ha pronunciato la seguente Sentenza nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 2409, 2476, comma terzo, 2477, comma quarto, del codice civile promossi con ordinanze del 5 novembre 2004 dalla Corte d'appello di Trieste, nel procedimento civile vertente tra Grassotto 2 s.r.l. e Battiston Stefano ed altri, e del 4 febbraio 2005 dal Tribunale ordinario di Cagliari, nel procedimento civile vertente tra Puddu Nella e Borea Balestre s.r.l., iscritte ai nn. 51 e 230 del registro ordinanze 2005 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 8 e 18, 1ª serie speciale, dell'anno 2005. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 30 novembre 2005 il giudice relatore Romano Vaccarella. Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza depositata il 5 novembre 2004 la Corte d'appello di Trieste ha sollevato, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale degli art. 2409, commi primo e settimo, 2477, comma quarto, e 2476, comma terzo, del codice civile. Il dubbio e' stato prospettato nel corso di un procedimento di reclamo avverso il decreto del Tribunale ordinario di Udine che, adito con ricorso ex art. 2409 cod. civ. dai componenti del collegio sindacale di una societa' a responsabilita' limitata, aveva disposto l'ispezione giudiziale della societa'. 1.1. - In punto di rilevanza, osserva il rimettente che la decisione della fattispecie sottoposta al suo esame comporta la valutazione, in limine, dell'ammissibilita' della procedura di controllo ex art. 2409 cod. civ., nel testo novellato dal decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6 (Riforma organica della disciplina delle societa' di capitale e societa' cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366), nei riguardi della societa' a responsabilita' limitata. Osserva, quindi, che, in attuazione dell'art. 4, commi 1 e 2, lettera a), numero 4, della legge 3 ottobre 2001, n. 366 (Delega al Governo per la riforma del diritto societario), la normativa in materia di societa' per azioni, in vista della realizzazione di un equilibrio nella tutela degli interessi dei soci, dei creditori, dei risparmiatori e dei terzi, avrebbe dovuto disciplinare un modello di base unitario, diversificando, rispetto a esso, le ipotesi nelle quali le societa' andavano assoggettate a regole caratterizzate da un maggior grado di imperativita', in considerazione del ricorso al mercato del capitale di rischio; che in tale contesto si sarebbe dovuto prevedere, da un lato, un ampliamento dell'autonomia statutaria, sia pure soggetto a limiti e condizioni in funzione dei vari tipi di societa'; dall'altro, la denunzia al tribunale, da parte dei sindaci o dei componenti di altro organo di controllo, del sospetto di gravi irregolarita' nell'adempimento dei doveri degli amministratori. Ricorda anche che tra i principi e i criteri direttivi vi era quello di introdurre il controllo giudiziario disciplinato dall'art. 2409 cod. civ. per le cooperative, sia pure limitatamente alle sole societa' non inquadrabili nella «cooperazione costituzionalmente riconosciuta», di cui all'art. 5, comma 1, lettera b), della legge delega e non soggette al disposto dell'art. 70, comma 7, del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia): previsione in attuazione della quale e' stata dettata la norma di cui all'art. 2545-quinquiesdecies cod. civ. Tale assetto normativo renderebbe palese - secondo il giudice a quo - l'intenzione del legislatore delegante di innovare sotto due profili soltanto il controllo giudiziario sulle societa' di capitali: quello della legittimazione al ricorso, da un lato, e dell'estensione del mezzo alle societa' cooperative, sia pure nei limiti innanzi esplicitati, dall'altro. Orbene, considerato che in forza dell'espresso richiamo contenuto nell'art. 2488, comma quarto, cod. civ., nel testo antecedente all'entrata in vigore della riforma, la procedura di cui all'art. 2409 cod. civ. era pacificamente ritenuta esperibile anche nelle societa' a responsabilita' limitata; che analogo riferimento manca invece nella nuova disciplina, a differenza di quanto accade per le societa' in accomandita per azioni, in virtu' del disposto dell'art. 2454 cod. civ; che l'art. 2476, comma terzo, cod. civ., prevede, sia pure su istanza del singolo socio e in via incidentale nell'ambito del giudizio di responsabilita', la possibilita' della pronuncia di provvedimento cautelare di revoca dell'amministratore, in caso di gravi irregolarita' nella gestione - mezzo in considerazione del quale la relazione accompagnatoria del decreto delegato ha espressamente affermato la superfluita' del controllo giudiziario ex art. 2409 cod. civ. - ritiene il rimettente non condivisibile l'assunto del Tribunale laddove ha riconosciuto, in forza del richiamo alle norme dettate in materia di societa' per azioni, contenuto nel comma quarto dell'art. 2477 cod. civ., l'esperibilita' del procedimento nelle societa' a responsabilita' limitata in cui sia obbligatoria la nomina del collegio sindacale. Secondo la Corte d'appello, l'opzione ermeneutica accolta dal giudice di prime cure poggerebbe su un argomento di carattere letterale debole e comunque in contrasto con l'impianto generale della legge delega, che non sembrerebbe prefigurare possibilita' di distinzioni di disciplina nell'ambito della societa' a responsabilita' limitata; essa peraltro introdurrebbe una differenza nelle attribuzioni del collegio sindacale, in dipendenza del carattere obbligatorio o facoltativo della sua nomina. 1.2. - Tanto esposto in ordine alla ritenuta inapplicabilita', in parte qua, del procedimento di cui all'art. 2409 cod. civ., e conseguentemente in ordine alla rilevanza del prospettato dubbio, ritiene il rimettente che la disciplina dettata dal legislatore delegato sarebbe in contrasto con i principi e i criteri direttivi della legge delega, la quale, se aveva accentuato il carattere contrattuale della societa' a responsabilita' limitata, lasciando ampio margine nella sua modulazione all'autonomia privata, aveva tuttavia mostrato una forte considerazione del ruolo «non strettamente individuale» che essa puo' essere chiamata a svolgere nel quadro economico complessivo. In particolare, in punto di non manifesta infondatezza, osserva il giudice a quo che la radicale modificazione dei controlli societari, realizzata dalla riforma del 2003, andrebbe contro quelle esigenze di salvaguardia dell'interesse generale, segnatamente avute di mira dal legislatore delegante, esigenze alla cui tutela il mezzo offerto dall'art. 2409 cod. civ. e' sempre stato preordinato, quale utile strumento di controllo della regolarita' della gestione. In realta', mentre la legge n. 366 del 2001 «non si era in alcun modo soffermat(a)» su questo aspetto del sistema dei controlli, il rimedio incidentale previsto nell'art. 2476 cod. civ. sarebbe funzionale alla sola risoluzione di conflitti interni e di carattere privato tra soci, amministratore e societa' e, quindi, del tutto inidoneo al perseguimento dell'interesse di carattere generale alla correttezza della gestione sociale, in considerazione anche «dell'ampio spettro di interventi assicurato» dall'art. 2409 cod. civ. In definitiva, secondo il rimettente, la lettura corretta del combinato disposto degli artt. 2477 e 2409, nonche' dello stesso art. 2476, comma terzo, cod. civ., impone di ritenere inammissibile il ricorso proposto (donde il requisito della rilevanza della questione): del resto l'interpretazione accolta dal Tribunale di Udine non solo non sarebbe condivisibile, alla luce delle esposte considerazioni ma, nella parte in cui presuppone l'esistenza di una pluralita' di sistemi di controllo relativi alla societa' a responsabilita' limitata, confermerebbe «il complessivo vizio di eccesso di delega», posto che nessun principio e criterio direttivo avrebbe il delegante dettato in parte qua. 1.3. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto dichiararsi inammissibile o infondata la prospettata questione, «riservandosi di svolgere con successiva memoria compiute difese al riguardo». 1.4. - Nella memoria successivamente depositata, il Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea come dalla legge di delega non sia dato ricavare quanto il giudice rimettente in essa individua per inferirne l'eccesso di delega: in particolare, dalle lettere e) e h) dell'art. 3 risulta che il legislatore delegato doveva ampliare l'autonomia statutaria quanto «agli strumenti di tutela degli interessi dei soci, con particolare riferimento alle azioni di responsabilita» e doveva, altresi', individuare i limiti oltre i quali e' obbligatorio «un controllo legale dei conti». Sotto alcun profilo, dunque, la legge di delega richiedeva l'estensione alla societa' a responsabilita' limitata del controllo giudiziario di cui all'art. 2409 cod. civ., e pertanto il legislatore delegato ha correttamente operato, nell'ambito della discrezionalita' riconosciutagli dalla legge di delega, la scelta di privilegiare il potere di controllo e di reazione dei soci attraverso la disciplina dell'azione individuale di responsabilita' sociale, ritenendo che tale disciplina rendesse superfluo il controllo giudiziario di cui all'art. 2409 cod. civ. 2. - Con ordinanza del 4 febbraio 2005 il Tribunale di Cagliari ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 2409, 2476, comma terzo, nonche' dell'art. 2477, comma quarto del codice civile, «nella parte in cui non viene attribuita anche ai soci della societa' a responsabilita' limitata la possibilita' di ricorrere al tribunale, ex art. 2409 cod. civ., in caso di gravi irregolarita' nella gestione della societa». La questione e' stata sollevata nel corso di un procedimento instaurato a seguito del ricorso ex art. 2409 cod. civ. proposto dal titolare di quota di euro 10.000, pari al 50% del capitale sociale di una societa' a responsabilita' limitata: il socio, denunciando gravi irregolarita' nell'amministrazione, aveva chiesto che venisse disposta ispezione giudiziale sulla gestione sociale. 2.1. - In punto di rilevanza, osserva il rimettente che il d.lgs. n. 6 del 2003 avrebbe fatto venir meno la possibilita', prevista dal previgente art. 2488, quarto comma, cod. civ., di ricorrere al procedimento de quo nell'ambito della «piccola» societa' a responsabilita' limitata. Tale opzione interpretativa, alla cui stregua il ricorso proposto dovrebbe essere dichiarato inammissibile, poggerebbe sui seguenti rilievi: a) la mancanza, nella disciplina di tale tipo di societa', di un richiamo all'art. 2409 analogo a quello contenuto, per le societa' cooperative, nell'art. 2545-quinquiesdecies cod. civ.; b) l'esplicitazione, nella Relazione accompagnatoria, della ratio della scelta normativa adottata, individuata nel riconoscimento, in capo a ciascun socio, del potere di promuovere l'azione sociale di responsabilita' e di chiedere, nel corso della stessa e in via cautelare, la provvisoria revoca giudiziale dell'amministratore: soluzione che avrebbe fatto ritenere «superflua e in buona parte contraddittoria con il sistema la previsione di forme di intervento del giudice quali quelle ora previste dall'art. 2409 cod. civ.»; c) la circostanza che solo con riferimento alle societa' a responsabilita' limitata nel cui ambito e' obbligatoria la nomina del collegio sindacale sarebbe possibile recuperare, in via interpretativa, l'esperibilita' del mezzo, in forza del richiamo contenuto nel novellato art. 2477, comma quarto, cod. civ. alle norme in materia di societa' per azioni, e quindi anche a quella che riconosce ai sindaci la legittimazione alla proposizione del ricorso ex art. 2409 cod. civ. 2.2. - In punto di non manifesta infondatezza, segnala preliminarmente il giudice a quo che il procedimento di cui all'art. 2409 cod. civ., nel sistema introdotto dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, avrebbe subito profondi cambiamenti in senso restrittivo della sua sfera di applicazione, tra i quali i piu' significativi riguarderebbero la limitazione del potere del P.M. alle sole societa' «aperte», e cioe' a quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, e il restringimento dell'area delle irregolarita' per tale via denunciabili a quelle «potenzialmente dannose» per la societa', o per societa' ad essa collegate. Tale assetto normativo, nel quale si inserisce la peculiare disciplina del controllo giudiziale nelle societa' a responsabilita' limitata, non solo sarebbe in controtendenza con «i precedenti legislativi in materia societaria» e con la «cornice comunitaria», ma contrasterebbe con le linee guida della stessa legge n. 366 del 2001. Questa, invero, mentre nessuna menzione del controllo giudiziale aveva fatto negli artt. 2 e 12, rispettivamente dedicati ai principi ispiratori della riforma e ai profili processuali, si era occupata dell'istituto in due norme soltanto: nell'art. 4, comma 2, numero 4, laddove aveva disposto che nelle societa' per azioni operanti sul mercato del capitale di rischio il potere di denunzia dovesse essere attribuito anche ai sindaci o agli altri organi di controllo interno; nell'art. 5, comma 2, lettera g), laddove aveva imposto di estendere alle societa' cooperative, diverse da quelle costituzionalmente riconosciute, l'esperibilita' del mezzo «disciplinato dall'art. 2409 del codice civile». Orbene, in un contesto nel quale, da un lato, le uniche indicazioni rinvenibili nella legge delega sarebbero state volte ad operarne l'estensione e, dall'altro, il riferimento all'art. 2409 cod. civ., contenuto nel menzionato art. 5, lungi dall'avere carattere formale, rivelerebbe piuttosto l'intenzione del legislatore di mantenerne inalterata la disciplina, il vizio di eccesso di delega travalicherebbe gli stessi, specifici profili attinenti alla societa' a responsabilita' limitata, per porsi con riguardo alla generale regolamentazione dettata in parte qua dal legislatore del 2003. Ne' potrebbe ignorarsi che, se e' vero che la legge delega aveva accentuato il carattere «privatistico» della societa' a responsabilita' limitata, non aveva tuttavia fatto venir meno il rilievo «non strettamente individuale» di quel modello societario, di modo che una cosi' radicale modifica del sistema dei controlli interni sarebbe in contrasto con le esigenze di salvaguardia dell'interesse generale avute di mira dal legislatore del 2001, anche attraverso il mantenimento dei controlli esterni. Secondo il giudice a quo non sarebbe condivisibile la tesi, affermata nella Relazione accompagnatoria, della piena equivalenza dei poteri attribuiti ai componenti la compagine della societa' a responsabilita' limitata con la tutela assicurata dall'art. 2409 cod. civ.: a ben vedere, invero, malgrado l'ampliamento delle possibilita' di accesso dei soci alla conoscenza degli affari sociali (art. 2476, comma secondo, cod. civ.) e la riconosciuta esperibilita', in capo a ciascuno di essi, dell'azione sociale di responsabilita' (art. 2476, comma terzo, cod. civ.) nonche' di quella spettante in dipendenza di danni direttamente prodotti nel loro patrimonio da atti dolosi o colposi dell'amministratore (art. 2476, comma sesto, cod. civ.), l'area di operativita' dell'art. 2409 cod. civ., rispetto a questi mezzi, sarebbe comunque piu' ampia. A supporto di tale assunto il rimettente segnala che l'esercizio del rimedio risarcitorio, cui e' legata la richiesta di revoca con provvedimento di urgenza dell'amministratore, richiederebbe un danno effettivo e non soltanto potenziale, e cioe' proprio quel pregiudizio che il procedimento di cui all'art. 2409 cod. civ. tenderebbe ad evitare. In particolare, come posto in luce dalla dottrina, la revoca in via cautelare dell'organo gestorio dovrebbe ritenersi possibile solo quando la mancata, tempestiva rimozione dello stesso rischi di aggravare a tal punto il pregiudizio da rendere aleatoria la possibilita' di un successivo risarcimento a carico del patrimonio degli amministratori, o da mettere in pericolo la stessa sopravvivenza della societa'. Per altro verso, rimosso in via d'urgenza l'amministratore, la nomina di quello nuovo, in mancanza di previsione dell'intervento di un amministratore giudiziale, competerebbe pur sempre alla maggioranza che ha assistito, inerte, alla cattiva gestione degli affari sociali mentre, in caso di insanabile contrasto tra i soci, si realizzerebbe un'ipotesi di impossibilita' di funzionamento della societa' e dunque una causa legale di scioglimento della stessa, ex art. 2484, comma primo, numero 3, cod. civ. Infine l'esame dei libri e dei documenti sociali a iniziativa e spese del socio costituirebbe rimedio costoso e potenzialmente inappagante, in quanto meno obbiettivo rispetto all'ispezione condotta dall'ausiliario del giudice. In tale contesto il Tribunale di Cagliari ritiene rilevante e non manifestamente infondato il dubbio di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 2409 e 2476, comma terzo, cod. civ. - nella parte in cui non prevedono che, in caso di gravi irregolarita' degli amministratori, i soci della societa' a responsabilita' limitata possano azionare il mezzo di cui all'art. 2409 cod. civ. - e dell'art. 2477, comma quarto, cod. civ. laddove, richiamando le disposizioni in tema di societa' per azioni con riferimento alla societa' a responsabilita' limitata in cui sia obbligatoria la nomina del collegio sindacale, consente solo in quest'ultimo caso il ricorso alla procedura de qua: tanto in riferimento all'articolo 76 della Costituzione, per eccesso di delega, avendo il legislatore delegato modificato la disciplina dei controlli esterni ed escluso l'applicazione dell'istituto alla societa' a responsabilita' limitata, benche' le uniche indicazioni contenute nella legge delega fossero nel senso di un ampliamento della sfera di operativita' dello stesso; nonche' in riferimento all'art. 3 della Costituzione, per disparita' di trattamento tra soci della societa' a responsabilita' limitata e soci della societa' per azioni e, ancora, tra i primi e i sindaci della societa' a responsabilita' limitata in cui sia obbligatoria la nomina del collegio sindacale. 2.3. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio con la rappresentanza dell'Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto dichiararsi inammissibile, ovvero infondata, la questione. Osserva preliminarmente l'interveniente che la censura relativa all'eccesso di delega riguarda, a ben vedere, soltanto l'art. 2409 cod. civ., nella parte in cui esclude espressamente le societa' a responsabilita' limitata dall'applicazione del procedimento di controllo, mentre impropria sarebbe la deduzione della presunta incostituzionalita' degli artt. 2476 e 2477, posto che tali norme sono richiamate al solo fine di argomentare la fondatezza della questione, senza alcun riferimento all'eccesso di delega. Nel merito rileva l'Avvocatura che, secondo la consolidata giurisprudenza del Giudice delle leggi, il sindacato sull'esercizio da parte del Governo del potere di legiferare nelle materie delegate dal Parlamento, ai sensi dell'art. 76 della Costituzione, e' circoscritto al rilievo di eventuali profili di incongruenza tra i limiti desumibili dai principi e dai criteri direttivi contenuti nella delega e le scelte legislative adottate dal delegato, fermo peraltro il divieto di sindacarne il merito. Nella fattispecie il giudice a quo avrebbe mostrato di essere ben consapevole della voluntas legis insita nelle norme che disciplinano la societa' a responsabilita' limitata, del resto esplicitata nella Relazione accompagnatoria richiamata nell'ordinanza di rimessione, e di non condividerla, posto che egli ritiene insufficiente la tutela offerta dall'estensione della legittimazione dei soci all'esercizio dell'azione sociale di responsabilita' e inopportuna l'eliminazione del controllo giudiziario sulla gestione. Ma, a giudizio dell'Avvocatura, tale valutazione nulla avrebbe a che vedere con la corretta applicazione dei criteri di delegazione (essendo peraltro affatto incontrovertibile la volonta' del delegante di consentire una radicale modificazione della societa' a responsabilita' limitata), trattandosi piuttosto di una non consentita critica alle scelte in concreto operate dal legislatore delegato. L'intangibilita' della discrezionalita' legislativa nell'attuazione della delega e segnatamente, per quanto qui interessa, nella predilezione per un sistema di controllo endosocietario diffuso, piuttosto che per un modello di controllo esterno, affidato all'autorita' giudiziaria, comporterebbe, secondo la difesa erariale, l'inammissibilita' e comunque l'infondatezza della questione. Considerato in diritto 1. - La Corte d'appello di Trieste dubita, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, della legittimita' costituzionale degli artt. 2409, commi primo e settimo, 2477, comma quarto, e 2476, comma terzo, cod. civ., nella parte in cui escludono l'ammissibilita' del ricorso alla procedura del controllo giudiziario sulla gestione nella societa' a responsabilita' limitata. A sua volta, il Tribunale ordinario di Cagliari dubita, in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, della legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 2409 e 2476, comma terzo, cod. civ. - nella parte in cui non prevedono che, in caso di gravi irregolarita' degli amministratori, i soci della societa' a responsabilita' limitata possano invocare il controllo giudiziario ex art. 2409 cod. civ. - nonche' dell'art. 2477, comma quarto, cod. civ. laddove, richiamando le disposizioni in tema di societa' per azioni con riferimento alla societa' a responsabilita' limitata in cui sia obbligatoria la nomina del collegio sindacale, consente solo in quest'ultimo caso il ricorso alla procedura de qua. 2. - I giudizi, avendo ad oggetto questioni di legittimita' costituzionale relative alle medesime norme di legge, debbono essere riuniti. 3. - Le ordinanze di rimessione censurano entrambe, denunciando un eccesso di delega, la disciplina disegnata dal decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6 (Riforma organica della disciplina delle societa' di capitale e societa' cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366), in tema di controllo giudiziario sulla societa' a responsabilita' limitata, ma muovendo da due diverse tesi: l'una (n. 51 del 2005) escludendo che la procedura di cui all'art. 2409 cod. civ. sia comunque - e cioe' anche ad iniziativa del collegio sindacale obbligatoriamente nominato ex art. 2477, comma terzo, cod. civ. - esperibile nei confronti di una societa' a responsabilita' limitata, l'altra (n. 230 del 2005) ritenendo che il collegio sindacale, ma non anche i soci, possa promuovere il controllo giudiziario previsto dall'art. 2409 cod. civ. L'eccesso di delega, conseguentemente, viene ravvisato ora nell'esclusione totale, ora nella limitazione dell'operativita' dell'art. 2409, sostenendosi altresi', da parte della seconda ordinanza, che la limitazione sarebbe tale da comportare una ingiustificata disparita' di trattamento a danno dei soci della societa' a responsabilita' limitata rispetto ai soci di una societa' per azioni e, comunque, rispetto al collegio sindacale. 4. - Le questioni non sono fondate. 5. - La legge 3 ottobre 2001, n. 366 (Delega al Governo per la riforma del diritto societario), si compone, per quel che interessa in questa sede, di quattro articoli dedicati rispettivamente, ai «principi generali in materia di societa' di capitali» (art. 2), alle «societa' a responsabilita' limitata» (art. 3) alle «societa' per azioni» (art. 4) ed alle «societa' cooperative» (art. 5). Entrambe le ordinanze di rimessione imputano al legislatore delegato la violazione del criterio di cui all'art. 4, comma 2, lettera a), numero 4, con il quale il legislatore delegato era impegnato a «prevedere la denunzia al tribunale, da parte dei sindaci o, nei casi di cui al comma 8, lettera d), numeri 2 [consiglio di sorveglianza n.d.r.] e 3 [comitato preposto al controllo interno sulla gestione n.d.r.], dei componenti di altro organo di controllo, di gravi irregolarita' nell'adempimento dei doveri degli amministratori»: criterio volto, in una disciplina che prevede «un ampliamento dell'autonomia statutaria», ad individuare «limiti e condizioni in presenza dei quali sono applicabili a societa' che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio norme inderogabili» (cosi' il comma 2, lettera a). Da tale criterio - e da quello (art. 5, comma 2, lettera g) che prevede il controllo giudiziario per le societa' cooperative non inquadrabili nella c.d. cooperazione costituzionalmente riconosciuta - i rimettenti desumono che il legislatore delegato era vincolato esclusivamente ad estendere la legittimazione attiva e l'ambito oggettivo del controllo giudiziario come previsto dall'art. 2409 cod. civ.; norma che, in quanto espressamente citata dall'art. 5, comma 2, lettera g), doveva rimanere «inalterata». Queste essendo «le uniche indicazioni rinvenibili nella legge delega», e cioe' «volte ad operare l'estensione del controllo giudiziario», la soppressione (secondo l'ordinanza n. 51 del 2005) o la limitazione (secondo l'ordinanza n. 250 del 2005) di tale controllo sulle societa' a responsabilita' limitata sarebbe costituzionalmente illegittima non potendosi condividere quanto si afferma nella Relazione accompagnatoria al decreto legislativo n. 6 del 2003: l'ampliamento del potere ispettivo dei soci, la legittimazione di ciascun socio all'azione sociale di responsabilita', la previsione di un provvedimento cautelare d'urgenza di revoca degli amministratori in caso di gravi irregolarita' nella gestione della societa' (art. 2476 cod. civ.) non sarebbero idonei a coprire l'area di operativita' dell'art. 2409 cod. civ., e dovrebbe negarsi, pertanto, la pretesa equivalenza di tutela che, in tal modo, si sarebbe assicurata. 5.1. - Va premesso che la legge di delega n. 366 del 2001 fa esplicito riferimento al controllo giudiziario esclusivamente nelle norme dedicate alle societa' per azioni (art. 4) ed alle societa' cooperative (art. 5), e non anche nella norma che fissa i principi generali in materia di societa' di capitali (art. 2) e in quella sui principi ai quali si sarebbe dovuta ispirare la disciplina delle societa' a responsabilita' limitata (art. 3). La tesi dei rimettenti, secondo la quale il silenzio serbato in proposito dalla legge di delega nell'art. 3 andrebbe inteso come volonta' di ribadire l'applicabilita' dell'art. 2409 cod. civ. alle societa' a responsabilita' limitata, non e' condivisibile: anche a tacere la circostanza che la legittimazione riconosciuta ai sindaci potrebbe intendersi riferita (nella legge delega) alle societa' per azioni che «fanno ricorso al mercato del capitale di rischio» («caratterizzate da un maggior grado di imperativita»: art. 4, comma 1), e' agevole rilevare che tale tesi trascura di considerare che l'art. 2, lettera f) fissa, come generale, il principio per cui la societa' a responsabilita' limitata e la societa' per azioni debbono costituire «due modelli societari» distinti. Principio generale, questo, al quale fa da corollario quello della previsione, per la societa' a responsabilita' limitata, di «un autonomo ed organico complesso di norme» (art. 3, comma 1, lettera a), e cioe' una impostazione della disciplina radicalmente divergente da quella - che aveva fatto qualificare la societa' a responsabilita' limitata come «una piccola societa' per azioni» - adottata dal codice civile anteriormente alla riforma, e che trovava la sua compiuta manifestazione negli artt. 2486, comma secondo, 2487, comma secondo, e 2488, commi terzo e quarto, cod. civ. A cio' non puo' non aggiungersi che, se e' vero che la legge delega non reca piu' alcuna esplicita previsione in ordine alla «ristretta compagine sociale» - che, secondo l'originaria impostazione (cosiddetto «progetto Mirone») avrebbe dovuto caratterizzarla insieme con l'attribuzione di «rilevanza centrale al socio e ai rapporti contrattuali tra i soci», - e' anche vero che la legge delega dispone che l'autonomo ed organico complesso di norme sia «modellato sul principio della rilevanza centrale del socio e dei rapporti contrattuali tra i soci»; formula preferita alla precedente solo perche' non si voleva imporre ab externo, ma far scaturire spontaneamente dalle caratteristiche strutturali del modello societario, la «ristretta compagine sociale», mantenendo tuttavia ferma «la rilevanza centrale del socio e dei rapporti contrattuali tra i soci». Avendo trascurato queste previsioni - essenziali per la natura stessa della societa' a responsabilita' limitata immaginata dal legislatore delegante - l'accento posto dai rimettenti sul valore da attribuire agli specifici riferimenti (contenuti negli artt. 4 e 5) al controllo giudiziale appare frutto della convinzione che una societa' di capitali - per cio' solo che e' di capitali, e del tutto a prescindere dalla sua struttura (e, quindi, anche se costruita, come da taluno si e' detto, quale «societa' di persone con responsabilita' limitata») - non possa non essere assoggettata ad un controllo giudiziale quale quello previsto dall'art. 2409 cod. civ. 5.2. - Le considerazioni appena svolte rendono chiaro che non e' da accogliere la censura, fondata sulla violazione dell'art. 76 Cost., relativamente alla mancata previsione dell'applicabilita' dell'art. 2409 cod. civ. alle societa' a responsabilita' limitata. Questa Corte, infatti, anche recentemente ha ribadito che «i principi e i criteri direttivi della legge di delegazione devono essere interpretati sia tenendo conto delle finalita' ispiratrici della delega, sia verificando, nel silenzio del legislatore delegante sullo specifico tema, che le scelte operate dal legislatore delegato non siano in contrasto con gli indirizzi generali della stessa legge-delega» (sentenza n. 228 del 2005; n. 308 del 2002; ordinanza n. 248 del 2004). Alla luce di tale criterio e' priva di fondamento anche la censura rivolta, sulla base del medesimo parametro costituzionale, nei confronti della norma (art. 2476 cod. civ.) che, ampliando i poteri di indagine e di reazione del socio nei confronti di chi gestisce la societa', avrebbe (erroneamente, a giudizio dei rimettenti) preteso di conseguire per altra via la medesima intensita' di tutela garantita dall'art. 2409 cod. civ. Non spetta a questa Corte valutare la condivisibilita' di tale tesi, ma il principio da essa ripetutamente affermato, secondo il quale occorre tener «conto delle finalita' che, attraverso i principi ed i criteri enunciati, la legge delega si prefigge con il complessivo contesto delle norme da essa poste e (tener) altresi' conto che le norme delegate vanno interpretate nel significato compatibile con quei principi e criteri» (sentenze n. 213 del 2005; 425 del 2000; 15 del 1999), impone di rilevare come la norma censurata si presti ad una interpretazione meno riduttiva di quella prospettata - a conforto della censura di illegittimita' costituzionale - dai rimettenti. L'accesso consentito a ciascun socio a documenti della societa' che, nella precedente disciplina della societa' a responsabilita' limitata - e, ancora oggi, della societa' per azioni -, potevano essere esaminati soltanto da chi era incaricato dell'ispezione ex art. 2409 cod. civ., costituisce certamente una profonda innovazione, idonea a potenziare l'efficacia dell'azione sociale di responsabilita', alla quale viene legittimato ciascun socio, che viene altresi' legittimato a «chiedere, in caso di gravi irregolarita' nella gestione della societa', che sia adottato provvedimento cautelare di revoca degli amministratori». Ed e' appena il caso di rilevare come la formulazione letterale della norma non imponga affatto l'interpretazione che dei presupposti della misura «cautelare» di revoca propongono i rimettenti; al contrario, la qualificazione di «cautelare» data dalla legge alla misura di revoca ben puo' essere intesa - come peraltro ritiene una parte della giurisprudenza e della dottrina - nel senso di strumentale (ed anticipatoria rispetto) ad una azione volta ad ottenere una sentenza di revoca degli amministratori, per cio' solo che nella gestione della societa' sono presenti «gravi irregolarita» e v'e' mero pericolo di danno per la medesima. Cosi' come la salvezza del «diritto al risarcimento dei danni spettanti [...] al terzo» danneggiato da atti dolosi o colposi degli amministratori (art. 2476, comma sesto, cod. civ.) costituisce previsione che non preclude interpretazioni - peraltro proposte in dottrina - idonee ad assicurare efficace tutela ai creditori sociali. 6. - Le considerazioni appena svolte escludono la fondatezza della censura che il tribunale di Cagliari muove, in riferimento all'art. 3 Cost., al combinato disposto degli artt. 2409 e 2476, comma terzo, cod. civ.: la lamentata disparita' di trattamento tra i soci di una societa' a responsabilita' limitata e i soci di una societa' per azioni non sussiste, diverse essendo all'evidenza le situazioni soggettive, per cio' solo che diverse sono le societa' alle quali partecipano, degli uni e degli altri. 7. - Infondata e' altresi' la censura rivolta dal Tribunale ordinario di Cagliari, sempre in riferimento all'art. 3 Cost., nei confronti dell'art. 2477, comma quarto, cod. civ., nella parte in cui discrimina tra sindaci e soci di una societa' a responsabilita' limitata quanto alla legittimazione alla denuncia al tribunale ex art. 2409 cod. civ. A prescindere dalla opinabilita' (ampiamente argomentata dalla Corte di Trieste) dell'interpretazione secondo la quale la denuncia ex art. 2409 cod. civ. - per il mero fatto che e' inserita in un paragrafo del codice civile (1/2 3 della sezione VI-bis) intitolato «del collegio sindacale» - costituirebbe un «potere» del collegio sindacale, la cui esperibilita' deriverebbe dalla sola circostanza che un tale collegio esista, e' evidente l'inconsistenza di una censura la cui fondatezza presupporrebbe la sostanziale assimilabilita' di soci e sindaci.