LA CORTE DI APPELLO

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel procedimento penale
contro Di Fiore Carlo;
    Decidendo   sulla   eccezione  di  illegittimita'  costituzionale
proposta dal procuratore generale relativamente all'art. 593, primo e
secondo  comma, c.p.p., come modificato dalla legge 20 febbraio 2006,
n. 46,  nella parte in cui esclude che il p.m. possa proporre appello
contro  una  sentenza di proscioglimento dell'imputato (primo comma),
salvo  l'ipotesi  della  sopravvenienza  di  una nuova prova decisiva
(secondo  comma),  per  violazione  degli  artt. 3,  111  e 112 della
Costituzione;
    Rilevato  che la questione sollevata e' rilevante, sussistendo il
requisito  della  indispensabilita'  della  previa  risoluzione della
questione,  in  riferimento  alla  posizione  dell'imputato  Di Fiore
Carlo,  nei  cui  confronti e' stato proposto appello dal procuratore
generale  a  seguito  della  sentenza  di assoluzione di primo grado,
poiche'  la Corte, in applicazione dell'art. 10, secondo comma, della
legge  citata,  dovrebbe  dichiarare,  con ordinanza non impugnabile,
l'inammissibilita'  dell'appello  ed  in  tal modo verrebbe a privare
l'appellante del giudizio di merito di secondo grado;
    Considerato  che  la  questione  proposta  non  e' manifestamente
infondata per i seguenti motivi.
    1)  Puo'  sussistere  violazione  dell'art. 111,  primo e secondo
comma, della Costituzione, secondo il principio di parita' tra accusa
e  difesa, nel caso in cui la pubblica accusa, in toto soccombente in
primo  grado  nella  sentenza  di  proscioglimento dell'imputato, non
possa  proporre appello, mentre lo possa proporre in caso di parziale
soccombenza;  posto  che nella procedura penale e' previsto un doppio
grado  di giurisdizione di merito, non vi e' piu' parita' delle parti
se una di esse, soccombente, non possa proporre appello, e il p.m. ha
certamente  un  interesse  maggiore  ad  appellare  una  sentenza  di
assoluzione  che  ritiene  ingiusta  piuttosto  che  ad appellare una
sentenza  di  condanna;  la  pubblica  accusa si trova cosi' in netto
svantaggio,  poiche' il ricorso in Cassazione non potra' mai avere la
stessa estensione dell'atto d'appello, che attiene al merito;
    2)  I  primi  due  commi  dell'art. 111  contengono alcune regole
generali  in materia di attivita' giurisdizionali: il giusto processo
e'  incentrato sul contraddirtorio delle parti, e se il nostro codice
di procedura penale prevede tre gradi processuali, il principio della
parita'  delle  parti  deve  persistere  nei  tre  gradi,  ed  ogni e
qualsiasi  limitazione in danno di una parte deve essere ragionevole;
la  nozione  di giusto processo ha una «tessitura aperta», poiche' e'
un  concetto  che  racchiude  una  serie  di principi che sono aperti
all'evoluzione  della coscienza e della cultura civile e politica dei
diritti umani, della dottrina e della giurisprudenza; questi principi
hanno  varia  natura,  possono  essere  di  tipo sostanziale, come la
presunzione  di  innocenza  dell'imputato  o  il  diritto  di termini
adeguati per preparare la difesa, oppure di tipo processuale, come il
diritto   alla   parita'   fra   accusa  e  difesa,  oppure  di  tipo
ordinamentale,   come   il  diritto  ad  un  giudice  indipendente  e
imparziale;  tornando  al  diritto  fondamentale  della parita' delle
parti nel processo, la parita' non attiene ai mezzi o agli strumenti,
e  non  attiene  neppure  ai poteri, ma, per essere concreta e reale,
implica  la  reciprocita' di diritti nel processo, ma la reciprocita'
non  puo'  limitarsi  alla  prova,  deve estendersi all'impugnazione;
reciprocita'  vuol  dire  che  se  l'imputato  ha diritto di proporre
appello  contro  una  sentenza  di  condanna,  il  p.m. deve avere il
diritto  di  proporre  appello  contro  una  sentenza di assoluzione,
laddove abbia chiesto la condanna.
    Altrimenti il processo non e' giusto.
    L'art. 111, comma 1, della Costituzione e' destinato ad avere una
funzione     centrale     nell'evoluzione     della    giurisprudenza
costituzionale,    trattandosi   di   disposizione   dalle   indubbie
potenzialita'   espansive.   Il  «giusto  processo»  e'  destinato  a
condizionare  la  fisionomia dei singoli procedimenti giurisdizionali
elaborati  dal  legislatore  ordinario,  quindi anche le modifiche ai
suddetti   procedimenti,   e   costituisce  una  formula  in  cui  si
compendiano  i  principi costituzionali anche per cio' che riguarda i
diritti  di  azione e difesa in giudizio, tra cui il diritto del p.m.
di  proporre  appello;  se  si  ritiene  poi che il legislatore abbia
voluto  introdurre  una  vera e propria clausola generale destinata a
funzionare  come  «norma  di  apertura»  del  sistema  delle garanzie
costituzionali  della  giurisdizione,  si  puo'  concludere che debba
trovare  ingresso  all'interno  di quel sistema qualsiasi principio o
potere  processuale  ritenuto necessario per una effettiva e completa
tutela  delle  ragioni delle parti. Non vi e' dubbio che la rimozione
quasi  totale  del  potere  di  appello  del  solo p.m. abbia effetti
processuali  devastanti  sull'equilibrio  dei diritti delle parti nel
processo.  Autorevolmente e' stato menzionato esemplificativamente in
dottrina il principio del doppio grado di giurisdizione, osservandosi
che, pur essendo detto principio privo di «copertura» costituzionale,
e  pur godendo di un riconoscimento incompleto pure nel sistema della
CEDU,  proprio  attraverso  la  mediazione della clausola del «giusto
processo»  il  principio de quo potrebbe in futuro assumere il valore
di  una  vera  e  propria garanzia costituzionale del processo, se la
Consulta   lo  riterra'  rispondente  ad  un'  istanza  eventualmente
espressa   in  tal  senso  dall'opinione  pubblica  e/o  da  concrete
esperienze  giudiziarie.  A parte cio', se il legislatore mantiene il
doppio  grado  di giurisdizione di merito, deve assicurere alle parti
gli stessi diritti.
    3)  Puo'  sussistere violazione dell'art. 112 della Costituzione,
sia  con riferimento alle considerazioni svolte nei punti precedenti,
sia  osservando che la soppressione del potere d'appello del p.m., da
ritenere  praticamente  totale per quanto rilevato sulla marginalita'
dell'ipotesi   prospettata   nell'art. 593,   comma  secondo  c.p.p.,
compromette  la  capacita'  della  pubblica  accusa  di far valere la
pretesa punitiva dello Stato, ponendolo in uno stato di inferiorita',
in cui gli e' preclusa la possibilita' di coltivare l'azione punitiva
pubblica  attraverso la richiesta al giudice superiore di riesame dei
fatti  affermati  nella  sentenza  assolutoria,  anche in presenza di
valutazioni  di  merito  assolutamente non condivisibili. L'esercizio
del   potere  d'appello  della  pubblica  accusa  non  e'  altro  che
un'emanazione del principio fissato dall'art. 112 della Costituzione.