ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di  attribuzione  sorto  a seguito del
decreto  del  Ministro  delle  politiche  agricole  e  forestali  del
19 luglio  2000,  n. 403, recante «Approvazione del nuovo regolamento
di   esecuzione  della  legge  15 gennaio  1991,  n. 30,  concernente
disciplina  della  riproduzione  animale», promosso con ricorso della
Provincia  autonoma di Trento, notificato il 9 marzo 2001, depositato
in  cancelleria  il  15  successivo ed iscritto al n. 10 del registro
conflitti 2001.
    Visto  l'atto  di  costituzione  del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 6 aprile 2004 il giudice relatore
Carlo Mezzanotte;
    Uditi l'avvocato Giandomenico Falcon per la Provincia autonoma di
Trento  e  l'avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del
Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ricorso  del  6 marzo  2000, ritualmente notificato e
depositato,  la  Provincia  autonoma  di  Trento solleva conflitto di
attribuzione  nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri
in  relazione  al  decreto  del  Ministro  delle politiche agricole e
forestali, di concerto con il Ministro della sanita', 19 luglio 2000,
n. 403,  recante  «Approvazione  del  nuovo regolamento di esecuzione
della  legge  15 gennaio  1991,  n. 30,  concernente disciplina della
riproduzione  animale»,  deducendone  il  contrasto  con gli artt. 8,
numero  21,  9,  numero  10,  e  16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670
(Approvazione  del testo unico delle leggi costituzionali concernenti
lo  statuto  speciale per il Trentino-Alto Adige) e relative norme di
attuazione,  con  l'art. 136 della Costituzione e con il principio di
certezza  normativa,  con  l'art. 2  del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266
(Norme  di  attuazione  dello  statuto  speciale per il Trentino-Alto
Adige  concernenti  il  rapporto tra atti legislativi statali e leggi
regionali  e  provinciali, nonche' la potesta' statale di indirizzo e
coordinamento)  nonche', piu' in generale, con i principi e le regole
costituzionali  in  materia  di  rapporti  tra regolamenti statali ed
attribuzioni provinciali.
    Il   regolamento   impugnato   -   che   sostituisce  il  decreto
ministeriale 13 gennaio 1994, n. 172 (Regolamento di esecuzione della
legge  15 gennaio 1991, n. 30, recante «Disciplina della riproduzione
animale»),  primo decreto di attuazione della legge quadro - contiene
disposizioni   concernenti  le  stazioni  di  monta,  l'inseminazione
artificiale  equina,  i centri di produzione dello sperma, l'impianto
embrionale,  la  vigilanza  e  le  certificazioni  relative agli atti
riproduttivi.
    La   Provincia   assume   che  l'art. 1,  comma 2,  del  decreto,
disponendo   che   l'espressione   «Regioni»  debba  intendersi  come
comprensiva  anche  delle  Province  autonome  di Trento e di Bolzano
quali  destinatarie  delle  disposizioni  in  esso  contenute,  ed in
particolare  dell'obbligo  di  adeguamento  alla disciplina posta dal
medesimo decreto, previsto dal successivo art. 41, porrebbe in essere
una   illegittima   invasione   delle   competenze   legislative   ed
amministrative  ad essa spettanti in base allo statuto, alle norme di
attuazione  di  quest'ultimo  ed  alla  legge provinciale 28 dicembre
1984, n. 16 (Disciplina della produzione animale e modifiche di leggi
provinciali in materia di agricoltura).
    Ai  sensi degli artt. 8, numero 21, e 9, numero 10, dello statuto
speciale,  le Province autonome di Trento e di Bolzano sono dotate di
potesta'   legislativa  primaria  nelle  materie  dell'agricoltura  e
patrimonio  zootecnico,  e  di potesta' legislativa concorrente nella
materia  dell'igiene e sanita'. In dette materie le Province sono poi
dotate   delle   correlate   potesta'   amministrative,   in   virtu'
dell'art. 16  del  d.P.R.  31 agosto  1972,  n. 670  e delle norme di
attuazione  di  cui  al  d.P.R. 31 agosto 1974, n. 279, il cui art. 9
dispone  che  «con  legge provinciale sara' disciplinato il controllo
della  produzione  e del commercio di sementi e di altro materiale di
moltiplicazione».
    In  attuazione  di  tale  previsione,  la  Provincia  autonoma di
Trento,  con la legge 28 dicembre 1984 n. 16, prima citata, riferisce
di aver organicamente ed esaustivamente disciplinato il settore della
riproduzione animale.
    Anche  il  Capo VII  del  decreto,  relativo  all'importazione ed
all'esportazione  del  bestiame  e  del  materiale  da  riproduzione,
lederebbe  le  competenze  provinciali,  posto  che la disciplina ivi
dettata  rientra  tra  le funzioni amministrative delegate con d.P.R.
n. 279  del  1974  ed  in  relazione  alle quali sussiste, in base al
d.P.R.  24 luglio 1977, n. 616 ed alla legge 15 marzo 1997, n. 59, un
potere  di adottare norme di attuazione analoghe a quelle del decreto
impugnato.
    Si  deduce  anche la violazione dell'art. 136 Cost., giacche' con
la  sentenza  n. 349  del  1991 di questa Corte si e' statuito che la
disposizione  dell'art. 8  della  legge  quadro del 1991, relativa al
potere  regolamentare  del  quale  il  decreto  impugnato costituisce
espressione,  «limitandosi  a  conferire  all'organo ministeriale una
potesta'  normativa  di  rango secondario [...] non appare di per se'
idonea  a  produrre  effetti  lesivi nei confronti di una competenza,
quale  quella  in  tema  di  patrimonio  zootecnico,  spettante  alle
Province   ricorrenti,   suscettibile  di  esprimersi  attraverso  la
posizione  di  norme  che,  per  la loro stessa natura primaria, sono
comunque destinate nel settore in esame a risultare prevalenti».
    La Provincia denuncia altresi' la illegittimita' del decreto, ove
lo  si  intenda  direttamente applicabile nel proprio territorio, per
violazione  degli  artt. 8,  numero 21, 9, numero 10, e 16 del d.P.R.
31 agosto  1972,  n. 670,  dei  principi costituzionali in materia di
rapporti  tra  regolamenti  statali  e  potesta'  provinciali  e  del
principio di certezza normativa. Ne' il decreto ministeriale potrebbe
essere  ricondotto all'esercizio della funzione stratale di indirizzo
e  coordinamento,  giacche'  tale  funzione  rientra  soltanto  nella
competenza governativa e non in quella di singoli ministri.
    2.  -  Si  e' costituito nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  il  quale  ha  concluso  per  l'inammissibilita'  o  comunque
l'infondatezza del ricorso.
    Quanto  all'inammissibilita', la difesa erariale sostiene che nel
ricorso  non  si  specifica  quali  disposizioni  del regolamento, di
contenuto  innovativo  rispetto  a quelle del regolamento precedente,
contrastino  con  la  legislazione provinciale in materia, sicche' la
relativa    censura    risulterebbe   viziata   da   astrattezza   ed
indeterminatezza.
    Un   ulteriore   profilo   di  inammissibilita'  deriverebbe  poi
dall'inidoneita'  del  regolamento a produrre effetti lesivi, come si
desumerebbe da quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 349
del  1991.  Tale  decisione  - secondo l'Avvocatura - avrebbe infatti
riconosciuto  alla  legge  in questione natura attuativa di direttive
comunitarie,  in grado, come tale, di fungere da limite nei confronti
delle competenze regionali e provinciali esclusive.
    Nel  merito,  si contesta che il decreto impugnato sia affetto da
vizi  formali,  ove  lo  stesso si intendesse quale espressione della
funzione  di indirizzo e coordinamento, rilevandosi che la sua natura
interministeriale   e   non  -  come  affermato  dalla  ricorrente  -
governativa,  costituisce  attuazione  di quanto disposto dalla legge
n. 30  del  1991.  Inoltre,  argomenta  ancora  la  difesa  erariale,
quest'ultima  legge, nel disciplinare la procedura per l'adozione del
regolamento,  ha  previsto  la  previa consultazione della Conferenza
Stato-Regioni e Province autonome.
    L'Avvocatura  dello  Stato  sostiene,  infine,  che  l'art. 2 del
d.lgs.  n. 266 del 1992, nel prevedere l'obbligo di adeguamento della
legislazione   regionale  ai  principi  e  norme  costituenti  limiti
indicati  dagli  artt. 4 e 5 dello statuto speciale, non escluderebbe
in radice un obbligo di adeguamento piu' ampio.
    3.  -  Con  memoria  depositata  in  prossimita' dell'udienza, la
Provincia  autonoma  di Trento contesta la fondatezza delle eccezioni
di  inammissibilita'  sollevate  dall'Avvocatura.  Si sostiene che la
sostanza delle censure risiede nella pretesa del regolamento di porre
un  vincolo  a  carico  della  potesta'  legislativa provinciale e si
osserva  che  cio' che rileva e' la natura innovativa del regolamento
nella  sua  qualita'  di fonte normativa. Si assume poi che la difesa
erariale   ha  omesso  di  indicare  a  quali  norme  comunitarie  il
regolamento   darebbe   attuazione.   Infine,   si  sostiene  che  il
regolamento  impugnato  sarebbe  comunque  lesivo,  se  non altro per
motivi   connessi   alla   certezza   normativa,  delle  attribuzioni
provinciali.
    4.  -  Anche  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  ha depositato
memoria  in  prossimita'  dell'udienza, insistendo nelle eccezioni di
inammissibilita'   gia'   formulate  e  rilevando,  nel  merito,  che
l'uniformita'   della   disciplina   relativa   alla   tenuta   delle
certificazioni  genealogiche  degli animali e' principio fondamentale
della legislazione statale.

                       Considerato in diritto

    1.   -  Con  ricorso  notificato  e  ritualmente  depositato,  la
Provincia  autonoma  di  Trento ha proposto conflitto di attribuzione
nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione
al  decreto  del  Ministro  delle  politiche agricole e forestali del
19 luglio  2000,  n. 403, recante «Approvazione del nuovo regolamento
di   esecuzione  della  legge  15 gennaio  1991,  n. 30,  concernente
disciplina della riproduzione animale».
    Il  decreto  ministeriale  -  succedendo  al decreto ministeriale
13 gennaio  1994,  n. 172  (Regolamento  di  esecuzione  della  legge
15 gennaio  1991,  n. 30,  recante:  «Disciplina  della  riproduzione
animale»), che conteneva la prima attuazione della legge quadro sulla
riproduzione  animale  -  detta la disciplina relativa alle attivita'
connesse  alla  riproduzione  animale  (stazioni  di  monta  naturale
pubblica  e di inseminazione artificiale equina; centri di produzione
dello  sperma;  impianto  embrionale).  Esso stabilisce, all'art. 41,
comma 1,  che  le  Regioni  provvedono,  entro  sei  mesi  dalla  sua
emanazione,  all'eventuale  adeguamento  della  propria  normativa in
materia.
    In  relazione al vincolo di adeguamento posto dal citato art. 41,
nonche', in genere, a tutte le disposizioni del decreto che prevedono
attuazione  da  parte  di  Regioni e Province autonome, la ricorrente
deduce  la  violazione  della  propria  potesta' legislativa primaria
nelle  materie  dell'agricoltura e del patrimonio zootecnico, nonche'
di    quella   concorrente   in   materia   di   igiene   e   sanita'
(rispettivamente,  artt. 8,  numero 21, e 9, numero 10, dello statuto
speciale).  Viene  altresi' dedotta la violazione dell'art. 136 della
Costituzione,  in  riferimento  alla sentenza n. 349 del 1991, con la
quale  questa  Corte  ha  stabilito  che  l'esercizio  della potesta'
regolamentare,  attribuita  allo  Stato dall'art. 8 della legge n. 30
del  1991, e' inidoneo a ledere la competenza legislativa provinciale
in materia di patrimonio zootecnico, prevalendo questa, in virtu' del
suo rango primario, sulle norme regolamentari.
    Con  ulteriore motivo di censura la Provincia autonoma assume che
le  norme  del  regolamento  impugnato,  ove  ritenute immediatamente
applicabili  nel  proprio  territorio,  violino le proprie competenze
legislative,   le   norme   statutarie  concernenti  i  rapporti  tra
regolamenti  statali  e potesta' provinciali, nonche' il principio di
certezza normativa.
    2.   -   Non   possono   trovare  accoglimento  le  eccezioni  di
inammissibilita'  del  ricorso  sollevate  dalla  difesa erariale. E'
infondato  il rilievo di genericita' ed astrattezza delle censure per
mancata  indicazione  delle  norme  del  regolamento  statale  che si
assumono  in  contrasto  con  la  legge  provinciale  in  materia. Le
doglianze  provinciali  hanno  ad  oggetto,  piu'  che  il  contrasto
puntuale  tra  il  contenuto  delle  diverse  fonti,  la  pretesa del
regolamento   statale   di   vincolare   l'esercizio  della  potesta'
legislativa provinciale o di sostituirsi a questa.
    Per    le    stesse   ragioni   e'   infondata   l'eccezione   di
inammissibilita'   basata   sulla   inidoneita'  lesiva  delle  norme
regolamentari,   per  la  loro  impossibilita'  di  agire  a  livello
primario.   Poiche'   la   materia   e'  disciplinata  da  una  legge
provinciale,  il  solo  fatto  che  il  regolamento  sia destinato ad
operare nell'ambito della Provincia autonoma denota l'intendimento di
lasciar   concorrere,  eventualmente  confliggendo  tra  loro,  norme
regolamentari  e  norme  provenienti  da una fonte provinciale. Della
lesivita' dell'atto statale non si puo' dunque dubitare.
    Priva  di  pregio e' altresi' l'eccezione di inammissibilita' del
ricorso  formulata  sul rilievo che le norme dell'attuale regolamento
sono  in  parte ripetitive di quelle contenute nel previgente decreto
ministeriale   13 gennaio  1994,  n. 172.  L'errore  della  Provincia
ricorrente consisterebbe, nella prospettazione della difesa erariale,
nel  non  aver  indicato quale delle norme impugnate avesse carattere
innovativo   e  quale,  invece,  fosse  mera  riproduzione  di  norme
regolamentari  preesistenti.  Ma questa Corte ha piu' volte affermato
che  di  tardivita'  del ricorso puo' parlarsi solo quando la lesione
dedotta sia riconducibile ad un atto preesistente non tempestivamente
impugnato  (sentenze  n. 215  e  181 del 1999). Ebbene, nella specie,
l'atto  impugnato non e' meramente riproduttivo di quello previgente.
La  comparazione  tra  i  due  atti consente infatti di apprezzare le
molteplici  differenze di contenuto normativo. L'atto impugnato reca,
tra  l'altro,  un  capo secondo contenente la disciplina, interamente
nuova,  della  inseminazione  artificiale equina pubblica, nonche' un
capo sesto,  espressamente  impugnato, che pone norme attuative della
direttiva  CEE  in  materia  di  commercio con Paesi terzi di animali
riproduttori,  intervenuta  successivamente  al  primo regolamento di
attuazione della legge statale.
    3.  - Venendo al merito, va innanzitutto chiarito che, secondo la
giurisprudenza  costituzionale (per tutte, si veda la sentenza n. 302
del 2003), la fattispecie dedotta resta inserita nel quadro normativo
vigente  al tempo in cui l'atto e' stato adottato. Poiche' il decreto
ministeriale  reca la data 19 luglio 2000 - ed e' stato pubblicato in
Gazzetta Ufficiale in data 8 gennaio 2001 - e' priva di rilevanza, ai
fini del presente scrutinio, la revisione del Titolo V della Parte II
della    Costituzione,   successivamente   introdotta   dalla   legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
    3.1. - Il ricorso e' fondato.
    E'  opportuno  far precedere l'esame delle singole censure da una
breve  illustrazione  della disciplina della riproduzione animale. Le
numerose  direttive  comunitarie  in materia (direttiva CEE 77/04 del
25 luglio  1977;  direttiva  CEE 87/328 del 18 giugno 1987; direttiva
CEE  88/661  del 19 dicembre 1988; direttiva CEE 89/361 del 30 maggio
1989; direttiva CEE 90/427 del 26 giugno 1990; direttiva CE 94/28 del
23   giugno 1994)  si  fondano  sull'art. 37  (ex  43)  del  Trattato
istitutivo  delle  comunita'  europee  e  si  propongono di creare le
condizioni  per  lo  sviluppo  del  mercato  agricolo  attraverso  la
liberalizzazione   degli   scambi  degli  animali  da  allevamento  e
riproduzione  e  del materiale riproduttivo, dettando altresi' misure
volte a preservarne il patrimonio genetico per accrescerne il valore.
Il  vincolo  di  armonizzazione  delle  normative  statali  che  esse
determinano ha l'obiettivo di eliminare le disparita' nelle normative
dei  vari  Paesi,  con  riguardo  alle  certificazioni zootecniche in
materia di appartenenza genealogica e qualita' genetica degli animali
da  allevamento,  nonche'  di  riproduzione  degli animali. Le citate
direttive comunitarie pongono una serie di principi che vincolano gli
Stati  nella  disciplina  dell'istituzione  ed  iscrizione  nei libri
genealogici,   dell'ammissione   degli   animali  alla  riproduzione,
dell'impiego   di  materiale  da  riproduzione,  dei  metodi  per  il
controllo delle prestazioni e del valore genetico degli animali.
    La legge 15 gennaio 1991, n. 30, ha attuato le predette direttive
demandando   ad  un  apposito  regolamento  di  esecuzione  una  piu'
dettagliata  disciplina  e  stabilendo  che essa debba specificamente
riguardare  l'istituzione  e  l'esercizio  delle  stazioni  di  monta
naturale  e degli impianti per l'inseminazione artificiale, nonche' i
requisiti  sanitari  che  devono  possedere i riproduttori per essere
ammessi  ad  operare  nelle  stesse  stazioni  ed  impianti  (art. 8,
lettera a);  i  requisiti sanitari per il prelievo, la conservazione,
l'impiego e la distribuzione del materiale di riproduzione e di ovuli
ed   embrioni   (lettera b);   la   certificazione  degli  interventi
fecondativi  e  la  raccolta-elaborazione  dei  dati  riguardanti  la
riproduzione   animale   (lettera c);   i  requisiti  e  i  controlli
tecnico-sanitari per l'importazione ed esportazione dei riproduttori,
del  relativo materiale di riproduzione, nonche' di ovuli ed embrioni
(lettera d). La medesima legge, all'art. 1, comma 1, ha individuato i
principi  della  legislazione  statale  riguardanti  il settore della
riproduzione animale ascrivibili alla materia di potesta' concorrente
dell'agricoltura,  ed al comma 2 ha qualificato le disposizioni della
legge, nei limiti in cui attuino la normativa comunitaria, come norme
fondamentali  di riforma economico-sociale idonee a costituire limite
alla  potesta'  legislativa  delle  autonomie  speciali. Quest'ultima
previsione  e'  stata dichiarata illegittima dalla sentenza di questa
Corte  n. 349  del  1991,  che  ha  negato  che il carattere di norma
fondamentale  di  riforma  economico-sociale potesse discendere dalla
mera autoqualificazione.
    L'art. 8  della  legge  n. 30  del  1991, concernente la potesta'
regolamentare  in questione, non e' stato toccato dalla dichiarazione
di  illegittimita'  costituzionale.  Ad  esso  e'  stato dato seguito
dapprima  con  il  d.m.  13 gennaio  1994,  n. 172, ed ora con l'atto
oggetto  del  presente  conflitto,  che  ha disciplinato i molteplici
aspetti  della riproduzione animale: stazioni di monta (capi I e II),
inseminazione  artificiale  (Capi  III  e  IV),  certificazione degli
interventi  fecondativi  (Capo  V),  vigilanza e controlli (Capo VI),
importazione ed esportazione di bestiame da riproduzione (Capo VII).
    3.2.  -  Cosi'  sommariamente  tratteggiate le premesse normative
dell'attuale  conflitto,  va  precisato  che la disciplina in oggetto
concerne  ambiti  che,  alla  luce  dello  statuto  speciale  per  il
Trentino-Alto  Adige,  sono  riconducibili  ad  una  delle competenze
esclusive  delle  Province  autonome.  Non vi e' dubbio, infatti, che
essa  rientri  nelle  materie «agricoltura» e «patrimonio zootecnico»
(art. 8,  numero  21,  dello  statuto  speciale  per il Trentino-Alto
Adige).
    In  tali materie, l'attuazione delle direttive comunitarie spetta
alle Province autonome, che sono pero' vincolate all'osservanza delle
leggi  statali  che si interpongano fra la fonte comunitaria e quella
provinciale (art. 7 del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526). L'esistenza
di questo vincolo e' confermata dall'art. 9 della legge 9 marzo 1989,
n. 86  (Norme  generali  sulla partecipazione dell'Italia al processo
normativo  comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi
comunitari),  che  riconosce  allo  Stato  il  potere  di  assicurare
l'adempimento   degli   obblighi   comunitari,  con  disposizioni  di
carattere  cedevole,  applicabili  solo  nell'ipotesi in cui manchino
leggi  provinciali  (successive  o anteriori, come chiarito da questa
Corte nella sentenza n. 425 del 1999).
    Nel  caso  presente,  pero',  il  regolamento  impugnato  non  si
proclama   affatto   cedevole  di  fronte  alla  futura  legislazione
provinciale,  ne'  intende  supplire ad una mancanza di normazione di
fonte  primaria,  e,  inoltre,  non e' affatto esecutivo di una legge
statale  attuativa di direttive comunitarie, ma si pone esso medesimo
come  immediatamente  attuativo  della  direttiva  CE  28/94  del  23
giugno 1994,  sopravvenuta sia alla legge statale n. 30 del 1991, sia
al precedente regolamento esecutivo n. 172 del 1994.
    E'  dunque  da  respingere  la  tesi  dell'Avvocatura dello Stato
secondo  la  quale  nel  presente  conflitto  la  Corte  non dovrebbe
discostarsi  da  quanto  affermato  nella  citata sentenza n. 349 del
1991,  la  quale  aveva  ritenuto non illegittima la previsione di un
regolamento  esecutivo  sul  rilievo  che  questo,  per  il suo rango
secondario,  era  destinato  a  recedere  di fronte al sopravveniente
esercizio della potesta' legislativa provinciale.
    Nella fattispecie, tutto quanto appena osservato depone nel senso
della  lesione  della competenza legislativa provinciale ad opera del
decreto ministeriale impugnato.
    Viene   infatti  in  considerazione  un  regolamento  che,  lungi
dall'attenersi  al  livello  secondario  che gli e' proprio, si muove
allo  stesso livello delle fonti primarie provinciali. Inequivocabile
in  tal  senso  il  tenore dell'art. 41, il quale impone alle Regioni
(espressione   nella   quale,   ai  sensi  dell'art. 1  del  medesimo
regolamento, sono da intendersi ricomprese anche le Province autonome
di  Trento e di Bolzano) di adeguare la propria normativa al medesimo
regolamento entro sei mesi dalla sua emanazione.
    La  fonte secondaria pretende insomma di condizionare l'esercizio
di una potesta' legislativa provinciale ed e' pertanto illegittimo.
    4.  -  La  dichiarazione  di  illegittimita'  del regolamento non
toglie,  ovviamente,  che  permanga  in capo alla Provincia di Trento
l'obbligo  di  conformarsi,  nell'esercizio  della propria competenza
legislativa,  ai  precetti  posti  dal diritto comunitario al fine di
impedire  quelle  differenze normative in materia zootecnica che sono
idonee  ad  alterare  le  condizioni di mercato su base territoriale,
pregiudicandone la necessaria omogeneita'.
    5. - L'identita' della sfera di attribuzioni costituzionali della
Provincia  ricorrente  e  della  Provincia  autonoma di Bolzano rende
necessario estendere a quest'ultima gli effetti della pronuncia.