IL TRIBUNALE Sentito il legale di parte ricorrente che ha chiesto l'accoglimento del ricorso, e l'Avvocatura dello Stato; a scioglimento della riserva di cui al verbale che precede; ha pronunciato la seguente ordinanza. Rilevato che, con il presente ricorso, viene impugnato il provvedimento in data 7 aprile 2005 della Questura di Genova (notificato in data 24 maggio 2004), con il quale e' stato decretato il rigetto della richiesta di carta di soggiorno per motivi di famiglia nei confronti della ricorrente, Brahm Zyla, di nazionalita' kosovara, del proprio marito e dei suoi cinque figli minori; Rilevato che nel provvedimento impugnato la Questura di Genova, pur dando atto dell'avere la ricorrente esibito un passaporto ordinario rilasciato dalle Autorita' del suo paese evidenziava come non fosse possibile «riesaminare positivamente la richiesta di carta di soggiorno» in quanto, richiamati l'art. 29, terzo comma, lett. a), del d.lgs. n. 286/1998, e legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica, poiche' l'alloggio di cui dispone la odierna ricorrente «risulta essere composto da n. 5 vani e mezzo e che, oltre la richiedente, risultano dimorarvi il marito e i cinque figli minori», da cio' conseguiva che esso non era «rientrante nei parametri minimi previsti per ospitare sette persone»; Rilevato che, sulla base di quanto esposto in ricorso, la ricorrente si trovava in Italia dal 1995, avendo ottenuto un permesso di soggiorno per motivi umanitari a seguito delle vicende belliche che avevano colpito la sua terra, ed aveva dapprima locato e poi acquistato l'abitazione di via Piombelli n. 10/4, ove attualmente viveva con i propri familiari; Rilevato che, con specifico riferimento alla motivazione del provvedimento impugnato, la ricorrente si doleva del fatto che non era stato indicato in modo compiuto quale legge regionale contenesse i parametri che l'amministrazione asseriva essere non rispettati dall'abitazione in questione, e comunque lamentava il fatto che, in assenza di una legge regionale specifica, l'amministrazione tendesse ad applicarne una in materia di «edilizia residenziale pubblica», verosimilmente la legge regionale 23 aprile 1982, n. 22, dalla quale venivano estrapolati criteri che nulla avevano a che spartire «con quelli indicati dal legislatore»; Rilevato, infatti, che secondo la ricorrente, l'improprio e reiterato richiamo «utilizzato dall'amministrazione per negare rilasci di permessi per motivi di soggiorno o nulla osta a ricongiungimenti», deve considerarsi superato «dalla sussistenza del requisito dell'idoneita' igienico sanitaria attestato dalla ASL competente», come chiarito, in materia di rilascio di carte di soggiorno, dall'art. 16, comma 4, lettera b) del d.P.R. n. 394/1999 (e in materia di visti di ingresso dall'art. 6, comma 1, del d.P.R. n. 394/1999) con la precisazione che tale disposizione, dopo avere richiesto la disponibilita' di un alloggio a norma dell'art. 29, comma 3, lett. a) del testo unico, precisava che l'interessato doveva produrre «l'attestazione dell'ufficio comunale circa la sussistenza dei requisiti di cui al predetto articolo del testo unico, ovvero il certificato di idoneita' rilasciato dall'azienda sanitaria locale competente per territorio», documentazione quest'ultima allegata all'istanza; Rilevato che, in ogni caso, il provvedimento impugnato proprio per il fatto di fare riferimento ai parametri della Legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica (richiamata, sulla base di quanto sostenuto dalla ricorrente, «dal solo regolamento fonte normativa di rango inferiore, ed in alternativa ad altro requisito nel caso di specie rispettato), appariva violare i precetti costituzionali e, in particolare, l'art. 97 Cost., sotto il profilo dell'eccesso di potere per violazione del principio di ragionevolezza e di imparzialita' dell'azione amministrativa. Rilevato, inoltre che, secondo la difesa del ricorrente, il provvedimento impugnato avrebbe violato molte disposizioni di convenzioni internazionali, tra le quali: a) l'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, nonche' del Protocollo addizionale n. 7 della stessa Convenzione, sotto il profilo dell'eccesso di potere per difetto d'istruttoria ed erronea valutazione dei fatti e dei presupposti, e della carenza assoluto di motivazione, con particolare riguardo al diritto al rispetto della vita privata e familiare, posto che l'autorita' pubblica puo' interferire nell'esercizio di tale diritto solo in forza di ingerenze «qualificate», vale a dire previste dalla legge, rispondenti ad esigenze collegate alla sicurezza pubblica, al benessere economico, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione dei diritti e delle liberta' altrui, e comunque «necessarie in una societa' democratica»; Rilevato, in proposito, che la ricorrente richiamava la giurisprudenza della Corte europea per i diritti dell'uomo la quale ha piu' volte affermato che, al fine di evitare la violazione dell'art. 8, la misura di allontanamento puo' essere disposta solo ove risponda al seguenti requisiti: a) deve essere necessaria, cioe' giustificata da una necessita' di ordine sociale; b) deve essere proporzionata al fine legittimo da perseguire, con la precisazione che la stessa giurisprudenza della Suprema Corte ha avuto modo di rilevare come le disposizioni della Dichiarazione europea dei diritti dell'uomo godano di una particolare resistenza, anche nei confronti della legislazione nazionale posteriore, che trova origine nell'art. 2 della Costituzione che sancisce il rispetto dei diritti inviolabili dell'uomo, e nell'art. 10 della stessa Carta costituzionale che prevede che la condizione dello straniero e' regolata in conformita' delle norme e dei trattati internazionali; Rilevato altresi' che veniva eccepita la violazione dell'art. 2, comma 6, del d.lgs. n. 286/1998 e art. 3, comma 3, del d.P.R. n. 394/1999, per il fatto del non essere stato il provvedimento impugnato tradotto in una lingua conosciuta dalla ricorrente, da cui la asserita radicale nullita' del provvedimento impugnato; Rilevato che, nel presente procedimento, si costituiva ritualmente l'Avvocatura dello Stato la quale chiedeva il rigetto del ricorso stante la sua infondatezza, osservando che l'appartamento nella disponibilita' della ricorrente, dotato di soli cinque vani e mezzo, non rispettava i parametri di cui alla tabella «A» della legge regionale n. 22/1982, ove si prevede, nella fattispecie in esame, «quale condizione minima di idoneita' dell'abitazione un numero di almeno sette stanze (compresa la cucina se abitabile)». Rilevato che questo giudice disponeva il conferimento di C.T.U., nominando a tale scopo il geom. Ermanno Benelli, cui venivano conferiti una serie di quesiti volti a verificare se, alla luce delle principali normative nazionali e regionali in materia, con particolare riferimento alla legge regionale ligure per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica, l'alloggio nella disponibilita' del ricorrente fosse o meno idoneo ad ospitare i familiari per i quali egli aveva chiesto il ricongiungimento (per completezza va detto che, in caso di risposta negativa al quesito, si invitava il C.T.U. a chiarire se l'appartamento oggetto di indagine avrebbe potuto essere ritenuto idoneo ad ospitare i familiari in questione, facendo esclusiva applicazione della normativa di carattere nazionale, con specifico riferimento all'art. 2 del d.m. 5 luglio 1975, nonche' se esso potesse considerarsi idoneo sotto il profilo igienico-sanitario); Rilevato che, espletati i necessari accertamenti, il C.T.U., depositava relazione scritta ove, innanzi tutto, dava atto che, «sulla base dei parametri minimi di abitabilita' previsti dalla legge regionale Liguria per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica», e dunque alla luce dell'art. 25, comma 6, della legge regionale 23 aprile 1982, n. 22, e della allegata tabella «A» (con la quale venivano fissati i rapporti tra persone e stanze - l'alloggio in esame), l'alloggio in esame non era idoneo ad ospitare un nucleo familiare di sette persone; Rilevato che, in relazione al quesito successivo, il C.T.U. precisava che, fatta applicazione della normativa di carattere nazionale in materia di igiene e di suolo pubblico negli aggregati urbani (e, segnatamente, dell'art. 2 del 5 luglio 1975, ove si precisa che per ogni abitante deve essere assicurata una superficie abitabile non inferiore a mq. 14 per i primi 4 abitanti, e mq. 10 per ciascuno dei successivi), l'alloggio della ricorrente, costituito da una superficie utile calpestabile pari a mq. 61,07, e munito di un numero di stanze pari a cinque (un soggiorno, una camera da mq. 14, tre camere da mq. 9) non era idoneo ad ospitare il numero di familiari precisato in ricorso; Rilevato, peraltro, che il C.T.U., per quanto concerneva il quesito relativo al profilo igienico-sanitario, esaminato il Regolamento di igiene del suolo e dell'abitato del comune di Genova (il quale non richiama «rapporti» da rispettare tra le consistenze e gli abitanti dell'alloggio, se non quello di mq. 7,00 per persona, ovvero mq. 14,00 per due persone), rilevava sul punto che «un alloggio per un nucleo familiare di sette persone» abbisognerebbe di non meno di mq. 49,00 di stanze abitabili, con la conseguenza che l'appartamento nella disponibilita' della ricorrente «con mq. 46,31 di stanze abitabili e sette abitanti», comporterebbe «si un (...) affollamento, ma con un modestissimo superamento degli standard in vigore», con la conseguenza che «l'immobile in parola, anche per la sua buona distribuzione, pur non in linea con i parametri previsti per l'assegnazione degli alloggi in edilizia residenziale pubblica, potrebbe idoneamente ospitare il nucleo familiare in parola». Rilevato che, in considerazione delle conclusioni del C.t.u., la difesa della ricorrente, sottolineate le difficolta' applicative della legge regionale, insisteva per l'accoglimento del ricorso evidenziando l'abnormita' di un provvedimento eventualmente volto a negare la carta di soggiorno (e i diritti ad essa riconnessi) sulla base di «una cosi' trascurabile differenza di ampiezza dell'alloggio», tanto piu' che tutti i figli della coppia erano minorenni («circostanza questa non presa in considerazione dalla normativa benche' non trascurabile»), e che la ricorrente era proprietaria dell'alloggio in oggetto (da cui l'assenta maggiore difficolta' di provvedere ad un eventuale cambio di alloggio); Rilevato che la stessa Avvocatura, pur mostrando di ritenere sufficientemente «corrette» le conclusioni del C.T.U., dopo avere evidenziato la mancanza di coordinamento «tra legge nazionale in materia di stranieri e leggi regionali, concludeva con una richiesta, di natura sostanzialmente istruttoria, volta ad ottenere «una certificazione con carattere di attualita' e funzionalmente orientata a verificare la sussistenza dei requisiti igienico-sanitari» dell'alloggio rispetto al nucleo familiare oggetto della procedura di ricongiungimento; Ritenuto che, avuto riguardo a quanto si e' fin qui esposto, e tenuto conto dell'orientamento manifestato dall'Avvocatura dello Stato (favorevole, come sopra si e' anticipato, ad un approfondimento istruttorio incentrato unicamente sulla verifica dell'idoneita' igienico-sanitaria dell'alloggio), appare evidente la complessita' e la delicatezza delle questioni affidate alla decisione di questo giudice; Ritenuto, in via preliminare, che deve essere affermata la giurisdizione (e, quindi, anche la competenza) di questo ufficio in ordine alla materia di cui si tratta poiche', come si e' visto, non viene in rilievo solo la richiesta di carta di soggiorno della ricorrente, ma il diritto stesso del coniuge e dei cinque figli minori della predetta al ricongiungimento familiare sul territorio italiano; Ritenuto, che per quanto concerne la richiesta istruttoria formalizzata dall'Avvocatura dello Stato, essa non appare meritevole di accoglimento, perche' la stessa relazione peritale, che ha opportunamente approfondito il contenuto del locale Regolamento di igiene comunale, costituisce di fatto un'autorevole documentazione volta ad affermare la sostanziale idoneita' dell'alloggio, sotto il profilo igienico sanitario, ad accogliere il nucleo familiare in questione; Ritenuto, del resto, che tale richiesta, anche ove accolta ed istruita con esito favorevole alla straniera ricorrente, non consentirebbe, ad avviso di questo giudice, di superare il nucleo centrale dei problemi interpretativi sottesi al presente ricorso, e cio' si afferma almeno sulla scorta di quella che e' stata fino ad ora la costante giurisprudenza di questo ufficio; Ritenuto, infatti, che, pur avendo la stessa difesa della ricorrente richiamato l'art. 6 del d.P.R. n. 394/1999, ove al comma l, lettera c), in materia di idoneita' dell'alloggio, si dice che «l'interessato deve produrre l'attestazione dell'ufficio comunale circa la sussistenza dei requisiti di cui al predetto articolo del testo unico (vale a dire l'art. 29, comma 3, lettera a), il cui testo e' ora riproposto integralmente dall'art. 5 del d.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334), ovvero il certificato di idoneita' igienico-sanitaria rilasciata dall'Azienda unita' sanitaria locale competente per territorio», tale previsione normativa non appare dirimente; Ritenuto, ancora, che secondo la difesa della straniera istante, proprio al fine di «rendere elastici i parametri di valutazione dell'idoneita' abitativa nelle procedure di ricongiungimento o di rilascio (...) di carta di soggiorno», il legislatore, nella norma regolamentare da ultimo citata, avrebbe previsto «in alternativa alla rispondenza ai parametri posti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica», il rilascio «dell'attestazione di idoneita' igienico-sanitaria dell'alloggio da parte della competente ASL (...)»; Ritenuto che, anche a prescindere dall'osservare che, nel caso in esame, la certificazione a firma della dirigente dell'U.O., igiene, versata in atti, si limita ad attestare non risultare l'esistenza di una «dichiarazione di inidoneita' igienico-sanitaria per l'immobile sito in Genova, via Sergio Piombelli n. 10/4», e che, anche ove presente, l'attestazione di idoneita' in questione viene rilasciata sulla base di una valutazione di natura oggettiva che prescinde dal numero degli abitati dell'alloggio, la disposizione richiamata, anche perche' di rango inferiore rispetto all'art. 29, comma 3, lettera a) del d.lgs. n. 286/1998, non puo' prevalere su quest'ultima; Ritenuto, in altre parole, che in materia di ricongiungimento familiare, in mancanza di una riforma legislativa sul punto, e dunque alla stregua della vigente normativa, lo straniero deve considerarsi tenuto a dimostrare la disponibilita' di un alloggio «che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica»; Ritenuto che, appunto in forza della normativa richiamata e tenuto conto delle conclusioni del C.T.U., avuto riguardo ai due principali motivi di impugnazione esposti (asserita nullita' del provvedimento impugnato per via della omessa indicazione della legge regionale applicata, e della mancata traduzione del decreto di rigetto della richiesta della carta di soggiorno nella lingua originaria della ricorrente), il ricorso in esame non potrebbe trovare accoglimento; Ritenuto, infatti, che per quanto concerne il primo dei motivi sopra specificati, in adesione all'assunto dell'Avvocatura dello Stato, deve essere considerato sufficiente il richiamo del provvedimento opposto «ai presupposti di fatto e alle ragioni in diritto che hanno determinato le ragioni dell'amministrazione»; Ritenuto che, per quanto riguarda il secondo motivo sopra enunciato, vale a dire la pretesa nullita' dell'atto per via della mancata traduzione nella lingua d'origine della ricorrente, come piu' volte affermato da questo tribunale, poiche' la traduzione e' preordinata ad assicurare la effettiva conoscibilita' del provvedimento (essendo essa «presupposto essenziale per l'esercizio del diritto di difesa») la «mancata traduzione, o la traduzione in una lingua non conosciuta dal destinatario del provvedimento» determina esclusivamente la non decorrenza del termine perentorio dell'impugnazione, laddove appunto essa non sia stata presentata in forza di un problema di mancata comprensione, il che si rivela non pertinente alla fattispecie in esame, in quanto la ricorrente, presentando tempestivo ricorso e difendendosi nel merito per il tramite del suo legale, ha dimostrato di avere avuto piena cognizione del contenuto del provvedimento; Ritenuto, che, a questo punto, avuto riguardo al fatto che gia' in precedenti analoghi procedimenti e' stata evidenziata la pretesa rilevanza di questioni di costituzionalita' aventi ad oggetto l'art. 29, comma 3, lettera a) del T.U. in materia di immigrazione, per l'eventuale contrasto con gli artt. 3, 29 e 31 della Costituzione, devono essere approfonditi gli eventuali profili di incostituzionalita' della normativa in materia di stranieri; Ritenuto che in una precedente fattispecie questo ufficio (si v. ord. Trib. Genova, 17 novembre 2003, ric. Siancas Arias. Est. Martinelli), dopo avere fatto applicazione dei parametri previsti in generale dal d.m. 5 luglio 1975, aveva concluso per l'irrilevanza «di ogni questione di illegittimita' costituzionale del riferimento ad una normativa regionale anziche' nazionale»; Ritenuto, tuttavia, che, ad avviso di questo giudice, la questione merita di essere nuovamente presa in considerazione, proprio con specifico riferimento alle concrete risultanze di questa procedura, nell'ambito della quale neppure il ricorso ad una normativa nazionale, di natura regolamentare, ha consentito di considerare meritevoli di accoglimento le doglianze della ricorrente; Ritenuto che, d'altra parte, il fatto stesso che in talune situazioni, sulla base di un'interpretazione estensiva, si sia fatta applicazione di una disposizione regolamentare nazionale, in luogo della legge regionale che il T.U. in materia di immigrazione esclusivamente richiama, suscita piu' di una perplessita' circa la ragionevolezza del quadro normativo descritto; Ritenuto che, a conferma di tale assunto, vi e', da un lato, il fatto che, ai fini di una piu' adeguata interpretazione della normativa in tema di ricongiungimento familiare, almeno una parte dei giudici di merito sono stati indotti a fare ricorso a testi legislativi non presi in considerazione dal citato art. 29 (ad es. il citato d.m. 5 luglio 1975), e dall'altra il fatto che lo stesso legislatore ha introdotto in sede regolamentare una (contestata) equiparazione tra la sussistenza dei requisiti di idoneita' previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica, e il certificato di idoneita' igienico-sanitaria rilasciato dalla ASL competenti (si richiama sul punto quanto gia' sopra in precedenza esposto); Ritenuto che, mentre la richiesta di idoneita' igienico-sanitaria degli alloggi nella disponibilita' dei cittadini stranieri richiedenti il ricongiungimento, a sommesso avviso del giudicante, ben potrebbe costituire un ragionevole requisito ai fini dell'accoglimento della domanda, il mero richiamo della normativa ad una legge regionale in materia di edilizia pubblica appare irrazionale e, come tale, ingiustificato, creando una oggettiva discriminazione tra cittadini italiani e cittadini stranieri, oltre che una potenziale discriminazione tra cittadini stranieri abitanti in una Regione piuttosto che un'altra (per quanto questo giudice non abbia avuto la possibilita' di verificare l'esistenza di normative regionali divergenti in materia); Ritenuto che, effettivamente, l'applicazione della citata legge regionale solo astrattamente sembra porre sullo stesso piano i cittadini italiani e gli stranieri, mentre in realta' essa determina una non accettabile discriminazione dei secondi rispetto ai primi, e cio' proprio nella delicata materia familiare, non comprendendosi per quale ragione solo allo straniero dovrebbe richiedersi di rispettare i rigidi parametri previsti dalla legge regionale per l'edilizia residenziale pubblica, allorquando per il cittadino italiano che faccia ricorso al libero mercato degli alloggi, non e' previsto il medesimo trattamento (ed infatti il concetto di alloggio «adeguato» o «inadeguato» non presenta alcuna valenza sotto il profilo igienico-sanitario, ma soltanto ai fini dell'accesso all'edilizia agevolata); Ritenuto, in altre parole, che soltanto per gli stranieri la realizzazione (o il mantenimento) dell'unita' familiare viene subordinata al rispetto delle citate disposizioni regionali, pur in presenza, come nel caso di specie, di un immobile che risponde pienamente ai fondamentali requisiti igienico-sanitari (come ricavabile dalla C.T.U. Benelli le cui conclusioni sono state in precedenza esposte), con la sottolineatura che la ricorrente ha addirittura acquistato l'alloggio di cui si tratta, manifestando cosi' un radicamento sul territorio che non sempre e' facile rilevare in procedimenti analoghi; Ritenuto conseguentemente che, nel caso in esame, il rigetto del ricorso determinerebbe una lesione del diritto soggettivo all'unita' familiare del cittadino straniero, regolarmente soggiornante in Italia, diritto di rango sia costituzionale che comunitario il quale verrebbe ad essere compresso non in forza di preminenti esigenze di ordine pubblico, o di sicurezza dello Stato, ma sulla base di un rinvio legislativo ad una norma regionale i cui limiti applicativi sono stati sopra evidenziati; Ritenuto che, tutto cio' precisato, e considerato che, in forza dell'art. 2 del d.lgs. n. 286/1998, allo straniero «comunque presente sul territorio dello Stato» sono riconosciuti «i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore, e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti», e che lo stesso giudice delle leggi ha avuto modo di affermare la piena equiparazione degli stranieri ai cittadini italiani per quanto concerne il godimento dei diritti in materia di famiglia (si v. ad es. le sentenze n. 28/1995, n. 203/1997), non appare manifestamente infondato il dubbio che la norma in esame sia in contrasto con l'art. 2 Cost., poiche' «il diritto all'unita' familiare» rientra a pieno titolo tra i «diritti inviolabili dell'uomo», con l'art. 3, primo comma, Cost. per la gia' sottolineata violazione del diritto di uguaglianza tra cittadini italiani e stranieri, con l'art. 29, primo comma, Cost. per la lesione che la norma ordinaria determina ai diritti dei singoli familiari e, in particolare, ai diritti dei figli minori, e con l'art. 31 Cost., potendo considerarsi nella specie violato il precetto costituzionale che tutela l'adempimento dei compiti familiari relativi alle famiglie numerose;