ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 32, commi 21, 22
e  23,  del  decreto-legge  30 settembre  2003,  n. 269 (Disposizioni
urgenti  per  favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento
dei conti pubblici), nel suo testo originario ed in quello risultante
dalla  legge  di conversione 24 novembre 2003, n. 326 (Conversione in
legge, conmodificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269,
recante  disposizioni  urgenti  per  favorire  lo  sviluppo  e per la
correzione   dell'andamento   dei  conti  pubblici),  e  dell'art. 2,
comma 53,  della  legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la
formazione  del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - Legge
finanziaria  2004), promossi con ricorsi della Regione Campania (reg.
ric.  n. 76  del  2003  e n. 14 del 2004), Puglia (reg. ric. n. 9 del
2004)   ed  Emilia-Romagna  (reg.  ric.  n. 13  e  n. 33  del  2004),
notificati  il  17 ottobre 2003 e il 22 gennaio 2004 (reg. ric. n. 76
del  2003  e  n. 14 del 2004), il 21 gennaio 2004 (reg. ric. n. 9 del
2004),  il 23 gennaio 2004 e il 24 febbraio 2004 (reg. ric. n. 13 del
2004  e n. 33 del 2004), depositati in cancelleria il 25 ottobre 2003
e  il 30 gennaio 2004 (reg. ric. n. 76 del 2003 e n. 14 del 2004), il
28 gennaio  2004  (reg.  ric. n. 9 del 2004), il 29 gennaio 2004 e il
4 marzo  2004 (reg. ric. n. 13 e n. 33 del 2004) ed iscritti al n. 76
del  registro  ricorsi  2003  ed  ai  nn. 9, 13, 14 e 33 del registro
ricorsi 2004.
    Visto  l'atto  di  costituzione  del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito   nell'udienza   pubblica  dell'8  giugno 2004  il  giudice
relatore Paolo Maddalena;
    Uditi  gli  avvocati  Vincenzo  Cocozza  per la Regione Campania,
Francesco Paparella per la Regione Puglia, Giandomenico Falcon per la
Regione  Emilia-Romagna e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il
Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ricorso notificato il 17 ottobre 2003 e depositato il
successivo 25 ottobre (reg. ric. n. 76 del 2003), la Regione Campania
ha  impugnato  l'art. 32  del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269
(Disposizioni  urgenti  per  favorire lo sviluppo e per la correzione
dell'andamento  dei  conti pubblici), in riferimento agli artt. 3, 9,
77,  114,  117,  118,  119  e 127 della Costituzione, oltre che per i
profili  concernenti  il  «condono  edilizio»,  anche in relazione ai
commi 21,  22  e  23, che disciplinano la rideterminazione dei canoni
d'uso  del  demanio  marittimo, senza peraltro specifiche motivazioni
sul punto.
    1.1. - Nell'atto di costituzione, il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso e comunque per
l'infondatezza dello stesso, senza comunque far cenno alla disciplina
in  materia  di  determinazione  dei  canoni  concessori  del demanio
marittimo.
    2.  -  Con  successivo  ricorso  notificato  il 22 gennaio 2004 e
depositato  il  successivo  30 gennaio (reg. ric. n. 14 del 2004), la
stessa Regione Campania ha impugnato anche la legge 24 novembre 2003,
n. 326  (Conversione  in  legge, con modificazioni, del decreto-legge
30 settembre  2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire
lo  sviluppo  e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici),
nella  parte  in  cui  ha  convertito  in  legge,  con modificazioni,
l'art. 32  del  decreto-legge  n. 269  del  2003, in riferimento agli
artt. 3, 9, 32, 77, 97, 114, 117, 118, 119 e 127 della Costituzione.
    2.1. - Nell'atto di costituzione, il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  ha  rilevato  che i commi 21, 22 e 23 del citato art. 32, pur
menzionati  nel  ricorso,  non  hanno formato oggetto di doglianza da
parte della Regione ricorrente, talche' essi rimarrebbero fuori della
materia del contendere.
    3.  -  Con  ricorso notificato il 21 gennaio 2004 e depositato il
successivo 28 gennaio (reg. ric. n. 9 del 2004), la Regione Puglia ha
impugnato  l'art. 32,  commi 21  e  22, della legge 24 novembre 2003,
n. 326   (recte:   l'art. 32,   commi 21   e  22,  del  decreto-legge
30 settembre  2003,  n. 269,  nel testo risultante dalla conversione,
con  modificazioni, operata dalla legge 24 novembre 2003, n. 326) per
violazione  degli  artt. 117 e 119 della Costituzione e del principio
di leale collaborazione.
    La  ricorrente  rileva  che  l'art. 117  della  Costituzione  non
include   il   demanio  marittimo  tra  le  materie  attribuite  alla
legislazione esclusiva dello Stato; inserisce la materia dei porti ed
aeroporti  civili,  nonche'  il  governo  del  territorio, tra quelle
disciplinate dalla legislazione concorrente; non fa menzione del lido
del  mare,  della  spiaggia, delle rade e delle lagune, che sarebbero
sottoposte alla potesta' legislativa piena delle Regioni.
    La Regione evidenzia inoltre che le funzioni amministrative sulle
aree  del  demanio  marittimo,  connesse  alla loro utilizzazione per
finalita'  turistico-recettive,  sono  state  delegate  alle  Regioni
dapprima  dall'art. 59  del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione
della  delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382) e
successivamente   dal   decreto  legislativo  31 marzo  1998,  n. 112
(Conferimento  di  funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle
regioni  ed  agli  enti  locali, in attuazione del capo I della legge
15 marzo 1997, n. 59).
    La  Regione  rileva infine che il disegno di legge costituzionale
n. 2544/XIV/Senato,  nel  modificare l'art. 117, secondo comma, della
Costituzione,  intenderebbe  ricondurre  in  modo espresso il demanio
marittimo  nell'ambito  della  competenza legislativa esclusiva dello
Stato,  il  che  farebbe pensare che, nella situazione attuale, detta
competenza non potrebbe considerarsi statale.
    Sulla  base  delle  predette  considerazioni, secondo la Regione,
nella  vigenza  dell'attuale  art. 117  della  Costituzione,  sarebbe
evidente   che  la  competenza  legislativa  in  materia  di  demanio
marittimo  rientrerebbe  nella  sfera  della  legislazione  esclusiva
regionale  o,  al  piu', della legislazione concorrente («governo del
territorio»).
    La   Regione   conclude   ritenendo   che  la  prevista  uniforme
rivalutazione  del  trecento  per cento dei canoni per le concessioni
d'uso   del  demanio  marittimo  per  finalita'  turistico-ricreative
esorbiterebbe   comunque  dall'ambito  della  competenza  legislativa
statale.  Cio'  in  quanto,  anche ad ammettere che la materia ricada
nell'ambito    della    legislazione    concorrente,    la   predetta
rivalutazione,   per   un  verso,  non  potrebbe  qualificarsi  quale
«principio  fondamentale»  e,  per  altro  verso,  non  sarebbe stata
oggetto  di  congiunta  valutazione  da  parte  dello  Stato  e delle
Regioni.
    In  conseguenza di cio', le censurate disposizioni sottrarrebbero
illegittimamente   alla   Regione  la  possibilita'  di  determinare,
attraverso    lo    strumento   legislativo,   «un'autonoma   risorsa
finanziaria,  comunque  attratta  nella sfera regionale attraverso il
dominio legislativo della materia».
    3.1. - Si e' costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
chiedendo  che  il  ricorso venga dichiarato inammissibile, in quanto
tardivo, dal momento che la Regione Puglia avrebbe dovuto impugnare i
commi 21  e  22 dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, e non
la legge di conversione n. 326 del 2003.
    Altra eccezione di inammissibilita' e' formulata per il fatto che
la  questione di legittimita' costituzionale sarebbe rimasta priva di
oggetto,  in  quanto  riferita al comma 22 dell'art. 32, che e' stato
sostituito  dall'art. 2,  comma 53,  della  legge  24 dicembre  2003,
n. 350  (Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale   dello   Stato  -  Legge  finanziaria  2004).  Ulteriore
eccezione  di  inammissibilita'  riguarda  poi  la  censura  riferita
all'art. 119 della Costituzione, per difetto di motivazione.
    Quanto  al  merito, la difesa erariale ritiene che il ricorso non
sia  fondato,  poiche', per un verso, il demanio marittimo appartiene
allo  Stato  e  a  quest'ultimo spetterebbe la competenza esclusiva a
determinare i relativi canoni, ai sensi dell'art. 117, secondo comma,
lettere e)   e   g),  della  Costituzione,  e  per  altro  verso,  le
ripercussioni   economiche  della  normativa  censurata  sul  settore
turistico  rimarrebbero  sul  terreno  del mero fatto e non sarebbero
idonee a giustificare spostamenti di competenze legislative.
    4.  - Con due ricorsi in via principale, notificati il 23 gennaio
2004  e il 24 febbraio 2004, depositati i successivi 29 gennaio (reg.
ric. n. 13 del 2004) e 4 marzo (reg. ric. n. 33 del 2004), la Regione
Emilia-Romagna  ha  impugnato  l'art. 32,  commi 21 e 22, della legge
n. 326  del  2003 (recte: l'art. 32, commi 21 e 22, del decreto-legge
n. 269   del  2003,  nel  testo  risultante  dalla  conversione,  con
modificazioni,   operata   dalla  legge  n. 326  del  2003),  nonche'
l'art. 2, comma 53, della legge n. 350 del 2003, che ha sostituito il
citato   art. 32,   comma 22,   in   riferimento  all'art. 117  della
Costituzione,  al  principio di leale collaborazione, al principio di
uguaglianza  sancito  dall'art. 3 della Costituzione, al principio di
certezza  del  diritto  e  al generale canone di ragionevolezza delle
leggi.
    In particolare, la Regione Emilia-Romagna evidenzia che l'art. 2,
comma 53,  della  legge  n. 350 del 2003, modificando il comma 22 del
citato  art. 32  del  decreto-legge  n. 269 del 2003, ha previsto che
l'aumento  dei  canoni per le concessioni d'uso del demanio marittimo
per  finalita'  turistico-ricreative  venga  stabilito con un decreto
interministeriale,  da  emanarsi  entro  il  30  giugno 2004,  il cui
obiettivo  finanziario  e' quello di assicurare «maggiori entrate non
inferiori a 140 milioni di euro, a decorrere dal 1° gennaio 2004». Lo
stesso  art. 2,  comma 53,  della  legge n. 350 del 2003 ha previsto,
poi,  che, decorso detto termine per l'emanazione del decreto, scatti
automaticamente la quadruplicazione del canone.
    La  ricorrente  non contesta il diritto dominicale dello Stato di
fissare un canone per l'utilizzo dei propri beni demaniali, bensi' la
misura,  il  metodo  e  la  forma  con  cui  l'aumento  viene deciso,
ritenendo  che  le disposizioni censurate comportino la lesione delle
proprie attribuzioni regionali in materia di turismo.
    Quanto alla misura, la Regione rileva che la quadruplicazione del
canone  relativo  a  concessioni  demaniali  marittime  per finalita'
turistico-ricreative  provocherebbe  effetti  negativi per le imprese
balneari, creerebbe una disparita' di trattamento tra i concessionari
di  beni  demaniali  e  non terrebbe conto del livello dei precedenti
canoni.  In  proposito,  la ricorrente osserva che detti canoni erano
stati  fissati  con  il  decreto  ministeriale  5 agosto 1998, n. 342
(Regolamento  recante norme per la determinazione dei canoni relativi
a      concessioni      demaniali     marittime     per     finalita'
turistico-ricreative),  per  cui,  in  considerazione  del  contenuto
andamento    dell'inflazione,    essi    non   possono   considerarsi
anacronistici  rispetto  all'attuale  realta'  economico-finanziaria;
tanto piu' che l'art. 4 (recte: 04) del decreto-legge 5 ottobre 1993,
n. 400  (Disposizioni  per  la  determinazione  dei canoni relativi a
concessioni  demaniali  marittime),  convertito,  con  modificazioni,
nella  legge  4 dicembre  1993,  n. 494,  prevede che «i canoni annui
relativi   alle   concessioni  demaniali  marittime  sono  aggiornati
annualmente,  con decreto del Ministro della marina mercantile, sulla
base della media degli indici determinati dall'ISTAT».
    Secondo   la   prospettazione   regionale,  il  predetto  aumento
violerebbe  i  criteri  di  ragionevolezza, congruita' e giustizia, e
contrasterebbe   con   la  ratio  dell'art. 1,  comma 2,  del  citato
decreto-legge  n. 400  del  1993,  il  cui  fine  sarebbe  quello  di
incentivare   gli  investimenti  nelle  aree  demaniali  a  vocazione
turistica.
    La   disciplina   denunciata  comprometterebbe  poi  l'azione  di
promozione,  di  programmazione  e  di  sviluppo in materia turistica
esercitata    dalla   Regione   stessa   e   renderebbe   impossibile
l'aggiornamento   dei   diritti  di  imposta  regionali,  attualmente
disciplinati dalla legge della Regione Emilia-Romagna 31 maggio 2002,
n. 9  (Disciplina  dell'esercizio  delle  funzioni  amministrative in
materia  di demanio marittimo e di zone di mare territoriale), il cui
fine  e'  quello  di finanziare le funzioni amministrative in materia
turistica in larga parte delegate agli enti locali.
    Quanto al metodo, la Regione lamenta che la disciplina denunciata
non  sancirebbe  l'obbligo  di sentire la Conferenza permanente per i
rapporti  fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e
Bolzano.
    Quanto  alla  forma, la Regione pone infine in evidenza la scarsa
chiarezza della formulazione dei due commi denunciati.
    4.1. - Si e' costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
chiedendo  che  i  ricorsi vengano dichiarati inammissibili, il primo
(reg. ric. n. 13 del 2004) per tardivita', perche' rivolto avverso la
legge  di  conversione  e non avverso il decreto-legge, ed entrambi i
ricorsi   perche'   conterrebbero   considerazioni  di  «merito»  non
rilevanti  nel  giudizio  di costituzionalita'. Nel merito, la difesa
erariale  ritiene che i ricorsi non siano fondati, perche' il demanio
marittimo appartiene allo Stato e a quest'ultimo spetta la competenza
esclusiva  a  fissare i relativi canoni di concessione. Determinante,
d'altra  parte,  sarebbe  la  circostanza  che  spetta  allo Stato la
competenza  in  materia di sistema tributario e contabile, nonche' in
materia  di  ordinamento  e  organizzazione  amministrativa, ai sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettere e) e g), della Costituzione.
    L'Avvocatura  generale  dello  Stato  conclude  ritenendo  che il
criterio  della  leale  cooperazione tra Stato e Regioni non potrebbe
comunque  comportare  «surrettizie  spoliazioni» a carico del demanio
statale, ne' pregiudicare la «governabilita» del sistema.
    5.  -  Nell'imminenza  dell'udienza  le  parti  hanno  presentato
memorie difensive.
    5.1.  -  La  Regione  Puglia,  in  relazione alle controdeduzioni
formulate   dall'Avvocatura   generale   dello   Stato  nell'atto  di
costituzione,  sostiene  che  l'eccezione  di  tardivita' del ricorso
sollevata dalla difesa erariale non potrebbe essere accolta.
    Dovrebbe,   infatti,   ritenersi,   secondo   quanto  afferma  la
giurisprudenza   costituzionale,  che,  nonostante  il  deposito  del
ricorso   oltre   il   termine   dalla   data  di  pubblicazione  del
decreto-legge,  le  censure apportate a quest'ultimo si trasferiscano
alle corrispondenti disposizioni della legge di conversione.
    La  Regione  ritiene  inoltre  che  la sostituzione dell'art. 32,
comma 22,  del  decreto-legge n. 269 del 2003 con l'art. 2, comma 53,
della  legge  n. 350  del  2003 non determini la inammissibilita' del
ricorso, trattandosi di sostituzione meramente formale.
    Nel  merito, la ricorrente, pur ammettendo che i beni del demanio
marittimo,  per  espressa disposizione di legge (art. 822 cod. civ.),
sono  beni  di  proprieta' statale, rivendica comunque la facolta' di
concedere  in uso detti beni e di determinare l'entita' del canone di
concessione,  essendo  essa titolare tanto di funzioni amministrative
in  materia (art. 59 del d.P.R. n. 616 del 1977 e art. 105 del d.lgs.
n. 112  del  1998),  quanto  di  funzioni legislative, riservate alla
competenza residuale regionale ovvero a quella concorrente.
    La  Regione  Puglia  sottolinea  poi  che la norma impugnata, nel
riservare  allo Stato l'imposizione e la determinazione del canone di
concessione  per  i  beni  del  demanio  marittimo,  risulterebbe  in
contrasto  con  l'art. 119 della Costituzione, perche' sarebbe lesiva
del  principio  di  autonomia  di  entrata  e  di  spesa  degli  enti
territoriali   ed   impedirebbe   la   stessa  copertura  finanziaria
concernente  l'esercizio  delle  funzioni  amministrative  esercitate
dalla Regione per delega statale.
    5.2.   -  La  difesa  erariale,  nel  confermare  le  conclusioni
rappresentate  nell'atto  di  costituzione,  pone in evidenza, per un
verso,  che  la  competenza  statale in materia troverebbe fondamento
nell'art. 117,  secondo  comma,  lettera l)  («ordinamento civile») e
lettera s)   («tutela   dell'ambiente»  e  «dell'ecosistema»),  della
Costituzione  e,  per  altro  verso,  che non potrebbe sottrarsi allo
Stato la potesta' di far leva sul reddito dei propri beni demaniali e
patrimoniali per manovre di finanza pubblica e di bilancio.
    L'Avvocatura  generale dello Stato rileva infine che le impugnate
disposizioni  sarebbero  state  rese  necessarie proprio dall'inerzia
delle  Regioni  nell'applicazione della normativa previgente; talche'
non  sarebbe  fondata la censura concernente la lesione del principio
di  leale  collaborazione,  atteso che detto principio presupporrebbe
invece  una sinergia attiva tra Stato e Regioni, che nella specie non
si sarebbe realizzata.
    5.3.   -  La  Regione  Emilia-Romagna,  in  replica  all'atto  di
costituzione  dell'Avvocatura  generale dello Stato, ritiene, come la
Regione   Puglia,  non  accoglibile  l'eccezione  di  tardivita'  del
ricorso,  perche'  rivolto  nei  confronti della legge di conversione
n. 326 del 2003 e non invece del decreto-legge n. 269 del 2003.
    Nel  merito,  la  ricorrente  conferma le censure gia' svolte nei
ricorsi.
    5.4.  - Per parte sua l'Avvocatura generale dello Stato ribadisce
le proprie conclusioni di inammissibilita' ovvero di infondatezza dei
ricorsi.
    A  questo  ultimo  riguardo,  la difesa erariale pone in risalto,
quanto  alla misura, l'irrisorio livello dei canoni fin qui praticati
a   fronte   della  elevata  redditivita'  delle  aree  demaniali  in
concessione,  facendo presente che il fondamento giuridico dei canoni
e' dominicale e non tributario.
    Quanto   al   metodo,   la   difesa   erariale  sostiene  che  la
partecipazione  regionale  in  via  amministrativa al procedimento di
determinazione  dei  canoni  e'  stata  sin qui prevista dalla stessa
legislazione statale, sicche' non sarebbe configurabile, al riguardo,
un   «diritto   quesito»   delle  Regioni  a  conservare  momenti  di
partecipazione all'esercizio di funzioni statali.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Con  ricorso notificato il 17 ottobre 2003 e depositato il
successivo 25 ottobre (reg. ric. n. 76 del 2003), la Regione Campania
ha  impugnato  l'art. 32  del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269
(Disposizioni  urgenti  per  favorire lo sviluppo e per la correzione
dell'andamento  dei  conti pubblici), in riferimento agli artt. 3, 9,
77,  114,  117,  118,  119  e 127 della Costituzione, oltre che per i
profili  concernenti  il  «condono  edilizio»,  anche in relazione ai
commi 21,  22  e  23, che disciplinano la rideterminazione dei canoni
d'uso  del  demanio  marittimo, senza peraltro specifiche motivazioni
sul punto.
    1.1.  -  Con  successivo  ricorso notificato il 22 gennaio 2004 e
depositato  il  30 gennaio 2004 (reg. ric. n. 14 del 2004), la stessa
Regione Campania ha impugnato anche la legge 24 novembre 2003, n. 326
(Conversione   in   legge,   con   modificazioni,  del  decreto-legge
30 settembre  2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire
lo  sviluppo  e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici),
nella  parte  in  cui  ha  convertito  in  legge,  con modificazioni,
l'art. 32  del  decreto-legge  n. 269  del  2003, in riferimento agli
artt. 3, 9, 32, 77, 97, 114, 117, 118, 119 e 127 della Costituzione.
    1.2.  - Con ricorso notificato il 21 gennaio 2004 e depositato il
successivo 28 gennaio (reg. ric. n. 9 del 2004), la Regione Puglia ha
impugnato  l'art. 32,  commi 21  e  22,  della  legge n. 326 del 2003
(recte:  l'art. 32, commi 21 e 22, del decreto-legge n. 269 del 2003,
nel  testo  risultante  dalla conversione, con modificazioni, operata
dalla  legge  n. 326  del  2003), in riferimento agli artt. 117 e 119
della  Costituzione, nonche' al principio di leale collaborazione, in
quanto  la  materia  da esso disciplinata rientrerebbe nella potesta'
legislativa residuale della Regione (materia del «turismo»).
    La   ricorrente,  peraltro,  ritiene  che,  anche  qualora  dette
disposizioni  rientrassero nell'ambito della legislazione concorrente
(«governo  del  territorio»),  non  di  meno  sarebbero  lesive della
propria  competenza,  in quanto stabiliscono norme di dettaglio e non
«principi fondamentali» della materia.
    Inoltre,  la  ricorrente  rileva  che la disciplina censurata non
sarebbe frutto di un'intesa tra Stato e Regione.
    In  conclusione,  secondo la Regione Puglia, la normativa statale
impugnata   sottrarrebbe  illegittimamente  alla  Regione  stessa  la
possibilita'  di  determinare,  attraverso  lo strumento legislativo,
«un'autonoma  risorsa  finanziaria,  comunque  attratta  nella  sfera
regionale attraverso il dominio legislativo della materia».
    1.3.  -  La  Regione  Emilia-Romagna,  con  due  ricorsi  in  via
principale,  di  analogo  tenore,  notificati il 23 gennaio 2004 e il
24 febbraio 2004, depositati i successivi 29 gennaio (reg. ric. n. 13
del  2004)  e  4 marzo  (reg.  ric.  n. 33  del  2004),  ha impugnato
l'art. 32,  commi 21  e  22,  della  legge  n. 326  del  2003 (recte:
l'art. 32,  commi 21  e  22,  del  decreto-legge n. 269 del 2003, nel
testo  risultante dalla conversione, con modificazioni, operata dalla
legge  n. 326  del  2003),  nonche'  l'art. 2,  comma 53, della legge
24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale  e  pluriennale dello Stato - Legge finanziaria 2004), che ha
sostituito  l'art. 32,  comma 22, del citato decreto-legge n. 269 del
2003,   sostenendo   che   la   predetta   normativa  sarebbe  lesiva
dell'art. 117   della   Costituzione  (materia  del  «turismo»),  del
principio  di  leale  collaborazione,  del  principio  di uguaglianza
sancito dall'art. 3 della Costituzione, del principio di certezza del
diritto, nonche' del generale canone di ragionevolezza delle leggi.
    La  Regione ricorrente pone in evidenza che l'esorbitante aumento
del  canone  di  concessione  (quadruplicazione del canone stesso) di
beni   del   demanio  marittimo  per  finalita'  turistico-ricreative
determinerebbe un'ingiustificata discriminazione tra gli imprenditori
turistici  e le altre categorie di imprenditori che hanno in uso beni
demaniali  per  finalita'  non  turistiche,  comprimerebbe le risorse
degli  imprenditori  turistici,  impedendo  loro di intraprendere gli
investimenti  necessari  per  restare  competitivi e comprometterebbe
l'azione  di  promozione,  di programmazione e di sviluppo in materia
turistica propria della Regione, rendendo impossibile l'aggiornamento
dei  propri  diritti di imposta, attualmente disciplinati dalla legge
della   Regione   Emilia-Romagna 31 maggio   2002,  n. 9  (Disciplina
dell'esercizio  delle  funzioni  amministrative in materia di demanio
marittimo e di zone di mare territoriale), attraverso i quali vengono
finanziate  le funzioni amministrative in materia turistica, in larga
parte delegate agli enti locali.
    Infine,  il  censurato  aumento del canone sarebbe stato previsto
senza sottoporlo all'esame della Conferenza permanente per i rapporti
fra  lo  Stato,  le  Regioni  e  le  Province autonome di Trento e di
Bolzano.
    2.  -  Data la sostanziale identita' delle censure prospettate, i
cinque   ricorsi   possono   essere   riuniti   per  essere  trattati
congiuntamente e decisi con unica sentenza.
    3.  - Prima di esaminare le eccezioni avanzate in via preliminare
dalla difesa erariale, vanno dichiarati inammissibili i ricorsi della
Regione  Campania, in quanto il richiamo dei parametri costituzionali
non e' accompagnato da alcuna motivazione.
    3.1  -  Quanto  al  ricorso della Regione Puglia, occorre inoltre
rilevare  che  non  c'e'  piena corrispondenza tra detto ricorso e la
delibera di impugnazione adottata dalla Giunta regionale.
    Infatti,  mentre  il ricorso impugna i commi 21 e 22 dell'art. 32
del  decreto-legge  n. 269 del 2003, nel testo risultante dalla legge
di  conversione  n. 326  del  2003,  la deliberazione della Giunta fa
riferimento all'art. 2, comma 53, della legge n. 350 del 2003, con il
quale  e' stato sostituito il comma 22 dell'art. 32 del decreto-legge
n. 269 del 2003, convertito nella legge n. 326 del 2003.
    Da  cio' consegue che la deliberazione della Giunta della Regione
Puglia  non  e' idonea a fondare il ricorso regionale con riferimento
al comma 21 del citato art. 32, in quanto in essa non menzionato.
    Deve   invece   rilevarsi  che  rientra  nella  previsione  della
deliberazione  della  Giunta  regionale  l'impugnazione  del comma 22
dello  stesso  articolo 32,  poiche'  l'art. 2, comma 53, della legge
n. 350  del  2003 riproduce esattamente il predetto comma 22, talche'
l'impugnazione  di  quest'ultimo  puo'  senz'altro ritenersi sorretta
dalla deliberazione di Giunta in questione.
    3.2.  -  Quanto  alle  eccezioni sollevate in via preliminare, va
osservato quanto segue.
    3.3.  - Deve anzitutto essere disattesa l'eccezione di tardivita'
del  ricorso, sollevata dalla difesa erariale, nel presupposto che la
Regione Puglia avrebbe dovuto impugnare l'art. 32, commi 21 e 22, del
decreto-legge  n. 269  del  2003 e non la legge di conversione n. 326
del 2003.
    Al  riguardo,  deve  essere  ricordato  che  secondo  il costante
indirizzo di questa Corte (sentenza n. 25 del 1996) non e' tardivo il
ricorso  proposto in termini contro la legge di conversione, la quale
riproduca la disciplina del decreto-legge.
    3.4.    -    Va   parimenti   disattesa   l'eccezione,   avanzata
dall'Avvocatura   generale  dello  Stato,  di  mancanza  di  oggetto,
riferita alla questione proposta dalla Regione Puglia in relazione al
comma 22.
    Infatti,  se  e'  vero che l'art. 2, comma 53, della legge n. 350
del  2003  ha  sostituito  la  disposizione censurata nel ricorso, e'
altrettanto  vero  che ne ha sostanzialmente riprodotto il contenuto,
sicche',  in  forza  del principio di effettivita' della tutela delle
parti  nei  giudizi  in  via  d'azione,  la  questione deve ritenersi
trasferita  sulla  nuova  norma  (sentenze n. 533 del 2002, n. 63 del
2000 e ordinanza n. 137 del 2004).
    3.5.    -    Merita    invece    accoglimento    l'eccezione   di
inammissibilita',  mossa  dalla  difesa  erariale  relativamente alla
questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata  dalla Regione
Puglia,  in  riferimento  all'art. 119  della Costituzione, avente ad
oggetto  l'art. 32, commi 21 e 22, del decreto-legge n. 269 del 2003,
nel testo risultante dalla legge di conversione n. 326 del 2003.
    In  effetti, in ordine alle censure di costituzionalita' riferite
all'art. 119  della  Costituzione,  il  ricorso  difetta di qualsiasi
sostegno argomentativo.
    Ne'  puo'  ritenersi  che  tale  vizio  possa essere sanato dalla
memoria    presentata    nell'imminenza   dell'udienza,   la   quale,
diversamente dal ricorso, si sofferma nel motivare il lamentato vizio
di legittimita' costituzionale.
    Infatti,  come  precisato  dalla  giurisprudenza  di questa Corte
(sentenza  n. 384  del  1999),  il ricorso non solo deve identificare
esattamente   la   questione   nei   suoi   termini   normativi,  ma,
parallelamente   a  quanto  l'art. 23,  secondo  comma,  della  legge
11 marzo  1953,  n. 87  (Norme sulla costituzione e sul funzionamento
della  Corte  costituzionale)  richiede per l'atto introduttivo delle
questioni  incidentali,  esso  deve  altresi'  contenere  una  seppur
sintetica  argomentazione  di  merito,  a  sostegno  della  richiesta
declaratoria d'incostituzionalita' della legge.
    3.6.  -  L'Avvocatura  generale  dello  Stato eccepisce infine la
tardivita' dell'impugnazione per quanto riguarda il primo dei ricorsi
della Regione Emilia-Romagna (reg. ric. n. 13 del 2004), in quanto la
ricorrente  avrebbe  dovuto  impugnare  l'art. 32, commi 21 e 22, del
decreto-legge  n. 269  del  2003 e non la legge di conversione n. 326
del  2003.  In  proposito  va  ripetuto quanto gia' detto riguardo al
ricorso  della  Regione  Puglia,  e  cioe'  che non puo' considerarsi
tardivo  il ricorso proposto contro la legge di conversione, la quale
riproduca il contenuto del decreto-legge.
    3.7.  -  Sono  poi  da esaminare alcune questioni di legittimita'
costituzionale avanzate dalla Regione Emilia-Romagna.
    3.8.  -  Innanzitutto,  va  dichiarata  la inammissibilita' della
censura  riferita  all'art. 3 della Costituzione per l'ingiustificata
discriminazione  tra  gli imprenditori che usano i beni demaniali per
finalita' turistiche e quelli che usano gli stessi beni demaniali per
altre finalita' (art. 32, commi 21 e 22, del decreto-legge n. 269 del
2003,  nel  testo  risultante  dalla  legge di conversione n. 326 del
2003).
    E'  infatti  evidente  che,  in  considerazione  del tenore della
predetta  censura,  incentrata  esclusivamente  sulla  disparita'  di
trattamento   che   deriverebbe   dalle   norme   impugnate  per  gli
imprenditori  turistici  rispetto  agli  altri  imprenditori, difetta
l'interesse  della  Regione,  in  quanto tale violazione non comporta
un'incisione,  diretta o indiretta, delle competenze attribuite dalla
Costituzione  alla  Regione  stessa  (cfr.  sentenze  n. 4 del 2004 e
n. 337 del 2001).
    3.9.  - Parimenti inammissibile e' la censura di irragionevolezza
(art. 3  della Costituzione) della norma che prevede l'elevazione del
trecento  per  cento  dei canoni delle concessioni d'uso dei beni del
demanio  marittimo,  senza  tener  conto del diverso valore turistico
delle varie aree.
    Infatti,  a  parte la considerazione che le norme, come si vedra'
in  seguito,  tengono  conto del diverso valore turistico delle aree,
anche in questo caso non sono in gioco le attribuzioni costituzionali
della  Regione  Emilia-Romagna, bensi', unicamente, gli interessi dei
concessionari.
    3.10.  - Va poi esaminata la prospettazione riferita all'art. 117
della  Costituzione.  Ad avviso della ricorrente, la rideterminazione
del   canone   comporterebbe   pregiudizio  all'azione  regionale  di
programmazione   e   di   sviluppo  in  materia  turistica,  rendendo
impossibile  l'aggiornamento  dei  diritti  d'imposta regionali sulle
concessioni  statali  dei  beni  del demanio, in quanto l'esorbitante
aumento  del  canone  di  concessione  comprimerebbe le risorse degli
imprenditori turistici.
    La  questione  e'  inammissibile, poiche' si tratta di censura di
mero fatto e non riguarda una presunta lesivita' della norma.
    3.11.  -  Va infine dichiarata inammissibile la censura di scarsa
chiarezza  della  normativa  impugnata,  in  quanto la difficolta' di
interpretazione del testo normativo nella specie non sussiste.
    4.  -  Restano  la  questione  sollevata  dalla Regione Puglia in
ordine   al   potere  dello  Stato  di  determinare  i  canoni  delle
concessioni  d'uso dei beni demaniali e la questione, sollevata dalla
Regione  Puglia  e dalla Regione Emilia-Romagna, in ordine al mancato
rispetto del principio della leale collaborazione.
    Prima  di  trattare il merito di tali questioni, e' opportuno far
cenno  alla disciplina che regola la materia, e cioe' ai commi 21, 22
e 23 dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito nella
legge n. 326 del 2003.
    Il   comma 21   prevede  che  «con  decreto  del  Ministro  delle
infrastrutture   e   dei  trasporti,  di  concerto  con  il  Ministro
dell'economia  e  delle  finanze,  da  adottare entro sessanta giorni
dalla   data   di  entrata  in  vigore  del  presente  decreto,  sono
rideterminati  i canoni annui di cui all'articolo 3 del decreto-legge
5 ottobre  1993,  n. 400,  convertito, con modificazioni, dalla legge
4 dicembre 1993, n. 494».
    L'articolo 3,  al  comma 1,  si  occupa dei canoni di concessioni
demaniali  per  finalita'  turistico-ricreative,  precisando  che  il
decreto  ministeriale  (ora  interministeriale) che li determina deve
essere  emanato  «sentita la Conferenza permanente per i rapporti fra
lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano».
    Il   successivo   comma 22   del  medesimo  art. 32,  cosi'  come
modificato  dall'art. 2,  comma 53,  della  legge  n. 350  del  2003,
dispone,   relativamente   a  dette  concessioni,  che  «con  decreto
interministeriale,   da   emanare   entro   il  30 giugno 2004,  sono
assicurate  maggiori  entrate  non inferiori a 140 milioni di euro, a
decorrere dal 1° gennaio 2004».
    In caso di mancata adozione del decreto entro il predetto termine
del   30  giugno 2004,  «i  canoni  per  la  concessione  d'uso  sono
rideterminati,   con  effetto  dal  1° gennaio  2004»,  nella  misura
prevista  dalle  tabelle  allegate  al  decreto ministeriale 5 agosto
1998,  n. 342  (Regolamento recante norme per la rideterminazione dei
canoni  relativi  a  concessioni  demaniali  marittime  per finalita'
turistico-ricreative), «rivalutate del trecento per cento».
    Tali tabelle tengono conto dei criteri di classificazione in base
alla  diversa  valenza  turistica delle aree, stabiliti con lo stesso
decreto ministeriale 5 agosto 1998, n. 342.
    Strettamente  connesso  con il predetto comma 22 e' il successivo
comma 23  dello  stesso art. 32, secondo il quale «resta fermo quanto
previsto  dall'articolo 6  del  citato decreto del Ministro di cui al
comma 22,  relativo  alla  classificazione  delle aree da parte delle
regioni, in base alla valenza turistica delle stesse». Il riferimento
all'art. 6  del  decreto  ministeriale 5 agosto 1998, n. 342, pone in
evidenza  il  ruolo  che  e'  stato  riservato  alle  Regioni  per la
classificazione  delle  aree secondo la loro valenza turistica. Detto
art. 6  precisa  infatti  che  «le  regioni  individuano  le aree del
proprio  territorio  da  classificare  nelle  categorie  A,  B  e  C,
effettuati  gli  accertamenti  (...) dei requisiti di alta, normale e
minore valenza turistica».
    Vengono  cosi'  previste  due diverse modalita' di determinazione
dei    canoni,    l'una    aperta   alla   partecipazione   regionale
(classificazione  delle  aree  da  parte  delle Regioni ed obbligo di
sentire    la    Conferenza    Stato-Regioni),    l'altra   connotata
dall'unilateralita' della determinazione per legge.
    5. - Le questioni non sono fondate.
    5.1.  -  Per  quanto  riguarda la questione concernente il potere
dello  Stato  di  determinare il canone, e' da dire che questo potere
non e' contestato dalla Regione Emilia-Romagna, secondo la quale puo'
ben  riconoscersi  allo  Stato  «il  diritto dominicale di fissare un
canone  per  l'utilizzo  dei  suoi  beni  demaniali»;  esso e' invece
disconosciuto  dalla  Regione  Puglia,  la quale rivendica a se' tale
diritto,  sostenendo  che  le  e' stata sottratta «la possibilita' di
operare,  in  via  legislativa,  sulla  determinazione di un'autonoma
risorsa   finanziaria,   comunque   attratta  nella  sfera  regionale
attraverso il dominio legislativo della materia».
    E'    evidente   l'errore   di   prospettiva   di   tale   ultima
interpretazione, che confonde la proprieta' del bene con il potere di
disciplinare l'uso del bene stesso.
    Infatti, essendo lo Stato ente proprietario dei beni demaniali in
questione,  non  e'  dubbio  che  a  questo spetti la fissazione e la
riscossione dei relativi canoni.
    A  conferma  di cio' e' da ricordare peraltro che questa Corte, a
proposito della spettanza della potesta' di imposizione e riscossione
del  canone  per  la  concessione  di  aree del demanio marittimo, ha
sancito  che  determinante e' la titolarita' del bene e non invece la
titolarita'  di  funzioni legislative e amministrative intestate alle
Regioni  in ordine all'utilizzazione dei beni stessi (sentenze n. 150
del 2003, n. 343 del 1995 e n. 326 del 1989).
    5.2. - Anche la questione proposta, sia dalla Regione Puglia, sia
dalla Regione Emilia-Romagna, circa il mancato rispetto del principio
della leale collaborazione non merita accoglimento.
    Infatti,  come  sopra chiarito, il procedimento di determinazione
dei  canoni  d'uso  per  le concessioni dei beni in questione prevede
espressamente il coinvolgimento diretto delle Regioni, le quali, come
si  e'  ripetuto,  sono  chiamate  a classificare le aree del demanio
marittimo  in  ragione della diversa valenza turistica delle stesse e
debbono  essere  sentite  attraverso  lo  strumento  della Conferenza
Stato-Regioni,  mentre, d'altro canto, la legge fissa unilateralmente
l'ammontare  dei  canoni  solo  per  il  caso di mancata adozione del
decreto interministeriale.