ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 1, comma 9,
della  legge  30 luglio  1990,  n. 217  (Istituzione del patrocinio a
spese  dello Stato per i non abbienti) e dell'art. 91 del decreto del
Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle
disposizioni  legislative  e  regolamentari  in  materia  di spese di
giustizia), promosso con ordinanza del 6 maggio 2004 dal Tribunale di
Roma,  nel  procedimento  penale a carico di Martini Franco ed altro,
iscritta  al  n. 215  del  registro ordinanze 2005 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 17,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2005.
    Visti l'atto di costituzione di Martini Franco, nonche' l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 26 ottobre 2005 il giudice
relatore Alfio Finocchiaro.
    Ritenuto  che  con  ordinanza  del 6 maggio 2004, il Tribunale di
Roma   ha   sollevato   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 91  del  decreto  del Presidente della Repubblica 30 maggio
2002,   n. 115   (Testo   unico   delle  disposizioni  legislative  e
regolamentari  in  materia  di  spese  di  giustizia)  e dell'art. 1,
comma 9,   della   legge  30 luglio  1990,  n. 217  (Istituzione  del
patrocinio  a  spese  dello  Stato per i non abbienti) in riferimento
agli artt. 3, 24 e 27, secondo comma, della Costituzione;
        che,   secondo   il   giudice   rimettente,   nell'ambito  di
procedimenti  penali  a carico di Franco Martini e altri imputati, il
Tribunale  di  Roma,  aveva  ammesso  i  predetti  al  beneficio  del
patrocinio  legale  a  spese dello Stato, ai sensi della legge n. 217
del 1990, all'epoca vigente;
        che  i  diversi  procedimenti  a  carico degli imputati erano
confluiti   ed  erano  stati  riuniti,  per  ragioni  di  connessione
soggettiva  e  probatoria,  in  un  unico  procedimento, definito con
sentenza del Tribunale di Roma del 17 gennaio 2003;
        che   i   difensori   degli   imputati   avevano  chiesto  la
liquidazione  degli  onorari  loro spettanti ma che il Tribunale, con
decreto   in   data   28 novembre  2003,  aveva  disposto  la  revoca
dell'ammissione  di  Martini  e  di  un  altro imputato al patrocinio
legale   a   spese   dello   Stato,   argomentando,  tra  l'altro  ed
essenzialmente  per quel che rileva in questa sede, che la presenza a
carico  dei  predetti  di  imputazioni  inerenti  alla  violazione di
normativa  in materia finanziaria e tributaria e ad illeciti di altra
natura  doveva comportare, ex lege, la revoca ex tunc dell'ammissione
al  beneficio,  ai sensi dell'art. 1, comma 9, della legge n. 217 del
1990,  vigente  sin  dall'epoca  del  provvedimento  di ammissione al
patrocinio  a  spese dello Stato, e dell'art. 91, comma 1, lettera a)
del d.P.R. n. 115 del 2002, che ha ribadito detta esclusione;
        che  avverso  tale  decisione  gli  imputati avevano proposto
ricorso;
        che il caso di specie si caratterizzava per la particolarita'
che agli imputati erano stati contestati reati di natura tributaria e
finanziaria  unitamente  a delitti contro l'ordine pubblico (art. 416
cod. pen.) e contro il patrimonio;
        che  la  formulazione della normativa in questione imporrebbe
la  generale esclusione dei predetti dal beneficio dell'ammissione al
patrocinio  legale  a spese dello Stato, senza che si potesse operare
una  distinzione,  peraltro  concettualmente  e sostanzialmente assai
difficile  se  non impossibile, tra gli uni e gli altri illeciti loro
ascritti;
        che  il  tenore  testuale delle norme non lascerebbe spazio a
diverse  letture,  atteso  che  gia'  l'art. 1,  comma 9, della legge
n. 217  del  1990  stabiliva  che  «in  ogni caso...» l'ammissione al
beneficio  era  da  escludersi  per  gli  imputati di reati di natura
finanziaria  e/o  tributaria  mentre  l'art. 91 del d.P.R. n. 115 del
2002,  in vigore, ha precisato e ribadito che il beneficio e' escluso
per  «l'indagato, l'imputato ed il condannato...» per reati di quella
natura  per cui l'ammissione al patrocinio legale a spese dello Stato
era   ed   e'   impedita   dalla   sola  prospettazione  dell'ipotesi
accusatoria, prescindendosi da ogni vaglio nel merito, e che, d'altra
parte, la rigidita' e la severita' della norma va ricondotta alla sua
ratio  individuabile  nell'impossibilita',  per  i soggetti cui viene
mosso   quel   tipo  di  imputazione,  di  accertare  validamente  le
rispettive  condizioni  patrimoniali  (cfr. Cass. sez. I, n. 2023 del
17 marzo 2000);
        che,  nel  caso  di specie, quindi, nonostante la presenza di
contestazioni  di diversa natura, in applicazione delle citate norme,
prevarrebbe  il  divieto  di  ammissione al patrocinio legale a spese
dello  Stato  per  la  presenza di imputazioni di natura tributaria e
finanziaria,  cosi'  come  peraltro  evidenziato dal tribunale che ha
revocato il provvedimento di ammissione al beneficio;
        che  da  cio'  conseguirebbe  la rilevanza della questione di
costituzionalita',  come  appresso  prospettata,  poiche', cosi' come
formulate,   le   norme   in   esame  porterebbero  ad  una  conferma
dell'impugnato provvedimento di revoca;
        che  le  indicate  previsioni  normative  e  il piu' generale
impianto  di  cui al d.P.R. n. 115 n. 2002, comporterebbero, percio',
la  conseguenza  che  imputati - od anche solo indagati - di reati di
varia  natura,  e  tra  questi  di  taluni  di natura finanziaria e/o
tributaria,  non possano usufruire per tale ragione del beneficio del
patrocinio  legale  a  spese dello Stato mentre chi fosse imputato di
reati  non  comprendenti  alcuno  di  quelli di natura tributaria e/o
finanziaria,  anche  di eguale o maggiore gravita', ben potrebbe aver
diritto a quel beneficio;
        che  apparirebbe  evidente  il  contrasto  di  detto  sistema
normativo  innanzitutto  con  l'art. 3 Cost., non potendosi ravvisare
alcuna  ragionevolezza  in quella disparita' di trattamento; poi, con
l'art. 24  Cost.  laddove  il  pieno  esercizio del diritto di difesa
sarebbe  assicurato  solo ai soggetti ai quali non venisse contestato
alcun  reato  di  natura  tributaria  e/o  finanziaria, eventualmente
connesso  ad  altri di diversa natura; infine, con l'art. 27, secondo
comma,  Cost.,  risultando  violato  il principio di non colpevolezza
sino  alla  decisione definitiva poiche' la mera ed anche non formale
contestazione  di  reati di natura tributaria e/o finanziaria, sempre
eventualmente  connessi  ad  altri  di  natura differente, imporrebbe
l'esclusione  del beneficio, senza alcuna possibilita' di valutazione
nel   merito   della   fondatezza  delle  accuse  ed  anche  laddove,
addirittura,  fosse  intervenuta  in seguito una decisione favorevole
agli imputati;
        che  lo  stesso  d.P.R.  n. 115  del  2002  consente, invece,
l'ammissione  al  beneficio del patrocinio legale a spese dello Stato
con  riferimento  ai  ricorsi  alle  commissioni  tributarie  avverso
provvedimenti di accertamento fiscale, per cui non sembrerebbe che il
legislatore  abbia  ritenuto  un'ontologica  incompatibilita'  tra il
patrocino   a   spese   dello   Stato  e  questioni  che  coinvolgono
problematiche fiscali e tributarie;
        che  si  e' costituito con memoria Franco Martini, insistendo
per l'accoglimento della questione proposta;
        che  nel  giudizio  innanzi  alla  Corte  e'  intervenuto  il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura   dello  Stato,  chiedendo  che  la  questione  venga
dichiarata inammissibile o comunque infondata.
    Considerato  che il Tribunale di Roma, con ordinanza del 6 maggio
2004,  dubita  della  legittimita'  costituzionale  dell'art. 91  del
decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo
unico  delle  disposizioni  legislative e regolamentari in materia di
spese  di  giustizia)  e  dell'art. 1, comma 9, della legge 30 luglio
1990,  n. 217  (Istituzione  del patrocinio a spese dello Stato per i
non  abbienti),  laddove  stabiliscono che l'ammissione al patrocinio
dei   non  abbienti  e'  esclusa  per  l'imputato,  l'indagato  e  il
condannato  per  reati  commessi  in  violazione  delle  norme per la
repressione  dell'evasione  in  materia  di imposte sui redditi e sul
valore  aggiunto, per violazione dell'art. 3 Cost., per la disparita'
di  trattamento  che  si  creerebbe  tra  imputati  di reati di varia
natura,  e tra questi di taluni di natura finanziaria e/o tributaria,
che  non  possono  usufruire  per  tale  ragione  del  beneficio  del
patrocinio  legale a spese dello Stato, e chi fosse imputato di reati
non   comprendenti   alcuno   di  quelli  di  natura  tributaria  e/o
finanziaria, anche di eguale o maggiore gravita', che potrebbe invece
aver  diritto  a  quel beneficio; dell'art. 24 Cost. laddove il pieno
esercizio  del  diritto di difesa sarebbe assicurato solo ai soggetti
ai  quali non venisse contestato alcun reato di natura tributaria e/o
finanziaria;  nonche'  dell'art. 27, secondo comma, Cost., risultando
violato   il  principio  di  non  colpevolezza  sino  alla  decisione
definitiva  poiche'  la  mera  ed  anche non formale contestazione di
reati  di  natura  tributaria  e/o  finanziaria, sempre eventualmente
connessi  ad  altri di natura differente, imporrebbe l'esclusione del
beneficio,  senza alcuna possibilita' di valutazione nel merito della
fondatezza   delle   accuse  ed  anche  laddove,  addirittura,  fosse
intervenuta in seguito una decisione favorevole agli imputati;
        che  l'ordinanza di rimessione si limita ad enunciare i reati
per i quali gli imputati erano processati (reati di natura tributaria
e  finanziaria),  senza indicare se gli stessi avevano i requisiti di
reddito  per  accedere  al patrocinio a spese dello Stato (condizione
richiesta  dall'art. 24,  terzo  comma,  della  Costituzione, nonche'
dall'art. 76 del d.P.R. n. 115 del 2002);
        che  vengono  inoltre  impugnate  sia  la  norma  attualmente
vigente  sia  quella  precedente,  senza  motivare sulla rilevanza di
quest'ultima ai fini della decisione della questione proposta;
        che,  per costante giurisprudenza di questa Corte, il giudice
deve  rendere  esplicite  le  ragioni  che lo inducono a sollevare la
questione  di  costituzionalita' con una motivazione autosufficiente,
tale  da  permettere  la  verifica della valutazione sulla rilevanza;
cio'  che,  per le evidenziate lacune, non risulta possibile nel caso
di specie;
        che  tale  insufficienza  della  motivazione, non consentendo
alla  Corte il controllo sulla rilevanza della questione nel giudizio
a  quo,  determina  la  manifesta  inammissibilita'  della  questione
sollevata  (cfr.,  ex  plurimis,  ordinanze n. 251 del 2005 e n. 365,
n. 309 e n. 257 del 2004).
    Visti  gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte.