ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale degli artt. 2409, 2476,
comma  terzo,  2477,  comma  quarto,  del  codice civile promossi con
ordinanze  del  5 novembre 2004 dalla Corte d'appello di Trieste, nel
procedimento  civile  vertente  tra  Grassotto  2  s.r.l. e Battiston
Stefano  ed  altri,  e del 4 febbraio 2005 dal Tribunale ordinario di
Cagliari,  nel  procedimento  civile vertente tra Puddu Nella e Borea
Balestre s.r.l., iscritte ai nn. 51 e 230 del registro ordinanze 2005
e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 8 e 18, 1ª
serie speciale, dell'anno 2005.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 30 novembre 2005 il giudice
relatore Romano Vaccarella.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ordinanza  depositata  il  5 novembre  2004  la Corte
d'appello  di  Trieste ha sollevato, in riferimento all'art. 76 della
Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale  degli
art. 2409,  commi  primo e settimo, 2477, comma quarto, e 2476, comma
terzo, del codice civile.
    Il  dubbio  e'  stato prospettato nel corso di un procedimento di
reclamo  avverso  il  decreto  del  Tribunale ordinario di Udine che,
adito  con ricorso ex art. 2409 cod. civ. dai componenti del collegio
sindacale  di una societa' a responsabilita' limitata, aveva disposto
l'ispezione giudiziale della societa'.
    1.1.  -  In  punto  di  rilevanza,  osserva  il rimettente che la
decisione  della  fattispecie  sottoposta  al  suo  esame comporta la
valutazione,   in  limine,  dell'ammissibilita'  della  procedura  di
controllo  ex  art. 2409  cod.  civ., nel testo novellato dal decreto
legislativo  17 gennaio 2003, n. 6 (Riforma organica della disciplina
delle  societa'  di  capitale  e  societa' cooperative, in attuazione
della  legge  3 ottobre  2001, n. 366), nei riguardi della societa' a
responsabilita' limitata.
    Osserva,  quindi,  che,  in  attuazione dell'art. 4, commi 1 e 2,
lettera a),  numero  4, della legge 3 ottobre 2001, n. 366 (Delega al
Governo  per  la  riforma  del  diritto  societario), la normativa in
materia  di  societa'  per azioni, in vista della realizzazione di un
equilibrio  nella tutela degli interessi dei soci, dei creditori, dei
risparmiatori  e dei terzi, avrebbe dovuto disciplinare un modello di
base  unitario,  diversificando,  rispetto  a  esso, le ipotesi nelle
quali le societa' andavano assoggettate a regole caratterizzate da un
maggior  grado  di  imperativita',  in  considerazione del ricorso al
mercato  del  capitale  di  rischio;  che in tale contesto si sarebbe
dovuto   prevedere,   da   un  lato,  un  ampliamento  dell'autonomia
statutaria,  sia  pure soggetto a limiti e condizioni in funzione dei
vari tipi di societa'; dall'altro, la denunzia al tribunale, da parte
dei  sindaci  o  dei  componenti  di  altro  organo di controllo, del
sospetto  di  gravi  irregolarita'  nell'adempimento dei doveri degli
amministratori.  Ricorda  anche  che  tra  i  principi  e  i  criteri
direttivi  vi  era  quello  di  introdurre  il  controllo giudiziario
disciplinato  dall'art. 2409  cod.  civ. per le cooperative, sia pure
limitatamente alle sole societa' non inquadrabili nella «cooperazione
costituzionalmente   riconosciuta»,   di   cui  all'art. 5,  comma 1,
lettera b),   della   legge   delega   e  non  soggette  al  disposto
dell'art. 70,  comma 7,  del  d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (Testo
unico  delle  leggi  in materia bancaria e creditizia): previsione in
attuazione   della   quale   e'   stata   dettata  la  norma  di  cui
all'art. 2545-quinquiesdecies cod. civ.
    Tale  assetto  normativo renderebbe palese - secondo il giudice a
quo  -  l'intenzione  del legislatore delegante di innovare sotto due
profili soltanto il controllo giudiziario sulle societa' di capitali:
quello della legittimazione al ricorso, da un lato, e dell'estensione
del  mezzo  alle  societa'  cooperative,  sia pure nei limiti innanzi
esplicitati, dall'altro.
    Orbene, considerato che in forza dell'espresso richiamo contenuto
nell'art. 2488,  comma  quarto,  cod.  civ.,  nel  testo  antecedente
all'entrata   in   vigore   della   riforma,   la  procedura  di  cui
all'art. 2409  cod.  civ. era pacificamente ritenuta esperibile anche
nelle  societa'  a  responsabilita' limitata; che analogo riferimento
manca  invece  nella  nuova disciplina, a differenza di quanto accade
per  le  societa'  in  accomandita per azioni, in virtu' del disposto
dell'art. 2454  cod.  civ;  che  l'art. 2476, comma terzo, cod. civ.,
prevede,  sia  pure su istanza del singolo socio e in via incidentale
nell'ambito  del  giudizio  di responsabilita', la possibilita' della
pronuncia  di  provvedimento cautelare di revoca dell'amministratore,
in   caso   di   gravi   irregolarita'  nella  gestione  -  mezzo  in
considerazione  del  quale  la  relazione accompagnatoria del decreto
delegato  ha  espressamente  affermato  la superfluita' del controllo
giudiziario  ex  art. 2409  cod.  civ.  -  ritiene  il rimettente non
condivisibile  l'assunto  del  Tribunale  laddove ha riconosciuto, in
forza  del  richiamo  alle  norme  dettate in materia di societa' per
azioni,   contenuto   nel  comma  quarto  dell'art. 2477  cod.  civ.,
l'esperibilita'  del  procedimento  nelle  societa' a responsabilita'
limitata in cui sia obbligatoria la nomina del collegio sindacale.
    Secondo  la  Corte  d'appello,  l'opzione ermeneutica accolta dal
giudice  di  prime  cure  poggerebbe  su  un  argomento  di carattere
letterale  debole  e  comunque  in  contrasto con l'impianto generale
della  legge  delega, che non sembrerebbe prefigurare possibilita' di
distinzioni    di    disciplina    nell'ambito   della   societa'   a
responsabilita'  limitata; essa peraltro introdurrebbe una differenza
nelle   attribuzioni   del  collegio  sindacale,  in  dipendenza  del
carattere obbligatorio o facoltativo della sua nomina.
    1.2. - Tanto esposto in ordine alla ritenuta inapplicabilita', in
parte  qua,  del  procedimento  di  cui  all'art. 2409  cod.  civ., e
conseguentemente  in  ordine  alla  rilevanza del prospettato dubbio,
ritiene  il  rimettente  che  la  disciplina  dettata dal legislatore
delegato  sarebbe  in  contrasto con i principi e i criteri direttivi
della  legge  delega,  la  quale,  se  aveva  accentuato il carattere
contrattuale  della  societa'  a  responsabilita' limitata, lasciando
ampio  margine  nella  sua  modulazione  all'autonomia privata, aveva
tuttavia   mostrato   una   forte   considerazione   del  ruolo  «non
strettamente  individuale»  che  essa puo' essere chiamata a svolgere
nel quadro economico complessivo.
    In  particolare,  in punto di non manifesta infondatezza, osserva
il  giudice  a  quo  che  la  radicale  modificazione  dei  controlli
societari,  realizzata dalla riforma del 2003, andrebbe contro quelle
esigenze  di salvaguardia dell'interesse generale, segnatamente avute
di  mira dal legislatore delegante, esigenze alla cui tutela il mezzo
offerto  dall'art. 2409  cod. civ. e' sempre stato preordinato, quale
utile strumento di controllo della regolarita' della gestione.
    In  realta', mentre la legge n. 366 del 2001 «non si era in alcun
modo  soffermat(a)»  su  questo aspetto del sistema dei controlli, il
rimedio   incidentale   previsto  nell'art. 2476  cod.  civ.  sarebbe
funzionale  alla sola risoluzione di conflitti interni e di carattere
privato  tra  soci,  amministratore  e  societa' e, quindi, del tutto
inidoneo  al  perseguimento dell'interesse di carattere generale alla
correttezza   della   gestione   sociale,   in  considerazione  anche
«dell'ampio  spettro  di  interventi  assicurato» dall'art. 2409 cod.
civ.
    In  definitiva,  secondo  il  rimettente, la lettura corretta del
combinato  disposto  degli  artt. 2477  e  2409, nonche' dello stesso
art. 2476,  comma  terzo, cod. civ., impone di ritenere inammissibile
il  ricorso  proposto  (donde  il  requisito  della  rilevanza  della
questione):  del  resto  l'interpretazione  accolta  dal Tribunale di
Udine  non  solo  non  sarebbe condivisibile, alla luce delle esposte
considerazioni  ma,  nella parte in cui presuppone l'esistenza di una
pluralita'   di   sistemi  di  controllo  relativi  alla  societa'  a
responsabilita'  limitata,  confermerebbe  «il  complessivo  vizio di
eccesso  di  delega», posto che nessun principio e criterio direttivo
avrebbe il delegante dettato in parte qua.
    1.3. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  che  ha  chiesto  dichiararsi  inammissibile  o  infondata la
prospettata  questione,  «riservandosi  di  svolgere  con  successiva
memoria compiute difese al riguardo».
    1.4.  -  Nella  memoria successivamente depositata, il Presidente
del  Consiglio dei ministri sottolinea come dalla legge di delega non
sia  dato ricavare quanto il giudice rimettente in essa individua per
inferirne  l'eccesso di delega: in particolare, dalle lettere e) e h)
dell'art. 3  risulta  che  il  legislatore  delegato  doveva ampliare
l'autonomia   statutaria  quanto  «agli  strumenti  di  tutela  degli
interessi  dei  soci,  con  particolare  riferimento  alle  azioni di
responsabilita»  e  doveva,  altresi',  individuare  i limiti oltre i
quali  e'  obbligatorio  «un controllo legale dei conti». Sotto alcun
profilo,  dunque,  la  legge  di  delega richiedeva l'estensione alla
societa'  a responsabilita' limitata del controllo giudiziario di cui
all'art. 2409  cod.  civ.,  e  pertanto  il  legislatore  delegato ha
correttamente    operato,    nell'ambito    della    discrezionalita'
riconosciutagli  dalla  legge di delega, la scelta di privilegiare il
potere  di  controllo e di reazione dei soci attraverso la disciplina
dell'azione  individuale  di  responsabilita'  sociale, ritenendo che
tale  disciplina  rendesse  superfluo il controllo giudiziario di cui
all'art. 2409 cod. civ.
    2.  -  Con ordinanza del 4 febbraio 2005 il Tribunale di Cagliari
ha  sollevato,  in  riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli
artt. 2409,  2476,  comma terzo, nonche' dell'art. 2477, comma quarto
del  codice civile, «nella parte in cui non viene attribuita anche ai
soci  della  societa'  a  responsabilita' limitata la possibilita' di
ricorrere  al  tribunale,  ex  art. 2409  cod. civ., in caso di gravi
irregolarita' nella gestione della societa».
    La  questione  e'  stata  sollevata  nel corso di un procedimento
instaurato  a seguito del ricorso ex art. 2409 cod. civ. proposto dal
titolare di quota di euro 10.000, pari al 50% del capitale sociale di
una  societa' a responsabilita' limitata: il socio, denunciando gravi
irregolarita'   nell'amministrazione,   aveva   chiesto  che  venisse
disposta ispezione giudiziale sulla gestione sociale.
    2.1. - In punto di rilevanza, osserva il rimettente che il d.lgs.
n. 6  del 2003 avrebbe fatto venir meno la possibilita', prevista dal
previgente  art. 2488,  quarto  comma,  cod.  civ.,  di  ricorrere al
procedimento   de   quo   nell'ambito   della  «piccola»  societa'  a
responsabilita'  limitata.  Tale  opzione  interpretativa,  alla  cui
stregua il ricorso proposto dovrebbe essere dichiarato inammissibile,
poggerebbe sui seguenti rilievi:
        a) la mancanza, nella disciplina di tale tipo di societa', di
un richiamo all'art. 2409 analogo a quello contenuto, per le societa'
cooperative, nell'art. 2545-quinquiesdecies cod. civ.;
        b) l'esplicitazione,  nella  Relazione accompagnatoria, della
ratio    della    scelta    normativa   adottata,   individuata   nel
riconoscimento,  in  capo a  ciascun  socio, del potere di promuovere
l'azione  sociale  di  responsabilita' e di chiedere, nel corso della
stessa   e   in  via  cautelare,  la  provvisoria  revoca  giudiziale
dell'amministratore:  soluzione che avrebbe fatto ritenere «superflua
e  in  buona  parte  contraddittoria  con il sistema la previsione di
forme   di   intervento   del   giudice  quali  quelle  ora  previste
dall'art. 2409 cod. civ.»;
        c) la  circostanza  che  solo con riferimento alle societa' a
responsabilita' limitata nel cui ambito e' obbligatoria la nomina del
collegio    sindacale    sarebbe   possibile   recuperare,   in   via
interpretativa,  l'esperibilita'  del  mezzo,  in  forza del richiamo
contenuto nel novellato art. 2477, comma quarto, cod. civ. alle norme
in  materia  di  societa'  per  azioni,  e  quindi anche a quella che
riconosce  ai sindaci la legittimazione alla proposizione del ricorso
ex art. 2409 cod. civ.
    2.2.   -   In   punto  di  non  manifesta  infondatezza,  segnala
preliminarmente   il  giudice  a  quo  che  il  procedimento  di  cui
all'art. 2409 cod. civ., nel sistema introdotto dal d.lgs. 17 gennaio
2003,  n. 6, avrebbe subito profondi cambiamenti in senso restrittivo
della  sua  sfera  di  applicazione, tra i quali i piu' significativi
riguarderebbero la limitazione del potere del P.M. alle sole societa'
«aperte»,  e cioe' a quelle che fanno ricorso al mercato del capitale
di  rischio,  e  il  restringimento dell'area delle irregolarita' per
tale  via  denunciabili  a  quelle  «potenzialmente  dannose»  per la
societa', o per societa' ad essa collegate.
    Tale  assetto  normativo,  nel  quale  si  inserisce la peculiare
disciplina  del controllo giudiziale nelle societa' a responsabilita'
limitata,  non  solo  sarebbe  in  controtendenza  con  «i precedenti
legislativi in materia societaria» e con la «cornice comunitaria», ma
contrasterebbe con le linee guida della stessa legge n. 366 del 2001.
Questa,  invero,  mentre  nessuna  menzione  del controllo giudiziale
aveva  fatto negli artt. 2 e 12, rispettivamente dedicati ai principi
ispiratori  della  riforma  e ai profili processuali, si era occupata
dell'istituto  in due norme soltanto: nell'art. 4, comma 2, numero 4,
laddove  aveva  disposto  che  nelle societa' per azioni operanti sul
mercato  del capitale di rischio il potere di denunzia dovesse essere
attribuito anche ai sindaci o agli altri organi di controllo interno;
nell'art. 5,  comma 2, lettera g), laddove aveva imposto di estendere
alle  societa'  cooperative,  diverse  da  quelle  costituzionalmente
riconosciute,  l'esperibilita' del mezzo «disciplinato dall'art. 2409
del codice civile».
    Orbene,  in  un  contesto  nel  quale,  da  un  lato,  le  uniche
indicazioni  rinvenibili  nella legge delega sarebbero state volte ad
operarne  l'estensione  e,  dall'altro,  il riferimento all'art. 2409
cod.   civ.,   contenuto  nel  menzionato  art. 5,  lungi  dall'avere
carattere formale, rivelerebbe piuttosto l'intenzione del legislatore
di mantenerne inalterata la disciplina, il vizio di eccesso di delega
travalicherebbe gli stessi, specifici profili attinenti alla societa'
a  responsabilita'  limitata,  per  porsi  con riguardo alla generale
regolamentazione dettata in parte qua dal legislatore del 2003.
    Ne'  potrebbe ignorarsi che, se e' vero che la legge delega aveva
accentuato    il    carattere   «privatistico»   della   societa'   a
responsabilita'  limitata,  non  aveva  tuttavia  fatto venir meno il
rilievo «non strettamente individuale» di quel modello societario, di
modo  che  una  cosi'  radicale  modifica  del  sistema dei controlli
interni   sarebbe  in  contrasto  con  le  esigenze  di  salvaguardia
dell'interesse generale avute di mira dal legislatore del 2001, anche
attraverso il mantenimento dei controlli esterni.
    Secondo  il  giudice  a  quo  non  sarebbe condivisibile la tesi,
affermata  nella  Relazione  accompagnatoria, della piena equivalenza
dei  poteri  attribuiti  ai  componenti la compagine della societa' a
responsabilita' limitata con la tutela assicurata dall'art. 2409 cod.
civ.: a ben vedere, invero, malgrado l'ampliamento delle possibilita'
di  accesso dei soci alla conoscenza degli affari sociali (art. 2476,
comma  secondo, cod. civ.) e la riconosciuta esperibilita', in capo a
ciascuno  di essi, dell'azione sociale di responsabilita' (art. 2476,
comma  terzo, cod. civ.) nonche' di quella spettante in dipendenza di
danni  direttamente  prodotti  nel  loro  patrimonio da atti dolosi o
colposi  dell'amministratore  (art. 2476,  comma  sesto,  cod. civ.),
l'area  di  operativita'  dell'art. 2409 cod. civ., rispetto a questi
mezzi, sarebbe comunque piu' ampia.
    A  supporto di tale assunto il rimettente segnala che l'esercizio
del  rimedio  risarcitorio,  cui e' legata la richiesta di revoca con
provvedimento  di urgenza dell'amministratore, richiederebbe un danno
effettivo e non soltanto potenziale, e cioe' proprio quel pregiudizio
che  il  procedimento  di  cui  all'art. 2409 cod. civ. tenderebbe ad
evitare.
    In  particolare,  come posto in luce dalla dottrina, la revoca in
via  cautelare dell'organo gestorio dovrebbe ritenersi possibile solo
quando  la  mancata,  tempestiva  rimozione  dello  stesso  rischi di
aggravare  a  tal  punto  il  pregiudizio  da  rendere  aleatoria  la
possibilita'  di  un  successivo risarcimento a carico del patrimonio
degli   amministratori,   o   da   mettere   in  pericolo  la  stessa
sopravvivenza della societa'.
    Per  altro  verso,  rimosso in via d'urgenza l'amministratore, la
nomina  di quello nuovo, in mancanza di previsione dell'intervento di
un   amministratore   giudiziale,   competerebbe   pur   sempre  alla
maggioranza  che  ha  assistito,  inerte, alla cattiva gestione degli
affari sociali mentre, in caso di insanabile contrasto tra i soci, si
realizzerebbe  un'ipotesi  di  impossibilita'  di funzionamento della
societa'  e  dunque una causa legale di scioglimento della stessa, ex
art. 2484, comma primo, numero 3, cod. civ.
    Infine  l'esame  dei libri e dei documenti sociali a iniziativa e
spese  del  socio  costituirebbe  rimedio  costoso  e  potenzialmente
inappagante,   in   quanto  meno  obbiettivo  rispetto  all'ispezione
condotta dall'ausiliario del giudice.
    In tale contesto il Tribunale di Cagliari ritiene rilevante e non
manifestamente infondato il dubbio di legittimita' costituzionale del
combinato  disposto degli artt. 2409 e 2476, comma terzo, cod. civ. -
nella  parte in cui non prevedono che, in caso di gravi irregolarita'
degli   amministratori,  i  soci  della  societa'  a  responsabilita'
limitata possano azionare il mezzo di cui all'art. 2409 cod. civ. - e
dell'art. 2477,  comma  quarto,  cod.  civ.  laddove,  richiamando le
disposizioni  in  tema  di  societa'  per azioni con riferimento alla
societa' a responsabilita' limitata in cui sia obbligatoria la nomina
del collegio sindacale, consente solo in quest'ultimo caso il ricorso
alla  procedura  de  qua:  tanto in riferimento all'articolo 76 della
Costituzione,  per  eccesso di delega, avendo il legislatore delegato
modificato   la   disciplina   dei   controlli   esterni  ed  escluso
l'applicazione   dell'istituto   alla   societa'   a  responsabilita'
limitata,  benche' le uniche indicazioni contenute nella legge delega
fossero nel senso di un ampliamento della sfera di operativita' dello
stesso;  nonche'  in  riferimento  all'art. 3 della Costituzione, per
disparita'  di  trattamento tra soci della societa' a responsabilita'
limitata  e soci della societa' per azioni e, ancora, tra i primi e i
sindaci   della  societa'  a  responsabilita'  limitata  in  cui  sia
obbligatoria la nomina del collegio sindacale.
    2.3.  -  Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in
giudizio  con la rappresentanza dell'Avvocatura generale dello Stato,
ha chiesto dichiararsi inammissibile, ovvero infondata, la questione.
    Osserva  preliminarmente  l'interveniente che la censura relativa
all'eccesso  di  delega  riguarda, a ben vedere, soltanto l'art. 2409
cod.  civ.,  nella  parte  in cui esclude espressamente le societa' a
responsabilita'   limitata   dall'applicazione  del  procedimento  di
controllo,  mentre  impropria  sarebbe  la  deduzione  della presunta
incostituzionalita'  degli  artt. 2476  e  2477, posto che tali norme
sono  richiamate  al  solo  fine  di  argomentare la fondatezza della
questione, senza alcun riferimento all'eccesso di delega.
    Nel  merito  rileva  l'Avvocatura  che,  secondo  la  consolidata
giurisprudenza  del  Giudice delle leggi, il sindacato sull'esercizio
da  parte del Governo del potere di legiferare nelle materie delegate
dal   Parlamento,   ai  sensi  dell'art. 76  della  Costituzione,  e'
circoscritto  al  rilievo  di eventuali profili di incongruenza tra i
limiti  desumibili  dai  principi  e  dai criteri direttivi contenuti
nella  delega  e  le  scelte legislative adottate dal delegato, fermo
peraltro il divieto di sindacarne il merito.
    Nella fattispecie il giudice a quo avrebbe mostrato di essere ben
consapevole  della voluntas legis insita nelle norme che disciplinano
la  societa'  a responsabilita' limitata, del resto esplicitata nella
Relazione  accompagnatoria richiamata nell'ordinanza di rimessione, e
di  non  condividerla, posto che egli ritiene insufficiente la tutela
offerta  dall'estensione  della legittimazione dei soci all'esercizio
dell'azione  sociale  di responsabilita' e inopportuna l'eliminazione
del controllo giudiziario sulla gestione.
    Ma,  a giudizio dell'Avvocatura, tale valutazione nulla avrebbe a
che  vedere  con  la corretta applicazione dei criteri di delegazione
(essendo peraltro affatto incontrovertibile la volonta' del delegante
di   consentire   una   radicale   modificazione   della  societa'  a
responsabilita'   limitata),   trattandosi   piuttosto   di  una  non
consentita  critica  alle  scelte in concreto operate dal legislatore
delegato.
    L'intangibilita'      della      discrezionalita'     legislativa
nell'attuazione   della   delega   e  segnatamente,  per  quanto  qui
interessa,   nella   predilezione   per   un   sistema  di  controllo
endosocietario  diffuso,  piuttosto  che  per un modello di controllo
esterno,  affidato  all'autorita' giudiziaria, comporterebbe, secondo
la  difesa  erariale,  l'inammissibilita'  e  comunque l'infondatezza
della questione.

                       Considerato in diritto

    1.  -  La  Corte  d'appello  di  Trieste  dubita,  in riferimento
all'art. 76  della  Costituzione,  della  legittimita' costituzionale
degli  artt. 2409, commi primo e settimo, 2477, comma quarto, e 2476,
comma terzo, cod. civ., nella parte in cui escludono l'ammissibilita'
del  ricorso  alla procedura del controllo giudiziario sulla gestione
nella societa' a responsabilita' limitata.
    A  sua  volta,  il  Tribunale  ordinario  di  Cagliari dubita, in
riferimento  agli artt. 3 e 76 della Costituzione, della legittimita'
costituzionale  del combinato disposto degli artt. 2409 e 2476, comma
terzo,  cod.  civ. - nella parte in cui non prevedono che, in caso di
gravi  irregolarita'  degli  amministratori,  i soci della societa' a
responsabilita' limitata possano invocare il controllo giudiziario ex
art. 2409 cod. civ. - nonche' dell'art. 2477, comma quarto, cod. civ.
laddove,  richiamando  le disposizioni in tema di societa' per azioni
con  riferimento  alla societa' a responsabilita' limitata in cui sia
obbligatoria  la  nomina  del  collegio  sindacale,  consente solo in
quest'ultimo caso il ricorso alla procedura de qua.
    2.  -  I  giudizi,  avendo  ad  oggetto questioni di legittimita'
costituzionale  relative alle medesime norme di legge, debbono essere
riuniti.
    3.  -  Le ordinanze di rimessione censurano entrambe, denunciando
un eccesso di delega, la disciplina disegnata dal decreto legislativo
17 gennaio  2003,  n. 6  (Riforma  organica  della  disciplina  delle
societa'  di  capitale  e  societa'  cooperative, in attuazione della
legge 3 ottobre 2001, n. 366), in tema di controllo giudiziario sulla
societa' a responsabilita' limitata, ma muovendo da due diverse tesi:
l'una   (n. 51   del   2005)  escludendo  che  la  procedura  di  cui
all'art. 2409  cod.  civ.  sia comunque - e cioe' anche ad iniziativa
del collegio sindacale obbligatoriamente nominato ex art. 2477, comma
terzo,  cod.  civ.  -  esperibile  nei  confronti  di  una societa' a
responsabilita'  limitata, l'altra (n. 230 del 2005) ritenendo che il
collegio  sindacale,  ma  non  anche  i  soci,  possa  promuovere  il
controllo giudiziario previsto dall'art. 2409 cod. civ.
    L'eccesso   di  delega,  conseguentemente,  viene  ravvisato  ora
nell'esclusione   totale,  ora  nella  limitazione  dell'operativita'
dell'art. 2409,   sostenendosi   altresi',  da  parte  della  seconda
ordinanza,   che  la  limitazione  sarebbe  tale  da  comportare  una
ingiustificata  disparita'  di  trattamento  a  danno  dei soci della
societa'  a responsabilita' limitata rispetto ai soci di una societa'
per azioni e, comunque, rispetto al collegio sindacale.
    4. - Le questioni non sono fondate.
    5.  -  La  legge 3 ottobre 2001, n. 366 (Delega al Governo per la
riforma  del  diritto societario), si compone, per quel che interessa
in  questa  sede,  di  quattro  articoli dedicati rispettivamente, ai
«principi generali in materia di societa' di capitali» (art. 2), alle
«societa'  a  responsabilita'  limitata»  (art. 3) alle «societa' per
azioni» (art. 4) ed alle «societa' cooperative» (art. 5).
    Entrambe  le  ordinanze  di  rimessione  imputano  al legislatore
delegato  la  violazione  del  criterio  di  cui all'art. 4, comma 2,
lettera a),  numero  4,  con  il  quale  il  legislatore delegato era
impegnato a «prevedere la denunzia al tribunale, da parte dei sindaci
o,  nei  casi  di  cui al comma 8, lettera d), numeri 2 [consiglio di
sorveglianza  n.d.r.]  e  3  [comitato  preposto al controllo interno
sulla  gestione n.d.r.], dei componenti di altro organo di controllo,
di    gravi   irregolarita'   nell'adempimento   dei   doveri   degli
amministratori»:  criterio  volto,  in una disciplina che prevede «un
ampliamento  dell'autonomia  statutaria»,  ad  individuare  «limiti e
condizioni  in  presenza  dei  quali  sono applicabili a societa' che
fanno  ricorso al mercato del capitale di rischio norme inderogabili»
(cosi' il comma 2, lettera a).
    Da  tale  criterio - e da quello (art. 5, comma 2, lettera g) che
prevede  il  controllo  giudiziario  per  le societa' cooperative non
inquadrabili  nella c.d. cooperazione costituzionalmente riconosciuta
-  i  rimettenti  desumono  che il legislatore delegato era vincolato
esclusivamente  ad  estendere  la  legittimazione  attiva  e l'ambito
oggettivo del controllo giudiziario come previsto dall'art. 2409 cod.
civ.; norma che, in quanto espressamente citata dall'art. 5, comma 2,
lettera g), doveva rimanere «inalterata».
    Queste  essendo  «le  uniche  indicazioni rinvenibili nella legge
delega»,  e  cioe'  «volte  ad  operare  l'estensione  del  controllo
giudiziario»,  la soppressione (secondo l'ordinanza n. 51 del 2005) o
la   limitazione  (secondo  l'ordinanza  n. 250  del  2005)  di  tale
controllo   sulle   societa'   a   responsabilita'  limitata  sarebbe
costituzionalmente  illegittima  non  potendosi condividere quanto si
afferma  nella  Relazione accompagnatoria al decreto legislativo n. 6
del   2003:   l'ampliamento   del   potere  ispettivo  dei  soci,  la
legittimazione    di    ciascun    socio    all'azione   sociale   di
responsabilita',   la   previsione   di  un  provvedimento  cautelare
d'urgenza   di   revoca   degli   amministratori  in  caso  di  gravi
irregolarita' nella gestione della societa' (art. 2476 cod. civ.) non
sarebbero idonei a coprire l'area di operativita' dell'art. 2409 cod.
civ.,  e dovrebbe negarsi, pertanto, la pretesa equivalenza di tutela
che, in tal modo, si sarebbe assicurata.
    5.1.  -  Va  premesso  che  la legge di delega n. 366 del 2001 fa
esplicito  riferimento  al controllo giudiziario esclusivamente nelle
norme  dedicate  alle  societa'  per azioni (art. 4) ed alle societa'
cooperative  (art. 5),  e  non anche nella norma che fissa i principi
generali  in materia di societa' di capitali (art. 2) e in quella sui
principi  ai  quali  si  sarebbe  dovuta ispirare la disciplina delle
societa' a responsabilita' limitata (art. 3).
    La  tesi  dei rimettenti, secondo la quale il silenzio serbato in
proposito  dalla  legge  di  delega  nell'art. 3 andrebbe inteso come
volonta'  di  ribadire l'applicabilita' dell'art. 2409 cod. civ. alle
societa'  a  responsabilita'  limitata, non e' condivisibile: anche a
tacere  la  circostanza che la legittimazione riconosciuta ai sindaci
potrebbe  intendersi  riferita (nella legge delega) alle societa' per
azioni  che  «fanno  ricorso  al  mercato  del  capitale  di rischio»
(«caratterizzate  da  un  maggior  grado  di  imperativita»:  art. 4,
comma 1),  e'  agevole rilevare che tale tesi trascura di considerare
che  l'art. 2,  lettera f) fissa, come generale, il principio per cui
la  societa'  a  responsabilita'  limitata  e  la societa' per azioni
debbono costituire «due modelli societari» distinti.
    Principio  generale,  questo,  al  quale  fa da corollario quello
della  previsione, per la societa' a responsabilita' limitata, di «un
autonomo   ed   organico   complesso   di  norme»  (art. 3,  comma 1,
lettera a),  e  cioe'  una impostazione della disciplina radicalmente
divergente  da  quella  -  che  aveva fatto qualificare la societa' a
responsabilita'  limitata  come  «una  piccola societa' per azioni» -
adottata  dal codice civile anteriormente alla riforma, e che trovava
la sua compiuta manifestazione negli artt. 2486, comma secondo, 2487,
comma secondo, e 2488, commi terzo e quarto, cod. civ.
    A  cio'  non  puo'  non  aggiungersi che, se e' vero che la legge
delega  non  reca  piu'  alcuna  esplicita  previsione in ordine alla
«ristretta   compagine   sociale»   -   che,   secondo   l'originaria
impostazione    (cosiddetto   «progetto   Mirone»)   avrebbe   dovuto
caratterizzarla  insieme con l'attribuzione di «rilevanza centrale al
socio  e ai rapporti contrattuali tra i soci», - e' anche vero che la
legge  delega  dispone  che l'autonomo ed organico complesso di norme
sia «modellato sul principio della rilevanza centrale del socio e dei
rapporti  contrattuali tra i soci»; formula preferita alla precedente
solo  perche'  non  si  voleva  imporre  ab externo, ma far scaturire
spontaneamente   dalle   caratteristiche   strutturali   del  modello
societario,  la  «ristretta  compagine  sociale», mantenendo tuttavia
ferma  «la  rilevanza  centrale del socio e dei rapporti contrattuali
tra i soci».
    Avendo  trascurato  queste  previsioni - essenziali per la natura
stessa  della  societa'  a  responsabilita'  limitata  immaginata dal
legislatore  delegante - l'accento posto dai rimettenti sul valore da
attribuire  agli  specifici riferimenti (contenuti negli artt. 4 e 5)
al  controllo  giudiziale  appare  frutto  della  convinzione che una
societa'  di capitali - per cio' solo che e' di capitali, e del tutto
a  prescindere  dalla  sua  struttura (e, quindi, anche se costruita,
come   da  taluno  si  e'  detto,  quale  «societa'  di  persone  con
responsabilita'  limitata») - non possa non essere assoggettata ad un
controllo giudiziale quale quello previsto dall'art. 2409 cod. civ.
    5.2.  - Le considerazioni appena svolte rendono chiaro che non e'
da  accogliere  la  censura,  fondata  sulla  violazione dell'art. 76
Cost.,  relativamente  alla  mancata  previsione  dell'applicabilita'
dell'art. 2409 cod. civ. alle societa' a responsabilita' limitata.
    Questa  Corte,  infatti,  anche  recentemente  ha ribadito che «i
principi  e  i  criteri  direttivi  della legge di delegazione devono
essere  interpretati  sia  tenendo  conto delle finalita' ispiratrici
della delega, sia verificando, nel silenzio del legislatore delegante
sullo  specifico tema, che le scelte operate dal legislatore delegato
non  siano  in  contrasto  con  gli  indirizzi  generali della stessa
legge-delega»  (sentenza  n. 228 del 2005; n. 308 del 2002; ordinanza
n. 248 del 2004).
    Alla  luce  di  tale  criterio  e'  priva  di fondamento anche la
censura  rivolta,  sulla  base del medesimo parametro costituzionale,
nei  confronti  della  norma  (art. 2476  cod. civ.) che, ampliando i
poteri  di  indagine  e  di  reazione  del socio nei confronti di chi
gestisce   la   societa',   avrebbe  (erroneamente,  a  giudizio  dei
rimettenti)   preteso   di  conseguire  per  altra  via  la  medesima
intensita' di tutela garantita dall'art. 2409 cod. civ.
    Non  spetta  a  questa Corte valutare la condivisibilita' di tale
tesi,  ma  il  principio  da essa ripetutamente affermato, secondo il
quale occorre tener «conto delle finalita' che, attraverso i principi
ed   i  criteri  enunciati,  la  legge  delega  si  prefigge  con  il
complessivo  contesto  delle  norme  da essa poste e (tener) altresi'
conto  che  le  norme  delegate  vanno  interpretate  nel significato
compatibile  con  quei principi e criteri» (sentenze n. 213 del 2005;
425  del  2000;  15  del  1999),  impone  di  rilevare  come la norma
censurata  si  presti ad una interpretazione meno riduttiva di quella
prospettata   -   a   conforto   della   censura   di  illegittimita'
costituzionale - dai rimettenti.
    L'accesso  consentito  a ciascun socio a documenti della societa'
che,  nella  precedente  disciplina  della societa' a responsabilita'
limitata  -  e,  ancora  oggi,  della societa' per azioni -, potevano
essere  esaminati  soltanto  da  chi era incaricato dell'ispezione ex
art. 2409 cod. civ., costituisce certamente una profonda innovazione,
idonea    a    potenziare    l'efficacia   dell'azione   sociale   di
responsabilita',  alla  quale  viene  legittimato  ciascun socio, che
viene   altresi'   legittimato   a   «chiedere,   in  caso  di  gravi
irregolarita'   nella  gestione  della  societa',  che  sia  adottato
provvedimento cautelare di revoca degli amministratori». Ed e' appena
il  caso  di  rilevare come la formulazione letterale della norma non
imponga  affatto  l'interpretazione  che dei presupposti della misura
«cautelare»  di  revoca  propongono  i  rimettenti;  al contrario, la
qualificazione  di «cautelare» data dalla legge alla misura di revoca
ben  puo'  essere  intesa  -  come  peraltro  ritiene una parte della
giurisprudenza  e  della  dottrina  -  nel  senso  di strumentale (ed
anticipatoria  rispetto) ad una azione volta ad ottenere una sentenza
di  revoca  degli  amministratori,  per  cio' solo che nella gestione
della  societa'  sono  presenti  «gravi  irregolarita»  e  v'e'  mero
pericolo  di  danno  per  la  medesima.  Cosi'  come  la salvezza del
«diritto   al  risarcimento  dei  danni  spettanti  [...]  al  terzo»
danneggiato da atti dolosi o colposi degli amministratori (art. 2476,
comma  sesto,  cod.  civ.)  costituisce  previsione  che non preclude
interpretazioni   -   peraltro  proposte  in  dottrina  -  idonee  ad
assicurare efficace tutela ai creditori sociali.
    6.  -  Le  considerazioni  appena  svolte escludono la fondatezza
della  censura  che  il  tribunale  di Cagliari muove, in riferimento
all'art. 3  Cost.,  al  combinato  disposto  degli artt. 2409 e 2476,
comma  terzo, cod. civ.: la lamentata disparita' di trattamento tra i
soci  di  una  societa'  a  responsabilita'  limitata e i soci di una
societa'  per  azioni  non  sussiste, diverse essendo all'evidenza le
situazioni  soggettive,  per  cio'  solo che diverse sono le societa'
alle quali partecipano, degli uni e degli altri.
    7.  -  Infondata  e'  altresi'  la  censura rivolta dal Tribunale
ordinario  di  Cagliari,  sempre in riferimento all'art. 3 Cost., nei
confronti dell'art. 2477, comma quarto, cod. civ., nella parte in cui
discrimina  tra  sindaci  e  soci  di  una societa' a responsabilita'
limitata  quanto  alla  legittimazione  alla denuncia al tribunale ex
art. 2409 cod. civ.
    A  prescindere  dalla  opinabilita' (ampiamente argomentata dalla
Corte  di  Trieste) dell'interpretazione secondo la quale la denuncia
ex  art. 2409  cod.  civ.  -  per il mero fatto che e' inserita in un
paragrafo  del  codice civile (1/2 3 della sezione VI-bis) intitolato
«del  collegio  sindacale»  -  costituirebbe un «potere» del collegio
sindacale,  la  cui  esperibilita' deriverebbe dalla sola circostanza
che  un  tale  collegio  esista,  e'  evidente l'inconsistenza di una
censura    la    cui   fondatezza   presupporrebbe   la   sostanziale
assimilabilita' di soci e sindaci.