IL TRIBUNALE

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Letti  gli  atti del procedimento penale n. 21540/05 R.G. n. R. a
carico  di  Nabil  Omar,  nato  ad Anba (Algeria) il 6 dicembre 1979,
imputato  del  reato  di  cui all'art. 14, comma 5-ter primo periodo,
come  modificato  dalla  legge  12  novembre  2004,  n. 271, perche',
cittadino  straniero,  destinatario  di provvedimento del Questore di
Torino,  (notificatogli  il  17  agosto  2005 a seguito di decreto di
espulsione  del  prefetto  fondato  sui motivi di cui alla lettera b)
dell'art. 13,   comma   2,   d.lgs.   citato),   con  intimazione  di
allontanarsi  dal territorio entro cinque giorni non ottemperava alla
stessa, trattenendosi nello Stato ove veniva reperito.
    Accertato in Torino il 25 ottobre 2005.

                            O s s e r v a

    L'imputato, tratto arresto in data 25 ottobre 2005 per violazione
all'art. 14,  comma  5-ter, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, modificato
dall'art. 1,  commi  5-bis  e 6 della legge 12 novembre 2004, n. 271,
veniva   presentato   dal   pubblico   ministero,  per  la  convalida
dell'arresto ed il conseguente giudizio direttissimo, all'udienza del
27  novembre  2005.  Convalidato  l'arresto,  in  base alla richiesta
dell'imputato  si  procedeva  con  rito  abbreviato.  All'esito della
discussione  questo  giudice  disponeva  la liberazione dell'imputato
ritenendo di dover sollevare incidente di legittimita' costituzionale
dell'art.  1,  comma 5-bis legge citata nella parte in cui prevede la
pena  della  reclusione  da  uno  a quattro anni per lo straniero che
senza  giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato in
violazione  dell'ordine  impartito  dal  questore  ai sensi del comma
5-bis,  in riferimento agli artt. 3 e 27, comma 3 della Costituzione,
pena edittale che consente anche l'adozione delle misure cautelari di
cui agli artt. 280 e segg. c.p.p.
    La  rilevanza  della  questione risiede nel fatto che, qualora si
dovesse  pervenire  ad un giudizio di colpevolezza del Nabil, sarebbe
comminata  la  pena  prevista  dalla  norma  della  cui  legittimita'
costituzionale  si  dubita  ed al cui riguardo si svolgono i seguenti
rilievi.
    La  permanenza  in  Italia  dello  straniero  «senza giustificato
motivo»  e  nonostante  il  provvedimento del questore di lasciare il
territorio nazionale entro cinque giorni in caso di impossibilita' di
trattenimento presso un centro di permanenza temporanea o di scadenza
del  termine di permanenza senza esecuzione dell'espulsione nel testo
originario   dell'art. 14,   d.lgs.   25  luglio  1998,  n. 286,  era
sprovvista  di  specifica  sanzione, pur essendo controverso se fosse
sanzionabile penalmente col ricorso alla disposizione generale di cui
all'art. 650  c.p. La legge 30 luglio 2002, n. 189, ha introdotto una
fattispecie  contravvenzionale  ad  hoc punibile con l'arresto da sei
mesi  ad  un  anno, con arresto obbligatorio del contravventore e sua
espulsione eseguita tramite accompagnamento coattivo alla frontiera.
    Caduta   la   porzione   della   norma  che  prevedeva  l'arresto
obbligatorio per effetto della sentenza della Corte costituzionale in
data  15  luglio  2004,  n. 223,  che  ha dichiarato l'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 14, comma 5-quinquies per contrasto con gli
articoli 3 e 13 Cost. «nella parte in cui stabilisce che per il reato
previsto dal comma 5-ter del medesimo art. 14 e' obbligo dell'arresto
dell'autore  del  fatto»,  interveniva il legislatore con la legge 12
novembre  2004, n. 271, operando un ampio rimaneggiamento della norma
e   reintroducendo   l'arresto   obbligatorio   per   le  fattispecie
trasformate  in  delitto.  Tale  intervento ha determinato un effetto
pirotecnico  nel  magma indifferenziato della previgente fattispecie,
che  sanzionava  in  modo  identico  le permanenze ingiustificate nel
territorio  in  violazione  dei provvedimenti del questore che davano
esecuzione a provvedimenti di espulsione ministeriali o prefettizi.
    Ora  la  stessa  condotta  diventa  un  delitto ovvero rimane una
contravvenzione  ovvero  non  configura alcun illecito penale (esiste
soltanto   la   sanzione   amministrativa  dell'accompagnamento  alla
frontiera) a seconda della provenienza e della natura dell'espulsione
presupposta.  Pertanto,  permane  l'illiceita'  penale  nel  caso  di
espulsione  pronunciata  dal prefetto cui e' data esecuzione da parte
del questore.
    Se  essa  e'  stata disposta per ingresso illegale sul territorio
nazionale  «ai  sensi  dell'art. 13, comma 2, lettere a) e c)» ovvero
per aver omesso di richiedere il permesso di soggiorno nel termine di
legge,   il  reato  di  inottemperanza,  senza  giustificato  motivo,
all'ordine del questore e' un delitto punito con la reclusione da uno
a  quattro  anni;  se il motivo che ha determinato l'espulsione e' la
mancata  richiesta  del  rinnovo del permesso di soggiorno scaduto da
piu'  di  sessanta  giorni, resta l'illecito contravvenzionale punito
con l'arresto da sei mesi ad un anno.
    Se  l'ingiunzione  del  questore  e'  attuativa di una espulsione
disposta  dal  Ministro dell'interno «per motivi di ordine pubblico o
di  sicurezza  dello  stato» (es. espulsione per i motivi suddetti di
donna  incinta  di  cui  si  ignora  la nazionalita' e, pertanto, non
suscettibile   di   esecuzione  immediata  con  accompagnamento  alla
frontiera),  la sua inosservanza non e' assistita dalla tutela penale
in  quanto  le  ragioni  dell'espulsione  avvengono per tipologie non
omologhe  a  quelle  per  le  quali  e'  dato  ricorrere da parte del
prefetto  (cui  nell'esempio  citato sarebbe precluso il rinvio della
straniera  allo  stato  di  appartenenza),  ne'  e' dato avvalersi di
operazioni  ermeneutiche  basate  sull'analogia,  vietata  nel  campo
penale.
    Il  reato  per cui e' stato tratto in arresto Nabil Omar e per il
quale  p.m. ha proceduto con giudizio direttissimo configura, in base
alla nuova normativa, una delle ipotesi delittuose che hanno avuto un
notevole  inasprimento  di  pena  e che, ad avviso di questo giudice,
presenta  profili  di  incostituzionalita'  con riferimento ai citati
articoli della Costituzione.
    E'  insegnamento  costante di codesta Corte che uno scrutinio che
investa   direttamente  il  merito  delle  scelte  sanzionatorie  del
legislatore  e' possibile soltanto ove «l'opzione normativa contrasti
con  il  principio  di  eguaglianza,  sotto  il profilo dell'assoluta
arbitrarieta'  o  della  manifesta irragionevolezza» (sentenze n. 206
del  2003, n. 287 del 2001 e n. 313 del 1995 nonche' ordinanze n. 323
del  2002,  n. 110  del  2002,  n. 144  del  2001  e n. 58 del 1999).
Occorre,  in altri termini, interrogarsi «sul perche' una determinata
disciplina     operi,    all'interno    del    tessuto    egualitario
dell'ordinamento,  quella  specifica equiparazione (oppure, a seconda
dei casi, quella specifica distinzione), traendone, quindi, le debite
conclusioni in punto corretto uso del potere normativo. Solo nel caso
in cui una siffatta verifica dovesse evidenziare una carenza di causa
o  ragione  della  disciplina  introdotta  potra' dirsi realizzato un
vizio  di  legittimita'  costituzionale  della norma, proprio perche'
fondato  sulla  irragionevole  omologazione  di  situazioni  diverse»
(sentenze  n. 5  del  2000  e n. 89 del 1996). Il giudizio presuppone
l'individuazione   di  un  tertium  comparationis,  rappresentato  da
fattispecie   omologhe  a  quella  prevista  dalla  norma  censurata,
ricavabili  da  norme  incriminatici  poste  a  tutela  degli  stessi
interessi  (individuati  nell'ordine  e  nella  sicurezza pubblica) e
strutturanti  con  modalita'  identiche  o,  quantomeno,  analoghe la
condotta  (sentenze  n. 409  del 1989 e n. 341 del 1994). Nel caso in
argomento sono ipotizzabili due raffronti della norma che si censura:
uno  ristretto  alle  fattispecie previste dall'art. 14, comma 5-ter,
d.lgs.  n. 286/1998,  l'altro  con  fattispecie non contemplate dalla
disciplina sull'immigrazione.
    Con riferimento al primo profilo si osserva che la norma in esame
non  mira  a  reprimere  la  semplice  clandestinita', che continua a
restare  penalmente  irrilevante,  ma  quella  qualificata dal previo
ordine  del questore di lasciare il territorio nazionale. Pertanto si
vuole  combattere  il  fenomeno  della  irregolare  permanenza  dello
straniero  nel  territorio  dello  Stato, di per se' considerato come
lesivo  dell'ordine  pubblico.  Ora,  se  questa e' la funzione della
comminatoria  penale, gia' non si comprende perche' alcune ipotesi di
irregolare  permanenza  (e  si tratta di casi di alto allarme sociale
perche'  riferibili a stranieri espulsi dal Ministro dell'interno per
motivi  di  ordine  pubblico  e  sicurezza pubblica), diversamente da
quanto  accadeva  in precedenza, non configurino ora alcun reato. Non
solo,  altre condotte che parimenti si sostanziano in inosservanza di
omologhi provvedimenti della stessa autorita' (questore), sono puniti
in  forma  differenziata nonostante ledano lo stesso interesse. Si e'
gia'   osservato   che   l'elemento   differenziatore  prescelto  dal
legislatore  non  e'  la  condotta, ma il fatto che ha determinato il
provvedimento  di espulsione. Lo straniero regolarmente soggiornante,
il  cui  permesso  sia scaduto senza che sia stato chiesto il rinnovo
nei  sessanta  giorni  successivi alla scadenza, fruisce di un doppio
trattamento  di  favore: la sua espulsione non viene in prima battuta
eseguita  coattivamente,  ma riceve soltanto l'intimazione a lasciare
il territorio nazionale entro quindici giorni dalla notificazione del
provvedimento;  inoltre,  se  si  trattiene in spregio all'ordine del
questore  di  lasciare  il  territorio  dello  Stato,  e'  punito con
l'arresto  da  sei  mesi  ad  un anno. Viceversa lo straniero che sia
stato  espulso  o perche' entrato in Italia sottraendosi ai controlli
di  frontiera e non e' stato respinto, o perche' si e' trattenuto nel
territorio  dello  Stato  senza aver chiesto il permesso di soggiorno
nel  termine  prescritto,  salvo  che  il ritardo sia dipeso da forza
maggiore,  ovvero quando il permesso di soggiorno e' stato revocato o
annullato  o  perche'  appartiene  a  taluna delle categorie indicate
nell'art. 1  della  legge  27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituito
dall'art. 2  della  legge  3 agosto 1988, n. 327, o nell'art. 1 della
legge 31 maggio 1965 n. 575, come sostituito dall'art. 13 della legge
13  settembre  1982,  n. 646,  e'  punito  con la reclusione da uno a
quattro   anni.   Ne   discende   che   condotte  analoghe  a  quella
contravvenzionale  in precedenza indicata sono sanzionate, non solo a
titolo  di  delitto,  ma con una pena il cui minimo e' parametrato al
massimo  dell'unica  fattispecie rimasta di natura contravvenzionale.
Ora,   se  il  principio  di  uguaglianza  esige  che  «la  pena  sia
proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso in modo che il
sistema  sanzionatorio adempia, nel contempo, alla funzione di difesa
sociale  ed a quella di tutela delle posizioni individuali» (sentenza
n. 409  del 18 luglio 1989), tutte le condotte di trattenimento dello
straniero  nel  territorio  italiano  ledono  con modalita' oggettive
identiche lo stesso bene. E', infatti, dalla inosservanza dell'ordine
del  questore di lasciare entro cinque giorni il territorio nazionale
che  prende  avvio l'aggressione al bene giuridico tutelato ed in cui
si  sostanzia  la  colpevolezza  dell'autore del fatto. Differenziare
identiche  fattispecie  (talune penalmente indifferenti, altre punite
in  modo  lieve,  altre  in  modo  estremamente  pesante)  in  base a
situazioni  che  precedono  la  condotta  e  non  rivelano  una reale
dannosita'  sociale, significa disancorare il giudizio di offensivita
(che  costituisce  la sintesi della relazione sussistente tra il bene
giuridico  protetto  dalla norma incriminatrice e il fatto) dal fatto
stesso;   significa,   in   ultima   analisi,   sanzionare   in  modo
differenziato,  e  percio',  arbitrario  ed irragionevole, situazioni
omologhe.
    La  comparazione  si  presenta  fattibile  anche  con altre norme
incriminatici    presenti    in    campi    diversi   dalla   materia
dell'immigrazione.  Cosi'  appare  similare alla fattispecie in esame
quella  prevista  dall'art. 650  c.p.,  laddove punisce con l'arresto
fino  a tre mesi o con l'ammenda l'inottemperanza ad un provvedimento
legalmente  dato  dall'autorita'  per ragioni di sicurezza pubblica o
d'ordine  pubblico. Tutela parimenti tale interesse la violazione del
provvedimento  di  rimpatrio emesso dal questore ai sensi dell'art. 2
della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 e punita con l'arresto da uno a
sei  mesi. Al riguardo pare interessante notare come con l'entrata in
vigore  del d.l. 30 dicembre 1989, n. 416, la giurisprudenza si fosse
posto  il  problema  se l'inosservanza da parte dello straniero della
intimazione  di lasciare il territorio dello Stato fosse rapportabile
alla  vioiazione  dell'art. 650  c.p.  e si dovesse applicare la pena
prevista da tale norma. La risposta era stata negativa sol perche' si
era  osservato  che  per  la  violazione  era  prevista  la  sanzione
amministrativa dell'immediato accompagnamento alla frontiera ai sensi
dell'art. 7,  comma 9 del d.l. citato, disposizione speciale rispetto
alla  generica  previsione di cui all'art. 650 c.p. (Cass. pen., sez.
I, 26 marzo 1998, n. 1229).
    Tutto  cio'  dimostra la stretta parentela esistente tra la norma
contenuta  nel  codice  penale  e  quella speciale prevista nel campo
dell'immigrazione,  parentela  non  rinnegata  dalla  formulazione in
termini   di   «reato   di  flagranza»,  modulata  sulla  persistente
illiceita'   del  trattenersi  in  Italia,  situazione  che  comunque
consegue   ad   una  ingiustificata  non  attivazione  a  fronte  del
provvedimento  di  allontanamento  del questore. Si deve ancora tener
presente  che  l'espulsione  puo' essere disposta dal prefetto per le
stesse   categorie  di  persone  destinatarie  del  provvedimento  di
rimpatrio  con  una  comunanza  di esigenze di tutela della sicurezza
pubblica davvero eclatante. Eppure, a fronte delle stesse esigenze di
tutela  della  collettivita',  il  trattamento  sanzionatorio  appare
smaccatamente  differenziato  e ben piu' favorevole per il cittadino,
che,  per quanto pericoloso egli sia, non puo' essere allontanato dal
territorio  nazionale.  Non  solo,  come  tra  breve  si  vedra',  la
irragionevole  ed  arbitraria disparita' di trattamento di situazioni
omologhe  sfavorisce  lo  straniero e lo discrimina dal cittadino con
riferimento ad uno dei diritti fondamentali (liberta' personale).
    Esiste  stretta  connessione tra il principio di proporzionalita'
della  pena, ricavabile dall'art. 3 Cost., e la finalita' rieducativa
della   sanzione  criminale  sancita  dall'art. 27,  comma  3  Cost.,
finalita'  non  limitata alla sola fase dell'esecuzione, essendo «una
delle  qualita'  essenziali e generali che caratterizzano la pena nel
suo   contenuto   ontologico,   e  l'accompagnano  da  quando  nasce,
nell'astratta  previsione  normativa,  fino  a  quando in concreto si
estingue: tale finalita' implica un costante principio di proporzione
tra  qualita'  e  quantita'  della  sanzione, da una parte, e offesa,
dall'altra»  (sentenza  n. 313 del 1990). Pertanto e' stato affermato
che  «la  palese sproporzione del sacrificio della liberta' personale
«provocata  dalla  previsione  di  una sanzione penale manifestamente
eccessiva  rispetto  al  disvalore  dell'illecito  «produce  ...  una
vanificazione    del   fine   rieducativo   della   pena   prescritto
dall'art. 27,  comma 3  della  Costituzione,  che  di quella liberta'
costituisce  una  garanzia  istituzionale  in relazione allo stato di
detenzione» (sentenza n. 343 del 1993).
    A  fronte  di  cio',  occorre  domandarsi: a due anni di distanza
dall'emanazione  della legge n. 189/2002 il sensibile inasprimento di
pena  per  molte  delle  ipotesi  di  inottemperanza  da  parte dello
straniero all'ordine del questore e' almeno giustificato da finalita'
generalpreventive?. La risposta pare essere negativa se si osserva il
fenomeno  dell'immigrazione  clandestina nella sua dimensione storica
(e   comunque   i  mutamenti  sanzionatori  non  paiono  rapportabili
all'eventuale  modesto incremento dei flussi migratori). In ogni caso
non  va  dimenticato  quando  osservato,  in via generale, da codesta
Corte  e cioe' che» il principio di proporzionalita'... nel campo del
diritto  penale  equivale  a  negare legittimita' alle incriminazioni
che, anche se presumibilmente idonee a raggiungere finalita' statuali
di  prevenzione,  producono,  attraverso la pena, danni all'individuo
(ai  suoi  diritti fondamentali) ed alla societa' sproporzionatamente
maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la
tutela  dei  beni  e  valori  offesi  dalle  predette incriminazioni»
(sentenza   n. 409   del   1989).  Peraltro,  leggendo  la  relazione
all'emendamento  del decreto-legge n. 241/2004, che ha introdotto una
cosi'  elevata  sanzione,  si  nota  come i relatori giustifichino la
modifica  legislativa  soltanto  con  riferimento  alla necessita' di
adeguarsi  alla  sentenza  della Corte costituzionale n. 223 del 2004
che  aveva  ritenuto  costituzionalmente illegittimo l'art. 14, comma
5-quinquies   della  legge  sull'immigrazione  «nella  parte  in  cui
stabilisce  che  per  il  reato previsto dal comma 5-ter del medesimo
art. 14  e'  obbligatorio  l'arresto  dell'autore  del  fatto» per la
manifesta   irragionevolezza   della   previsione   di   una   misura
precautelare  non suscettibile di sfociare in alcuna misura cautelare
in  base  al  vigente  ordinamento  processuale.  In altri termini la
trasformazione  in  delitto  e l'aumento di pena e' stato dettato dal
solo   scopo   di   ripristinare   l'arresto   obbligatorio  ritenuto
illegittimo  dalla Corte; non a caso il limite edittale massimo della
pena e' fissato in quattro anni di reclusione, presupposto minimo per
l'adozione  della  custodia  cautelare  in carcere (art. 280, comma 2
c.p.p.).  Pertanto  la risposta sanzionatoria e' stata scollegata dal
grado  di  offensivita'  della  condotta  e  strumentalizzata  ad una
finalita'  meramente  processuale,  quella  di giustificare l'arresto
obbligatorio  in flagranza e di garantire lo svolgimento del giudizio
direttissimo  in  tutte  le  ipotesi previste dal codice di procedura
penale.
    Ora,   se   si   ritorna   al   raffronto   tra   la   disciplina
dell'ingiustificato   trattenimento   in  Italia  dello  straniero  e
l'inosservanza   del   provvedimento   di  rimpatrio  si  osserva  un
differente  ed  incomprensibile  trattamento  del bene della liberta'
personale  nel  caso in cui i destinatari siano le persone pericolose
di  cui  all'art. 1,  legge  n. 1243/1956,  e cio' nonostante codesta
Corte   abbia  affermato  che  «per  quanto  gli  interessi  pubblici
incidenti  sulla  materia  dell'immigrazione  siano  molteplici e per
quanto possano essere percepiti come gravi problemi di sicurezza e di
ordine  pubblico  connessi a flussi migratori incontrollati, non puo'
risultarne   minimamente   scalfito  il  carattere  universale  della
liberta'   personale,  che,  al  pari  degli  altri  diritti  che  la
costituzione  proclama  inviolabili,  spetta ai singoli non in quanto
partecipi  di una determinata comunita' politica, ma in quanto esseri
umani» (sentenza n. 105 del 2001).
    In conclusione, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata
per le ragioni appena esposte la questione sopraindicata.