ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 4, undicesimo
comma,  della  legge  27 dicembre  1956,  n. 1423, recante «Misure di
prevenzione  nei  confronti delle persone pericolose per la sicurezza
[e   per   la   pubblica  moralita]»,  promosso,  nell'ambito  di  un
procedimento  di prevenzione, dalla Corte di cassazione con ordinanza
del  26 novembre 2003, iscritta al n. 158 del registro ordinanze 2004
e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 12, 1ª
serie speciale, dell'anno 2004.
    Visti l'atto di costituzione della persona sottoposta a misura di
prevenzione  nel  giudizio  a  quo,  nonche' l'atto di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  22  giugno 2004  il  giudice
relatore Guido Neppi Modona;
    Uditi  l'avvocato Carlo Federico Grosso per la parte costituita e
l'avvocato   dello  Stato  Giovanni  Lancia  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  La  Corte  di cassazione ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3   e   24   della   Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 4, undicesimo comma, della legge 27 dicembre
1956,  n. 1423,  recante  «Misure  di prevenzione nei confronti delle
persone  pericolose  per  la sicurezza [e per la pubblica moralita]»,
«nella  parte  in  cui,  limitando  alla  sola violazione di legge il
ricorso  contro il decreto della Corte d'appello in materia di misure
di  prevenzione, esclude la ricorribilita' in cassazione per vizio di
illogicita'  manifesta  della  motivazione,  ai  sensi dell'art. 606,
comma 1, lettera e), del codice di procedura penale».
    2. - Il collegio rimettente espone in fatto che:
        il  Tribunale  di Palermo aveva disposto l'applicazione della
misura   di  prevenzione  della  sorveglianza  speciale  di  pubblica
sicurezza  per  la durata di quattro anni e respinto la richiesta del
pubblico  ministero  volta  ad  ottenere la confisca di beni mobili e
immobili del prevenuto;
        su  impugnazione  del  pubblico  ministero  e  della  persona
sottoposta   alla   misura,  la  Corte  d'appello  di  Palermo  aveva
confermato  l'applicazione  della  misura  di prevenzione personale e
disposto  il sequestro e la confisca delle azioni di una societa'; in
particolare,   la   Corte   d'appello  aveva  ritenuto  accertata  la
pericolosita'  sociale  sulla base di una sentenza di primo grado con
la quale il medesimo soggetto era stato condannato alla pena di dieci
anni  di reclusione per il delitto di cui all'art. 416-bis del codice
penale,  osservando che tale decisione, pur non essendo irrevocabile,
conteneva   precisi  e  puntuali  elementi  di  prova,  tra  i  quali
dichiarazioni  accusatorie  di  collaboratori di giustizia, rilevanti
nel  procedimento  di prevenzione a dimostrazione della pericolosita'
qualificata   del  soggetto,  nella  sua  qualita'  di  indiziato  di
appartenere  all'associazione  di  stampo  mafioso  denominata  «Cosa
Nostra»;
        il difensore aveva proposto ricorso per cassazione chiedendo,
tra  l'altro,  l'annullamento  del  decreto della Corte d'appello per
violazione  dell'art. 606,  comma 1,  lettera b),  cod.  proc.  pen.,
deducendo  in  particolare che il giudice della prevenzione non aveva
«valutato  criticamente  gli elementi di prova acquisiti nel processo
penale»;
        il  Procuratore  generale presso la Corte di cassazione aveva
chiesto il «rigetto del ricorso», sul presupposto che il sindacato di
legittimita'  sui provvedimenti in materia di prevenzione e' limitato
al  solo  vizio  di violazione di legge e non si estende al controllo
sull'adeguatezza  e  sulla  coerenza  logica dell'iter giustificativo
della decisione.
    3.  -  La  Corte  rimettente  osserva che, benche' nei motivi del
ricorso  e  nei  motivi  aggiunti  la  difesa  non  abbia  mai  fatto
riferimento  al  vizio  di manifesta illogicita' della motivazione di
cui  all'art. 606,  comma 1,  lettera e), cod. proc. pen., la maggior
parte  delle  censure mosse contro il provvedimento impugnato attiene
«alla  congruenza  logica del discorso giustificativo della decisione
impugnata»  e all'«adeguatezza logica» del ragionamento seguito dalla
Corte d'appello «nella valutazione degli indizi tratti dalle chiamate
di  correo acquisite nel processo penale, nell'accertamento del luogo
in  cui  si  e'  manifestata  la pericolosita' sociale [della persona
sottoposta  alla  misura]  e  dell'attualita'  della  stessa, nonche'
nell'apprezzamento  delle  risultanze probatorie riguardanti le fonti
di reddito».
    Tuttavia  in  base  all'art. 4,  undicesimo  comma,  della  legge
n. 1423  del 1956 il ricorso per cassazione avverso il decreto con il
quale  la  Corte  d'appello  decide  sulle  misure  di prevenzione e'
ammesso solo «per violazione di legge»; pertanto la Corte ritiene che
per  decidere  sull'ammissibilita'  del  ricorso  sia preliminarmente
necessario  verificare  se  il  vizio  di illogicita' manifesta della
motivazione possa considerarsi compreso nella violazione di legge.
    Al  riguardo, la Corte rileva che, con riferimento alle misure di
prevenzione,  la  giurisprudenza  di  legittimita'  ha  ripetutamente
affermato  che  non  e'  deducibile il vizio di manifesta illogicita'
della  motivazione,  ma  solo  quello  di  mancanza  di  motivazione,
qualificabile  come violazione dell'obbligo di provvedere con decreto
motivato  imposto  al giudice di appello dal decimo comma dell'art. 4
menzionato.  Alla  mancanza  di  motivazione  e'  peraltro equiparata
l'ipotesi in cui la motivazione risulti del tutto priva dei requisiti
minimi  di  coerenza,  di  completezza  e  di  logicita', al punto da
risultare meramente apparente, o sia assolutamente inidonea a rendere
comprensibile  l'itinerario  logico  seguito  dal  giudice secondo un
principio  affermato  dalla giurisprudenza di legittimita' in tutti i
casi  nei  quali  il  ricorso  per cassazione e' limitato al vizio di
violazione di legge.
    Il   collegio   precisa   di  non  ignorare  che  nella  dottrina
processualpenalistica  prevale  l'opinione  favorevole  a  inquadrare
nella  violazione  di  legge  tutti  i  vizi  della  motivazione, ivi
compresa    l'illogicita'    manifesta,    ma    ritiene   che   tale
interpretazione,   oltre   a   non   essere  sorretta  da  «argomenti
convincenti e adeguatamente sviluppati», sia contraddetta da elementi
di   «inequivoca  valenza  logica  e  sistematica,  desumibili  dalla
peculiare  configurazione  che  i vizi logici della motivazione hanno
ricevuto nel codice del 1988».
    4. - Nel sollevare la questione di legittimita' costituzionale la
Corte  di  cassazione  muove  dalla  premessa  che il procedimento di
prevenzione,  pur  mantenendo  le  proprie peculiari connotazioni, e'
ormai  «pervenuto  ad  una  compiuta giurisdizionalizzazione e ad una
piena  assimilazione  al  processo  ordinario  di cognizione, essendo
caratterizzato, al pari di quest'ultimo, dai principi coessenziali al
giusto  processo,  identificati  dal  novellato  art. 111 Cost. nella
presenza di un giudice terzo e imparziale e nel contraddittorio delle
parti in posizione di parita».
    Proprio perche' comporta una rilevante limitazione della liberta'
personale,   «la   potesta'  di  prevenzione»  non  puo'  prescindere
dall'osservanza  delle  garanzie  che  sono  proprie del processo; di
riflesso, per quanto concerne le impugnazioni, deve essere assicurato
il  «controllo  effettivo  e  reale  delle decisioni limitative della
liberta' personale».
    Sotto  questo  profilo sarebbe evidente il contrasto dell'art. 4,
undicesimo  comma,  della  legge n. 1423 del 1956 con il principio di
ragionevolezza,  in  quanto  la  disciplina censurata, escludendo dal
novero  dei  vizi  deducibili con il ricorso per cassazione quello di
manifesta  illogicita'  della  motivazione, comporta una «contrazione
del  livello  di  effettivita'  della  tutela apprestata dall'art. 13
Cost. alla liberta' della persona».
    L'inadeguatezza della tutela sarebbe avvalorata dal confronto con
la  disciplina  del  codice  di rito del 1930, che secondo dottrina e
giurisprudenza consentiva in materia di prevenzione di fare rientrare
i  vizi logici della motivazione tra i motivi oggetto del ricorso per
cassazione;  il  nuovo  codice,  in  contrasto  con  il  processo  di
progressiva  giurisdizionalizzazione del procedimento di prevenzione,
avrebbe  quindi segnato un arretramento del livello di tutela offerto
dal    ricorso    per   cassazione,   determinando   una   sorta   di
«irragionevolezza sopravvenuta» della disciplina in esame.
    La disciplina censurata sarebbe inoltre irragionevolmente diversa
da  quella  dettata  per l'impugnazione dei provvedimenti applicativi
delle  misure di sicurezza: nel nuovo codice infatti, a differenza di
quello  previgente  (nel  quale  le  due «materie» erano sotto questo
aspetto  equiparate),  il  ricorso  per  cassazione  per le misure di
sicurezza  e' esteso all'illogicita' manifesta della motivazione alla
stregua  degli artt. 666 e 678 cod. proc. pen., ed e' escluso invece,
senza  alcuna  ragionevole  giustificazione,  in  tema  di  misure di
prevenzione.  La  disparita'  di  trattamento  emergerebbe  anche dal
confronto  fra  la  disciplina dettata per le misure di prevenzione e
quella  predisposta  per le misure, anch'esse comunemente qualificate
come  di  prevenzione,  previste  dall'art. 6 della legge 13 dicembre
1989,  n. 401,  in  relazione  a condotte violente poste in essere in
occasione  di  manifestazioni  sportive:  il  ricorso  per cassazione
avverso  l'ordinanza  di  convalida  dei provvedimenti applicativi di
tali  misure  e' infatti consentit o senza limiti, e quindi anche per
illogicita' manifesta della motivazione del provvedimento impugnato.
    5.  - Si e' costituita in giudizio la persona sottoposta a misura
di prevenzione, ricorrente nel procedimento a quo, facendo proprie le
argomentazioni  poste  a  fondamento  della questione di legittimita'
costituzionale dalla Corte rimettente.
    In  particolare  la  difesa  rileva  che,  ove il procedimento di
prevenzione  non  fosse  soggetto  ad  un trattamento processualmente
assimilabile  all'ordinario  processo di cognizione, ci si troverebbe
«di   fronte   ad  un  bene  giuridico  (consistente  nella  liberta'
personale,  nella  garanzia del diritto di difesa, nella garanzia del
giusto  processo) che sarebbe tutelato ovvero compresso a seconda del
"tipo" di procedimento di volta in volta instaurato».
    Tra   le   ipotesi   di   «doverosa  equiparazione»  rientrerebbe
l'estensione  dei  motivi  del ricorso per cassazione, trattandosi di
una  garanzia  processuale  a  tutela  del giusto processo, posto che
«anche  in  relazione  all'applicazione  della misura preventiva deve
essere  assicurata  la  possibilita' di richiedere un pieno controllo
del  percorso logico-argomentativo seguito dal giudice di merito». La
disciplina  censurata  priva invece il soggetto della possibilita' di
tutelare  nella  sede propria (ovvero nel giudizio davanti alla Corte
di  cassazione)  l'eventuale  violazione  della liberta' garantitagli
costituzionalmente dall'art. 13 Cost. e impedisce il pieno esplicarsi
del  diritto  di  difesa  della  persona  sottoposta  alla  misura di
prevenzione   «proprio  sullo  specifico  punto  della  garanzia  del
"giusto" processo».
    6.  - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia dichiarata inammissibile o
infondata.
    L'Avvocatura,  premesso  che  in  ossequio  all'art. 111 Cost. il
legislatore e' tenuto a prevedere in materia di misure di prevenzione
(solo)  la  possibilita'  del  ricorso  per  cassazione per motivi di
legittimita',  sottolinea  che per tutte le misure di prevenzione «in
senso  proprio  e tipico» e' previsto il «medesimo regime del ricorso
per cassazione» e che, comunque, l'obbligo di motivazione si atteggia
in  modo  diverso  e  meno  ampio  rispetto  a  quello concernente la
sentenza  penale.  In  ogni  caso,  nel  giudizio  di prevenzione una
corretta  valutazione  di fatto e' normalmente garantita da un doppio
grado di cognizione di merito, sicche', considerate anche le esigenze
di  celerita'  e snellezza che connotano la procedura di prevenzione,
l'attuale  regime  del ricorso per cassazione non presenta profili di
irragionevolezza.
    7.  -  All'udienza  pubblica  del  22  giugno 2004 le parti hanno
concluso  come  da  verbale.  In  particolare,  la difesa della parte
privata   ha   segnalato   che,   successivamente   all'ordinanza  di
rimessione,  la Corte d'appello di Palermo, in riforma della sentenza
di   primo  grado,  ha  assolto  il  prevenuto  dal  delitto  di  cui
all'art. 416-bis cod. pen. per non avere commesso il fatto.

                       Considerato in diritto

    1. - La Corte di cassazione dubita, in riferimento agli artt. 3 e
24 della Costituzione, della legittimita' costituzionale dell'art. 4,
undicesimo  comma,  della  legge  27 dicembre  1956, n. 1423, recante
«Misure  di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la
sicurezza  [e  per  la  pubblica  moralita]»,  nella  parte  in  cui,
limitando  alla sola violazione di legge il ricorso contro il decreto
della  Corte  d'appello,  esclude la ricorribilita' in cassazione per
vizio   di   manifesta   illogicita'   della  motivazione,  ai  sensi
dell'art. 606, comma 1, lettera e), del codice di procedura penale.
    La Corte rimettente - investita del ricorso presentato avverso il
decreto   con  cui  la  Corte  d'appello  di  Palermo  ha  confermato
l'applicazione   della   misura  di  prevenzione  della  sorveglianza
speciale  di pubblica sicurezza e disposto il sequestro e la confisca
delle azioni di una societa' - rileva che, benche' nel ricorso non si
faccia  espresso  riferimento al vizio di manifesta illogicita' della
motivazione  di  cui  all'art. 606,  comma 1,  lettera e), cod. proc.
pen.,  la  maggior  parte  dei motivi concernono la congruenza logica
delle  argomentazioni  della  decisione  impugnata; pertanto, poiche'
alla  stregua della disciplina censurata il ricorso per cassazione e'
ammesso   solo   per   violazione   di   legge,   ritiene  di  dovere
preliminarmente verificare se il vizio di illogicita' manifesta possa
o meno essere compreso in tale motivo di ricorso.
    Al  riguardo,  la  Corte  di cassazione sostiene che e' principio
consolidato    della   giurisprudenza   di   legittimita'   formatasi
successivamente  all'entrata in vigore del codice attuale che in tema
di  misure  di  prevenzione non e' deducibile il vizio di illogicita'
manifesta,   ma  solo  quello  di  mancanza  della  motivazione,  con
riferimento  al  dovere del giudice di appello, previsto dall'art. 4,
decimo comma, della legge n. 1423 del 1956, di provvedere con decreto
motivato.  Alla  mancanza di motivazione - precisa la rimettente - e'
comunque equiparata l'ipotesi in cui la motivazione risulti del tutto
priva   dei  requisiti  minimi  di  coerenza,  di  completezza  e  di
logicita', si' da risultare meramente apparente.
    Dal momento che l'opinione - prevalente in dottrina - secondo cui
nella violazione di legge sono inquadrabili tutti i vizi logici della
motivazione  non  troverebbe  riscontro  nella disciplina del vigente
codice  di  procedura  penale,  la  Corte  di  cassazione ritiene che
l'art. 4,  undicesimo  comma,  della legge n. 1423 del 1956 contrasti
con   il  principio  di  ragionevolezza,  in  quanto  la  progressiva
giurisdizionalizzazione  del  procedimento  di  prevenzione rende del
tutto privo di giustificazione che in sede del ricorso per cassazione
sia  precluso  un  effettivo  e  reale controllo sulla motivazione di
provvedimenti che incidono sulla liberta' personale.
    L'art. 3  Cost.  risulterebbe  violato anche per la irragionevole
disparita'  della  disciplina  censurata rispetto a quella dettata in
tema  di  misure  di  sicurezza,  nonche'  in  relazione  alle misure
previste  dall'art. 6  della  legge  13 dicembre  1989,  n. 401,  nei
confronti  dei soggetti che abbiano posto in essere condotte violente
in occasione di manifestazioni sportive, settori nei quali il ricorso
per cassazione e' esteso all'illogicita' manifesta della motivazione.
Si  tratterebbe  -  conclude  la  Corte  rimettente  -  di un caso di
«irragionevolezza  sopravvenuta»,  in  quanto  la  tutela offerta dal
ricorso  per  cassazione  in materia di misure di prevenzione avrebbe
segnato  un  arretramento nel confronto con il codice del 1930, sotto
la  cui  vigenza  la  giurisprudenza ammetteva il ricorso anche per i
vizi logici della motivazione.
    2.  -  Le  censure  della Corte di cassazione rivolte all'art. 4,
undicesimo  comma,  della  legge  n. 1423  del  1956 si innestano sul
controverso  problema  della  individuazione  dei vizi di motivazione
deducibili   con   ricorso  per  cassazione  sotto  il  titolo  della
violazione di legge. A seguito delle modifiche introdotte nel vigente
codice   di   procedura   penale  alla  disciplina  del  ricorso  per
cassazione,  volte  a  limitare  la  sfera  dei  vizi  di motivazione
deducibili  (v.  Relazione  al  Progetto  preliminare,  p.  133),  il
problema  ha  assunto ulteriore complessita', anche in relazione allo
specifico contesto della disciplina censurata, rimasta immutata.
    Sotto la vigenza del codice di rito del 1930, la giurisprudenza -
in  base al combinato disposto degli artt. 524, primo comma, numero 3
(ove  era  previsto,  quale motivo di ricorso, la «inosservanza delle
norme   di   questo   codice   stabilite   a  pena  di  nullita',  di
inammissibilita'  o  di  decadenza»), e 475, numero 3 (nullita' della
sentenza  in caso di mancanza o contraddittorieta' della motivazione)
-  riteneva  che nella violazione di legge rientrasse il vizio logico
della  motivazione  e che pertanto tale vizio fosse deducibile con il
ricorso per cassazione anche avverso il decreto con il quale la corte
d'appello   decide   sulle  misure  di  prevenzione  (trattandosi  di
provvedimento  che,  pur avendo la forma di decreto, ha pacificamente
natura di sentenza).
    Nel  codice  vigente  il  vizio  di  motivazione e' previsto come
autonomo  motivo del ricorso nella lettera e) dell'art. 606, comma 1,
sotto  forma  di  mancanza o manifesta illogicita', che deve comunque
risultare  dal  testo  del provvedimento impugnato. A seguito di tale
innovazione, in relazione alla disciplina censurata la giurisprudenza
di  legittimita' si e' in prevalenza orientata nel senso di escludere
la  deducibilita'  del  vizio di motivazione, a meno che quest'ultima
sia  del  tutto carente o presenti difetti tali da renderla meramente
apparente,  e  cioe'  sia  priva  dei  requisiti  minimi di coerenza,
completezza   e   logicita',   o  assolutamente  inidonea  a  rendere
comprensibile la ratio decidendi.
    3.  -  La questione sollevata, pur essendo focalizzata sui limiti
di  proponibilita' del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti
che  decidono  in  sede di appello sulla applicazione delle misure di
prevenzione, presuppone quindi il problema piu' generale dei rapporti
tra  il  vizio  di  violazione  della  legge  processuale  (art. 606,
comma 1,  lettera  c,  cod.  proc.  pen.:  «inosservanza  delle norme
processuali  stabilite  a  pena  di  nullita'  [...]»)  e il vizio di
motivazione  (art. 606,  comma 1,  lettera  e,  dello  stesso codice:
«mancanza  o manifesta illogicita' della motivazione, quando il vizio
risulta dal testo del provvedimento impugnato»).
    Cio'  premesso,  qualunque  sia  sul  terreno  interpretativo  la
soluzione di tale problema, le censure di legittimita' costituzionale
prospettate,  in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., sul presupposto
che  la  disciplina  impugnata  precluderebbe  di  comprendere  nello
specifico  motivo  del  ricorso  per  violazione  di  legge  previsto
dall'art. 4,  undicesimo comma, della legge n. 1423 del 1956 anche il
vizio di illogicita' manifesta della motivazione, cosi' come definito
dall'art. 606,   comma 1,  lettera e),  cod.  proc.  pen.,  non  sono
fondate,  per  la  ragione assorbente che il risultato perseguito dal
rimettente non puo' essere ritenuto costituzionalmente obbligato.
    In  particolare, la Corte muove dall'assunto che l'impossibilita'
di controllare la congruenza della struttura logica della motivazione
comporti  una  ingiustificata  contrazione  delle  garanzie difensive
apprestate  in  un  procedimento  potenzialmente  idoneo, al pari del
processo  penale,  ad  incidere  sulla  liberta'  personale, e che la
disciplina  censurata  introduca  una  ingiustificata  disparita'  di
trattamento  rispetto  a quanto previsto per le misure di sicurezza e
per le misure contemplate dall'art. 6 della legge n. 401 del 1989.
    Tali  rilievi  tuttavia  si  basano  sul  confronto  tra  settori
direttamente   non   comparabili,   posto   che  il  procedimento  di
prevenzione,  il processo penale e il procedimento per l'applicazione
delle  misure  di  sicurezza sono dotati di proprie peculiarita', sia
sul terreno processuale che nei presupposti sostanziali.
    D'altra  parte  e' giurisprudenza costante di questa Corte che le
forme  di esercizio del diritto di difesa possano essere diversamente
modulate  in  relazione alle caratteristiche di ciascun procedimento,
allorche'  di  tale  diritto  siano comunque assicurati lo scopo e la
funzione  (v.  tra  molte  ordinanze  n. 352  e  n. 132 del 2003). Di
conseguenza  non  puo'  ritenersi  lesivo dei parametri evocati che i
vizi  della  motivazione  siano  variamente considerati a seconda del
tipo di decisione a cui ineriscono.