ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), promosso con ordinanza dell'11 novembre 2005 dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana, nel giudizio di responsabilita' amministrativa promosso dal p.m. contro Bolognari Mario ed altri, iscritta al n. 22 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, 1ª serie speciale, dell'anno 2006. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella Camera di consiglio del 7 giugno 2006 il giudice relatore Giuseppe Tesauro. Ritenuto che la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana, con ordinanza dell'11 novembre 2005, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione; che nel giudizio a quo il p.m. ha chiesto la condanna del sindaco, di alcuni amministratori e del segretario generale del comune di Taormina al risarcimento del danno cagionato a detto ente in virtu' della stipula di contratti di assicurazione per i danni da responsabilita' amministrativa e contabile degli amministratori e funzionari del medesimo, danno consistente nelle somme pagate a titolo di premio per le relative polizze; che, secondo il rimettente, in virtu' di un orientamento giurisprudenziale assunto come «diritto vivente», l'art. 1, comma 2, della legge n. 20 del 1994, nella parte in cui stabilisce che «il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si e' verificato il fatto dannoso», deve essere interpretato nel senso che, in ipotesi di illecite erogazioni periodiche di somme di denaro, la prescrizione non decorre dal pagamento dei singoli ratei, bensi' dalla data dell'atto di autorizzazione del contratto, salvo che non si tratti di fattispecie complessa, a formazione progressiva, nella quale tale atto non e' sufficiente a produrre il danno; che detto principio sarebbe applicabile anche «con riferimento alla fattispecie dell'illecito permanente», ritenuta «ricorrente nel caso» oggetto del giudizio principale, nel quale, ad avviso del giudice a quo, «il diritto al risarcimento del danno sorge con l'inizio del fatto illecito generatore del danno stesso e con questo persiste nel tempo, rinnovandosi di momento in momento»; che la prescrizione, in virtu' del principio di attualita' del danno stabilito dall'art. 2935 del codice civile, «ha inizio da ciascun giorno rispetto al fatto gia' verificatosi ed al corrispondente diritto al risarcimento»; che, ad avviso del rimettente, la norma impugnata, in contrasto con detto principio, stabilisce che la prescrizione decorre anche in presenza di un fatto impeditivo, dato che, per i pagamenti non erogati, il credito non e' certo, liquido ed esigibile e, quindi, non puo' essere azionato, essendo anche ipotizzabile che, per ragioni non prevedibili, l'erogazione periodica possa cessare, mentre l'azione di responsabilita' per le somme non ancora erogate dall'ente non e' esperibile per mancanza dell'attualita' del danno, cagionato esclusivamente dal pagamento delle medesime; che, pertanto, l'art. 1, comma 2, della legge n. 20 del 1994 violerebbe gli artt. 3 e 24 della Costituzione: in primo luogo, in quanto e' viziato da manifesta irragionevolezza e realizza una disparita' di trattamento in danno della pubblica amministrazione, che risulta l'unico soggetto nell'ordinamento per il quale la prescrizione del diritto al risarcimento del danno per i fatti oggetto della giurisdizione della Corte dei conti decorre in presenza di fatti impeditivi ex art. 2935 cod.civ; in secondo luogo, in quanto reca vulnus al diritto di difesa sotto il profilo dell'utile proponibilita' dell'azione di responsabilita'; che, secondo il rimettente, la questione e' rilevante, poiche' soltanto la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della norma impugnata permetterebbe di rigettare l'eccezione di prescrizione sollevata in riferimento ai ratei pagati entro il quinquennio dalla notifica dell'invito a dedurre; che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, col patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata; che, secondo la difesa erariale, il rimettente ha sollevato la questione allo scopo di ottenere l'avallo di un'interpretazione alternativa rispetto a quella assunta come «diritto vivente», in forza della quale la prescrizione decorrerebbe dalla data di autorizzazione alla stipulazione della polizza assicurativa e non gia' dal momento in cui sono pagate le rate del premio; che la questione e', quindi, manifestamente inammissibile, anche in quanto il giudice a quo non ha esperito il doveroso tentativo di un'interpretazione della norma compatibile con la Costituzione, assumendo quella in contrasto con i parametri evocati quale «diritto vivente», non considerando che questa esegesi e' stata fatta propria dalle sezioni riunite della Corte dei conti con la sentenza n. 3/QM del 2003, ma e' stata disattesa dalle stesse sezioni riunite con la sentenza n. 7/QM del 2000. Considerato che la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana, con ordinanza dell'11 novembre 2005, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti); che il giudizio principale ha ad oggetto l'azione di responsabilita' amministrativa proposta nei confronti del sindaco del comune di Taormina e dei componenti della Giunta comunale che hanno adottato la delibera di autorizzazione alla stipula di contratti di assicurazione produttivi di un danno per l'ente locale, nonche' del segretario generale di detto comune; che la norma impugnata, nel disciplinare la responsabilita' dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, stabilisce che «il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si e' verificato il fatto dannoso»; che, tuttavia, la responsabilita' degli amministratori e dei dipendenti dei comuni e delle province e' stata disciplinata dall'art. 58, comma 4, della legge 8 giugno 1990, n. 142 (Ordinamento delle autonomie locali), disposizione poi riprodotta dal successivo decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), all'art. 93, comma 4, in virtu' del quale «l'azione di responsabilita' si prescrive in cinque anni dalla commissione del fatto»; che, peraltro, la stessa disposizione e' stata recepita dalla Regione Siciliana - titolare di competenza legislativa in materia di ordinamento degli enti locali (art. 14, primo comma, lettera o, art. 15, secondo e terzo comma, regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2) - nell'ordinamento regionale con l'art. 1, comma 1, lettera l), della legge regionale 11 dicembre 1991, n. 48 (Provvedimenti in tema di autonomie locali); che, a fronte di tale complesso quadro normativo, il rimettente non ha chiarito le ragioni che, a suo avviso, rendono applicabile proprio la norma censurata nel giudizio a quo e, conseguentemente, l'ordinanza appare carente di specifica motivazione in punto di rilevanza della questione prospettata; che, sotto un ulteriore e concorrente profilo, il rimettente, sottolineando le ragioni che indurrebbero a ritenere l'azione non esperibile per i ratei del premio non pagati, dimostra nella sostanza di non condividere l'interpretazione censurata alla quale tuttavia si adegua, in quanto «diritto vivente»; pertanto mira ad ottenere l'avallo dell'interpretazione costituzionalmente corretta, omettendo di prendere in considerazione altri orientamenti, pure espressi dalla stessa Corte dei conti; che, pertanto, la questione e' manifestamente inammissibile anche in quanto il giudice a quo e' venuto meno all'onere di offrire un'adeguata motivazione sul contenuto della norma censurata e sulla effettiva impraticabilita' di una diversa interpretazione, tenuto conto che una disposizione non puo' essere dichiarata costituzionalmente illegittima perche' suscettibile di essere interpretata in contrasto con precetti costituzionali, ma soltanto quando non sia possibile attribuirle un significato che la renda conforme alla Costituzione (ordinanze n. 86 del 2006; n. 427 del 2005); Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.