ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi  per  conflitto  di  attribuzione tra poteri dello Stato
sorti  a  seguito  della  delibera  del  Senato  della Repubblica del
28 maggio   2003,   relativa  alla  insindacabilita'  delle  opinioni
espresse  dal senatore Rocco Loreto nei confronti del dott. Matteo Di
Giorgio, promossi con n. 2 ricorsi del Tribunale di Potenza - Sezione
civile  e  con ricorso del Tribunale di Potenza - Sezione del giudice
dell'udienza  preliminare,  notificati  il 15, 16 e 22 novembre 2004,
depositati  in  cancelleria  il  3  e  7 dicembre  2004  ed iscritti,
rispettivamente, ai numeri 26, 27 e 28 del registro conflitti 2004;
    Visti gli atti di costituzione del Senato della Repubblica;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  16 maggio  2006  il  giudice
relatore Sabino Cassese;
    Udito  l'avvocato  Beniamino  Caravita  di  Toritto per il Senato
della Repubblica.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con tre distinti ricorsi (r. confl. n. 26, n. 27 e n. 28 del
2004),  il Tribunale di Potenza ha sollevato altrettanti conflitti di
attribuzione  nei confronti del Senato della Repubblica, in relazione
alla   deliberazione  del  28 maggio  2003  con  la  quale  e'  stata
dichiarata - ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione -
l'insindacabilita' delle dichiarazioni dell'ex senatore Rocco Loreto;
dichiarazioni  da  cui  hanno  preso  origine due giudizi civili e un
giudizio penale.
    1.1.  -  Nel  primo  ricorso  (r. confl. n. 26), il Tribunale, in
funzione  di  giudice  monocratico  civile,  riferisce  che il dottor
Matteo  Di  Giorgio, magistrato con funzioni di sostituto procuratore
della  Repubblica  presso  il  Tribunale  di Taranto, aveva formulato
istanza  di sequestro conservativo dei beni rientranti nel patrimonio
del  sen.  Rocco  Loreto  in  vista  di  una successiva azione per il
risarcimento del danno. A sostegno della domanda, il dott. Di Giorgio
affermava di avere svolto, all'inizio dell'anno 2000, indagini penali
a   carico   del   sen.  Loreto,  all'epoca  Sindaco  del  comune  di
Castellaneta  e  Senatore  della  Repubblica,  e  che da quel momento
l'indagato  aveva  posto  in  essere una serie di attivita' dirette a
screditarlo, consistenti:
        a) nell'averlo  definito,  nel  corso di un comizio tenuto il
7 aprile del 2000, «capocantiere», attribuendogli, altresi', il fatto
di  aver «reclutato nel suo ufficio e nella sua abitazione alcuni che
stanno  dando  i  numeri», e di essere «arruolato nelle file di Forza
Italia», aggiungendo che c'e' un «miscuglio tra magistratura, polizia
giudiziaria e la sezione di Forza Italia»;
        b) in   due   dichiarazioni  del  12  e  13  settembre,  rese
rispettivamente  ad  una testata giornalistica televisiva nazionale e
ad una locale: nella prima, l'attivita' di indagine era definita «una
vendetta  giudiziaria annunciata»; nella seconda, si affermava che il
dott. Di Giorgio indossava indegnamente la toga, accusandolo di avere
parenti  e  amici  nella  ASL  di  Taranto,  di  essere  legato ad un
esponente  di Forza Italia, di essere autore di «un complotto, mirato
a  far  fuori  dalla  scena  politica esponenti del centro sinistra»,
programmato  con  il sindaco di Palagiano, dalla cui casa, secondo un
filmato, usciva «furtivamente»;
        c) in  dichiarazioni  rilasciate  il  13 e il 14 dello stesso
mese  a  piu'  quotidiani,  con le quali si qualificavano «autentiche
cazzate»  gli  arresti  e  gli avvisi di garanzia posti in essere dal
dott. Di Giorgio e si attribuiva all'azione investigativa l'obiettivo
di  delegittimare  il  sen.  Loreto  nel  momento  della scelta delle
candidature  per le imminenti elezioni amministrative, riferendosi di
voci in ordine ad una possibile candidatura dello stesso magistrato;
        d) nell'aver dichiarato, nel corso di un comizio tenuto il 22
ottobre,  che  il  magistrato  era  indagato  presso  il Tribunale di
Potenza e che nessuno ne aveva chiesto le dimissioni;
        e) nella  presentazione  di  un  esposto  del  successivo 26,
indirizzato,  fra l'altro, al Consiglio superiore della magistratura,
in cui si sollecitava la promozione dell'azione disciplinare a carico
del Di Giorgio.
    In corso di causa, aggiunge il Tribunale, il sen. Loreto eccepiva
che  le  sue  dichiarazioni  erano  state  rese  nell'esercizio delle
funzioni  parlamentari  e  il  Senato della Repubblica, conformemente
alle   motivazioni  contenute  nella  relazione  della  Giunta  delle
elezioni    e    delle    immunita'   parlamentari,   ne   deliberava
l'insindacabilita'.
    Tanto  premesso,  il ricorrente sostiene che dal confronto tra le
interrogazioni parlamentari richiamate nella deliberazione del Senato
e  le  dichiarazioni  ritenute offensive risulterebbe solo una mera e
generica   comunanza   di   tematiche,   che   non   giustificherebbe
l'insindacabilita'   in   base  ai  principi  enunciati  dalla  Corte
costituzionale   riguardo   all'attivita'  di  divulgazione  di  atti
parlamentari.  Pertanto,  ritenuta la sussistenza della lesione della
sfera   di   attribuzioni  dell'autorita'  giudiziaria,  chiede  che,
affermata  la  non spettanza al Senato della Repubblica del potere di
dichiarare   l'insindacabilita'   delle   opinioni  espresse  dall'ex
senatore Loreto, sia annullata la deliberazione del 28 maggio 2003.
    1.2.  -  Con  il  secondo  ricorso  (r.  confl. n. 27), lo stesso
giudice  ha  sollevato analogo conflitto nei confronti della suddetta
delibera,  nell'ambito  di  due  successivi  giudizi civili, riuniti,
introdotti  dal  dott.  Di  Giorgio. Il primo concernente l'azione di
merito  per  ottenere la condanna del sen. Loreto al risarcimento dei
danni  posti  alla base del ricorso per sequestro conservativo di cui
al  conflitto  di  attribuzione  che  precede.  Il  secondo avente ad
oggetto,  in  via  principale, l'accertamento della simulazione delle
donazioni  di beni immobili effettuate dal sen. Loreto a favore della
moglie  e  da  questa  a  favore  dei figli e, in via subordinata, la
dichiarazione  di  inefficacia nei propri confronti, ex art. 2901 del
codice civile, dei suddetti atti.
    Il  giudice  ricorrente precisa che il sen. Loreto aveva eccepito
l'improcedibilita'  delle  azioni  per  effetto  della  deliberazione
senatoriale  del  28 maggio  2003. Ritiene che tale delibera precluda
ogni accertamento relativo alla illiceita' del comportamento del sen.
Loreto,  argomentando in ordine alla stretta connessione tra l'azione
cautelare,  di  cui  al  primo  conflitto,  e  quelle successivamente
proposte.
    1.3.  -  Con  il terzo ricorso (r. confl. n. 28), il Tribunale di
Potenza,  in  funzione  di  giudice  per  l'udienza  preliminare,  ha
promosso  conflitto  di  attribuzione  avverso  la  stessa  delibera,
nell'ambito  di  un  procedimento  penale  a  carico del sen. Loreto.
Riferisce  che  il  Pubblico  Ministero  aveva  chiesto  il  rinvio a
giudizio  per rispondere: a) del reato di calunnia in danno del dott.
Di   Giorgio,   sostituto  procuratore  della  Repubblica  presso  il
Tribunale di Taranto, per averlo accusato (in due esposti indirizzati
alla  Procura  della  Repubblica  di Potenza, rispettivamente in data
9 novembre 2000 e 17 gennaio 2001) di aver preteso da un imprenditore
locale  l'esecuzione  di  lavori  edilizi  in una villa di proprieta'
della  moglie,  pagandoli  un  decimo  del  loro  valore, minacciando
l'imprenditore e assicurandogli che non avrebbe svolto indagini a suo
carico;  b)  del  reato  di  violenza  privata  aggravata, per avere,
abusando  della  sua  funzione di Sindaco del comune di Castellaneta,
costretto  il  gia' citato imprenditore a rendere dichiarazioni false
ed  infamanti  in  danno del dott. Di Giorgio, con la minaccia di non
fargli  piu'  svolgere  lavori per il comune. Nel corso del giudizio,
aggiunge il ricorrente, interveniva la deliberazione del Senato.
    Cio'  premesso,  il  giudice  sostiene  che  -  alla  luce  della
giurisprudenza  della  Corte, secondo cui la irresponsabilita' deriva
dalla  identificabilita'  della  dichiarazione  come  espressione  di
attivita' parlamentare e non dal semplice collegamento di argomento o
di  contesto  -  la  sfera  di  attribuzione  garantita all'autorita'
giudiziaria     dall'art. 101    della    Costituzione    e'    stata
illegittimamente  menomata dalla delibera senatoriale. Il sen. Loreto
non   avrebbe   espresso   opinioni,   ma  avrebbe  posto  in  essere
comportamenti materiali - astrattamente qualificabili come calunnia e
violenza  privata  -,  non riconducibili ad atti parlamentari tipici,
ne'  aventi  la  funzione di divulgarli. Agli esposti indirizzati dal
sen.  Loreto all'autorita' giudiziaria non potrebbe essere attribuita
la qualifica di opinioni; infatti, osserva il rimettente, l'autorita'
giudiziaria  non  puo' essere destinataria di opinioni, ma di notizie
concernenti   fatti   penalmente   rilevanti.   Ne',  ad  avviso  del
ricorrente,  i  termini  della questione sarebbero mutati per effetto
dell'entrata   in   vigore   dell'art. 3,  comma 1,  della  legge  20
giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l'attuazione dell'art. 68 della
Costituzione  nonche'  in  materia  di  processi penali nei confronti
delle alte cariche dello Stato). Infine, il giudice sottolinea che la
Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari, nella relazione
del 14 maggio 2003, aveva ritenuto, con motivazione condivisibile, di
non  potere  ravvisare  l'insindacabilita'  nelle  condotte  poste in
essere  dal  sen.  Loreto;  insindacabilita'  che  l'Assemblea  aveva
riconosciuto  senza  motivare. Conclusivamente, chiede si affermi che
non  spetta al Senato della Repubblica dichiarare la insindacabilita'
delle opinioni espresse dall'ex senatore Loreto.
    2.  - Con ordinanze n. 311, n. 312 e n. 313 del 2004, la Corte ha
dichiarato ammissibili i conflitti.
    3.  -  Il Senato della Repubblica si e' costituito, chiedendo che
tutti  e  tre i ricorsi siano dichiarati inammissibili e infondati e,
in  prossimita'  della  data  fissata  per  l'udienza,  ha depositato
memoria per ciascuno dei conflitti.
    3.1.  -  Con  riferimento  ai  primi due ricorsi, sostiene che le
interrogazioni  -  concernenti  la Procura di Taranto o l'operato del
direttore   generale   della   ASL   della   stessa   citta'  -  sono
indirettamente   riferibili  al  dott.  Di  Giorgio.  Richiama,  poi,
ulteriori  interrogazioni - rispetto a quelle prese in considerazione
nella relazione della Giunta - con l'obiettivo di mettere in evidenza
il  collegamento  tra  di  loro  e con le dichiarazioni rilevanti nei
giudizi   civili.   In   particolare,   ritiene  che  possano  essere
considerate  «contestualmente espresse» due interrogazioni successive
alle  esternazioni.  In  conclusione,  secondo il Senato, sussiste la
«riconducibilita'  ad  un  unico  filo  conduttore, da un lato, della
pluralita'   di   atti   tipici,  dall'altro,  della  pluralita'  dei
fatti-fonte».   Conseguentemente,   le   dichiarazioni   oggetto  dei
procedimenti   civili   si  pongono  «in  un  rapporto  di  continuum
logico-temporale»  rispetto all'indagine parlamentare sulle relazioni
tra sanita', magistratura e politica nella provincia di Taranto.
    Quanto   al  terzo  ricorso  -  nell'ambito  della  stessa  linea
difensiva  -  il Senato ritiene che la peculiarita' del «caso Loreto»
consista  nella riconducibilita' della complessa vicenda ad «un unico
filo  conduttore»;  come  sarebbe dimostrato dalla decisione unitaria
adottata  dall'Assemblea e relativa, anche, a fatti-fonte per i quali
il collegamento funzionale appariva meno incisivo o dubbio.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  Tribunale  di  Potenza,  con  tre distinti ricorsi, ha
sollevato  altrettanti  conflitti  di  attribuzione nei confronti del
Senato   della   Repubblica,  in  relazione  alla  deliberazione  del
28 maggio   2003  con  la  quale  e'  stata  dichiarata  -  ai  sensi
dell'art. 68,  primo  comma,  della Costituzione - l'insindacabilita'
delle  dichiarazioni  dell'ex senatore Rocco Loreto, dalle quali sono
scaturiti due giudizi civili e un giudizio penale.
    1.1. - Il primo ricorso e' relativo ad un giudizio, per sequestro
conservativo  dei  beni  del  sen. Rocco Loreto, introdotto dal dott.
Matteo  Di  Giorgio, magistrato con funzioni di sostituto procuratore
della  Repubblica  presso  il  Tribunale  di Taranto, in vista di una
successiva   azione  per  il  risarcimento  del  danno  a  causa  del
discredito  cagionatogli  da  dichiarazioni  del  sen. Loreto rese in
comizi,  alla  televisione  e  alla  stampa, nonche' da un esposto da
quest'ultimo presentato al Consiglio superiore della magistratura.
    Secondo   il  Tribunale,  dal  confronto  tra  le  interrogazioni
parlamentari e le dichiarazioni ritenute offensive, risulterebbe solo
una  mera  e  generica  comunanza  di  tematiche,  che non giustifica
l'insindacabilita'   secondo   i   principi   enunciati  dalla  Corte
costituzionale  in  ordine  all'attivita'  di  divulgazione  di  atti
parlamentari.
    1.2. - Con il secondo ricorso, lo stesso giudice - nell'ambito di
due  giudizi  civili riuniti, successivamente introdotti dal dott. Di
Giorgio e strettamente connessi con la suddetta azione cautelare - ha
sollevato analogo conflitto.
    1.3.  -  Il  terzo ricorso ha riguardo ad un procedimento penale,
nel  corso  del quale era stato chiesto il rinvio a giudizio del sen.
Loreto per rispondere: a) del reato di calunnia in danno del dott. Di
Giorgio,  avendolo  accusato  di  fatti  di reato nei confronti di un
imprenditore  locale  in  due  esposti indirizzati alla Procura della
Repubblica  di Potenza; b) del reato di violenza privata aggravata in
danno  del  gia'  citato imprenditore, per averlo costretto a rendere
dichiarazioni false ed infamanti relativamente al dott. Di Giorgio.
    Secondo  il,  il  sen.  Loreto  non avrebbe espresso opinioni, ma
posto   in  essere  comportamenti  materiali,  neanche  astrattamente
riconducibili  ad atti parlamentari tipici, ne', tantomeno, aventi la
funzione   di  divulgarli.  Aggiunge  che  agli  esposti  indirizzati
all'autorita'  giudiziaria non puo' essere attribuita la qualifica di
opinioni,  atteso  che la stessa autorita' e' destinataria di notizie
concernenti fatti di rilevanza penale e non di opinioni.
    2.  -  Va disposta la riunione dei ricorsi che, avendo ad oggetto
la  stessa delibera parlamentare in relazione a fatti concernenti gli
stessi soggetti, possono essere decisi con unica pronuncia.
    3. - Preliminarmente, deve essere confermata l'ammissibilita' dei
conflitti,  sussistendone i presupposti soggettivi ed oggettivi, come
gia' ritenuto da questa Corte nelle ordinanze n. 311, n. 312 e n. 313
del 2004.
    4. - Nel merito, i ricorsi sono fondati.
    4.1.  -  Questa  Corte  deve  verificare la sussistenza del nesso
funzionale  tra le dichiarazioni rese dal senatore Loreto all'esterno
del   Parlamento   e   l'esercizio   da  parte  sua  di  un'attivita'
parlamentare.
    E' orientamento consolidato che tale nesso sussista ove ricorrano
due  elementi:  il  legame  temporale  fra l'attivita' parlamentare e
l'attivita'   esterna,  di  modo  che  questa  assuma  una  finalita'
divulgativa della prima; la sostanziale corrispondenza di significato
tra  opinioni espresse nell'esercizio di funzioni parlamentari e atti
esterni,  non essendo sufficiente ne' una mera comunanza di argomenti
(sentenze  n. 221  del  2006  e n. 28 del 2005), ne' un mero contesto
politico cui esse possano riferirsi (sentenza n. 176 del 2005).
    Non  puo'  essere,  pertanto, condivisa l'argomentazione centrale
della difesa del Senato, secondo cui la peculiarita' dei conflitti in
argomento  sarebbe  ravvisabile  - a prescindere dal legame temporale
tra  l'attivita'  parlamentare  e  le  dichiarazioni  esterne - nella
«riconducibilita' ad un unico filo conduttore ... della pluralita' di
atti   tipici...[e]   della   pluralita'  dei  fatti-fonte»;  con  la
conseguenza  che le dichiarazioni oggetto dei procedimenti giudiziari
si porrebbero «in un rapporto di continuum logico-temporale» rispetto
agli  interventi parlamentari del sen. Loreto concernenti l'intreccio
di  rapporti  tra sanita', magistratura e politica nella provincia di
Taranto.  Ove si accedesse a tale prospettazione, si finirebbe con il
rendere  evanescenti  il  legame  temporale  e  la  corrispondenza di
significato  tra  l'attivita'  parlamentare  e  le dichiarazioni rese
all'esterno,  intaccando  proprio il nesso funzionale richiesto dalla
costante giurisprudenza di questa Corte.
    4.2.  - Nei conflitti in esame, non si riscontrano i due elementi
che   debbono  contemporaneamente  ricorrere  affinche'  possa  dirsi
sussistente il nesso funzionale.
    Occorre   verificare   l'esistenza  del  legame  temporale  e  se
l'attivita'   esterna   sia   caratterizzata   da   una   sostanziale
corrispondenza di significato con l'attivita' parlamentare.
    4.3.  -  Il contesto temporale tra divulgazione e atto tipico non
puo'  ritenersi  sussistente  tra  i  comizi (tenuti il 7 aprile e il
22 ottobre  2000), le interviste (rese tra il 12 e 14 settembre 2000)
e  gli  esposti  (presentati  il  26 ottobre, il 9 novembre 2000 e il
17 gennaio  2001),  da  una  parte,  e, dall'altra, le interrogazioni
parlamentari   presentate  oltre  dieci  giorni  dopo  (n. 4-22051  e
n. 4-22052,  1 febbraio  2001)  l'ultima delle suddette esternazioni.
Conseguentemente,   e'  escluso  il  carattere  divulgativo  di  tali
esternazioni rispetto alle interrogazioni in esame.
    4.4.  -  Quanto  al  rapporto tra le menzionate esternazioni e le
interrogazioni   presentate   alcuni  anni  o  circa  un  anno  prima
(n. 4-6506,    n. 4-13220,    n. 4-14270,   n. 4-14271,   n. 4-14272,
n. 4-14281,  n. 4-14295,  n. 4-15000  e n. 4-15346, tra il 24 ottobre
1995  e  il 26 maggio 1999), va osservato che, fra le une e le altre,
vi   e'  una  distanza  di  tempo  talmente  ampia  da  escludere  la
«sostanziale  contestualita» tra di esse (sentenza n. 221 del 2006) e
da  far ritenere, invece, che le prime si inseriscano in una generica
situazione di contrasti politico-giudiziari protratti nel tempo.
    D'altra parte, le affermazioni fatte nei comizi, nelle interviste
e  negli  esposti  in  questione non costituiscono divulgazione delle
interrogazioni  ora  menzionate,  non  ricorrendo  corrispondenza  di
significato.
    Difatti,  nel  gruppo di interrogazioni in esame, il sen. Loreto,
da  un lato, lamentava l'avvenuta nomina del direttore generale della
ASL  di  Taranto  in  mancanza  dei requisiti previsti dalla legge e,
dall'altro,  chiedeva  di  conoscere quali provvedimenti ispettivi si
intendessero  intraprendere  nei confronti delle locali Procure della
Repubblica  che avrebbero dovuto indagare sulla nomina e sull'operato
del direttore della ASL.
    Invece,  le  esternazioni  del  sen. Loreto rilevanti nei giudizi
civili  riferivano  episodi, diversi e non collegati a quelli oggetto
delle  interrogazioni,  tutti  sostanzialmente  intesi  ad avvalorare
l'ipotesi  di  una  persecuzione  giudiziaria  ai  suoi danni; a loro
volta,  quelle  rilevanti  nel processo penale imputavano al dott. Di
Giorgio  condotte  relative  all'esecuzione  di lavori edilizi in una
villa  della  moglie e, quindi, del tutto prive di connessione con le
vicende,  riferite  negli  atti parlamentari, concernenti la nomina e
l'operato del direttore della ASL di Taranto.
    4.5.  -  Un  piu'  stretto  legame temporale sussiste rispetto ad
altre  tre  interrogazioni,  presentate  nel gennaio e nel giugno del
2000,  di  cui  due  sole evocavano il dott. Di Giorgio. Tuttavia, le
dichiarazioni  rilevanti  nei  giudizi  pendenti dinanzi al Tribunale
ricorrente  non  possono  ritenersi  esternazioni divulgative di tali
interrogazioni.
    Nella prima interrogazione (27 gennaio 2000, n. 4-17933), il sen.
Loreto  riferiva  che  le  dimissioni  dei  componenti  il  Consiglio
comunale  di  Palagiano,  all'indomani  delle elezioni amministrative
tenutesi  nell'anno 1997,  erano  collegate  alla  protesta contro la
magistratura   tarantina   per  aver  questa  effettuato  un  anomalo
sequestro di atti del medesimo Consiglio.
    Nella   seconda  (7  giugno 2000,  n. 4-19525),  il  sen.  Loreto
richiamava,   facendola   propria,   una   precedente  interrogazione
presentata  dal  sen.  Bucciero  (n. 4-04963  del 21 marzo 1997, gia'
riproposta  dallo  stesso,  con  la  n. 4-15394  del 28 maggio 1999),
concernente  i  motivi  dell'astensione  del  dott.  Di Giorgio in un
procedimento   avente   ad  oggetto  alcune  denunce  presentate  nei
confronti del direttore generale della ASL di Taranto.
    Nella  terza (20 giugno 2000, n. 4-19727), riferiva genericamente
dei  pretesi rapporti del dott. Di Giorgio con un esponente politico,
per  favorire  il  quale un altro magistrato - ex uditore del primo -
avrebbe fatto sequestrare alcuni atti presso il comune di Palagiano.
    Dato  il  loro  contenuto,  anche questi ultimi atti parlamentari
attengono  a  circostanze  diverse e non collegate rispetto a quelle,
sopra descritte, oggetto dei giudizi civili e penali pendenti dinanzi
al Tribunale ricorrente.
    4.6.  -  In  conclusione,  per  nessuna  delle dichiarazioni rese
all'esterno   del   Parlamento   sussiste  il  nesso  funzionale  con
l'esercizio  dell'attivita'  parlamentare.  Dai  riferimenti del sen.
Loreto al preteso poco limpido operato della magistratura tarantina e
alle  sue connivenze con la politica emerge una generica comunanza di
argomenti   con   le   interrogazioni   parlamentari,   di   per  se'
insufficiente a garantire l'immunita'.
    Le dichiarazioni e i comportamenti del sen. Loreto non rientrano,
pertanto,  nell'esercizio  della  funzione  parlamentare  e  non sono
garantiti    dall'insindacabilita'.   Conseguentemente,   l'impugnata
delibera del Senato ha violato l'art. 68, primo comma, Cost., ledendo
le  attribuzioni dell'autorita' giudiziaria ricorrente, e deve essere
annullata.