo  luogo  le  norme  di  attuazione debbono essere giustificate
dalla finalita' di dare attuazione allo statuto.
    Neppure tale ultimo requisito sussiste nella specie.
    A proposito di quest'ultimo la Corte ha affermato che «l'esigenza
delle  norme  di  attuazione  si  manifesta  nel bisogno di dar vita,
nell'ambito   delle   ben   definite   autonomie  regionali,  ad  una
organizzazione  dei pubblici uffici e delle pubbliche funzioni che si
armonizzi    con    l'organizzazione    dello    Stato    nell'unita'
dell'ordinamento  giuridico» (dec. nn. 14/1962, 30/1968, 136/1969) ed
ha  ribadito tale convincimento anche nella decisione 12 luglio 1984,
n. 212  nella  quale  ha  anche  precisato  che  «le  finalita' della
attuazione  vanno  accertate nel contesto delle autonomie regionali e
nei principi costituzionali».
    Nella  citata  decisione  n. 212/1984 la Corte, nel dichiarare la
illegittimita'   costituzionale  della  istituzione  di  una  sezione
giurisdizionale  e  delle  sezioni  unite  della  Corte  dei conti in
Sardegna,  ha  argomentato  con  il fatto che ne' dalla lettera dello
statuto  regionale,  ne' dal suo spirito, ne' dalle sue finalita' era
in  alcun  modo ricavabile che si fosse inteso prevedere, neppure per
implicito, sezioni di organi centrali neppure nei limiti degli affari
concernenti  la  regione  e cio' a differenza di quanto stabilito per
altre  regioni, richiamando appunto l'art. 23 dello Statuto siciliano
e l'art. 90 dello Statuto del Trentino Alto Adige.
    Al  riguardo  tuttavia  non  puo' non sottolinearsi la differenza
fondamentale  tra  lo  Statuto  siciliano  e quello del Trentino Alto
Adige  i  quali,  ai  fini  in  esame, non possono porsi sullo stesso
piano.
    Infatti,  mentre  lo  Statuto  siciliano  si  limita  alla pura e
semplice  localizzazione in Sicilia delle sezioni delle giurisdizioni
superiori,  lo  Statuto  del  Trentino  Alto  Adige e' di ben diverso
contenuto.
    Innanzitutto,    l'art. 90    del   Testo   Unico   delle   Leggi
Costituzionali  di  cui  al  d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 istituisce
espressamente  il  T.R.G.A.  e  rinvia  espressamente  alle  norme di
attuazione  per  il  suo  ordinamento. Inoltre, il successivo art. 91
disciplina    espressamente    la    composizione    della    sezione
giurisdizionale  per  la provincia di Bolzano del T.R.G.A. cosi' come
prevede  espressamente  che  la  meta'  dei  componenti la Sezione e'
nominata  dal  Consiglio  provinciale  di  Bolzano  (art. 91  secondo
comma).
    Le  norme  di  attuazione  dello  Statuto  del Trentino (d.P.R. 6
aprile  1984,  n. 426)  di  conseguenza, essendo a cio' espressamente
delegate  dallo  statuto,  disciplinano  le  modalita'  di scelta dei
magistrati cosiddetti laici, individuando le categorie tra cui questi
debbono  essere  scelti, il ruolo in cui debbono essere collocati, le
garanzie  che  li  assistono,  lo  stato  giuridico  e il trattamento
economico  (artt.  2,  4,  5,  d.P.R.  6  aprile  1984,  n. 426).  In
proposito,  nella  decisione  n. 137/1998  la Corte costituzionale ha
espressamente rilevato come la specialita' del T.R.G.A. risieda nella
delega   contenuta   nell'art.  90  dello  Statuto  speciale  da  cui
legittimamente  discendono  le  norme  di  attuazione adottate con lo
speciale procedimento della commissione paritetica.
    Anche il d.lgs. n. 373/2003 di attuazione dello Statuto siciliano
contiene,  agli artt. 4 e 6, norme di contenuto analogo alle norme di
attuazione  dello  Statuto  del  Trentino,  ma  con  la  fondamentale
differenza  che lo Statuto siciliano ne' prevede la istituzione di un
organo  speciale  giurisdizionale  a composizione mista e neppure ne'
delega  il suo ordinamento alle norme di attuazione. Nessun accenno -
ripetesi  -  ne'  esplicito  ne  implicito e' contenuto nello Statuto
siciliano  circa  la  istituzione  di  un  organo  giurisdizionale  a
composizione  speciale  per  la  Regione siciliana e neppure circa la
necessita'  che  parte  del  Collegio  giudicante  sia  costituito da
magistrati laici di designazione regionale.
    Ne' potrebbe sostenersi che la presenza in Collegio di magistrati
laici  di  designazione  regionale  costituisca  la logica e naturale
conseguenza,  se  non  della  lettera,  almeno  dello spirito e delle
finalita' autonomistiche dello Statuto siciliano.
    Un conto infatti e la localizzazione di una funzione, un altro e'
la  organizzazione della funzione. Sono due aspetti del tutto diversi
che  il  legislatore  costituzionale puo' disciplinare diversamente a
seconda  dei  casi  cosi'  come dimostra lo Statuto del Trentino Alto
Adige  (istituzione  espressa  dell'organo  speciale, delega espressa
alle  norme  di  attuazione,  localizzazione  e previsione di giudici
laici),  quello  della  Valle  d'Aosta  (limitata  competenza per gli
uffici  di  conciliazione),  quello  della  Regione  Sardegna  e  del
Friuli-Venezia  Giulia  (nessuna  disposizione sulla giurisdizione) e
della  Sicilia  (solo localizzazione degli organi ordinari). La Corte
costituzionale - come verra' meglio chiarito in prosieguo - ha sempre
rifiutato   qualsiasi  esegesi  finalistica  anche  delle  competenze
normative   statutarie   primarie,  sottolineando  la  necessita'  di
attenersi   al   tenore   letterale   degli   statuti   (Corte  cost.
nn. 124/1957, 66/1961, 46/1962, 66/1964, 115/1972).
    4. - D'altra parte, la riprova che le deroghe alla organizzazione
giurisdizionale  nazionale  sono  e  debbono  essere  contenute negli
Statuti si rinviene nello stesso Statuto siciliano.
    Innanzitutto   va   osservato   che   quando  si  e'  voluta  una
composizione mista, lo Statuto siciliano lo ha espressamente sancito,
come  risulta  dal  confronto  dell'art. 23 con l'art. 24 primo comma
secondo  cui  i  membri  dell'Alta Corte dovevano essere nominati «in
pari numero dalle Assemblee legislative dello Stato e della regione».
    Peraltro,  un  ulteriore  argomento si ricava dal testuale tenore
dello  stesso  art. 23.  Invero,  l'art. 23 terzo comma dello Statuto
siciliano si da' carico di precisare che i magistrati della Corte dei
conti  sono  nominati  «d'accordo  dai  Governi  dello  Stato e della
regione».
    Il  legislatore  costituzionale  ha  talmente avvertito l'effetto
derogatorio  al  normale  e  limitato  assetto  organizzatorio  della
designazione del giudice contabile togato, da ritenerne necessaria la
specificazione nello statuto.
    Orbene,  di  fronte  a tale espressa specificazione dello statuto
per  una  delle  magistrature  superiori,  non  si vede come si possa
sostenere  che  invece  l'assoluto  silenzio dello stesso legislatore
circa  le altre possa essere interpretato come una implicita delega a
disciplinare,  in  sede di attuazione, la nomina, la composizione, la
stessa  struttura  del  giudice  amministrativo in una organizzazione
giurisdizionale del tutto difforme da quella ordinaria.
    La  Corte  costituzionale  ha  affermato  chiaramente  che, anche
laddove  gli statuti prevedano in via generica la emanazione di norme
di  attuazione,  sarebbe  illogico ritenere che queste ultime debbano
essere emanate per tutte le materie statutarie perche' in tal modo si
perverrebbe  «all'assurdo  di  giudicare che esse sono state previste
anche  in  caso  in cui il testo statutario avesse avuto in se' piena
completezza  e non avesse reclamato integrazioni o specificazioni. In
tali  ipotesi  le norme di attuazione non potrebbero mai emanarsi per
mancanza di oggetto» (Corte cost. 1° luglio 1969, n. 136).
    5.  - Neppure potrebbe sostenersi, sotto altro profilo, che nella
previsione  statutaria  siciliana,  limitata alla localizzazione, sia
implicita la disciplina della organizzazione giurisdizionale.
    Al  riguardo  la  Corte costituzionale ha sempre affermato che in
materia  di  ordinamento  giudiziario  esiste, ex art. 108 Cost., una
riserva   di   legge  statale  (Corte  cost.  n. 4/1956,  n. 76/1995,
n. 134/1998, n. 86/1999).
    E'  stato anche affermato che il disegno del costituente e' stato
«di  procedere  bensi'  per  determinate  materie ad un decentramento
istituzionale  nel  campo  legislativo  ed  amministrativo  a  favore
dell'ente regione, ma di escludere dal decentramento tutto il settore
giudiziario  e  di  sottrarlo,  quindi,  a qualsiasi competenza delle
regioni,  anche  di  quelle  a statuto speciale dettando cosi' uno di
quei    principi   dell'ordinamento   giuridico   dello   Stato   che
costituiscano  limite  insuperabile  all'attivita'  legislativa delle
regioni» (Corte cost. n. 4/1956, v. anche Corte cost. n. 43/1982).
    In  questa  ottica  appare  oltremodo  significativa la decisione
n. 150/1993   in   cui  si  trattava  di  stabilire  la  legittimita'
costituzionale della legge statale n. 374/1991 istitutiva del giudice
di  pace  asseritamente  lesiva  delle  competenze  statutarie  della
Regione  Valle  d'Aosta  disciplinanti la istituzione degli uffici di
conciliazione (art. 41 legge cost. n. 4/1948).
    In  quella  occasione  la Corte ha affermato «Il Titolo VII dello
Statuto di autonomia della Valle d'Aosta, rubricato come "Ordinamento
degli  uffici  di  conciliazione",  prevede  nella  sua  unica  norma
(l'art. 41)  determinate  attribuzioni  di  natura amministrativa, in
favore  del  presidente  della  giunta,  nonche' della giunta stessa,
attribuzioni   concernenti   sia   l'istituzione   degli   uffici  di
conciliazione  (che  e'  disposta  con  decreto  del presidente della
giunta  previa deliberazione di questa); sia la nomina, la decadenza,
la  revoca  e  la  dispensa  dall'ufficio  dei giudici conciliatori e
viceconciliatori  (che  e  disposta  dal  presidente  della giunta in
virtu'  di delegazione del Presidente della Repubblica); sia, infine,
l'esercizio  delle  funzioni  di  cancelliere  e  di  usciere (che e'
autorizzato anch'essa dal presidente della giunta).
    Orbene,  il  significato  limitativo espresso dal tenore testuale
della  previsione  statutaria  riferentesi esclusivamente - sia nella
rubrica del titolo, sia nella formulazione della sua unica norma - al
giudice  conciliatore  ed al suo ufficio, e non al "giudice onorario"
in generale, trova conforto non solo nella considerazione che la piu'
ampia figura, appunto, del "giudice onorario" - ricomprendente in se'
quella   del   "giudice   conciliatore"   gia'   all'epoca  esistente
nell'ordinamento  giudiziario  -  non  poteva  non essere presente al
legislatore  costituente,  essendo  la Carta costituzionale (che tale
figura "generale" conosce ed ammette: art. 106, secondo comma, Cost.)
antecedente,  sia  pure  di poco, allo statuto di autonomia, ma trova
conferma anche in altre varie e concorrenti ragioni.
    La  norma  statutaria,  per  il  suo contenuto precettivo, incide
sull'ordinamento   giudiziario   e   sullo  "status"  di  un  giudice
dell'ordine giudiziario.
    Sotto  il primo profilo (incidenza sull'ordinamento giudiziario),
va  innanzi  tutto ribadito che in tale materia c'e' riserva di legge
(art. 108  Cost.)  e  questa  Corte  ha gia' piu' volte puntualizzato
trattarsi  di riserva di legge statale, con conseguente esclusione di
qualsivoglia interferenza della normativa regionale (sent. n. 767 del
1988,  sent.  n. 43  del  1982,  sent. n. 81 del 1976, sent. n. 4 del
1956).  Deve  quindi ripetersi che alla legge statale «compete in via
esclusiva  disciplinare,  in modo uniforme per territorio nazionale e
nei  confronti  di  tutti (art. 3 Cost.) i mezzi e le forme di tutela
giurisdizionale  dei  diritti  e degli interessi legittimi (artt. 24,
primo  comma,  e  113  Cost.)»  (sent.  n. 81 del 1976, citata). Tale
riserva abbraccia sia la disciplina degli organi giurisdizionali, sia
la  normativa  processuale,  anch'essa  riservata esclusivamente alla
legge statale (sent. n. 505 del 1991, sent. n. 489 del 1991).
    Come  la legge processuale (secondo il disegno costituzionale del
nostro   ordinamento),   cosi'   anche   la  normativa  degli  organi
giurisdizionali  non  puo' che essere uniforme su tutto il territorio
nazionale,  dovendo  a  tutti  essere  garantiti  pari  condizioni  e
strumenti  nel  momento  di  accesso  alla  fruizione  della funzione
giurisdizionale,  il  cui  esercizio  e'  imprescindibilmente neutro,
perche'  insensibile  alla localizzazione in questa o quella regione,
oltre che neutrale, perche' svolto in posizione di terzieta' rispetto
ai poteri dello Stato, non escluso il potere esecutivo delle regioni.
    Pertanto   le   attribuzioni  regionali  in  materia  di  giudice
conciliatore,  in  quanto  incidenti in materia soggetta a riserva di
legge statale, hanno carattere di specialita' sicche' l'art. 41 della
legge  Cost.  n. 4  del  1948  (Statuto)  si  pone come deroga a tali
principi,  consentita  soltanto  dal rango costituzionale della norma
stessa    deroga    doppiamente    eccezionale    perche'   contempla
un'interferenza  regionale in materia di esclusiva competenza statale
e  perche' tale interferenza nell'ordinamento giudiziario si realizza
a  livello non gia' di legge regionale, bensi' esclusivamente di atti
dell'esecutivo.  Tale  connotazione  di  eccezionalita'  non puo' che
confinare  la  norma  statutaria  nel ristretto ambito del suo tenore
letterale sicche' in Valle d'Aosta e' solo il «giudice conciliatore»,
e  non anche il «giudice onorario» ex art. 106, secondo comma, Cost.,
ad  essere  in  qualche  misura  diverso dal giudice conciliatore sul
restante territorio del Paese.
    Il  rilevato  carattere  derogatorio  si appalesa poi ancora piu'
marcato  se  si  considera il contenuto della norma statutaria, che -
seppur  su  delegazione del Presidente della Repubblica - prevede una
serie di provvedimenti di competenza dell'esecutivo della regione che
incidono   in   radice   sullo   «status»  di  giudice  conciliatore,
condizionandone  la  nomina,  la  decadenza, la revoca e la dispensa.
Anche sotto questo secondo profilo giova richiamare la giurisprudenza
di  questa  Corte  che  ha  evidenziato  come  la riserva di legge in
materia   di   ordinamento   giudiziario   e'   posta   «a   garanzia
dell'indipendenza   della   magistratura»  (sent.  n. 72  del  1991);
indipendenza  che  costituisce  valore  centrale  per  uno  stato  di
diritto,  sicche'  l'eventuale  difetto  di presidi a sua difesa puo'
ridondare  in  vizio  di  incostituzionalita'  (sent. n. 6 del 1970);
indipendenza  che  e'  assicurata in generale, ma anche con specifico
riferimento  al  giudice  onorario,  dalle  competenze  del Consiglio
superiore della Magistratura, sicche' anche per la nomina dei giudici
di  pace e' in generale prevista la previa deliberazione dello stesso
(art. 4 della legge n. 374 del 1991).
    Quindi  anche  sotto  questo  profilo  dell'esigenza  di garanzia
dell'indipendenza  del giudice, la previsione, contenuta nell'art. 41
della legge Cost. 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto Valle d'Aosta), del
potere (seppur delegato) del presidente della giunta di dichiarare la
decadenza  e  la  dispensa del giudice conciliatore, e soprattutto il
potere  di revocarne la nomina, denuncia il suo carattere singolare e
del   tutto   eccezionale,   nella   specie   consentito   dal  rango
costituzionale della norma stessa».
    Il  principio  ricavabile  dalla anzidetta decisione sembra molto
chiaro:   innanzitutto   nel   senso   che  la  deroga  alla  riserva
costituzionale  di  legge  statale  in  materia  di  giurisdizione e'
consentita  solo  se  espressamente prevista da una norma speciale di
pari  rango  costituzionale  e, in secondo luogo, che le disposizioni
degli  Statuti  speciali  in materia di giurisdizione hanno carattere
eccezionale e che quindi, come si esprime la Corte «tale connotazione
di  eccezionalita' non puo' che confinare la norma statutaria nel suo
ristretto   ambito  del  tenore  letterale».  In  sostanza  la  Corte
ribadisce  per  le norme di attuazione il divieto generale di esegesi
finalistica  delle competenze statutarie di cui alle citate decisioni
124/1957,  66/1961,  46/1962, 66/1964, 115/1972. Non meno importante,
ai  fini  che  qui  interessano,  e' la affermazione della necessaria
uniformita'  su  tutto il territorio nazionale della «normativa degli
organi  giudiziari» che viene ricondotta alla necessita' di garantire
a  tutti  i  cittadini  pari  condizioni  e strumenti di accesso alla
funzione  giurisdizionale  di cui viene affermato il carattere neutro
ed  insensibile  alle  localizzazioni  in  una piuttosto che in altra
regione. Non puo' non rilevarsi, in proposito, la stringente analogia
di  tali  affermazioni con quelle concernenti la attuale tematica dei
limiti  alle  potesta' normative regionali derivanti dalle cosiddette
materie  trasversali  (Corte  cost. nn. 282/2002, 407/2002, 536/2002,
88/2003,  303/2003)  e  cio'  per  la  tutela di esigenze unitarie ed
infrazionabili.
    6.  -  Se  cio'  e' esatto, se ne deve concludere che le norme di
attuazione dello Statuto siciliano di cui agli artt. 4 e 6 del D.Lgs.
n. 373/2003  hanno  introdotto  in  Sicilia  un istituto eccezionale,
quale  la  possibilita'  di  nomina  di  magistrati  laici,  e  hanno
disciplinato  il loro status (ed anche, ex art. 8, quello dei togati)
in  modo  diverso da quello ordinario e cio' al di fuori di qualsiasi
previsione  statutaria,  in  una materia costituzionalmente riservata
alla  disciplina  statale  necessariamente  uniforme sul punto - come
verra'  chiarito  in  prosieguo  -  e  pertanto  derogabile  solo per
espressa   previsione   di   norma  equiordinata  e  cioe'  di  rango
costituzionale.
    Tale  natura  non  e'  riconosciuta  -  ripetesi  - alle norme di
attuazione degli statuti delle regioni a statuto speciale.
    Con  riferimento al d.lgs. n. 654/1948 (corrispondente per natura
al  d.lgs.  373/2003)  la  Corte  costituzionale ha affermato «che il
predetto  decreto  legislativo  ha  valore di legge ordinaria» (Corte
cost. n.  61/1975).
    Inoltre,  piu' in generale, la Corte ha afferrato che le norme di
attuazione  degli  statuti  speciali «hanno dunque valore di legge, e
per  alcuni  statuti,  come  per  quello  sardo,  e' prevista la loro
compilazione da parte di una commissione paritetica e occorre sentire
il parere di alcuni organi regionali. Sia per ragioni formali che per
ragioni  sostanziali,  esse  si  pongono dunque su un piano diverso e
superiore  rispetto  alle  leggi  da  emanare  nelle  materie da esse
regolate;  ma  non per questo si puo' ad esse attribuire il carattere
di leggi costituzionali» (v. Corte cost. n. 30/1959 cit.).
    E'  stato  infatti  osservato  «esse sono, per definizione, norme
dettate per (d'attuazione) di norme costituzionali. Se esse risultano
conformi   alla   norma   costituzionale  (secundum  legem),  nessuna
questione  puo'  essere sollevata; ma se, al contrario, si dimostrano
in  contrasto  con  la  norma  costituzionale, della quale dovrebbero
rendere  possibile l'attuazione (contra legem), non si comprende come
e  perche'  potrebbero  sottrarsi  ad una pronuncia di illegittimita'
costituzionale.  Piu'  delicati  possono essere i casi, nei quali pur
non prospettando un manifesto contrasto, la norma di attuazione ponga
un  precetto  nuovo, non contenuto neppure implicitamente nella norma
costituzionale  (praeter  legem): casi, che mal si prestano ad essere
classificati preventivamente in via generale e che possono richiedere
piuttosto  decisioni  di  specie. E' chiaro, comunque, che ai fini di
tali  decisioni,  non si potra' prescindere dal criterio fondamentale
stabilito  dallo stesso costituente (art. 2 della lege costituzionale
9 febbraio  1948,  n. 1) che ha affidato alla Corte costituzionale il
compito  di  garantire  che  non  avvengano  invasioni nella sfera di
competenza  assegnata  alla  regione  dalla  Costituzione.  A meno di
attribuire  alle  norme  di  attuazione natura ed efficacia di vere e
proprie  norme costituzionali (il che, in verita', e' stato sostenuto
neppure  dall'Avvocatura  generale  dello Stato), la competenza della
Corte ad esaminarle e a pronunciare sulla legittimita' costituzionale
di esse non puo' essere posta in dubbio» (v. Corte cost. n. 14/1956).
    In  relazione  alla  necessita'  che  in materia di giurisdizione
occorra  una  deroga  espressa  di  rango  costituzionale,  va  anche
ricordato,  che  la riserva dell'art. 108 della Costituzione concerne
«la  disciplina  di  tutto  quanto  concerne  l'amministrazione della
giustizia,  sia  riguardo alla istituzione dei giudici, che alle loro
funzioni ed alle modalita' del correlativo esercizio» (v. Corte cost.
n. 4/1956).
    Tale  principio e' stato sempre tenuto fermo dalla giurisprudenza
della  Corte  che  ne  ha  fatto rigorosa applicazione numerose volte
anche  in  Sicilia  sino al punto di affermare la incostituzionalita'
anche  di norme meramente riproduttive della disciplina nazionale (v.
Corte  cost.  nn. 154/1995,  115/1972),  nonche'  di  norme che anche
soltanto   in  via  indiretta  interferivano  con  l'esercizio  della
funzione  giurisdizionale  (Corte  cost. n. 94/1995). In proposito va
altresi'  ricordato  che  -  come  gia'  osservato  - alle censure di
costituzionalita'  riguardo  alla  giurisdizione  non  si e sottratto
neppure  lo  stesso  Statuto  siciliano  di cui sono stati dichiarati
incostituzionali   gli  artt.  26  e 27  sulla  giurisdizione  penale
dell'Alta Corte (Corte cost. n. 6/1970).
    Premesso  poi  che  la  funzione  delle  norme  di attuazione, in
Sicilia,  come  nelle  altre regioni a statuto speciale, consiste nel
rendere  possibile  il  trasferimento  alle  regioni delle funzioni e
degli  uffici nelle materie di competenza (v. Corte cost. n. 17/1961,
14/1962,   180/1980),  va  poi  sottolineato  che  la  giurisprudenza
costituzionale  ha  riconosciuto  che,  nella specie, l'art. 23 dello
Statuto siciliano, a differenza dello Statuto del Trentino Alto Adige
non  contiene, in materia di composizione dei Collegi e di status dei
magistrati, ne' una delega alle norme di attuazione, ne alcun accenno
alla  possibilita' di nomina regionale di giudici laici «poiche' esso
stabilisce  soltanto  che gli organi giurisdizionali centrali debbano
avere  in  Sicilia  le Sezioni per gli affari concernenti la Regione»
(Corte  cost. n. 189/1992) ed inoltre «l'art. 23 del r.d.l. 15 maggio
1946   n. 455   attiene   soltanto   al  decentramento  degli  organi
giurisdizionali  centrali  per  gli  affari  concernenti  la Regione»
(Corte cost. n. 61/1975).
    Se  tutto  cio'  e'  esatto,  l'art. 4 primo comma lettera d), il
successivo  secondo  comma,  nonche' l'art. 6 del d.lgs. n. 373/2003,
laddove  prevedono  ha presenza e la designazione di laici regionali,
solo  apparentemente  rivestono  il carattere di norme di attuazione,
ma, in realta', rientrano in quella categoria individuata dalla Corte
costituzionale  nelle  decisioni  14/1956 e 20/1956 e suscettibili di
essere    censurate    in    sede    di   giudizio   incidentale   di
costituzionalita'.
    Si  tratta  di  norme  che,  sotto  l'apparenza di norme secundum
legem,  in  realta',  in  primo luogo contrastano con le disposizioni
statutarie  e,  comunque,  non  sono dettate dalla necessita' di dare
attuazione a queste disposizioni.
    Cio'   si   evince   con   chiarezza   poiche'   il   legislatore
costituzionale  aveva  limitato  -  ripetesi - la autonomia regionale
alla  sola localizzazione in Sicilia degli organi delle giurisdizioni
superiori, cosi' come evidenziato dal tenore letterale dell'art. 23 e
come  riconosciuto  nelle citate decisioni della Corte costituzionale
n. 189/1992 e n. 61/1975.
    7.  -  Il  decreto  legislativo  n. 373/2003 appare quindi contra
statutum  poiche', al pari del d.lgs. 654/1948, istituisce in Sicilia
«Un  organo di giustizia amministrativa caratterizzato da una propria
fisionomia  e  struttura» (Corte cost. n. 25/1976), diverso da quello
ordinario,  perche'  composto  anche  con  giudici  laici  di  nomina
regionale.  Esso quindi ha ampliato enormemente la sfera di autonomia
regionale,  ma cio' ha fatto vulnerando non solo la lettera, quanto e
soprattutto  lo spirito della disposizione costituzionale statutaria,
che limitava la autonomia regionale nel solo ambito della presenza in
Sicilia   di  sezioni  delle  magistrature  superiori,  senza  alcuna
intenzione  di  alterarne  la  struttura  e le funzioni (v. in questo
senso  l'ordinanza  6  marzo  1975 con cui 1'Adunanza Plenaria rimise
alla  Corte costituzionale la questione su cui poi intervenne la dec.
25/1976).
    L'incostituzionale ampliamento dell'autonomia regionale, dapprima
operato  con  le  norme  di  attuazione di cui al d.lgs. 654/1948, e,
attualmente,  con  gli  artt.  4  e  6  del d.lgs. n. 373/2003, le ha
portate  di  conseguenza  a  collidere  con i principi costituzionali
sanciti dall'art. 108 per quanto concerne la riserva di legge statale
sulla amministrazione della giustizia e, in particolare, sulla nomina
di magistrati laici.
    A dimostrazione poi che la materia disciplinata dagli artt. 4 e 6
del  d.lgs.  n. 373/2003  rientra  nella  riserva di legge statale in
materia  di  giurisdizione  e'  sufficiente rammentare l'insegnamento
della  Corte  costituzionale  nelle  decisioni  585/1989,  224/1999 e
25/1976.
    Nella prima, che si riferiva alla Regione Trentino Alto Adige, si
e'  affermato che, salvo il principio della proporzionale etnica, che
non  veniva  peraltro  messo  in  discussione,  spettava  allo  Stato
stabilire  le  variazioni  qualitative  e  quantitative  della pianta
organica   dei   magistrati  addetti  agli  uffici  giudiziari  della
Provincia di Bolzano.
    Nella  seconda,  con  riferimento  alla  Regione  Sicilia,  si e'
affermato che anche la disciplina degli incarichi extra istituzionali
a  magistrati del Consiglio di Stato e della Corte dei conti operanti
in  Sicilia  rientra  nella  competenza  esclusiva  statale in quanto
attinente  ai  loro  stato  giuridico.  Ancora  piu' significativa ha
affermazione  contenuta  nella decisione 25/1976 in cui, con espresso
riferimento  alla  nomina  dei  componenti  laici  del  Consiglio  di
giustizia   amministrativa   per   la  Regione  siciliana,  la  Corte
costituzionale  ha  rilevato che trattasi di «questione che incide in
modo   diretto   sulla   giurisdizione   dell'organo,   quanto  meno,
sull'esercizio della medesima».
    Se  cio' e' esatto, sembra evidente che con gli artt. 4 e 6 delle
norme  di  attuazione  dianzi  citate  si  sia  invasa  una  sfera di
competenza riservata al legislatore statale.
    8. - Peraltro, quando anche le disposizioni degli artt. 4 e 6 del
d.lgs.  373/2003  volessero  qualificarsi  non  gia' contra legem, ma
semplicemente praeter legem, le conclusioni non muterebbero.
    La  legittimita'  costituzionale  delle norme di attuazione degli
Statuti  speciali  praeter  legem e' infatti subordinata - ripetesi -
alla  duplice  condizione  del  dovere concordare con le disposizioni
statutarie  e con il principio dell'autonomia regionale e dell'essere
giustificate dalla finalita' di dare attuazione allo Statuto.
    Nessuna   di   queste  condizioni  e'  ravvisabile  nella  nomina
regionale   di   giudici  laici  presso  il  Consiglio  di  giustizia
amministrativa per la Regione siciliana.
    Tale  previsione non concorda affatto con lo Statuto (Corte cost.
n. 189/1992  e  n. 61/1975  cit.) e neppure concorda con il principio
dell'autonomia  regionale in quanto, in difetto di apposita deroga di
rango  costituzionale,  la  norma di attuazione non puo' impingere su
altri   principi   costituzionali   non  conferenti  con  l'autonomia
regionale  (Corte  cost.  n. 150/1993).  La  Corte  costituzionale in
proposito  ha  sempre affermato che «la capacita' additiva si esprime
pur  sempre  nell'ambito  dello  spirito  dello  Statuto  e delle sue
finalita'  e  -  come  s'e' pure rilevato - nel rispetto dei principi
costituzionali» (Corte cost. nn. 212/1984, 213/1998).
    La  nomina dei giudici laici di designazione regionale neppure e'
giustificata dalla necessita' di dare attuazione allo Statuto.
    Tale   necessita',   com'e'  costante  insegnamento  della  Corte
costituzionale,  si  concreta  nel trasferimento di funzioni e uffici
(Corte cost. nn. 17/1961, 14/1962, 30/1968, 180/1980) al fine di dare
vita  «nell'ambito  delle  ben  definite  autonomie  regionali ad una
organizzazione  degli  uffici  e  delle  pubbliche  funzioni  che  si
armonizzi    con    l'organizzazione    dello    Stato    nell'unita'
dell'ordinamento  amministrativo  generale»  (Corte cost. n. 14/1962,
213/1998 cit.).
    Orbene,  ai  fini  del  mero  trasferimento  di  una  sezione del
Consiglio  di  Stato in Sicilia - poiche' tale e' l'oggetto dell'art.
23  dello  Statuto siciliano (Corte cost. n. 189/1992 e n. 61/1975) -
non si vede perche' era necessario cambiare la composizione ordinaria
della  sezione  con l'introduzione nel Collegio giudicante di giudici
laici  di  designazione  regionale. E' stato infatti affermato che la
norma  di  attuazione, intanto puo' porsi in funzione di integrazione
dello   Statuto  «sempreche'  sia  giustificata  da  un  rapporto  di
strumentalita'  logica  rispetto  all'attuazione  di disposizioni del
medesimo»  (Corte  cost.  n. 260/1990).  Diversamente,  ove  il testo
statutario  sia  completo,  le norme di attuazione sarebbero prive di
oggetto (Corte cost. n. 136/1969 cit.).
    Sotto altro profilo neppure potrebbe sostenersi che lo Stato e la
Regione,   in  sede  di  commissione  paritetica,  possano  d'accordo
attribuire  alla  norma  statutaria  una  portata  maggiore di quella
risultante dal tenore letterale della stessa.
    In  altri  termini,  non  e' possibile che in sede di commissione
paritetica  lo  Stato  autorizzi  una limitazione dei suoi poteri, in
assenza  di  qualsiasi  previsione  statutaria,  ed  al  di la' delle
finalita'  tipiche  delle norme di attuazione (decentramento), specie
poi  se  rapportate  alla  chiara  previsione statutaria nel medesimo
senso.
    Va infatti considerato che a tale abdicazione corrisponderebbe un
parallelo  ampliamento  dei  poteri regionali e, quindi, in sostanza,
una surrettizia modifica dello Statuto speciale.
    Gli  Statuti  speciali,  poi, sono norme costituzionali (art. 116
primo  comma  Cost.) approvati e modificabili secondo il procedimento
speciale  di  cui all'art. 138 Cost. (v. per la Sicilia l'art. 41-ter
dello Statuto, aggiunto dall'art. 1 della legge cost. 31 gennaio 2001
n. 2).
    Non   sarebbe   quindi   ammissibile   che  una  fonte  di  rango
subordinato,  quale  le  norme  di attuazione, potesse modificare una
normativa di rango costituzionale.
    Neppure  sembrerebbe  possibile  sostenere  che nel nuovo assetto
costituzionale  equiordinato  (art.  114  primo  comma)  i  vari enti
possano  esercitare qualsiasi potere loro attribuito purche' in forma
di  collaborazione  e  cioe' anche prescindendo dalla ripartizione di
competenze  normative  di  cui  all'art.  117.  In effetti una simile
possibilita'  non  e' prevista neppure negli ordinamenti propriamente
federali ed a Costituzione flessibile.
    Il  nuovo  Titolo  V  prevede  in molti casi l'intesa tra Stato e
Regioni,  ma,  nessuno  di  essi,  neppure in forza della clausola di
maggior favore, di cui all'art. 10 della legge cost. 3/2001, potrebbe
sovrapporsi  o comunque modificare il regime e le caratteristiche del
sistema  di  cooperazione  tipico  del  procedimento  delle  norme di
attuazione dello Statuto speciale siciliano in subiecta materia.
    L'art.  116  ultimo  comma,  l'art. 117 quinto comma e l'art. 118
terzo  comma, della Costituzione riguardano infatti materie diverse e
presuppongono comunque la preesistenza di una legge ad hoc.
    Neppure sarebbe ipotizzabile una intesa Stato-Regione ex art. 118
primo comma. Invero, ai sensi di tale disposizione l'intesa tra Stato
e  Regioni  puo'  solo  concorrere a spostare verso l'alto, e cio' in
vista  di  esigenze  unitarie,  funzioni  amministrative  tipicamente
locali.   Tale   principio   e'  stato  esteso  dalla  giurisprudenza
costituzionale  anche alla funzione piu' propriamente legislativa, ma
solo  a  condizione che quest'ultima avesse ad oggetto esclusivamente
la   organizzazione   e   regolazione   di   queste  stesse  funzioni
amministrative   assunte  dallo  Stato  in  forza  del  principio  di
sussidiarieta'.  La  deroga  al  riparto delle competenze legislative
sarebbe  quindi  piu'  apparente che reale, presentandosi invece come
una   logica   conseguenza  del  nuovo  principio  costituzionale  di
sussidiarieta'.  Peraltro,  ove  non  ricorrano  i  presupposti della
sussidiarieta'  e non venga previsto un procedimento di coordinamento
orizzontale,  riprenderebbe  vigore,  quanto  alla  distribuzione  di
competenze    legislative,   il   principio   di   «rigidita'   della
Costituzione»   (Corte   cost.  n. 303/2003,  v.  anche  Corte  cost.
n. 376/2003).
    Nulla di tutto cio' e' ravvisabile nella fattispecie in esame.
    Innanzitutto  non  sembra  previsto dall'art. 118 primo comma, ma
che  l'attrazione  di  competenza venga spostata a favore del livello
inferiore.
    In   secondo   luogo  difetta  il  presupposto  fondamentale  del
principio  di  sussidiarieta'  e  cioe'  l'esigenza  di assicurare un
esercizio  unitario  della  funzione  giurisdizionale amministrativa,
esercizio la cui unitarieta' verrebbe anzi pregiudicata.
    In  terzo  luogo  la  materia  de qua (composizione dei Collegi e
stato  giuridico  dei giudici) sotto nessun profilo puo' essere fatta
rientrare  nella  categoria delle funzioni amministrative, ma rientra
invece  nella  funzione  giurisdizionale  (Corte  cost.  n. 25/1976 e
n. 224/1999 cit.).
    In  conclusione,  quindi, il procedimento (e i limiti intrinseci)
afferenti   Ia   adozione   delle  norme  di  attuazione  tramite  le
commissioni paritetiche, continuano ad applicarsi anche nelle ipotesi
in  cui  fosse  invocabile  (ma  non e' questo il caso) la cosiddetta
clausola di maggior favore (v. in questo senso testualmente l'art. 11
secondo e terzo comma della legge 5 giugno 2003 n. 131).
    A   cio'   deve   aggiungersi  anche  l'ulteriore  considerazione
(ripetutamente  esaminata nei precedenti punti 5 - 6 - 7) secondo cui
le  deroghe  al  principio  del  regime uniforme della organizzazione
giurisdizionale  su  tutto  il  territorio nazionale debbono comunque
essere  contenute in norme di rango costituzionale e che il carattere
eccezionale  di  tale  deroga  non  consente  di  superare  il tenore
letterale della norma statutaria (Corte cost. n. 150/1993 cit.).
    D'altra parte, neppure potrebbe ritenersi che la riserva di legge
statale  possa  essere  intesa in senso solamente formale e non anche
sostanziale. In altri termini non e' possibile sostenere che, ai fini
in  esame,  sia  sufficiente  la adozione di una legge da parte dello
Stato  il  quale,  assolto  cosi'  l'onere  della  riserva  di legge,
potrebbe ad libitum dettare composizioni degli organi giurisdizionali
differenti da regione a regione.
    Una  simile  esegesi  sarebbe  insostenibile  poiche' contraria a
specifici  principi  costituzionali  ed alla costante interpretazione
fornitane dalla Corte costituzionale.
    Invero,   se   si   affermasse   il  principio,  dianzi  soltanto
ipotizzato,  che  nella materia de qua sia ammissibile una riserva di
legge  in senso soltanto formale, quale ulteriore corollario dovrebbe
anche  ammettersi  che  il  legislatore statale potrebbe incidere non
solo  sulla  struttura  del  Collegi, disciplinandoli diversamente da
regione  a  regione,  ma  potrebbe  differenziare a livello regionale
anche  la  struttura  dei processi (civile, penale, amministrativo) e
cio', non solo in relazione alle regioni a statuto speciale, ma anche
con riferimento alle regioni a statuto ordinario.
    Verrebbero pregiudicati cosi' i canoni costituzionali di cui agli
artt.  3, 24 primo comma, 113 primo comma, 102 primo e secondo comma,
108  primo  comma della Costituzione differenziando irragionevolmente
l'esercizio   della  giurisdizione  in  funzione  della  residenza  e
violando  cosi' i principi di uguaglianza (art. 3) e della parita' di
tutela  dei  diritti ed interessi legittimi (art. 24 primo comma art.
113  primo  comma).  Piu'  in  generale,  verrebbe anche vulnerato il
principio  dell'unita' dell'ordinamento giuridico il cui valore, gia'
riconosciuto  in  passato in forza dell'art. 5 della Costituzione, e'
attualmente  ribadito,  a livello costituzionale, anche dall'art. 120
secondo   comma  nel  testo  introdotto  dalla  legge  costituzionale
n. 3/2001.  La  Corte  costituzionale ha infatti sempre affermato che
«le  modalita'  di  esercizio del fondamentale principio della tutela
giurisdizionale non possono essere diverse in una regione rispetto al
restante territorio nazionale» (Corte cost. n. 113/1993) e che esiste
una  «esigenza  di  uniformita'  di  tutela  in  ordine  a situazioni
soggettive di identica natura» (Corte cost. n. 42/1991).
    In altri termini va riconosciuto che la unitarieta' della materia
giurisdizionale  non puo' non ricomprendere tutti i suoi aspetti, ivi
compresi  quelli  concernenti  il  reclutamento, la nomina e lo stato
giuridico  dei giudici (Corte cost. nn. 224/1999, 25/1976 cit.), che,
ovviamente, devono restare identici su tutto il territorio nazionale.
Sotto  questo  profilo,  pertanto,  la normativa statale non potrebbe
introdurre  differenziazioni  a  livello regionale senza incorrere in
censure  e vizi di costituzionalita'. L'unica deroga, come piu' volte
sottolineato,  e'  ammessa  solo  in base ad una disposizione di pari
rango  costituzionale,  da interpretare inoltre, in quanto deroga, in
senso strettamente letterale.
    Pertanto,  e  in  conclusione  su  questo  punto, l'art. 23 dello
Statuto  siciliano  nella  sua  chiara previsione, limitata alla sola
localizzazione  della  funzione giurisdizionale, rappresenta un punto
fermo e insuperabile di modo che ne' la commissione paritetica ne' lo
Stato  (autonomamente o in sede di commissione paritetica) potrebbero
adottare  una  disciplina derogatoria rispetto a quella ordinaria che
incida su aspetti della funzione giurisdizionale diversi dalla pura e
semplice localizzazione.
    9.  -  Il  Collegio  e'  consapevole  della  circostanza  che  la
questione    della    composizione   del   Consiglio   di   giustizia
amministrativa  per  la  Regione  siciliana  e'  stata  ripetutamente
affrontata  anche  dalla Corte costituzionale, ma sempre sotto angoli
di valutazione diversi.
    Nella decisione n. 25/1976 la Corte costituzionale si e' occupata
del  problema,  con  riferimento  tuttavia  soltanto all'art. 5 terzo
comma,  del  d.lgs.  n. 654/1948  e  cioe'  all'istituto dell'appello
all'Adunanza  Plenaria  delle  decisioni  emesse  in  unico grado del
Consiglio  di  giustizia  amministrativa  per  la  Regione  siciliana
allora,   prima   della   istituzione  dei  Tribunale  amministrativo
regionale
    In  quell'occasione  la  Corte ha fatto altresi' riferimento alla
nota  decisione  delle Sezioni unite della Cassazione 11 ottobre 1955
n. 2994  dichiarando  di  condividerla.  Nella anzidetta decisione la
Cassazione,  non  essendo ancora in funzione la Corte costituzionale,
si  pose  il  problema  della  costituzionalita'  in  generale  della
istituzione  del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione
siciliana sotto un duplice aspetto: estrinseco ed intrinseco.
    Sotto il profilo estrinseco si trattava di accertare l'osservanza
o  meno  del principio di cui all'art. 76 della Costituzione e quindi
l'esistenza di una norma di delega, nonche' la attribuzione o meno di
una   competenza  legislativa  alla  commissione  paritetica  di  cui
all'art.  43  dello  Statuto  siciliano  anziche'  al  Governo.  Tale
profilo,  di  cui  si e' trattato nella ordinanza di questo Consiglio
185/2003,  non  viene  piu'  in  discussione  in  relazione al d.lgs.
373/2003.
    Sotto il profilo intrinseco, invece, la costituzionalita' si pose
con  preciso  riferimento alla questione se il Consiglio di giustizia
amministrativa  per  la Regione siciliana dovesse considerarsi o meno
un giudice speciale (la cui istituzione era ed e' vietata ex art. 102
secondo   comma  della  Costituzione)  che  i  ricorrenti  ritenevano
offrisse  minori  garanzie  rispetto  ad  una  ordinaria  sezione del
Consiglio di Stato.
    A  riprova  della  specialita' venivano addotte la diversita' del
numero  dei  votanti  (5  anziche'  7)  e  la  differenza  di  talune
prerogative:  inamovibilita'  dei componenti le sezioni del Consiglio
di  Stato;  temporaneita'  dei  due  membri  designati  dalla  Giunta
regionale;   partecipazione   al  Collegio  esclusa  per  gli  allora
referendari del Consiglio di Stato.
    La   Cassazione,  com'e'  noto,  affermo'  che  il  Consiglio  di
giustizia   amministrativa   per  la  Regione  siciliana  non  poteva
considerarsi   quale   giudice  speciale,  ma  soltanto  una  sezione
specializzata  del  Consiglio  di  Stato  superando in questo modo la
eccezione di incostituzionalita'.
    Ne'  in  quella  occasione  ne' successivamente e' stato posto ex
professo  alla  Corte  costituzionale  il profilo del rapporto tra la
lettera  e  lo  spirito  dell'art.  23  dello  Statuto  e le norme di
attuazione  che  prevedono  la  designazione  regionale di magistrati
laici.
    Tuttavia, pur non essendo stata sollevata una specifica questione
in  tal  senso, se si esaminano i precedenti, emerge chiaramente, nel
pensiero e nelle parole della Corte costituzionale, la consapevolezza
che  il  d.lgs.  n. 654/1948 era andato ben al di la' della lettera e
dello spirito dell'art. 23 dello Statuto.
    Invero,  nella decisione n. 61/1975 la Corte - come gia' rilevato
-  afferma  che  «l'articolo  23  del r.d. lgs. 15 maggio 1946 n. 455
attiene   soltanto  al  decentramento  degli  organi  giurisdizionali
centrali per gli affari concernenti la Regione».
    Nella decisione 25/1976 occupandosi della indipendenza dei membri
laici  del  Consiglio  di  giustizia  amministrativa  per  la Regione
siciliana,   per   quanto   qui  interessa,  la  Corte  ha  affermato
testualmente  che  «certamente  l'art. 23 dello Statuto della Regione
siciliana  prevedeva  semplicemente  l'istituzione  in Sicilia di una
sezione  giurisdizionale  del Consiglio di Stato ed e' innegabile che
con  il  d.lgs.  n. 654/1948  e'  stato invece istituito un organo di
giustizia  amministrativa  caratterizzato  da una propria particolare
fisionomia e struttura».
    Nella   decisione   dianzi   citata   la   Corte   ha  confermato
l'orientamento  della  Cassazione  circa  la  natura del Consiglio di
giustizia   amministrativa   per   la   Regione   siciliana  (sezione
specializzata del Consiglio di Stato e non giudice speciale, anche se
la  anzidetta  definizione fa pensare piu' ad un giudice speciale che
ad  una  sezione  specializzata)  ma,  com'e'  noto,  cio'  non le ha
impedito  di  dichiarare incostituzionale il d.lgs. n. 654/1948 nella
parte  in  cui  (art.  3  terzo  comma)  prevedeva la possibilita' di
rinnovo dei giudici laici.
    Sotto  il  profilo della composizione mista il d.lgs. n. 373/2003
non  presenta  alcuna  differenza  rispetto  al d.lgs n. 654/1948 dal
momento  che  entrambi, invece di limitarsi a localizzare in Sicilia,
per  quanto  qui interessa, una sezione giurisdizionale del Consiglio
di   Stato,  ne  disciplinano  una  composizione  diversa  da  quella
ordinaria.
    10.  -  Possono  pertanto  proporsi  le questioni di legittimita'
costituzionale  dell'art. 4, primo comma, lettera d) e del successivo
secondo   comma,   nonche'  dell'art.  6  secondo  comma  del  d.lgs.
n. 373/2003 limitatamente alle parole «e all'art. 4 comma uno lettera
d)»  in  rapporto  agli artt. 23 e 43 dello Statuto siciliano nonche'
agli  artt. 3,  24 primo comma, 113 primo comma, 108 primo comma, 102
primo  e  secondo  comma  e  al  primo  comma  della  VI disposizione
transitoria della Costituzione.
    I  profili  relativi  al  rapporto  tra  gli  anzidetti commi del
decreto  legislativo n. 373/2003 e gli articoli 23 e 43 dello Statuto
ed  all'art.  108  primo  comma  della  Costituzione  sono  stati  in
precedenza  esposti  nel  senso  che le anzidette norme di attuazione
disciplinano materie riservate alla competenza esclusiva statale.
    11. - Quanto al rapporto tra il decreto legislativo n. 373/2003 e
gli  artt.  3,  24 primo comma, 113 primo comma Cost. va rilevato che
nell'esercizio  della  tutela  giurisdizionale  dei propri diritti ed
interessi  legittimi  tutti  i  cittadini  debbono essere posti nelle
medesime  condizioni  non  essendo  ammissibile  un  esercizio  della
giurisdizione  diversificato su alcune parti del territorio nazionale
(Corte  cost.  nn. 4/1956,  43/1982, 113/1993, 150/1993) a meno che -
ripetesi   -  cio'  non  sia  legittimato  da  una  deroga  di  rango
costituzionale,   deroga   peraltro  nella  specie  inesistente.  Nel
concetto  di  esercizio diversificato non puo' poi non ricomprendersi
anche  una  composizione  collegiale  diversa da quella ordinaria (in
questo senso v. testualmente la citata dec. Corte cost. n. 25/1976) e
da cio' la violazione dei parametri costituzionali dianzi indicati.
    Circa  il  rapporto  tra il decreto legislativo n. 373/2003 e gli
artt.  102  primo  e  secondo comma e 108 primo e secondo comma della
Costituzione occorre sottolineare che anche qualificando il Consiglio
di  giustizia  amministrativa  per  la Regione siciliana come sezione
specializzata,  la  istituzione di sezioni specializzate innanzitutto
deve  essere  prevista  da  una  legge statale. Invero, solo la legge
statale  puo'  disciplinare l'ordinamento della giurisdizione come si
evince dall'art. 102 primo comma per il giudice ordinario e dall'art.
108 primo comma per i giudici speciali.
    Esiste,   quindi,  a  livello  costituzionale,  una  ancora  piu'
speciale  riserva  esclusiva di legge statale circa la istituzione di
sezioni  specializzate,  derogabile  quindi solo in presenza di norma
espressa  di  pari  rilevanza costituzionale (Corte cost. n. 150/1993
cit.).
    Nella  specie  -  ripetesi  -  in nessun comma dell'art. 23 dello
Statuto  siciliano  e' contenuto il minimo accenno, ne' implicito ne'
esplicito  alla possibilita' che in Sicilia vengano istituite sezioni
specializzate ne' del Consiglio di Stato ne' delle altre magistrature
superiori.
    Il  decentramento  puro  e  semplice,  (Corte  cost. n. 61/1975 e
n. 25/1976)  non  implica  affatto di per se' la creazione ex novo di
sezioni  specializzate  tanto piu' che l'unico accenno di specialita'
contenuto nell'art. 23 riguarda, come gia' osservato, il concerto tra
Stato e Regione, sulla nomina soltanto dei magistrati della Corte dei
conti.
    Va   poi  rammentato  che  la  Carta  costituzionale  prevede  la
istituzione  di  sezioni  specializzate  soltanto  nell'ambito  della
magistratura  ordinaria  (art.  102 secondo comma) per cui la sezione
specializzata  viene  considerata  «non  gia' un tertium genus fra la
giurisdizione  speciale  e  quella  ordinaria,  bensi' una species di
quest'ultima»   (Corte   cost.   nn. 76/1961,  394/1998  e  ordinanza
n. 424/1989).
    E'  stato infatti rilevato che, a fronte del divieto di istituire
giudici  speciali,  la  deroga  costituzionale  a  favore  delle sole
sezioni  specializzate,  dipende  proprio  dalla loro compenetrazione
istituzionale  con  il  giudice  ordinario  (Corte  cost.  n. 4/1984,
424/1989).
    Pertanto,   se   la   istituzione  di  sezioni  specializzate  e'
consentita  dalla  Costituzione  (ex  art.  102  secondo  comma) solo
nell'ambito  della magistratura ordinaria e cio' in ragione del nesso
organico  con  quest'ultima, se ne dovrebbe anche inferire che, cosi'
come  non  e' possibile istituire nuovi giudici speciali, alla stessa
stregua   non   sarebbe  possibile  istituire  sezioni  specializzate
all'interno dei giudici speciali attualmente esistenti.
    La questione non e' stata affrontata e risolta nell'unico caso in
cui  problema  si  e' posto nei confronti di un giudice speciale gia'
esistente o, meglio, gia' previsto dalla Costituzione.
    Invero,  nella  decisione  n. 49/1968  esaminando la legittimita'
costituzionale  delle  sezioni del Tribunale amministrativo regionale
del  contenzioso elettorale ex art. 2 legge 23 dicembre 1966 n. 1147,
la  Corte  costituzionale  da un lato ha escluso il loro carattere di
nuovi  giudici  speciali  in quanto «parte degli istituendi Tribunale
amministrativo regionale» ex art. 125 Cost. e non essendo vietata «la
gradualita'   nell'introduzione   di   nuovi   organi   di  giustizia
amministrativa».  Peraltro,  la  Corte  neppure  ha riconosciuto alla
anzidetta sezione elettorale la natura di sezione specializzata degli
istituendi Tribunale amministrativo regionale pervenendo ad affermare
che  si  trattava di «un'articolazione di Tribunale amministrativo» e
che, in quanto tale «non richiede la presenza di giudici togati cosi'
come non sembra che la richieda questo stesso Tribunale».
    In altri termini, nel pensiero della Corte sembrerebbe che mentre
si  ammetteva  che  il  giudice speciale da istituire ex novo, come i
Tribunale  amministrativo regionale, potesse anche essere interamente
composto  da  laici  (salvo  le  garanzie di indipendenza ex art. 108
secondo   comma  Cost.),  lasciava  impregiudicato  il  problema  se,
nell'ambito  dell'istituendo  giudice  speciale, fosse costituzionale
istituire   sezioni  specializzate  in  analogia  a  quanto  previsto
dall'art. 102 secondo comma per il giudice ordinario.
    12.  -  In ogni caso; quando anche si pervenisse alla conclusione
che  l'art.  102,  secondo  comma e l'art. 108 primo comma, Cost. non
implicano  di  per  se' il divieto di istituire sezioni specializzate
nell'ambito  del  giudice  speciale  gia' esistente, non sembra possa
dubitarsi  che  tale  possibilita'  sia  coperta  da riserva di legge
statale  ex  art. 102  primo  comma  e  108  primo  comma Cost. e che
comunque  la  riserva  di  legge  statale  non  potrebbe  dettare, in
subiecta  materia,  e in assenza di specifiche disposizioni di deroga
di  rango  costituzionale,  un  regime  differenziato  da  regione  a
regione.
    Il  vizio  di  costituzionalita'  degli  artt.  4  e 6 del d.lgs.
n. 373/2003  verrebbe  pertanto  a  porsi negli stessi termini dianzi
enunciati.
    Quanto  poi  al  rapporto  tra  il  d.lgs.  n. 373/2003  e  la VI
disposizione  transitoria  della  Costituzione,  va rammentato che la
stessa  prevedeva  di  procedere,  entro 5 anni, alla revisione delle
giurisdizioni  speciali  eccettuando  espressamente  il  Consiglio di
Stato,  la Corte dei conti e i Tribunali militari. In questa espressa
eccezione  trova  concordanza  la  formulazione  dell'art.  23  dello
Statuto  siciliano  che  si limitava al mero decentramento. Il d.lgs.
n. 654/1948  prima,  e  il  d.lgs.  n. 373/2003  poi,  istituendo una
sezione   specializzata   hanno   invece  apportato  sicuramente  una
modificazione  all'organo  giurisdizionale,  ponendosi  in  contrasto
oltre  che con lo Statuto siciliano anche con il primo comma della VI
disposizione transitoria.
    A  questo  proposito  l'assenza  di  coordinamento tra lo Statuto
siciliano  e  la Costituzione si avverte in modo ancora piu' evidente
se  si  considera  che  lo Statuto (art. 23 primo comma) prevedeva un
decentramento  negli  organi  giurisdizionali centrali, decentramento
peraltro   neppure   generalizzato,   ma  limitato  ai  soli  «affari
concernenti  la  Regione».  Innanzitutto  non  era  e  non e' agevole
stabilire, in sede di giurisdizione (civile, penale, amministrativa e
contabile)  quali  siano  gli  «affari  concernenti  la  regione» dal
momento  che  la  giurisdizione  e'  un  valore e una funzione neutra
«insensibile  alla  localizzazione in questa o quella regione» (Corte
cost. n. 150/1993 cit.). La riprova di tale difficolta' e' dimostrata
dal fatto che per le giurisdizioni civili, penali, tributarie e delle
acque  pubbliche  non  e'  mai  stata data attuazione alla previsione
statutaria  e,  che  in  quella  amministrativa si e' reso necessario
estendere la competenza del Consiglio di giustizia amministrativa per
la  Regione siciliana anche ad atti emessi da autorita' statali (art.
5,  primo  comma  d.lgs.  n. 654/1948;  art.  4,  terzo comma, d.lgs.
n. 373/2003)  di  modo  che  attualmente, atteso che in via generale,
(salvo  specifiche  eccezioni) la competenza territoriale del giudice
amministrativo e' derogabile, e' possibile conoscere in Sicilia anche
di  ogni  sorta  di atti da chiunque emanati. Inoltre, per evitare di
compromettere   l'unita'   del   sistema  giuridico  della  giustizia
amministrativa,  il  Consiglio  di  giustizia  amministrativa  per la
Regione siciliana venne configurato, relativamente agli atti statali,
come  organo sottordinato rispetto al Consiglio di Stato al quale era
prevista  la  possibilita' di appellarsi (art. 5, terzo comma, d.lgs.
n. 654/1948).
    Vale la pena di ricordare, in proposito, la decisione della Corte
costituzionale n. 25/1976. In quella occasione l'appello all'Adunanza
Plenaria  avverso  pronunce del Consiglio di giustizia amministrativa
per  Ia  Regione siciliana su atti statali veniva giustificato con il
venir  meno,  in  quel  caso,  delle  «ragioni  per cui gli era stata
conferita   quella   particolare  composizione  caratterizzata  dalla
presenza  di due giuristi designati dalla giunta regionale e poteva a
cio'  costituire  opportuno rimedio la previsione dell'impugnabilita'
delle sue decisioni». L'appello veniva inoltre giustificato non tanto
per  «attribuire  ai  ricorrenti  davanti  al  Consiglio di giustizia
amministrativa  per  la  Regione siciliana una tutela giurisdizionale
maggiore  di  quella  riconosciuta  alla  generalita'  del  cittadini
davanti  al  Consiglio  di  Stato quanto piuttosto per assicurare una
definitiva  uniformita' di controllo sugli atti delle amministrazioni
dello Stato».
    Tale  competenza  di primo grado e' venuta meno dapprima in forza
di  una  esegesi pretoria (Adunanza Plenaria n. 21/1978 e n. 18/1979)
ed  ora  risulta  espressamente sancita dal citato art. 4 terzo comma
del  d.lgs.  n. 373/2003,  ma  rimane innegabile il superamento della
lettera  e dello spirito della norma statutaria che limitava e limita
la competenza ai soli «affari concernenti la regione».
    Le   anzidette   considerazioni   dimostrano  le  difficolta'  di
adattamento della previsione statutaria anche con riferimento al solo
e  limitato  aspetto  della  localizzazione.  Pertanto,  estendere la
portata  dell'art.  23  sino  a  modificare  la struttura dell'organo
giudicante  legittima  il  sospetto di una incostituzionale revisione
(sia pure parziale) della giurisdizione del Consiglio di Stato.
    13.  - In conclusione sui precedenti punti possono per ora essere
avanzate   nell'ordine  e  in  subordine  le  seguenti  questioni  di
costituzionalita'   con   riserva   di   successiva  integrazione  in
prosieguo:
        A)  dell'art.  4,  primo  comma,  lettera d) e del successivo
secondo   comma,  nonche'  dell'art.  6  secondo  comma,  del  d.lgs.
n. 373/2003  limitatamente  alle  parole  «e  all'art.  4, comma uno,
lettera  d)»  in  rapporto  all'art.  23  dello  Statuto siciliano ed
all'art.  102 primo comma e 108 primo comma Cost. in quanto l'art. 23
dello  Statuto  non prevede alcuna deroga alla composizione ordinaria
delle  sezioni  del  Consiglio di Stato da localizzare in Sicilia; in
rapporto  agli  articoli  102  primo comma e 108 primo comma Cost. in
quanto il decreto legislativo n. 373/2003 cit. disciplina una materia
riservata  dalla  Costituzione  alla legge statale, per cui eventuali
deroghe  a  favore dell'autonomia regionale debbono essere supportate
da  una  espressa  previsione di pari rango costituzionale che - come
piu'  volte  rappresentato  -  non  e' rinvenibile nell'art. 23 dello
Statuto siciliano; nonche', in rapporto agli artt. 3, 24 primo comma,
113  primo  comma  Cost.,  in  quanto  introduce  una  ingiustificata
differenziazione  dell'organo  giudicante,  e  quindi  dell'esercizio
della giurisdizione su una parte del territorio nazionale.
        A1)  in  subordine dell'art. 4, primo comma, lettera d) e del
successivo  secondo  comma,  nonche'  dell'art.  6  secondo comma del
d.lgs.  n. 373/2003  limitatamente  alle  parole «e all'art. 4, comma
uno,  lettera  d)»  in rapporto all'art. 23 primo comma dello Statuto
siciliano  che  non prevede ne' una sezione specializzata del giudice
speciale  ne' una composizione collegiale diversa da quella ordinaria
e  cio'  anche  in  relazione,  quale  tertia  comparationis,  (e con
riferimento  all'art.  3 della Costituzione) all'art. 24, primo comma
dello  Statuto siciliano concernente la composizione dell'Alta corte,
nonche'  all'art.  23,  terzo comma del medesimo Statuto, all'art. 10
del  d.lgs.  6  maggio  1948,  n. 655  concernente  la istituzione di
sezioni  della  Corte  dei conti per la Regione siciliana, all'art. 1
del  d.lgs.  18  giugno  1999,  n. 200 ed agli artt. 90 e 91, secondo
comma  del T.u. delle leggi costituzionali di cui al d.P.R. 31 agosto
1972, n. 670.
        A2)  in  subordine dell'art. 4, primo comma, lettera d) e del
successivo  secondo  comma,  nonche'  dell'art.  6  secondo comma del
d.lgs.  n. 373/2003  limitatamente  alle  parole «e all'art. 4, comma
uno,  lettera  d)» in rapporto allo stesso art. 23, primo comma dello
Statuto  siciliano, nonche' in rapporto all'art. 102, secondo comma e
108  primo e secondo comma della Costituzione, non essendo consentito
istituire sezioni specializzate nell'ambito dei giudici speciali.
        A3)  in  subordine dell'art. 4, primo comma, lettera d) e del
successivo  secondo  comma,  nonche'  dell'art.  6, secondo comma del
d.lgs.  n. 373/2003,  limitatamente  alle parole «e all'art. 4, comma
uno,  lettera  d)» in rapporto all'art. 23, primo comma dello Statuto
siciliano  ed  in  rapporto  al  primo  comma  della  VI disposizione
transitoria   della  Costituzione  che  esclude  dalla  revisione  la
giurisdizione del Consiglio di Stato.
    14.  -  La  questione  sub  A1 consente di porre sotto un diverso
angolo   di  visuale  l'affermazione,  contenuta  nella  gia'  citata
decisione delle Sezioni unite della Cassazione n. 2994/1955, circa la
aderenza  del  d.lgs.  n. 654/1948  allo  spirito  dell'art. 23 dello
Statuto siciliano.
    In  quella  occasione la Cassazione si e' preoccupata di chiarire
che   il   Consiglio  di  giustizia  amministrativa  per  la  Regione
siciliana,  per  la  sua  composizione,  non  e'  un  giudice  capite
deminutus quanto a quantita', qualita' e garanzia dei suoi membri.
    La  Cassazione  non  si  e' invece data carico della questione di
costituzionalita'  a  monte  e  cioe' se lo Statuto e la Costituzione
legittimavano   la   istituzione  (gia'  fortemente  criticata  dalla
dottrina   costituzionalistica  dell'epoca)  di  una  sezione,  sotto
molteplici  profili,  diversa  rispetto  a  una sezione ordinaria del
Consiglio  di  Stato,  ma si e' limitata ad affermare apoditticamente
che   «le   variazioni   morfologiche   del  Consiglio  di  giustizia
amministrativa  per  la  Regione siciliana sono in funzione di quella
stessa  esigenza  di  decentramento che ha giustificato l'istituzione
dell'Ente Regione».
    A  questo  proposito  e' opportuno segnalare, anche a chiarimento
del  richiamo  che  e'  stato operato quale tertium comparationis, al
d.lgs.  n. 655/1948,  che, nella stessa data del 6 maggio 1948, venne
adottato,  oltre  al decreto legislativo n. 654/1948, anche il d.lgs.
n. 655/1948  relativo  all'istituzione  in  Sicilia  di  una  sezione
giurisdizionale e di controllo della Corte dei conti. Com'e' noto, il
predetto  d.lgs.  n. 655/1948  non  dispone  una  composizione  delle
Sezioni  diversa  da  quella  ordinaria, ma si e' limitato a ribadire
(art.  10,  primo  comma)  la  previsione  statutaria (art. 23, terzo
comma)  dell'intesa  tra Stato e Regione sulla nomina dei magistrati.
Va  ulteriormente  rimarcato  che  in sede di modifica delle norme di
attuazione del predetto d.lgs. n. 655/1948, il d.lgs. 18 giugno 1999,
n. 200,  adottato  questa  volta  su determinazione della commissione
paritetica ex art. 43 dello Statuto siciliano, ha introdotto all'art.
1  del  d.lgs. n. 655/1948, un secondo comma che testualmente dispone
che  «la  composizione e la competenza delle sezioni sono determinate
dalle disposizioni della legge statale».
    Orbene,  nell'unico caso in cui l'art. 23 dello Statuto siciliano
prevedeva,  al  terzo comma, un acerrimo di specialita', ne' le prime
norme  di  attuazione (adottate senza la procedura dell'art. 43 dello
Statuto),  ne'  le  successive (adottate stavolta con il procedimento
speciale)   hanno   ritenuto   possibile   e  legittimo  alterare  la
composizione ordinaria delle sezioni della Corte dei conti.
    Sulla base delle argomentazioni addotte dalle Sezioni unite della
Cassazione  nella  decisione  2994/1955  in merito alle «esigenze del
decentramento»  non  e'  agevole  giustificare  come  mai, in sede di
attuazione   della  stessa  norma  statutaria,  nei  confronti  della
clausola  di  una  qualche  maggiore  specialita' si sia mantenuta la
composizione  ordinaria della Corte dei conti, mentre, di fronte alla
clausola  dell'art.  23,  primo comma, del tutto anodina sotto questo
profilo, si sia ritenuto di poter istituire una sezione specializzata
del Consiglio di Stato.
    Comunque,  le vicende del coevo d.lgs. n. 655/1948 e come pure le
successive  determinazioni  della  commissione  paritetica  del  1999
allorche'  e'  stato  introdotto  il  secondo  comma  all'art.  1 del
predetto   d.lgs.   n. 655/1948   concernente  la  Corte  dei  conti,
costituiscono  ulteriore riprova del fatto che le norme di attuazione
di  cui  al d.lgs. n. 373/2003, che riproducono, in parte qua, quelle
di cui al d.lgs. n. 654/1948, sono in palese contrasto con la lettera
e lo spirito dello Statuto siciliano.
    Ne'  potrebbe  addursi, a giustificare il differente regime tra i
due  decreti  legislativi del 6 maggio 1948, e, conseguentemente, del
d.lgs.  n. 373/2003,  l'argomento secondo cui non sarebbe ammissibile
che   nell'organo  controllante  (Corte  dei  conti)  siano  presenti
magistrati  designati  dal soggetto controllato (Regione). Va infatti
sottolineato  che  l'art.  23  dello  Statuto  siciliano  e il d.lgs.
n. 655/1948  prevedono  anche  la  localizzazione  in  Sicilia  della
sezione  giurisdizionale  per  i  giudizi di conto, responsabilita' e
pensionistici  e che la composizione di tale sezione non e' stata mai
modificata, neppure dalla recente legge 5 giugno 2003, n. 131. Questa
infatti,  all'art.  7,  ha  previsto la mera possibilita' che le sole
sezioni  regionali di controllo della Corte dei conti siano integrate
con due componenti di nomina regionale. Non va poi dimenticato che la
norma  in esame e' contenuta in una legge statale di portata generale
ed  uniforme  su  tutto il territorio nazionale. Pertanto, qualora si
volesse  riconoscere  identico  carattere  giurisdizionale anche alla
funzione  di  controllo  della  Corte  dei  conti,  la  norma sarebbe
ugualmente  in  linea  con i principi costituzionali della riserva di
legge  statale  e della uniformita' della giurisdizione su ogni parte
del territorio nazionale.
    In   altri  termini,  se  per  effetto  dell'art. 7  della  legge
n. 131/2003  (ove  applicabile  alle  regioni  a statuto speciale) la
sezione  di controllo della Corte dei conti in Sicilia dovesse essere
integrata  con  consiglieri  di  designazione regionale, cio' sarebbe
dovuto  all'efficacia  di  una  legge  statale  uniforme  su tutto il
territorio  nazionale, e non gia' in forza di una norma di attuazione
dello  Statuto  siciliano che avesse introdotto un regime derogatorio
rispetto a quello ordinario.
    Circa  poi  la  attuazione  della  Statuto siciliano va ricordato
stancamente che la prima commissione paritetica del 1946, nelle prime
ed  uniche  norme  da  essa  «deliberate»  non  aveva  modificato  la
composizione  delle magistrature superiori esistenti e certamente non
per  superficialita'  a per ignoranza delle norme statutarie. Invero,
il  Presidente  della  Commissione,  come  e'  noto, e come aveva lui
stesso   dichiarato   in   una   nota  24  maggio  1947,  indirizzata
all'Assemblea  regionale siciliana, era stato uno dei redattori dello
Statuto.  Tuttavia,  ne'  lui,  ne'  nessun altro dei padri fondatori
della  Statuto (Giovanni Salemi, Mario Mineo, lo stesso Movimento per
l'Autonomia  della  Sicilia)  pensarono mai ad organi giurisdizionali
superiori a composizione mista paritetica.
    Com'e'  noto  lo  Statuto  siciliano e' frutto di una commissione
nominata  con  decreto 1° settembre 1945 dall'Alto Commissario per la
Sicilia on.le Salvatore Aldisio.
    La   commissione   prese  a  base  dei  lavori  quattro  progetti
predisposti  rispettivamente  dal  prof.  Giovanni Salemi, dall'on.le
Giovanni  Guanino  Amelia,  dal dott. Mario Mineo e dal Movimento per
l'Autonomia della Sicilia.
    Per  quanto  concerne  gli organi giurisdizionali il progetto del
prof.    Salemi    all'art.   21,   primo   comma   cosi'   recitava:
«l'organizzazione  giudiziaria  e' stabilita con legge dello Stato ed
e' a carico dello Stato».
    Il  progetto  dell'avv. Guarino Amelia all'art. 30 si limitava, a
stabilire   che:   «Tutti   gli   organi  per  la  definizione  delle
controversie  nel  campo civile, penale, commerciale, amministrativo,
tributario  e  sindacale e in tutti i gradi di giurisdizione, debbono
risiedere nella Regione, in modo che tutte le controversie abbiano in
Sicilia il loro intero e totale svolgimento».
    Il  progetto  del dott. Mineo all'art. 37 prevedeva semplicemente
che: «lo Stato istituira' in Sicilia sezioni autonome di ciascuno dei
suoi supremi organi giurisdizionali».
    Il  progetto  del  Movimento  per  l'Autonomia della Sicilia agli
artt. 26 e 27 era cosi' formulato: «art. 26 l'ordinamento giudiziario
e' stabilito con legge dello Stato.
    La  creazione  di  nuovi  uffici  giudiziari  e le modifiche alle
circoscrizioni giudiziarie sono pero' stabilite con provvedimento del
Consiglio regionale.
    Art.  27  l'Amministrazione  della  giustizia  nella Regione e' a
carico del bilancio dello Stato.
    Tutti  gli Organi per la definizione delle controversie nel campo
civile, penale, commerciale, amministrativo, tributario e del lavoro,
ed  in  tutti  i  gradi  di  giurisdizione,  debbono  risiedere nella
Regione, in modo che tutte le controversie abbiano in Sicilia il loro
intero e totale svolgimento».
    Se  poi  si  esaminano i resoconti stenografici della commissione
(riportati in un volume, dedicato ai lavori preparatori dello Statuto
dal  presidente  della  commissione  prof.  Giovanni  Salemi)  e,  in
particolare  quelli  delle  sedute  del  21  dicembre  1945  e del 22
dicembre 1945 si trova documentato che la formula (inserita nell'art.
20) «l'organizzazione giudiziaria e' stabilita con legge dello Stato»
venne  eliminata  su  proposta  del  consigliere  Taormina  il  quale
«basandosi sul principio che la funzione giurisdizionale e' riservata
allo Stato propone la soppressione dell'art. 20 ...» ... «La Consulta
respinge l'articolo. Ne dissente solo il cons. Romano Battaglia».
    In  relazione  poi  alla  stesura  dell'art.  21 (poi divenuto il
definitivo  art.  23) i lavori cosi' riportano: «Scartata la proposta
del  prof. Di Carlo, di votare al riguardo l'art. 27 del progetto del
«Movimento per l'Autonomia», si approva nel seguenti termini il primo
comma  dell'art.  21: «Gli organi giurisdizionali aventi oggi la sede
soltanto  in  Roma  saranno istituiti anche in Sicilia per gli affari
concernenti la Regione».
    Sul  secondo  comma  dello stesso articolo, intervengono il prof.
Maiorana  e  il  cons.  Cartia;  l'uno proponendo di non assegnare al
Consiglio  di  Stato  in  Sicilia  la funzione consultiva, al fine di
soddisfare meglio alle esigenze dell'autonomia; l'altro per dare alla
Corte  dei  conti  una  composizione mista, con rappresentanti, cioe'
dello  Stato  e della Regione, essendo comune ai due enti l'interesse
al controllo contabile.
    Si  invita  il  relatore a presentare la redazione definitiva del
detto comma.»............
    «Il   relatore   presenta   un'altra  formula,  piu'  semplice  e
comprensiva:  "Gli organi giurisdizionali centrali avranno in Sicilia
le  rispettive  sezioni  per gli affari concernenti la Regione". Essa
viene approvata e diventa il primo comma dell'art. 21.
    Ritornando  al  secondo  comma  dello stesso art. 21, il relatore
propone  di  metterlo  in  armonia  col  primo, dicendo: "Sezioni del
Consiglio di Stato e della Corte del conti" anziche' "Il Consiglio di
Stato  e  la  Corte  dei conti". Al fine di attuare la rappresentanza
mista  dello  Stato  e  della  Regione  in seno alla Corte dei conti,
suggerisce  il  seguente  nuovo  comma: "I magistrati della Corte del
conti  sono  nominati  di  accordo  dai  Governi  dello Stato e della
Regione".» (v. all. A pag. 69-70).
    Il   progetto  definitivo  venne  poi  approvato  dalla  Consulta
siciliana, poi dalla Consulta nazionale. Per quanto qui interessa non
vennero  apportati emendamenti, e venne infine approvato con r.d.lgs.
15 maggio 1946, n. 455.
    Emerge quindi con chiarezza che mai nessuno, in sede di redazione
dello  Statuto,  penso'  ad  una  organizzazione  delle  magistrature
superiori  diversa  da quella disciplinata dalla legge statale e che,
se  vi  fu  un accenno di specialita', esso riguardo' solo il giudice
contabile.
    Pertanto,  la  affermazione  delle Sezioni unite 2994/1955 dianzi
citata  secondo  cui  «le  variazioni  morfologiche  del Consiglio di
giustizia amministrativa per la Regione siciliana sono in funzione di
quella   stessa   esigenza   di  decentramento  che  ha  giustificato
l'istituzione  dell'Ente Regione» non solo non trova alcun riscontro,
ma  anzi  e'  smentita  proprio  dalle  vicende  occorse  in  sede di
istituzione  dell'Ente  Regione  e  cio'  senza  considerare  che  le
«variazioni» non sono solo «morfologiche» ma di sostanza.
    Anche  i  lavori  preparatori  della  Statuto  confermano  quindi
testualmente  e  sul  piano  storico  quanto piu' volte in precedenza
osservato circa il carattere «contra statutum» del d.lgs. n. 654/1948
e, in parte qua, del d.lgs. n. 373/2003.
    Se  poi  ci  si  chiede  come  mai,  nel 1948 in sede di norme di
attuazione  di cui al decreto legislativo n. 654/1948 sia stata cosi'
radicalmente  stravolta  la lettera e lo spirito, tanto dello Statuto
siciliano,  quanto  della  conforme  proposta della prima commissione
paritetica,  puo'  farsi  riferimento  a  coloro  che,  in  dottrina,
attribuiscono   storicamente   il   tenore  del  decreto  legislativo
n. 654/1948 ad un accordo personale intercorso tra Ferdinando Rocco e
l'on.le  Luigi  Sturzo,  del  quale, peraltro, sembra non sia rimasta
traccia.  A  questo  proposito non varrebbe richiamarsi, come sovente
assume  taluna  pubblicistica,  ad  un  supposto carattere «pattizio»
dello  Statuto  siciliano  che lo differenzierebbe percio' solo dagli
altri  statuti  speciali.  Anche  se  fosse  possibile  assimilare lo
Statuto  ad  un accordo tra entita' equiordinate, al pari cioe' di un
trattato  internazionale,  resterebbe  comunque indubbio che ai patti
occulti, in ogni caso, non potrebbe riconoscersi alcun valore.
    A  giustificazione  della  composizione  mista  del  Consiglio di
giustizia  amministrativa  per  la  Regione  siciliana confermata dal
decreto  legislativo n. 373/2003 neppure potrebbe invocarsi una sorta
di tacita consuetudine ovvero di convalescenza per decorso del tempo.
Si  tratterebbe  infatti,  in  ambedue i casi, di istituti o fonti di
integrazioni   sconosciute  al  livello  di  norme  costituzionali  e
comunque inammissibili in un sistema a costituzione rigida.
    In  altri  termini  non  sembrerebbe  possibile  sostenere  (come
talvolta  adombrato)  che la sussistenza della composizione mista del
C.G.A.  per  oltre  mezzo secolo costituirebbe di per se' una riprova
della  sua  costituzionalita'.  Innanzitutto,  va  rammentato  che il
periodo suindicato non e' decorso senza interrogativi. Invero, taluni
aspetti  di  tale composizione mista non hanno superato il vaglio del
giudice  delle  leggi  (Corte  cost.  n. 25/1976) ovvero hanno subito
modificazioni,  piu'  o meno radicali, a seguito o in prospettiva del
giudizio  della  Corte  (v. il d.P.R. n. 204/1978 e lo stesso decreto
legislativo n. 373/2003).
    In  secondo  luogo  non  puo'  ritenersi che la permanenza di una
norma nell'ordinamento, per un periodo piu' o meno lungo, costituisca
garanzia   di  costituzionalita',  come  dimostrano  gli  esempi  dei
Consigli  comunali  e  provinciali  in tema di contenzioso elettorale
amministrativo  (Corte  cost. n. 93/1965), dei Consigli di prefettura
(Corte  cost.  n. 55/1966),  delle  giunte provinciali amministrative
(Corte cost. n. 30/1967), della giunta giurisdizionale amministrativa
della Valle d'Aosta (Corte cost. n. 33/1968), del Tribunale superiore
delle  acque (Corte cost. n. 305/2002), dei Tribunali regionali delle
acque  (Corte  cost.  n. 353/2002),  della  Giunta speciale presso la
Corte di appello di Napoli (Corte cost. n. 393/2002), etc.
    Neppure sembrerebbe ostativo a questi fini, il richiamo al mutato
quadro  istituzionale  introdotto dal decreto legislativo n. 373/2003
ed  all'intervenuta  assimilazione  del regime giuridico ed economico
dei  membri  laici del C.G.A. a quello dei laici normati in Consiglio
di Stato.
    In  altri  termini,  non  sembrerebbe  possibile sostenere che il
superamento delle questioni concernenti sia i profili formali (delega
in  bianco  e  mancato  intervento  della Commissione paritetica) sia
taluni  di  quelli  sostanziali  (indipendenza, imparzialita', regime
giuridico  ed  economica  nonche' meccanismi di rinnovo dei laici del
C.G.A.)  valga  di  per  se'  a  dimostrare la sopravvenuta manifesta
infondatezza  della  questione  concernente  il contrasto tra la pura
localizzazione  prevista  dall'art. 23,  primo  comma  dello  Statuto
siciliano  e  la  composizione  mista  di  cui all'art. 4 del decreto
legislativo n. 373/2003.
    In  sostanza,  non potrebbe sostenersi che la anzidetta questione
risultava  non manifestamente infondata in un quadro normativo in cui
ai  laici  non erano assicurate imparzialita' ed indipendenza, mentre
non   apparirebbe  piu'  tale  nell'ambito  del  decreto  legislativo
n. 373/2003 in cui tali garanzie sono state assicurate.
    Tale  argomentazione  non  sembrerebbe convincente per un duplice
ordine di considerazioni.
    Innanzitutto  le questioni dianzi esaminate ed elencate non hanno
alcun riferimento alla maggiore o minore indipendenza o imparzialita'
dei  laici.  Invero,  la questione che ne occupa, similmente a quanto
ritenuto   nelle   ordinanze  n. 185/2003  e  n. 303/2003  di  questo
Consiglio,  consiste  nell'interrogativo  se, in assenza di copertura
costituzionale,  sia  possibile introdurre una forma di giurisdizione
differenziata solo su una parte del territorio nazionale.
    Su un piano poi piu' propriamente sostanziale, la circostanza che
ai   componenti   laici   sia   assicurata,  ex  decreto  legislativo
n. 373/2003,  lo  stesso trattamento giuridico ed economico dei laici
nominati  in  Consiglio  di Stato, non elimina il dato di fatto della
esistenza di una giurisdizione differenziata.
    Al  riguardo  e'  sufficiente rilevare innanzitutto che il regime
giuridico  non  e' identico poiche', trattandosi di nomine temporanee
per  un sessennio difetta, ad esempio, quel definitivo allontanamento
dalla     professione    (art. 3,    legge    n. 303/1998),    ovvero
dall'amministrazione di provenienza che caratterizza i Consiglieri di
Stato e della Corte dei conti di nomina politica.
    In  secondo  luogo,  ma  non  meno decisivo a dimostrazione della
esistenza   di   una   differenziata   singolarita',  e'  sufficiente
richiamare   il  disposto  dell'art. 4,  secondo  comma  del  decreto
legislativo   n. 373/2003  secondo  cui  il  collegio  giudicante  e'
necessariamente  composto  con  due  membri  laici di nomina politica
regionale, il che comporta una differenziazione, non solo formale, ma
anche  sostanziale  dell'esercizio  della  giurisdizione (Corte cost.
n. 25/1976 cit.).
    Nei  collegi amministrativi tale tipo di composizione sottintende
la  necessita'  che  vengano  rappresentate  esigenze, prospettive, e
interessi  di  natura  locale,  il che, ovviamente, non ha ragione di
essere in un collegio giurisdizionale tenuto soltanto ad applicare le
norme  dell'ordinamento  quale  che  ne sia la fonte (internazionale,
comunitaria, nazionale, regionale, etc.).
    L'unico  esempio  di  collegio giurisdizionale amministrativo in,
cui  e  stata  prevista  la  composizione  mista e' rappresentato dal
T.R.G.A.,  ma  con  norma  di  rango  costituzionale  e  in base alla
dichiarata  e specifica finalita' di tutela delle minoranze etniche e
linguistiche  presenti  nella  Regione  (v.  artt.  90, 91, 92 d.P.R.
n. 670/1972).
    Neppure   sembrerebbe   possibile,  a  questi  fini,  richiamarsi
all'inciso  di  cui  all'art. 23, primo comma dello Statuto siciliano
che fa riferimento agli «affari concernenti la Regione» interpretando
cioe'  la  formula  come  se questa implicitamente sottintenda che il
contenzioso  amministrativo  tra  un qualsiasi privato e le autorita'
amministrative locali siciliane debba essere risolto da un giudice in
composizione  speciale.  Infatti,  non  sarebbe  spiegabile come tale
esigenza avesse ragion d'essere solo in Sicilia e, quando anche cosi'
fosse,  come  non  sia  emersa al livello statutario, ed anzi risulti
ignorata nei lavori preparatori dello Statuto.
    In  proposito  neppure  sembra probante la argomentazione secondo
cui  la  composizione mista di cui al decreto legislativo n. 654/1948
prima,   ed   al   decreto   legislativo  n. 373/2003  poi,  potrebbe
giustificarsi  in  funzione  dell'autonomia  regionale  e dell'intima
connessione  della  giustizia  amministrativa  con  l'amministrazione
attiva.
    Invero,  per  quanto  concerne  la  autonomia  regionale  possono
richiamarsi   le   considerazioni   dianzi  esposte  in  merito  alla
necessita'   di   una   esegesi   letterale  delle  norme  statutarie
concernenti  la  funzione giurisdizionale (Corte. cost. nn. 124/1957,
66/1964,  115/1972,  150/1993 cit.), e quelle circa la funzione delle
norme  di attuazione degli statuti speciali (Corte cost. nn. 14/1956,
20/1956, 212/1984, 353/2001 cit.).
    Quanto  alla  supposta connessione della giustizia amministrativa
con l'amministrazione attiva non e' dato ravvisare, almeno allo stato
attuale  della  legislazione,  una  connessione  tra  il  ruolo  e la
funzione   del   giudice   amministrativo   e   quello  del  pubblico
amministratore. Se invece l'affermazione sottintende che la giustizia
amministrativa   tocca   prevalentemente   interessi  circoscritti  e
territorialmente  localizzati,  sembra  evidente che cio' si verifica
con  Ia  stessa  frequenza  nei  giudizi ordinari civili e penali che
traggono   causa  a  presupposto  dagli  stessi  atti  amministrativi
direttamente  impugnabili  davanti  al giudice amministrativo, ma per
questi  giudizi civili e penali, come e noto, l'art. 23 dello Statuto
siciliano  non  e'  mai stato attuato neppure nella forma di semplice
delocalizzazione.
    Del  pari  ininfluente  appare  l'argomentazione,  spesso da piu'
parti   prospettata,  secondo  cui  l'attuale  generale  tendenza  al
federalismo   potrebbe   supportare,  sul  piano  costituzionale,  la
disciplina di cui al decreto legislativo n. 373/2003.
    Al  riguardo  va  innanzitutto  sottolineata  la inattualita', al
livello  costituzionale,  di una scelta propriamente federalistica e,
in   secondo  luogo,  come  la  disciplina  del  decreto  legislativo
n. 373/2003  non  sarebbe  del tutto coerente neppure con tale futura
impostazione.
    Potrebbe  infatti  predicarsi,  anche in questo caso, quanto gia'
dianzi  osservato  in  relazione  alla  portata  generale ed uniforme
dell'art.  7  della  legge  n. 131/2003. Invero, anche ammettendo, in
ipotesi, una scelta federalistica gia' in atto, non si comprenderebbe
perche'  questa  scelta debba giustificare un esercizio differenziato
della   giurisdizione   che   debba  valere  solo  per  la  giustizia
amministrativa,  solo  per  la Regione siciliana, e solo per l'ultimo
grado di giudizio.
    In  altri  termini, anche volendo ipotizzare, de jure condendo ed
in   una  visione  federalistica,  una  giurisdizione  amministrativa
diversa  da quella attuale, e cio', in una ottica di collegamento con
le  autonomie  locali, sembrerebbe evidente che tale riforma dovrebbe
trovare  specifica  disciplina  in  una  legge  statale  ex art. 117,
secondo  comma, lettera l) della Costituzione (Corte cost. n. 29/2003
cit.).  Inoltre,  in base ai principi costituzionali sull'uniformita'
della  giurisdizione  su  tutto  il  territorio  nazionale,  siffatta
riforma  dovrebbe  avere  portata  generale senza differenziazioni di
regime  da  regione  a  regione  (Corte  cost. nn. 42/1991, 113/1993,
150/1993 cit.).
    Non   meno   irrilevante  e'  la  argomentazione,  peraltro  meta
giuridica, secondo cui sul decreto legislativo n. 373/2003 si sarebbe
espresso  favorevolmente,  nel  senso della sua costituzionalita', il
Consiglio di Stato nella Adunanza Generale del 2 ottobre 2003.
    In  proposito va evidenziato che in quella occasione il Consiglio
di   Stato,   preso   atto   della   pendenza   della   questione  di
costituzionalita'   sollevata   dall'ordinanza  di  questo  Consiglio
n. 185/2003,  ha espressamente rilevato «come l'Adunanza Generale non
abbia  titolo  ad  interloquire  in ordine all'ampia serie di censure
sollevate  dal  C.G.A.,  anche per un doveroso rispetto istituzionale
nei confronti della Corte costituzionale» (allegato B).
    Una  assicurazione  in questo senso venne invece fornita, come da
procedura,   dall'Ufficio  legislativo  del  Ministero  di  grazia  e
giustizia  con  nota  11  luglio  2003  prot.  n. 1499/-30/21-113. Il
Ministero   infatti   ha   testualmente   affermato   che  lo  schema
trasmessogli «appare complessivamente idoneo a superare le censure di
costituzionalita'  che il C.G.A. ha mosso alla vigente normativa, sia
per cio' che attiene ad eventuali eccessi di delega, sia per cio' che
attiene  alla composizione dell'organo giurisdizionale» (allegato C).
Trattasi  di  formula  apodittica  alla quale, comunque, non potrebbe
essere riconosciuta alcuna efficacia preclusiva dell'attuale giudizio
di costituzionalita'.
    Per   le  suesposte  argomentazioni  si  ritiene  che  il  quadro
normativo  offerto  dal  decreto  legislativo  n. 373/2003, ancorche'
sostanzialmente  migliorativo  rispetto al precedente quanto a talune
garanzie  di  imparzialita'  ed  indipendenza  dei  membri  laici del
C.G.A.,   non   abbia   risolto   (come   gia'  avvertito  dai  primi
commentatori) la questione di fondo concernente la legittimita' della
istituzione   di   una   forma   di   esercizio  della  giurisdizione
amministrativa  in Sicilia diversa dal resto del territorio nazionale
in assenza - ripetesi - di una specifica copertura costituzionale.
    Pertanto  si ritiene che il nuovo quadro normativo non valga, per
cio'  solo, a rendere manifestamente infondate le anzidette questioni
di  costituzionalita'  che  meritano  quindi  di essere riproposte al
vaglia del giudice delle leggi.
    Le  questioni  di  costituzionalita'  dianzi esposte appaiono poi
rilevanti  ai  fini  del  presente giudizio in quanto la legittimita'
costituzionale   della   composizione  del  Collegio  rappresenta  un
presupposto    imprescindibile   per   l'esercizio   della   funzione
giurisdizionale (v. da ultimo Corte cost. n. 353/2002).
    Quanto  alla  non manifesta infondatezza, il Collegio ritiene che
tale    requisito    sussista   sia   con   riferimento   all'assetto
costituzionale  precedente,  sia  anche  con  riferimento all'assetto
costituzionale  quale  risulta  dopo  la  modifica del Titolo V della
Costituzione per effetto della legge costituzionale n. 3/2001.
    15.  -  Al  riguardo  va innanzitutto ricordato, alla stregua del
pacifico  insegnamento  della Corte costituzionale, inaugurato con la
sua  stessa  prima  decisione  (n. 1/1956),  che  le norme ordinarie,
ancorche'  nate  costituzionalmente legittime, possono essere affette
da illegittimita' costituzionale sopravvenuta per contrasto con nuove
norme costituzionali (Corte cost. n. 13/1974).
    Cio' vale anche per lo Statuto siciliano, approvato con r. d.lgs.
15  maggio 1946, n. 455, prima della Costituzione repubblicana, i cui
articoli  26  e  27  -  come  gia'  accennato - sono stati dichiarati
incostituzionali  malgrado  la  costituzionalizzazione  della Statuto
fosse intervenuta successivamente (Corte cost. n. 6/1970 cit.).
    In  altri  termini, non sarebbe possibile una lettura delle norme
statutarie in senso non conforme alla Costituzione e ai suoi principi
fondamentali  poiche',  in  tal  caso,  le  stesse  norme  statutarie
potrebbero  risultare  affette  da  incostituzionalita'  (Corte cost.
nn. 30/1971,  31/1971,  32/1971,  12/1972, 175/1973, 1/1977, 18/1982,
183/1983,  170/1984,  1146/1988).  Nella  specie,  peraltro, la norma
statutaria  in  esame, e cioe' l'art. 23, primo comma, nel suo tenore
letterale  e  nella  sua  ratio,  appare perfettamente coerente con i
principi  costituzionali  in  tema di uguaglianza dei cittadini nella
tutela  dei  propri  diritti  ed  interessi,  nonche'  di uniformita'
dell'esercizio  della  giurisdizione  limitandosi  -  come piu' volte
osservato   -   al   puro   e  semplice  decentramento  degli  organi
giurisdizionali  superiori  nella  loro  composizione  ordinaria. Gli
interrogativi  non  riguardano  quindi  il  disposto  statutario,  ma
soltanto   la  sua  attuazione,  attuazione  che,  travalicando  tale
disposto,  ne  e'  stata fornita, dapprima con il decreto legislativo
n. 654/1948, ed attualmente, sotto il vigore del nuovo Titolo V della
Costituzione, con il decreto legislativo n. 373/2003.
    Cio'  premesso,  il  nuovo Titolo V della Costituzione, ad avviso
del   Collegio,   non   solo  non  fa  venir  meno  le  questioni  di
costituzionalita'  dianzi  prospettate,  ma rafforza, se mai, il peso
delle argomentazioni di cui sopra.
    Mantiene,   infatti,   identica   rilevanza   e   non   manifesta
infondatezza  la questione rubricata sub A3 concernente la violazione
del primo comma della VI disposizione transitoria della Costituzione.
    Quanto  agli  altri  profili,  puo'  ritenersi  anche per essi la
perdurante rilevanza ed anzi la maggiore fondatezza per effetto delle
disposizioni del nuovo Titolo V.
    Com'e'  noto,  l'art. 10  della  legge  costituzionale  n. 3/2001
dispone   che   sino   all'adeguamento  dei  rispettivi  statuti,  le
disposizioni  del  nuovo  Titolo  V si applicano anche alle regioni a
statuto  speciale  per  le  parti in cui prevedono forme di autonomia
piu'  ampie rispetto a quelle gia' attribuite (cosiddetta clausola di
maggior favore).
    Peraltro,  in  precedenza si e' denunciata la incostituzionalita'
di  talune  disposizioni  del  d.lgs.  n. 373/2003 in quanto norme di
attuazione statutaria contra legem, o comunque, praeter legem perche'
in  contrasto  con  la  lettera  e lo spirito dello Statuto siciliano
oltreche' con principi e precise disposizioni costituzionali.
    Tuttavia,  tali  principi  e tali disposizioni sono contenuti nel
Titolo  IV  della  Costituzione  e  non  gia'  nel  Titolo V  le  cui
modifiche,  pertanto, dovrebbero risultare ininfluenti ai fini qui in
esame.   Peraltro,   per   indispensabile   completezza,   dovrebbero
esaminarsi  taluni  aspetti  della  riforma, aspetti che comunque non
incidono sulle conclusioni dianzi esposte ma, se mai, le rafforzano.
    Innanzitutto  va  premesso che nella specie si tratta di valutare
la  costituzionalita'  di  una normativa emanata successivamente alla
entrata  in  vigore  della  legge  costituzionale n. 3/2001. Quindi i
canoni circa il riparto di competenze legislative tra Stato e regioni
dovrebbero   essere   valutati   alla   stregua   del  nuovo  assetto
costituzionale  non  essendo  applicabile il principio di continuita'
dell'ordinamento (Corte cost. n. 422/2002).
    Cio'  premesso, va osservato che, come gia' accennato, nel vigore
della  distribuzione  delle  competenze  legislative  anteriore  alla
riforma   del   Titolo   V   la   giurisprudenza   costituzionale  ha
costantemente   affermato,   sin   dalla  decisione  n. 124/1957,  la
necessita  di  distinguere  lo Stato quale unico ente a fini generali
dalle  regioni  (ordinarie  o  a  statuto  speciale)  «enti  con fini
predeterminati  e inderogabilmente fissati» (Corte cost. n. 66/1964).
Da tale esigenza e' stato ricavato il corollario della impossibilita'
di  estendere  in  senso  finalistico l'ambito delle materie elencate
negli  Statuti.  Pertanto,  anche  se  uno  Statuto  speciale  avesse
attribuito alla competenza esclusiva regionale il conseguimento di un
certo   fine,   questo  avrebbe  potuto  essere  conseguito  soltanto
nell'ambito  delle  materie  attribuite  alla competenza regionale. E
cosi', esemplificando con riferimento alla Regione siciliana, il fine
statutario   di   cui  all'art.  14,  lettera  e)  «incremento  della
produzione  agricola  e  industriale»  pur  attribuendo  alla Regione
competenza  legislativa  esclusiva  in  materia,  non  le  consentiva
tuttavia  di  conseguirlo  disciplinando  il  regime  delle  accise e
dell'I.G.E.  poiche'  la  materia  dei tributi erariali non risultava
attribuita  alla  regione  (Corte  cost. n. 124/1957 cit.). Identiche
conclusioni,  sempre  con  riferimento  alla  Regione siciliana, sono
state  ribadite  con riguardo alla giurisdizione, rilevandosi come la
competenza  esclusiva  «e'  strettamente  limitata alle materie quali
sono elencate negli Statuti speciali restando escluso che, rispetto a
queste,  possano  valere  criteri  finalistici  che  non risultino da
valutazioni  del  tutto  obiettive  del  loro contenuto» (Corte cost.
n. 66/1964).  Ed  inoltre  che  non  sarebbe  possibile  una  esegesi
dell'ambito  delle  varie  materie «non suffragata dalla formulazione
letterale  della  disposizione statutaria» (Corte cost. n. 115/1972).
La necessita' di tracciare la linea di demarcazione tra le competenze
statali  e  quelle  regionali  «che  e'  necessario  tener ferma onde
salvaguardare  l'interesse  all'unita' dell'ordinamento» (Corte cost.
n. 46/1962)  ha  portato  ad  escludere  sia una competenza normativa
regionale  in  ambiti  connessi  alle materie attribuite (Corte cost.
n. 46/1962   cit.),   sia   una  esegesi  finalistica  delle  materie
attribuite  poiche'  «se  cosi'  non  fosse la competenza legislativa
delle  regioni si estenderebbe, potenzialmente, a tutto l'ordinamento
giuridico  ...  e,  per converso, tutta la potesta' legislativa dello
Stato  sarebbe  limitata  dalla  potesta'  della  regione di regolare
qualunque  rapporto  giuridico  nel  campo delle attivita' attribuite
alla   competenza  regionale,  in  modo  diverso  dalla  legislazione
statale» (Corte cost. n. 66/1961).
    Il  quadro  e' mutato con il nuovo Titolo V, ma la giurisprudenza
costituzionale sembra orientata su una linea di continuita'.
    Nelle  sue  prime pronunce sull'argomento la Corte costituzionale
infatti, da un lato ha sottolineato le novita' del quadro complessivo
dei   rapporti   tra   Stato   e  regioni  nel  quale  «sono  apparsi
particolarmente  rilevanti l'art. 114, che pone sullo stesso piano lo
Stato  e  le  regioni,  come  entita'  costitutive  della Repubblica,
accanto  ai  comuni,  alle  citta'  metropolitane  e  alle  province;
l'art. 117,   che   ribalta  il  criterio  prima  accolto,  elencando
specificatamente le competenze legislative dello Stato e fissando una
clausola  residuale in favore delle regioni; e infine l'art. 127, che
configura  il  ricorso  del  Governo  contro  le leggi regionali come
successivo,  e non piu' preventivo». Peraltro, pur nel mutato assetto
la  Corte  non  ha  mancato  di sottolineare come, «nel nuovo assetto
costituzionale  scaturito  dalla  riforma,  allo Stato sia pur sempre
riservata,  nell'ordinamento generale della Repubblica, una posizione
peculiare desumibile non solo dalla proclamazione di principio di cui
all'art. 5  della Costituzione, ma anche dalla ripetuta evocazione di
un'istanza  unitaria,  manifestata  dal  richiamo  al  rispetto della
Costituzione,   nonche'   dei   vincoli   derivanti  dall'ordinamento
comunitario  e dagli obblighi internazionali, come limiti di tutte le
potesta'  legislative  (art. 117,  primo  comma) e dal riconoscimento
dell'esigenza   di   tutelare   l'unita'   giuridica   ed   economica
dell'ordinamento  stesso  (art. 120,  secondo  comma). E tale istanza
postula  necessariamente  che  nel  sistema  esista  un soggetto - lo
Stato,  avente  il  compito  di assicurarne il pieno soddisfacimento»
(Corte cost. n. 274/2003).
    Come  si e' visto, nella ripartizione di competenze stabilita dal
nuovo  art. 117 della Costituzione le regioni (anche quelle a Statuto
speciale)  hanno  goduto  di  un significativo ampliamento della loro
sfera  di  competenza  legislativa  che,  ai  sensi  del quarto comma
dell'attuale   art. 117,   e'  divenuta  generale  in  via  residuale
invertendosi  l'originario  criterio. Si discute quindi sul carattere
esclusivo  generale  di  tale competenza, e cioe' ci si chiede se una
materia  non  riconducibile  al  secondo  e terzo comma dell'art. 117
rientri,  percio' solo, nella competenza generale residuale (v. Corte
cost.  n. 370/03).  Ci  si  chiede  poi se i limiti a tale competenza
siano  soltanto  quelli generali di cui all'art. 117 primo comma o se
ve  ne siano anche degli altri. Inoltre, con riferimento alle regioni
a  statuto  speciale,  ci  si  interroga  se la precedente competenza
legislativa  primaria  sia transitata a meno nella residuale generale
dell'art. 117  quarto  comma e se ad essa debbano applicarsi i vecchi
limiti  presenti  negli  statuti  speciali  ovvero i nuovi ricavabili
dall'art. 117 primo comma, e non solo da questo.
    In  riferimento  alle  problematiche  dianzi  rilevate  e  di non
agevole soluzione, che emergono dal nuovo Titolo V, e con riferimento
alla  questione in esame, sembra opportuno chiedersi, in primo luogo,
se, a fronte, dell'ampliamento delle competenze legislative regionali
derivante  dalla  attribuzione  di competenza generale residuale, non
debba  contrapporsi,  anche  per  le  regioni  a statuto speciale, la
riserva  di  legislazione  esclusiva  a favore dello Stato cosi' come
elencata all'art. 117 secondo comma.
    Al  riguardo,  la Corte ha pronunciato alcune decisioni in cui si
afferma  che  il nuovo Titolo V non si applica alle regioni a statuto
speciale,  se  non  nelle parti che prevedono forme di autonomie piu'
ampie  rispetto  a  quelle  gia'  attribuite  (v.  Corte  cost.  ord.
n. 377/2002,  decisioni  nn. 408/2002,  533/2002, 48/2003, 103/2003).
Tuttavia,  in  un'altra decisione, concernente la Regione Sardegna, e
in  materia  di caccia in cui tale Regione gode di potesta' normativa
primaria,   le   argomentazioni   della  Corte  appaiono  molto  piu'
articolate  in  quanto  si  e' affermato (con riferimento espresso al
nuovo  Titolo  V)  che  «la  disciplina  statale  rivolta alla tutela
dell'ambiente  e  dell'ecosistema  puo'  incidere anche sulla materia
caccia   pur  riservata  alla  potesta'  legislativa  regionale,  ove
l'intervento  statale  sia  rivolto  a  garantire  standard  minimi e
uniformi  di  tutela della fauna trattandosi di limiti unificanti che
rispondono   ad  esigenze  riconducibili  ad  ambiti  riservati  alla
competenza esclusiva dello Stato» (Corte cost. n. 536/2002).
    Sembrerebbe quindi che la Corte costituzionale abbia riconosciuto
che  nel  nuovo  assetto  delle competenze legislative, delineato dal
nuovo  Titolo  V, le materie riservate in via esclusiva allo Stato si
impongono  anche alle competenze legislative primarie delle regioni a
statuto  speciale, ma non in toto, bensi' nel senso piu' ristretto di
poter  fissare  a  quelle  autonomie  regionali  nuovi  limiti  prima
inesistenti.  Tale orientamento e' stato poi ribadito dalla Corte sia
nei  confronti  (come  era  ovvio)  delle regioni a statuto ordinario
(decisione n. 227/2003) sia nei confronti della Provincia autonoma di
Trento   dotata  di  competenza  esclusiva  in  materia  e  cio'  con
riferimento  ai  preesistenti  limiti  statutari  all'esercizio della
competenza anzidetta (decisione n. 226/2003).
    In  altri termini, nella esegesi della Corte sembra affermarsi il
concetto    che   le   esigenze   di   unitarieta'   ed   uniformita'
dell'ordinamento  (v.  anche  dec.  n. 274/2003  cit.),  insite nella
elencazione  delle  competenze  esclusive  statali e specie in quelle
trasversali   (e  cioe'  definibili  finalisticamente  piu'  che  per
l'oggetto,  quali  la  tutela  dell'ambiente,  della concorrenza, del
risparmio,  la  determinazione  dei livelli essenziali v. Corte cost.
nn.  282/2002,  407/2002, 88/2003, 303/2003, 376/2003, 14/2004), sono
talmente  rilevanti  da  condizionare  ex  novo anche la operativita'
della clausola di maggior favore.
    Se  cio'  e'  esatto,  anche  qualora lo Statuto siciliano avesse
attribuito  espressamente  alla  competenza primaria della Regione la
organizzazione,  in  ambito regionale, della giustizia civile, penale
ed   amministrativa  di  ultima  istanza  (il  che  non  risulta  ne'
implicitamente ne' esplicitamente), ebbene, anche in questo ipotetico
caso,  la  maggiore  autonomia  statutaria  spettante  in  base  alla
clausola  di maggior favore ne uscirebbe ridimensionata nel senso che
non  potrebbe piu' disciplinare, in una forma derogatoria per la sola
Regione  siciliana,  aspetti della organizzazione giudiziaria che, ex
art. 117  secondo  comma  lettera l), debbono restare necessariamente
unitari  per l'ordinamento generale della giustizia (composizione dei
Collegi,  stato giuridico dei magistrati laici e togati etc.). Quanto
poi  al  carattere  finalistico  della  materia  «giurisdizione»,  e'
sufficiente  osservare  come  questa attenga direttamente, ex art. 24
Cost.,  «alla  tutela  dei  propri  diritti ed interessi legittimi» e
quindi  non  sembrerebbe  dubitabile  che  anche essa appartenga alla
stessa  categoria  trasversale e finalistica al pari della tutela del
risparmio,  della concorrenza, dell'ambiente ed altresi' (forse anche
nel  suo  contenuto)  a quella dei livelli essenziali di prestazioni,
come  sembrerebbe  gia'  adombrato nella citata decisione Corte cost.
n. 150/1993.
    Potrebbe   invece   consolidarsi   una   diversa   esegesi  nella
applicazione  dell'art. 10  della legge costituzionale n. 3/2001, nel
senso  cioe' che le materie riservate in via esclusiva allo Stato dal
nuovo  art. 117  secondo  comma  non possono costituire od introdurre
nuovi  limiti ai piu' ampi poteri normativi primari che, nelle stesse
materie, sono previsti negli statuti speciali, e che debbono, semmai,
soltanto   applicarsi   i  vecchi  limiti  statutari  alla  normativa
primaria.  Tuttavia,  anche  in questo caso, permarrebbe la rilevanza
dei  dubbi  di  costituzionalita'  dianzi  enunciati  e  la  loro non
manifesta   infondatezza.  Invero,  la  Corte  costituzionale,  nella
decisione n. 48/2003 da un lato ha affermato che l'applicazione della
clausola  di  maggior  favore (condotta sulla base di una valutazione
comparativa)  esclude  ovviamente le competenze normative statali, ma
ha  riconfermato  nella  specie,  per quanto qui interessa, il limite
statutario  della  armonia  con  la  Costituzione  e  con  i principi
dell'ordinamento  giuridico  della  Repubblica. Lo Statuto siciliano,
pur  anteriore  alla  Costituzione, prevede similmente (art. 14 primo
comma)  che la competenza legislativa primaria si esercita nei limiti
delle leggi costituzionali dello Stato. Non si e' mai dubitato quindi
che  la competenza primaria della Regione siciliana dovesse osservare
i  principi  della  Costituzione  (Corte cost. nn. 66/1964, 115/1972)
cosi'  come  anche  i  principi  fondamentali  delle leggi di riforma
economica-sociale  (Corte  cost.  nn. 545/1989, 4/2000, 314/2003). In
questo  caso  i  limiti  alla  possibilita'  di legiferare in tema di
giurisdizione  sarebbero  rappresentati, oltre che dall'art. 14 primo
comma  della  Statuto, da quelli ricavabili, come sottolinea la Corte
costituzionale  (dec.  n. 274/2003  cit.)  dall'art. 5, dall'art. 117
primo comma, e dall'art. 120 secondo comma della Costituzione.
    In   conclusione,  quindi,  i  principi  unitari,  unificanti  ed
infrazionabili   ricavabili   dalla  Costituzione,  tra  i  quali  va
annoverata  la  uniformita'  della  disciplina della giurisdizione in
ogni  suo  aspetto  su  tutto  il  territorio nazionale, si impongono
comunque  alle  regioni a statuto speciale in assenza di una espressa
deroga  statutaria  e, dopo la riforma del Titolo V, potrebbero anche
limitare la portata di una eventuale espressa deroga statutaria. Tale
prevalenza,  che prescinde anche dalla clausola di maggior favore, si
applica  sia  con  riferimento ai limiti alla normativa primaria gia'
presenti   negli  statuti,  sia  ai  nuovi  limiti,  e  cia  sia  con
rifenimento  all'assetto antecedente alla riforma del Titolo V, sia a
quello  successivo. In proposito la Corte costituzionale ha affermato
che  il  potere di disciplinare l'esercizio della giurisdizione «alla
Regione  Sardegna  come  alle  altre  regioni  a  statuto speciale od
ordinario  non  spetta, restando invece riservato alla competenza del
legislatore  statale  (cfr.  sentenza  n. 115  del  1972;  e  v. oggi
l'art. 117,   secondo   comma  lettera  l)  della  Costituzione  come
sostituito  dalla  legge  costituzionale n. 3 del 2001)» (Corte cost.
n. 29/2003).
    Pertanto,  sia  la  riserva  di legge statale di cui all'art. 117
secondo   comma  lettera  l)  della  Costituzione,  sia  il  disposto
dell'art. 14  primo  comma  della  Statuto  siciliano  nonche'  degli
articoli  5,  117 primo comma e 120 secondo comma della Costituzione,
inducono  tutti  a  ritenere  che  i  vizi  di  costituzionalita'  in
precedenza    denunciati   si   dovrebbero   ritenere   ulteriormente
confermati.  Al  limite,  qualora i dubbi di costituzionalita' dianzi
esposti avessero potuto essere superati con riferimento al precedente
assetto  costituzionale, gli stessi dovrebbero essere inevitabilmente
riconosciuti con riferimento al nuovo.
    Pertanto,  il  combinato  disposto  degli  articoli  5, 102 primo
comma,  108  primo  comma, 117 primo e secondo comma lettera l) e 120
secondo  comma  della  Costituzione dovrebbe ormai dimostrare in modo
inconfutabile che le norme di attuazione di cui al d.lgs. n. 373/2003
sembrano  affette  da incostituzionalita' alla luce della riforma del
Titolo  V. In altri termini, l'art. 117 secondo comma rafforza, se ce
ne   fosse  bisogno,  la  necessita'  di  attenersi  ad  una  esegesi
strettamente  letterale dell'art. 23 dello Statuto siciliano. Invero,
nel  silenzio  totale  dello  Statuto  in  materia  di organizzazione
giudiziaria  (oltre  all'art.  23  v.  anche gli articoli 14 e 17) si
osserva,  innanzitutto,  che non puo' scattare la clausola di maggior
favore non essendo tale materia attribuita alla competenza regionale,
e, in secondo luogo, che comunque, qualsiasi iniziativa normativa che
dovesse  essere  assunta  in  proposito,  vuoi in sede di commissione
paritetica  vuoi  autonomamente dallo Stato a dalla Regione, dovrebbe
in  ogni  caso  tener  conto dell'art. 117 primo comma secondo cui la
Costituzione  (e quindi la competenza esclusiva statale da esercitare
nella  materia  de  qua  con  caratteri di uniformita) costituisce un
limite insuperabile a qualsiasi categoria di normazione regionale sia
essa  primaria  che  concorrente  e  sia  anche  in  sede di norme di
attuazione  che  restano  pur  sempre subordinate alla Costituzione e
quindi  anche  alle  esigenze unitarie canonizzate negli articoli 5 e
120 secondo comma.
    16.  -  Pertanto  in relazione alle questioni elencate sub A, A1,
A2, puo' essere posta anche la seguente:
        A4)   in   subordine   qualora   si   potesse   ritenere   la
costituzionalita' dell'art. 4 primo comma lettera d) e del successivo
secondo   comma,   nonche'   dell'art. 6  secondo  comma  del  d.lgs.
n. 373/2003 limitatamente alle parole «e all'art. 4 comma uno lettera
d)»  in relazione alle questioni sollevate ai precedenti punti sub A,
A1,  A2,  si  ripropongono  le  stesse questioni in rapporto anche al
disposto  dell'art. 117  secondo comma lettera l) della Costituzione,
dell'art. 14   primo  comma  dello  Statuto  siciliano,  dell'art. 5,
dell'art. 117   primo  comma  e  dell'art. 120  secondo  comma  della
Costituzione.
    In  conclusione,  quindi, tutte le questioni di cui ai precedenti
punti   sub   A   appaiono  rilevanti,  in  quanto,  la  legittimita'
costituzionale  della  composizione  del Collegio costituisce, di per
se,  un  presupposto  per l'adozione di qualsivoglia decisione (v. da
ultimo Corte cost. n. 353/2002).
    Peraltro,  come  in  precedenza  osservato,  mentre  e' possibile
adottare  una  esegesi  costituzionalmente  corretta  sulla  base del
tenore letterale dell'art. 23 primo comma dello Statuto siciliano, la
tassativita'   delle  disposizioni  di  cui  sopra  non  consente  di
adottare,  in  subiecta  materia, una esegesi costituzionale corretta
ne' sussiste un diritto giurisprudenziale vivente che la supporti (v.
da ultimo Corte cost. ord. 30 gennaio 2003, n. 19).
    Il Collegio peraltro ritiene che il vigente regime transitorio ed
anche la futura possibilita' di diversa composizione del Collegio per
effetto  di  eventuali nuove nomine di laici regionali ex articoli 4,
6,  7 e 15 del d.lgs. n. 373/2003 non influisca sulla rilevabilita' e
rilevanza delle questioni sin qui prospettate.
    Innanzitutto  va osservato che il decreto legislativo n. 373/2003
entrato  in  vigore  il  29 gennaio 2004 e che, ai sensi dell'art. 14
dello stesso decreto da tale data sono abrogati il d.lgs. n. 654/1948
e  il  d.P.R. n. 204/1978, per cui nessuna efficacia puo' piu' essere
riconosciuta alla precedente normativa.
    Per  quanto  invece concerne le nomine effettuate sotto il vigore
di  quella va tuttavia considerato che, con espresso riferimento alle
nomine  precedenti,  la  norma  transitoria  di cui all'art. l5 primo
comma  del  d.lgs.  n. 373/2003  consente  ai  laici componenti della
Sezione  giurisdizionale di rimanere in carica sino al compimento del
sessennio   a   decorrere   dal   rispettivo  giuramento,  (sia  pure
subordinatamente  ad  una  dichiarazione  di  insussistenza ovvero di
intervenuta  cessazione  delle  cause  di incompatibilita), mentre il
successivo  secondo  comma  consente  ai  medesimi  la  permanenza in
servizio  per  sessanta  giorni  dall'entrata  in  vigore del decrcto
legislativo,  ancorche'  versino  in situazioni di incompatibilita' a
comunque gia' scaduti.
    Pertanto,  il  regime transitorio di cui al primo e secondo comma
dell'art. 15   del  d.lgs.  n. 373/2003  consente  l'esercizio  della
giurisdizione  di  questo C.G.A. nella composizione mista, atteso che
per  i  membri  laici presenti in questo Collegio il sessennio non e'
ancora  scaduto  (v.  allegati D, D1 e E, E1) e neppure e' scaduto il
termine  di  sessanta  giomi  dalla  entrata  in  vigore del predetto
decreto legislativo (29 gennaio 2004).
    Conseguentemente,  le  anzidette  questioni  di costituzionalita'
passono  essere  sollevate  anche nei confronti del primo, cosi' come
del  secondo comma del citato articolo 15 ovviamente, in parte qua, e
cioe'  con  esclusivo  riferimcnto  ai  membri  laici  della  Sezione
giurisdizionale.
    Peraltro  va  anche  sottolineato  che si tratta di questioni che
riguardano  direttamente,  e  a  regime,  il  modo  di  essere  e  di
funzionare di questo Consiglio.
    Esse  invero  prescindono  nel  modo  piu'  completo  dalla varia
posizione  che  possano  rivestire gli attuali membri laici di questo
Consiglio  in  relazione  al regime transitorio e cioe' se proseguano
nell'incarico  ovvero  se  vengano  sostituiti  da  altri. Invero, le
questioni   prospettate  in  precedenza  concernono  la  legittimita'
costituzionale  in  apicibus  di  una  composizione  mista  di questo
Consiglio,  questioni  nei  confronti  della  quale  e' irrilevante e
ininfluente  la  eventualita'  di  nuove  nomine  di  membri laici in
sostituzione o in aggiunta agli attuali.
    Inoltre,  onde fugare eventuali eccezioni di inammissibilita', e'
opportuno  richiamare il pacifico e costante insegnamento della Corte
costituzionale  in  tema  di  autonomia  del  processo costituzionale
secondo  cui  «il  requisito della rilevanza riguarda solo il momento
generico  in cui il dubbio di costituzionalita' viene sollevato e non
anche  il  periodo  successivo  alla  remissione della questione alla
Corte costituzionale» (v. da ultimo Corte cost. ord. n. 110/2000).
    Nella  medesima  ottica  e'  stato  chiarito  che «la vicenda del
processo  incidentale  di legittimita' costituzionale non puo' essere
influenzata  da  circostanze  di  fatto sopravvenute nel procedimento
principale:  e  cio'  in  quanto, svolgendosi il processo incidentale
nell'interesse  pubblico, e non in quello privato, una volta che esso
si  sia  validamente  instaurato  a norma dell'art. 23 legge 11 marzo
1953,   n. 87,  acquisisce  una  autonomia  che  lo  pone  al  riparo
dall'ulteriore  atteggiarsi  della  fattispecie,  financo nel caso in
cui,  per qualsiasi causa, fosse venuto a cessare il giudizio rimasto
sospeso  (art. 22  delle Norme integrative per i giudizi davanti alla
Corte  costituzionale)» (Corte cost. ord. nn. 300/1984, 383/2002, e v
anche dec. nn. 135/1963, 701/1988, 52/1986).
      Quanto  poi  alla  ammissibilita'  delle questioni anzidette il
Collegio   si   richiama   parimenti   all'insegnamento  della  Corte
costituzionale  (Corte  cost.  nn. 177/1973,  25/1976 e 266/1988). La
Corte ha infatti affermato che la possibilita' di una declaratoria di
incostituzionalita'  della  composizione  del  Collegio  non puo' far
venir  meno,  ex  ante, la ammissibilita' e rilevanza della questione
(Corte  cost.  n. 177/1973)  poiche', in tal caso, siffatte questioni
non potrebbero mai venire sollevate (Corte cost. n. 266/1988).
    Il  Collegio  non  puo' non rilevare infine anche la singolarita'
della   circostanza   occorsa  in  sede  di  emanazione  del  decreto
legislativo   n. 373/2003   in  esame,  la  cui  norma  di  copertura
finanziaria  e' contenuta in un separato decreto-legge e precisamente
nell'art. 6  del  d.l.  24  dicembre  2003,  n. 354 la cui entrata in
vigore,  ai  sensi  del successivo art. 9, e' stata fissata per il 1°
gennaio  2004  ed  e' stato successivamente convertito nella legge 26
febbraio 2004, n. 45.
    Dalla   relazione   tecnica   allegata,   ex   art. 1-ter   legge
n. 468/1978,  al  d.l.  n. 354/2003  (v.  allegato F), risulta che il
maggior   onere   complessivo   a   carico   dello   Stato,  pari  ad
Euro 697.500,00,  veniva  ripartito in Euro 279.000,00 per compensi e
indennita'  per  un  presidente di sezione e due consiglieri di Stato
fuori  ruolo  ed in Euro 418.500,00 per la meta' a carico dello Stato
del  compenso  iniziale  di  consigliere  di  Stato spettante ai nove
componenti laici.
    In  proposito,  il Collegio osserva che la norma di cui sopra non
incide   sulla   rilevabilita'   e   rilevanza   delle  questioni  di
costituzionalita'   dianzi   adombrate,   in  quanto  ne  rappresenta
semplicemente  i  conseguenziali  sviluppi  sul  piano  della finanza
statale,  ma  condiziona  tuttavia la operativita' delle disposizioni
della cui costituzionalita' si dubita.
    Di  qui  la  necessita' di denunciarne la incostituzionalita' sia
pure in via derivata e in parte qua.
    Va  infine  ricordato  che,  ex art. 27 della legge n. 87/1953 e'
possibile una declaratoria di incostituzionalita' derivata.
    Pertanto  dalle  censure rubricate sub A, A1, A2, A3, A4 dovrebbe
derivatamente discendere la incostituzionalita' anche dell'art. 6 del
d.l.  n. 354/2003,  convertito  nella  legge 26 febbraio 2004, n. 45,
peraltro  limitatamente  alla  parte  in  cui  assicura  la copertura
finanziaria  dello  Stato  in  misura pari alla meta' della stipendio
iniziale  di  consigliere di Stato per quattro componenti laici della
Seziane giurisdizionale e quindi per Euro 186.000,00.
    17.  -  Con  riferimento,  peraltro, alle questioni in precedenza
ritenute  rilevanti  e non manifestamente infondate, va rammentato in
relazione  ai possibili effetti delle pronunce di incostituzionalita'
che  «l'eventuale  vuoto  di  disciplina  che  verrebbe a prodursi in
conseguenza  della  dichiarazione d'illegittimita' costituzionale ...
(vuoto  di  disciplina  che  spetterebbe  in ogni caso al legislatore
colmare)»  non  puo' incidere sulla ammissibilita' delle questioni di
costituzionalita' (Corte cost. n. 266/1988 cit.).
    A    tale   proposito   va   conclusivamente   sottolineato   che
dall'eventuale    accoglimento   di   talune   delle   questioni   di
costituzionalita'   dianzi   esposte   e  ritenute  rilevanti  e  non
manifestamente  infondate,  non  discenderebbe  la eliminazione della
presenza  in  Sicilia  del giudice amministrativo di appello ma, come
gia'   sottolineato   nelle   ordinanze  n. 185/2003  e  n. 303/2003,
solamente  la sostituzione della sezione giurisdizionale del C.G.A. a
composizione  mista  con una sezione giurisdizionale del Consiglio di
Stato a composizione ordinaria.
    18.  - Ritenuto pertanto che l'appello cautelare non possa essere
definito  prescindendo dalla risoluzione delle anzidette questioni di
costituzionalita'.