ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel giudizio di legittimita' costituzionale della legge della Regione
Friuli-Venezia  Giulia  8 aprile 2005, n. 7 (Interventi regionali per
l'informazione,  la  prevenzione  e la tutela delle lavoratrici e dei
lavoratori  dalle  molestie  morali  e psico-fisiche nell'ambiente di
lavoro),  promosso  dal  Presidente  del  Consiglio  dei ministri con
ricorso  notificato  l'8 giugno 2005, depositato in cancelleria il 14
giugno 2005 ed iscritto al n. 67 del registro ricorsi 2005;
    Visto l'atto di costituzione della Regione Friuli-Venezia Giulia;
    Udito nell'udienza pubblica del 2 maggio 2006 il giudice relatore
Francesco Amirante;
    Uditi  l'avvocato  dello  Stato Giuseppe Nucaro per il Presidente
del  Consiglio  dei  ministri e l'avvocato Giandomenico Falcon per la
Regione Friuli-Venezia Giulia.

                          Ritenuto in fatto

    1. -  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha sollevato
questione  di  legittimita'  costituzionale della legge della Regione
Friuli-Venezia  Giulia  8 aprile 2005, n. 7 (Interventi regionali per
l'informazione,  la  prevenzione  e la tutela delle lavoratrici e dei
lavoratori  dalle  molestie  morali  e psico-fisiche nell'ambiente di
lavoro),  in  riferimento agli artt. 4 e 5 della legge costituzionale
31  gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia
Giulia),  all'art. 117,  secondo  comma,  lettere  g)  ed l), e terzo
comma, e all'art. 118, primo comma, della Costituzione.
    In  particolare,  per  quel  che  riguarda  le  censure  riferite
all'art. 117,  secondo  comma, lettere g) ed l), Cost., il ricorrente
osserva  come  l'art. 1,  comma 2,  della  legge  regionale,  intenda
definire   il   mobbing   con   l'espressione   «molestie   morali  e
psico-fisiche   nell'ambiente   di  lavoro»,  utilizzando,  altresi',
nell'art. 1,   comma 1,   le   parole   «esclusione  sociale»,  cosi'
evidenziando  una  tale  indeterminatezza definitoria da rimettere ad
organi  amministrativi  il potere di integrare i contenuti normativi,
anzi  di sostituirsi al legislatore statale, che sarebbe competente a
dettare  la  nozione  di  mobbing. Questa sarebbe molto piu' ampia di
quella  di  «molestia»,  come  definita  nell'art. 2,  par.  2, della
direttiva  n. 76/707/CEE  del  Consiglio, come sostituita dall'art. 1
della direttiva n. 2002/73/CE, che riguarda soltanto il comportamento
indesiderato connesso al sesso di una persona.
    Tuttavia  la  normativa  europea  rivelerebbe come l'applicazione
delle norme sia affidata al giudice e non ad incontrollabili apparati
amministrativi  o  ad  altrettanto  incontrollabili  associazioni  di
volontari  o  sindacali.  In tale ultimo senso sono invece dettate le
previsioni  dell'art. 2,  relative  ai «progetti» presentati da dette
associazioni, che possono prevedere dei punti di ascolto, con compiti
istruttori,  i  quali  mantengono rapporti con le strutture pubbliche
competenti.
    Dubbi  suscita  nel  Presidente  del  Consiglio anche il punto di
ascolto  ed  assistenza  istituito  presso ogni ASL, in ragione della
previsione  di convenzioni suscettibili di attivare incarichi esterni
(come  quello  ad un giuslavorista, e non a due, ipotesi che parrebbe
piu'  corretta  al ricorrente in quanto implicherebbe la possibilita'
di un contraddittorio).
    Cio'  posto  e premesso di aver proposto analoghi ricorsi avverso
leggi  delle  Regioni  Abruzzo  e  Umbria,  il  ricorrente, in ordine
all'ipotizzato contrasto con l'art. 117, terzo comma, Cost., sostiene
che  la censurata normativa non si limita a dettare una disciplina di
dettaglio  nelle materie di competenza concorrente della tutela della
salute  e  della  tutela  e  sicurezza  del lavoro. Il Presidente del
Consiglio  evoca,  infine,  anche un profilo di possibile eccesso dai
limiti  statutari,  in  riferimento agli artt. 4, 5 e 6 dello statuto
speciale,  non  essendo  la  legge  censurata riconducibile a nessuna
delle  materie  ivi elencate e non potendo neppure essere qualificata
come  esercizio di competenza integrativa ed attuativa in mancanza di
collegamento con principi fondamentali.
    Tali argomentazioni sono state ribadite in una memoria depositata
nell'imminenza  dell'udienza,  ove  il  ricorrente sottolinea come la
legge impugnata non si sia affatto astenuta dal formulare una propria
definizione  di  mobbing, ma abbia, al contrario, fatto riferimento a
nozioni    «proprie»   quale   «molestie   morali   e   psico-fisiche
nell'ambiente  di  lavoro»  (o «sul posto di lavoro»), «comportamenti
discriminatori  e  vessatori  protratti  nel  tempo», «qualita' [...]
delle   relazioni  sociali»,  ed  «esclusione  sociale».  L'aggettivo
«sociale»  sarebbe  stato utilizzato per mettere in ombra la sostanza
civilistica,  attinente  cioe'  ai  rapporti  contrattuali (anche per
quanto   disciplinati  da  contrattazione  collettiva)  genericamente
ipotizzati  dalla  Regione  Friuli-Venezia  Giulia,  il cui contenuto
finirebbe   col   finanziare   con   denaro   pubblico  patronati  ed
associazioni  di  volontariato,  perche' - presentato un «progetto» -
svolgano  una  attivita'  sostanzialmente amministrativa destinata ad
affiancarsi  ai  normali  rimedi  offerti dall'ordinamento in caso di
illeciti contrattuali.
    E'  facile  prevedere - a parere dell'Avvocatura - che i soggetti
privati finanziati saranno portati ad enfatizzare l'accreditamento ad
essi   attribuito,   a  promuovere  (mediante  professionisti  legali
«organici»)  l'instaurazione  di  controversie  civili e ad ingerirsi
nelle  dinamiche  interne  di  impresa  e  di apparati amministrativi
(anche statali). Anche se non esclude che la Regione possa dotarsi di
strumenti  conoscitivi  del  «fenomeno» di che trattasi e neppure che
essa  possa tener conto del mobbing nell'organizzare talune strutture
del Servizio sanitario, il ricorrente ritiene, tuttavia, che la legge
impugnata  vada  oltre, quando - soprattutto all'art. 2 e all'art. 3,
commi  l,  2  e  3  -  «accredita»  operatori  variamente motivati ad
interferire  nei rapporti civilistici (o addirittura nei rapporti non
contrattualizzati con dipendenti statali).
    2. -  Si  e'  costituita  in  giudizio  la Regione Friuli-Venezia
Giulia,  concludendo  per  il  rigetto del ricorso sul rilievo che la
legge  impugnata  non ha dettato norme interferenti con l'ordinamento
civile  e penale o con l'organizzazione statale, ne' aventi carattere
di  principio  fondamentale  nelle  materie della tutela del lavoro e
della  salute,  ma  si  e'  limitata  a  prevedere  -  e, in parte, a
finanziare - attivita' di sostegno, di studio e di formazione al fine
di  diminuire  l'incidenza  delle  molestie  nei  luoghi di lavoro, a
tutela dei lavoratori.
    In  particolare,  la  Regione  eccepisce  l'inammissibilita', per
genericita',  della  prima  censura  la' dove imputa all'art. 1 della
legge  in  argomento la vaghezza e la inadeguatezza delle espressioni
usate, contestando che la disposizione ponga una normativa in bianco,
dato   che   il   concetto   di   «molestie  morali  e  psico-fisiche
nell'ambiente  di  lavoro»  e'  sufficientemente  chiaro  per guidare
l'esercizio  della  discrezionalita' amministrativa. Anche la seconda
censura  sarebbe  inammissibile per genericita', non essendo indicato
alcun  parametro  costituzionale e non risultando chiaro se si tratti
di  censura  relativa  alla legittimita' piuttosto che al merito, con
riguardo  al  quale  la  doglianza  sarebbe non fondata, in quanto la
previsione  di  progetti delle associazioni di volontariato contro le
molestie  morali e psico-fisiche sul posto di lavoro e' perfettamente
logica,  dal  momento  che la tutela dei dipendenti, parti deboli del
rapporto   di   lavoro,  viene  istituzionalmente  svolta  da  quelle
associazioni.
    Inoltre,  l'art. 2  prescrive  requisiti  di  competenza  per  le
associazioni  in  questione  e  prevede che i progetti possano essere
presentati  anche da «organizzazioni datoriali di categoria»: come e'
ovvio,  dato  che  la diminuzione dell'incidenza delle molestie e' un
interesse  anche  delle aziende e delle pubbliche amministrazioni. Il
fenomeno  del  mobbing  non  si  svolge infatti tra «controparti», ma
riguarda  in  generale  le  dinamiche  delle relazioni interpersonali
negli  ambienti  di  lavoro. D'altra parte anche l'elenco dei compiti
dei  «punti  di  ascolto», di cui all'art. 3, dimostra l'infondatezza
del timore che la legge regionale voglia conferire a soggetti esterni
poteri tali da «penalizzare» gli interessi dei datori di lavoro.
    Scarsamente  comprensibile  sarebbe  poi la censura relativa alla
presenza  di un solo giuslavorista e l'auspicio della presenza di due
giuslavoristi:    non   si   tratta,   infatti,   di   regolare   una
contrapposizione  ideologica,  ne'  di  organizzare una dialettica di
tipo  processuale,  ma  di fornire sostegno alle persone che ne hanno
bisogno con professionisti competenti.
    Peraltro  le  questioni  in cui viene evocato l'art. 117, secondo
comma,  lettere g)  ed  l), Cost., sarebbero inammissibili per omessa
illustrazione   dell'applicabilita'   degli  evocati  parametri  alla
Regione   a   statuto  speciale.  Nel  merito,  le  stesse  sarebbero
infondate, quanto al primo profilo, perche' nessuna norma della legge
impugnata  incide  o  puo'  incidere sull'organizzazione degli uffici
statali,  essendo  previste  solo  attivita'  di studio, formazione e
sostegno,  pienamente  rientranti  nelle materie «tutela del lavoro»,
«tutela della salute» e «formazione professionale»; quanto al secondo
aspetto,  non  vi  sarebbe alcuna incidenza «sui rapporti civilistici
interpersonali,  non  soltanto  di  lavoro  e  di  impresa», perche',
infatti,  la legge prevede attivita' «esterne» ai rapporti di lavoro,
a  fini  di  sostegno,  studio  e  formazione, e non fa sorgere alcun
obbligo  a  carico del datore di lavoro, ne' prevede alcun intervento
degli  organismi  di  sostegno  nei luoghi di lavoro. Il fatto che le
molestie  possano  dar  luogo  ad illeciti contrattuali non impedisce
alla  Regione  di occuparsi delle conseguenze di esse e di cercare di
prevenirle,  nell'esercizio  delle  proprie  competenze in materia di
organizzazione amministrativa, tutela del lavoro, tutela della salute
e formazione professionale.
    La censura in relazione alla quale sono stati evocati gli artt. 4
e  5  dello  statuto speciale sarebbe poi infondata, posto che, da un
lato, la legge regionale n. 7 del 2005 regola materie assegnate dallo
statuto  alla  competenza  legislativa  regionale  (ordinamento degli
uffici  e  degli  enti  dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed
economico  del  personale  ad  essi  addetto;  istruzione artigiana e
professionale  successiva alla scuola obbligatoria; igiene e sanita',
assistenza  sanitaria  ed  ospedaliera),  e, dall'altro, alla Regione
Friuli-Venezia  Giulia  si applicano, in base all'art. 10 della legge
costituzionale  18 ottobre  2001,  n. 3,  le norme del Titolo V della
parte  seconda  della  Costituzione  per  essa piu' favorevoli, cioe'
quelle  che prevedono la competenza concorrente in materia di «tutela
del  lavoro»  e  «tutela  della  salute»  e  quella  che  prevede  la
competenza regionale piena in materia di «formazione professionale».
    Sarebbero  altresi'  impropriamente evocati sia l'art. 117, terzo
comma, Cost., in quanto le Regioni possono adottare norme legislative
nelle  materie di competenza concorrente senza attendere l'entrata in
vigore  delle  leggi-cornice,  sia l'art. 6 dello statuto (che affida
alla  Regione  Friuli-Venezia Giulia competenza integrativa-attuativa
in materia di «lavoro»), perche' tale norma non forma piu' la base ed
il  parametro  della  competenza  regionale in materia di «tutela del
lavoro»,  a seguito dell'entrata in vigore della legge cost. n. 3 del
2001  che  ha  corrispondentemente  ampliato  la potesta' legislativa
della Regione Friuli-Venezia Giulia.
    Sarebbe,   infine,   inammissibile   la   censura   sollevata  in
riferimento   all'art. 118,   primo  comma,  Cost.,  per  difetto  di
motivazione.

                       Considerato in diritto

    1. -  Il  Presidente  del Consiglio dei ministri ha impugnato, in
riferimento   agli   artt.   4   e  5  dello  statuto  della  Regione
Friuli-Venezia  Giulia (approvato con legge costituzionale 31 gennaio
1963,  n. 1),  all'art. 117, secondo comma, lettere g) ed l), e terzo
comma,  e  all'art. 118,  primo  comma,  della Costituzione, la legge
della  suindicata  Regione  8 aprile 2005, n. 7 (Interventi regionali
per  l'informazione,  la  prevenzione e la tutela delle lavoratrici e
dei lavoratori dalle molestie morali e psico-fisiche nell'ambiente di
lavoro),  perche'  la  materia  oggetto  della  medesima  non sarebbe
prevista  da  alcuna  norma  statutaria  e  la sua disciplina sarebbe
invasiva   delle   competenze   legislative   statali  nelle  materie
dell'ordinamento   civile   e   dell'ordinamento   e   organizzazione
amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali.
    Il  ricorrente sostiene, altresi', che la legge impugnata attiene
anche  alla tutela della salute e alla tutela e sicurezza del lavoro,
materie  entrambe  di  competenza  legislativa  concorrente, e non si
limita a dettare disposizioni di dettaglio.
    L'Avvocatura  dello Stato, inoltre, a conforto delle proprie tesi
richiama la sentenza di questa Corte n. 359 del 2003, con la quale fu
dichiarata  l'illegittimita' costituzionale della legge della Regione
Lazio 11 luglio 2002, n. 16 (Disposizioni per prevenire e contrastare
il fenomeno del mobbing nei luoghi di lavoro).
    Il   ricorrente  rileva  che  l'espressione  «molestie  morali  e
psico-fisiche»   usata   dal   legislatore   regionale,  per  la  sua
indeterminatezza,   implica   la   successiva   emanazione   di  atti
amministrativi in materie riservate allo Stato. Inoltre la nozione di
mobbing  sarebbe  molto  piu' complessa rispetto a quella di molestie
cosi' come e' definita anche dalla normativa comunitaria, dal momento
che  le  molestie  costituiscono  soltanto  uno  dei modi in cui puo'
attuarsi il mobbing.
    La  legge censurata, infine, prevede la costituzione di organismi
cui  affidare compiti comportanti l'intrusione in non meglio definiti
ambienti  di  lavoro,  rendendo  possibile  l'invasione  di organismi
regionali in ambiti riservati allo Stato.
    2. -  In  via preliminare, si rileva l'ammissibilita' del ricorso
ancorche'  concerna un'intera legge, in quanto, come gia' ritenuto in
casi  analoghi  (sentenza  n. 359  del  2003  e  sentenze ivi citate,
nonche'  sentenza  n. 22  del 2006), l'omogeneita' della normativa in
esame  consente di individuare l'oggetto e le ragioni dello scrutinio
richiesto.
    Ancora in via preliminare, si osserva che le modifiche introdotte
dagli  articoli  da  66 a 70 della legge della Regione Friuli-Venezia
Giulia  9 agosto  2005,  n. 18 (Norme regionali per l'occupazione, la
tutela  e la qualita' del lavoro), agli artt. 3, 4, 5, 6, 7 e 8 della
legge  impugnata  sono  di  natura  terminologica  e  formale,  tali,
comunque,  da  non  incidere  sostanzialmente sul contenuto normativo
delle  disposizioni  impugnate.  Ne  consegue che le questioni devono
essere  trasferite  sulle  nuove  disposizioni  (ordinanza n. 137 del
2004, sentenza n. 533 del 2002).
    3. - Nel merito, il ricorso non e' fondato.
    Il richiamo alla sentenza n. 359 del 2003 non giova al ricorrente
perche'  la  legge  della  Regione  Lazio,  con la medesima pronuncia
dichiarata illegittima, era sostanzialmente diversa dalla legge della
Regione Friuli-Venezia Giulia, oggetto del presente scrutinio.
    Con  la sentenza citata, questa Corte - dopo aver premesso che il
mobbing, unitariamente considerato dalle scienze sociali, ma privo di
una  specifica disciplina statale, e' fenomeno complesso connotato da
una  pluralita'  di  aspetti, alcuni dei quali ricondotti dai giudici
comuni sotto le previsioni dell'art. 2087 del codice civile - rilevo'
che  esso,  con riguardo alla condotta degli autori dei comportamenti
vessatori  e  ai rapporti tra datore di lavoro e lavoratore, inerisce
anche  all'ordinamento  civile,  mentre  per i profili concernenti le
conseguenze  patologiche  sulla  vittima  di  per  se' considerate e'
attinente  alla  tutela  della  salute  e alla tutela e sicurezza del
lavoro.  La  definizione del mobbing contenuta nella legge citata era
onnivalente  e la Regione Lazio aveva reso manifesto che essa attuava
il  proposito  di  intervenire  «nelle  more  dell'emanazione  di una
disciplina organica dello Stato in materia».
    La  constatazione  che la legge regionale, fondata su un'autonoma
definizione  del  complesso  fenomeno  sociale,  lo  disciplinava  in
molteplici  suoi  aspetti,  alcuni dei quali rientranti in competenze
dello   Stato,   fu   quindi   alla   base   della  dichiarazione  di
illegittimita' costituzionale.
    La  legge  della  Regione  Friuli-Venezia  Giulia  n. 7 del 2005,
oggetto del ricorso in esame presenta, invece, elementi di analogia -
come  fa  rilevare  lo stesso ricorrente - con la legge della Regione
Abruzzo  11 agosto  2004, n. 26 (Intervento della Regione Abruzzo per
contrastare e prevenire il fenomeno mobbing e lo stress psico-sociale
sui  luoghi  di  lavoro),  passata indenne attraverso lo scrutinio di
costituzionalita' (sentenza n. 22 del 2006).
    Anche  nel  caso  in  esame  la  legge  censurata non formula una
definizione del mobbing con valenza generale, ma ha riguardo soltanto
ad  alcuni  suoi  aspetti  non esorbitanti dalle competenze regionali
ordinarie   e   ancor   meno   da  quelle  statutarie  della  Regione
Friuli-Venezia  Giulia,  la cui violazione il ricorrente evoca in via
subordinata, ma sulle quali la stessa Regione ritiene ormai prevalere
il  nuovo  riparto  di competenze. L'incompletezza della definizione,
anche  con  riguardo  alle  nozioni di diritto comunitario, e' quindi
correlativa  al  carattere parziale e volutamente non esaustivo della
regolamentazione  legislativa  regionale  (come  si evince dagli atti
consiliari   contenenti  i  lavori  preparatori  della  stessa  legge
regionale).
    Se,  poi,  l'inesistenza  di  una  definizione  generale  dovesse
condurre la Regione all'emanazione di atti amministrativi esorbitanti
dalle  proprie  competenze  o,  comunque,  contrastanti con parametri
costituzionali,  per  la  repressione  di  tali fenomeni, come questa
Corte  ha gia' affermato, l'ordinamento appronta gli opportuni rimedi
di  giustizia  costituzionale  e  comune  (sentenza  n. 22 del 2006).
Quest'ultimo  rilievo  vale  anche  a  motivare  l'infondatezza delle
censure  concernenti  la  genericita'  delle  previsioni  della legge
riguardo  ai paventati interventi nei luoghi di lavoro, all'eventuale
accertamento  di  casi  di  mobbing  ed  all'istituzione di «punti di
ascolto» presso le ASL.
    Si  deve,  infatti,  considerare  che,  anche  al  di  fuori  del
controllo   incidentale   di  legittimita'  costituzionale,  vale  il
principio  secondo il quale una disposizione di legge non puo' essere
dichiarata   illegittima   soltanto  perche'  tra  le  varie  opzioni
interpretative  e  applicative se ne possa ipotizzare qualcuna lesiva
di norme costituzionali.
    In   conclusione,  anche  per  l'impugnata  legge  della  Regione
Friuli-Venezia Giulia puo' ribadirsi cio' che si e' ritenuto riguardo
alla  legge  n. 26  del 2004 della Regione Abruzzo, e cioe' che «essa
non  ha  oltrepassato i limiti della competenza che gia' questa Corte
ha  riconosciuto  alle  Regioni  quando ha affermato che esse possono
intervenire  con  propri  atti normativi anche con misure di sostegno
idonee a studiare il fenomeno in tutti i suoi profili ed a prevenirlo
o limitarlo nelle sue conseguenze».