IL TRIBUNALE

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Letti  gli  atti  del  procedimento penale n. 21484/05 R.G. n. R.
contro  Andries Sebastian, nato a Bacau (Romania) il 3 novembre 1986,
imputato  del  reato  di  cui all'art. 14, comma 5-ter primo periodo,
come  modificato  dalla  legge  12  novembre  2004,  n. 271, perche',
cittadino  straniero,  destinatario  di provvedimento del Questore di
Torino,  (notificatole  il  1°  aprile  2005  a seguito di decreto di
espulsione  del  prefetto  fondato  sui motivi di cui alla lettera a)
dell'art. 13,   comma   2,   d.lgs.   citato),   con  intimazione  di
allontanarsi dal territorio entro cinque giorni, non ottemperava alla
stessa, trattenendosi nello Stato ove veniva reperito.
    Accertato in Volpiano il 23 febbraio 2005.

                            O s s e r v a

    L'imputato,  tratto  in  arresto  in  data  25  ottobre  2005 per
violazione  all'art. 14, comma, 5-ter, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286,
modificato dall'art. 1, commi 5-bis e 6 della legge 12 novembre 2004,
n. 271,  veniva  presentato  dal pubblico ministero, per la convalida
dell'arresto ed il conseguente giudizio direttissimo, all'udienza del
27 ottobre  2005.  Convalidato  l'arresto  e  disposta la liberazione
dell'Andries,  non  avendo  il  p.m.  richiesto  l'adozione di alcuna
misura cautelare, il medesimo presentava istanza di applicazione pena
ex  art. 444  c.p.p. cui seguiva il consenso del p.m. All'esito della
discussione  questo  giudice  ritiene di dover sollevare incidente di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 1,  comma  5-bis legge citata
nella  parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro
anni  per lo straniero che senza giustificato motivo si trattiene nel
territorio  dello  Stato  in  violazione  dell'ordine  impartito  dal
questore  ai sensi del comma 5-bis, in riferimento agli artt. 3 e 27,
terzo  comma  della  Costituzione,  pena  edittale che consente anche
l'adozione  delle  misure  cautelari  di  cui  agli artt. 280 e segg.
c.p.p.
    La  rilevanza  della  questione risiede nel fatto che, qualora si
dovesse  pervenire  all'applicazione nei confronti dell'Andries della
pena  concordata  dalle parti, sarebbe comminata la sanzione prevista
dalla norma della cui legittimita' costituzionale si dubita ed al cui
riguardo si svolgono i seguenti rilievi.
    La  permanenza  in  Italia  dello  straniero  «senza giustificato
motivo»  e  nonostante  il  provvedimento del questore di lasciare il
territorio nazionale entro cinque giorni in caso di impossibilita' di
trattenimento presso un centro di permanenza temporanea o di scadenza
del  termine di permanenza senza esecuzione dell'espulsione nel testo
originario   dell'art. 14,   d.lgs.   25  luglio  1998,  n. 286,  era
sprovvista  di  specifica  sanzione, pur essendo controverso se fosse
sanzionabile penalmente col ricorso alla disposizione generale di cui
all'art. 650  c.p. La legge 30 luglio 2002, n. 189, ha introdotto una
fattispecie  contravvenzionale  ad  hoc punibile con l'arresto da sei
mesi  ad  un  anno, con arresto obbligatorio del contravventore e sua
espulsione  eseguita tramite accompagnamento coattivo alla frontiera.
Caduta  la  porzione della norma che prevedeva l'arresto obbligatorio
per  effetto  della  sentenza  della  Corte costituzionale in data 15
gennaio    2004,   n. 223,   che   ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 14, comma 5-quinquies per contrasto con gli
articoli 3 e 13 Cost. «nella parte in cui stabilisce che per il reato
previsto  dal  comma  5-ter  del  medesimo  art. 14  e'  obbligatorio
l'arresto  dell'autore  del fatto», interveniva il legislatore con la
legge  12  novembre  2004,  n. 271, operando un ampio rimaneggiamento
della   norma   e   reintroducendo   l'arresto  obbligatorio  per  le
fattispecie trasformate in delitto.
    Tale  intervento  ha determinato un effetto pirotecnico nel magma
indifferenziato  della previgente fattispecie, che sanzionava in modo
identico  le  permanenze  ingiustificate nel territorio in violazione
dei  provvedimenti del questore che davano esecuzione a provvedimenti
di  espulsione  ministeriali  o  prefettizi.  Ora  la stessa condotta
diventa  un  delitto  ovvero  rimane  una  contravvenzione ovvero non
configura   alcun   illecito  penale  (esiste  soltanto  la  sanzione
amministrativa  dell'accompagnamento  alla frontiera) a seconda della
provenienza  e  della  natura  dell'espulsione presupposta. Pertanto,
permane  l'illiceita'  penale  nel caso di espulsione pronunciata dal
prefetto  cui  e'  data  esecuzione da parte del questore. Se essa e'
stata   disposta  per  ingresso  illegale  sul  territorio  nazionale
«ai sensi  dell'art. 13,  comma  2,  lettere a) e c)» ovvero per aver
omesso  di  richiedere il permesso di soggiorno nel termine di legge,
il reato di inottemperanza, senza giustificato motivo, all'ordine del
questore  e'  un  delitto  punito  con la reclusione da uno a quattro
anni;  se  il  motivo  che  ha determinato l'espulsione e' la mancata
richiesta  del  rinnovo  del permesso di soggiorno scaduto da piu' di
sessanta   giorni,  resta  l'illecito  contravvenzionale  punito  con
l'arresto da sei mesi ad un anno.
    Se  l'ingiunzione  del  questore  e'  attuativa di una espulsione
disposta  dal  Ministro dell'interno «per motivi di ordine pubblico o
di  sicurezza  dello  Stato» (es. espulsione per i motivi suddetti di
donna  incinta  di  cui  si  ignora  la nazionalita' e, pertanto, non
suscettibile   di   esecuzione  immediata  con  accompagnamento  alla
frontiera),  la sua inosservanza non e' assistita dalla tutela penale
in  quanto  le  ragioni  dell'espulsione  avvengono per tipologie non
omologhe  a  quelle  per  le  quali  e'  dato  ricorrere da parte del
prefetto  (cui  nell'esempio  citato sarebbe precluso il rinvio della
straniera  allo  stato  di  appartenenza),  ne'  e' dato avvalersi di
operazioni  ermeneutiche  basate  sull'analogia,  vietata  nel  campo
penale.
    Il  reato  per cui e' stato tratto in arresto Andries Sebastian e
per   il  quale  il  p.m.  ha  proceduto  con  giudizio  direttissimo
configura, in base alla nuova normativa, una delle ipotesi delittuose
che  hanno avuto un notevole inasprimento di pena e che, ad avviso di
questo   giudice,   presenta   profili   di  incostituzionalita'  con
riferimento ai citati articoli della Costituzione.
    E'  insegnamento  costante di codesta Corte che uno scrutinio che
investa   direttamente  il  merito  delle  scelte  sanzionatorie  del
legislatore  e' possibile soltanto ove «l'opzione normativa contrasti
con  il  principio  di  eguaglianza,  sotto  il profilo dell'assoluta
arbitrarieta'  o  della  manifesta irragionevolezza» (sentenze n. 206
del  2003, n. 287 del 2001 e n. 313 del 1995 nonche' ordinanze n. 323
del  2002,  n. 110  del  2002,  n. 144  del  2001  e n. 58 del 1999).
Occorre,  in altri termini, interrogarsi «sul perche' una determinata
disciplina     operi,    all'interno    del    tessuto    egualitario
dell'ordinamento,  quella  specifica equiparazione (oppure, a seconda
dei casi, quella specifica distinzione), traendone, quindi, le debite
conclusioni in punto corretto uso del potere normativo. Solo nel caso
in cui una siffatta verifica dovesse evidenziare una carenza di causa
o  ragione  della  disciplina  introdotta  potra' dirsi realizzato un
vizio  di  legittimita'  costituzionale  della norma, proprio perche'
fondato  sulla  irragionevole  omologazione  di  situazioni  diverse»
(sentenze  n. 5  del  2000  e n. 89 del 1996). Il giudizio presuppone
l'individuazione   di   un  tertium  comparationis  rappresentato  da
fattispecie   omologhe  a  quella  prevista  dalla  norma  censurata,
ricavabili  da  norme  incriminatici  poste  a  tutela  degli  stessi
interessi  (individuati  nell'ordine  e  nella  sicurezza pubblica) e
strutturanti  con  modalita'  identiche  o,  quantomeno,  analoghe la
condotta  (sentenze  n. 409  del 1989 e n. 341 del 1994). Nel caso in
argomento sono ipotizzabili due raffronti della norma che si censura:
uno  ristretto  alle  fattispecie previste dall'art. 14, comma 5-ter,
d.lgs.  n. 286/1998,  l'altro  con  fattispecie non contemplate dalla
disciplina sull'immigrazione.
    Con riferimento al primo profilo si osserva che la norma in esame
non  mira  a  reprimere  la  semplice  clandestinita', che continua a
restare  penalmente  irrilevante,  ma  quella  qualificata dal previo
ordine  del questore di lasciare il territorio nazionale. Pertanto si
vuole  combattere  il  fenomeno  della  irregolare  permanenza  dello
straniero  nel  territorio  dello  Stato, di per se' considerato come
lesivo  dell'ordine  pubblico.  Ora,  se  questa e' la funzione della
comminatoria  penale, gia' non si comprende perche' alcune ipotesi di
irregolare  permanenza  (e  si tratta di casi di alto allarme sociale
perche'  riferibili a stranieri espulsi dal Ministro dell'interno per
motivi  di  ordine  pubblico  e  sicurezza pubblica), diversamente da
quanto  accadeva  in precedenza, non configurino ora alcun reato. Non
solo,  altre condotte che parimenti si sostanziano in inosservanza di
omologhi provvedimenti della stessa autorita' (questore), sono puniti
in  forma  differenziata nonostante ledano lo stesso interesse. Si e'
gia'   osservato   che   l'elemento   differenziatore  prescelto  dal
legislatore  non  e'  la  condotta, ma il fatto che ha determinato il
provvedimento di espulsione.
    Lo  straniero  regolarmente  soggiornante,  il  cui  permesso sia
scaduto  senza  che  sia  stato  chiesto  il  rinnovo  nei 60  giorni
successivi alla scadenza, fruisce di un doppio trattamento di favore:
la  sua espulsione non viene in prima battuta eseguita coattivamente,
ma  riceve  soltanto l'intimazione a lasciare il territorio nazionale
entro 15 giorni dalla notificazione del provvedimento; inoltre, se si
trattiene   in   spregio  all'ordine  del  questore  di  lasciare  il
territorio  dello  Stato,  e'  punito con l'arresto da sei mesi ad un
anno.
    Viceversa lo straniero che sia stato espulso o perche' entrato in
Italia  sottraendosi  ai  controlli  di  frontiera  e  non  e'  stato
respinto, o perche' si e' trattenuto nel territorio dello Stato senza
aver  chiesto  il permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo
che  il  ritardo  sia  dipeso  da  forza  maggiore,  ovvero quando il
permesso  di  soggiorno  e'  stato  revocato  o  annullato  o perche'
appartiene  a taluna delle categorie indicate nell'art. 1 della legge
27  dicembre 1956, n. 1423, come sostituito dall'art. 2 della legge 3
agosto  1988,  n. 327,  o  nell'art. 1  della  legge  31 maggio 1965,
n. 575,  come  sostituito dall'art. 13 della legge 13 settembre 1982,
n. 646,  e' punito con la reclusione da uno a 4 anni. Ne discende che
condotte  analoghe  a quella contravvenzionale in precedenza indicata
sono sanzionate, non solo a titolo di delitto, ma con una pena il cui
minimo  e'  parametrato  al massimo dell'unica fattispecie rimasta di
natura  contravvenzionale.  Ora, se il principio di uguaglianza esige
che  «la  pena  sia  proporzionata  al  disvalore  del fatto illecito
commesso  in modo che il sistema sanzionatorio adempia, nel contempo,
alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni
individuali»  (sentenza n. 409 del 18 luglio 1989), tutte le condotte
di  trattenimento  dello straniero nel territorio italiano ledono con
modalita'  oggettive  identiche  lo  stesso  bene. E', infatti, dalla
inosservanza dell'ordine del questore di lasciare entro cinque giorni
il  territorio  nazionale  che  prende  avvio  l'aggressione  al bene
giuridico tutelato ed in cui si sostanzia la colpevolezza dell'autore
del  fatto.  Differenziare  identiche  fattispecie (talune penalmente
indifferenti,  altre punite in modo lieve, altre in modo estremamente
pesante)  in  base  a  situazioni  che  precedono  la  condotta e non
rivelano  una  reale  dannosita'  sociale,  significa  disancorare il
giudizio  di offensivita' (che costituisce la sintesi della relazione
sussistente tra il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice
e   il  fatto)  dal  fatto  stesso;  significa,  in  ultima  analisi,
sanzionare   in   modo   differenziato,   e  percio',  arbitrario  ed
irragionevole, situazioni omologhe.
    La  comparazione  si  presenta  fattibile  anche  con altre norme
incriminatici    presenti    in    campi    diversi   dalla   materia
dell'immigrazione.  Cosi'  appare  similare alla fattispecie in esame
quella  prevista  dall'art. 650  c.p.,  laddove punisce con l'arresto
fino  a tre mesi o con l'ammenda l'inottemperanza ad un provvedimento
legalmente  dato  dall'autorita'  per ragioni di sicurezza pubblica o
d'ordine  pubblico. Tutela parimenti tale interesse la violazione del
provvedimento  di  rimpatrio emesso dal questore ai sensi dell'art. 2
della  legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e punita con l'arresto da uno
a  sei  mesi. Al riguardo pare interessante notare come con l'entrata
in  vigore  del  d.l.  30 dicembre 1989, n. 416, la giurisprudenza si
fosse  posto  il  problema se l'inosservanza da parte dello straniero
della  intimazione  di  lasciare  il  territorio  dello  Stato  fosse
rapportabile   alla   violazione  dell'art. 650  c.p.  e  si  dovesse
applicare  la  pena  prevista  da  tale  norma. La risposta era stata
negativa  sol  perche'  si  era  osservato  che per la violazione era
prevista  la  sanzione  amministrativa dell'immediato accompagnamento
alla  frontiera  ai  sensi  dell'art. 7,  comma  9  del  d.l. citato,
disposizione   speciale   rispetto   alla   generica  previsione  cui
all'art. 650 c.p. (Cass. pen., sez. I, 26 marzo 1998, n. 1229).
    Tutto  cio'  dimostra la stretta parentela esistente tra la norma
contenuta  nel  codice  penale  e  quella speciale prevista nel campo
dell'immigrazione,  parentela  non  rinnegata  dalla  formulazione in
termini   di   «reato   di  flagranza»,  modulata  sulla  persistente
illiceita'   del  trattenersi  in  Italia,  situazione  che  comunque
consegue   ad   una  ingiustificata  non  attivazione  a  fronte  del
provvedimento  di  allontanamento  del questore. Si deve ancora tener
presente  che  l'espulsione  puo' essere disposta dal prefetto per le
stesse   categorie  di  persone  destinatarie  del  provvedimento  di
rimpatrio  con  una  comunanza  di esigenze di tutela della sicurezza
pubblica davvero eclatante. Eppure, a fronte delle stesse esigenze di
tutela  della  collettivita',  il  trattamento  sanzionatorio  appare
smaccatamente  differenziato  e ben piu' favorevole per il cittadino,
che,  per quanto pericoloso egli sia, non puo' essere allontanato dal
territorio  nazionale.  Non  solo,  come  tra  breve  si  vedra',  la
irragionevole  ed  arbitraria disparita' di trattamento di situazioni
omologhe  sfavorisce  lo  straniero e lo discrimina dal cittadino con
riferimento ad uno dei diritti fondamentali (liberta' personale).
    Esiste  stretta  connessione tra il principio di proporzionalita'
della  pena, ricavabile dall'art. 3 Cost., e la finalita' rieducativa
della  sanzione  criminale  sancita  dall'art. 27,  comma  3,  Cost.,
finalita'  non  limitata alla sola fase dell'esecuzione, essendo «una
delle  qualita'  essenziali e generali che caratterizzano la pena nel
suo   contenuto   ontologico,   e  l'accompagnano  da  quando  nasce,
nell'astratta  previsione  normativa,  fino  a  quando in concreto si
estingue: tale finalita' implica un costante principio di proporzione
tra  qualita'  e  quantita'  della  sanzione, da una parte, e offesa,
dall'altra»  ( sentenza n. 313 del 1990). Pertanto e' stato affermato
che  «la palese sproporzione del sacrificio della liberta' personale»
provocata  dalla  previsione  di  una  sanzione penale manifestamente
eccessiva  rispetto  al  disvalore  dell'illecito  «produce  ...  una
vanificazione    del   fine   rieducativo   della   pena   prescritto
dall'art. 27,  comma 3  della  Costituzione,  che  di quella liberta'
costituisce  una  garanzia  istituzionale  in relazione allo stato di
detenzione» (sentenza n. 343 del 1993).
    A  fronte  di  cio',  occorre  domandarsi: a due anni di distanza
dall'emanazione  della legge n. 189/2002 il sensibile inasprimento di
pena  per  molte  delle  ipotesi  di  inottemperanza  da  parte dello
straniero all'ordine del questore e' almeno giustificato da finalita'
generalpreventive?  La risposta pare essere negativa se si osserva il
fenomeno  dell'immigrazione  clandestina nella sua dimensione storica
(e   comunque   i  mutamenti  sanzionatori  non  paiono  rapportabili
all'eventuale  modesto incremento dei flussi migratori). In ogni caso
non  va  dimenticato  quando  osservato,  in via generale, da codesta
Corte e cioe' che «il principio di proporzionalita' ... nel campo del
diritto  penale  equivale  a  negare legittimita' alle incriminazioni
che, anche se presumibilmente idonee a raggiungere finalita' statuali
di  prevenzione,  producono,  attraverso la pena, danni all'individuo
(ai  suoi  diritti fondamentali) ed alla societa' sproporzionatamente
maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la
tutela  dei  beni  e  valori  offesi  dalle  predette incriminazioni»
(sentenza n. 409 del 1989).
    Peraltro,   leggendo   la   relazione  all'emendamento  del  d.l.
n. 241/2004,  che  ha  introdotto una cosi' elevata sanzione, si nota
come  i  relatori  giustifichino la modifica legislativa soltanto con
riferimento  alla  necessita'  di adeguarsi alla sentenza della Corte
costituzionale  n. 223 del 2004 che aveva ritenuto costituzionalmente
illegittimo    l'art.    14,    comma    5-quinquies    della   legge
sull'immigrazione  «nella  parte  in  cui stabilisce che per il reato
previsto  dal  comma  5-ter  del  medesimo  art. 14  e'  obbligatorio
l'arresto  dell'autore  del  fatto» per la manifesta irragionevolezza
della  previsione  di  una  misura  precautelare  non suscettibile di
sfociare  in  alcuna  misura cautelare in base al vigente ordinamento
processuale.
    In altri termini la trasformazione in delitto e l'aumento di pena
e'   stato   dettato   dal   solo  scopo  di  ripristinare  l'arresto
obbligatorio  ritenuto  illegittimo dalla Corte; non a caso il limite
edittale massimo della pena e' fissato in quattro anni di reclusione,
presupposto minimo per l'adozione della custodia cautelare in carcere
(art. 280,  comma 2,  c.p.p.).  Pertanto la risposta sanzionatoria e'
stata   scollegata   dal  grado  di  offensivita'  della  condotta  e
strumentalizzata  ad  una  finalita' meramente processuale, quella di
giustificare  l'arresto  obbligatorio  in flagranza e di garantire lo
svolgimento  del  giudizio  direttissimo in tutte le ipotesi previste
dal codice di procedura penale.
    Ora,   se   si   ritorna   al   raffronto   tra   la   disciplina
dell'ingiustificato   trattenimento   in  Italia  dello  straniero  e
l'inosservanza   del   provvedimento   di  rimpatrio  si  osserva  un
differente  ed  incomprensibile  trattamento  del bene della liberta'
personale  nel  caso in cui i destinatari siano le persone pericolose
di  cui  all'art. 1,  legge  n. 1243/1956,  e cio' nonostante codesta
Corte   abbia  affermato  che  «per  quanto  gli  interessi  pubblici
incidenti  sulla  materia  dell'immigrazione  siano  molteplici e per
quanto possano essere percepiti come gravi problemi di sicurezza e di
ordine  pubblico  connessi a flussi migratori incontrollati, non puo'
risultarne   minimamente   scalfito  il  carattere  universale  della
liberta'   personale,  che,  al  pari  degli  altri  diritti  che  la
costituzione  proclama  inviolabili,  spetta ai singoli non in quanto
partecipi  di una determinata comunita' politica, ma in quanto esseri
umani» (sentenza n. 105 del 2001).
    In conclusione, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata
per le ragioni appena esposte la questione sopraindicata