ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 4, comma 3, e
dell'art. 5,  comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286
(Testo   unico   delle   disposizioni   concernenti   la   disciplina
dell'immigrazione  e  norme  sulla  condizione  dello straniero), nel
testo  risultante  a  seguito  delle  modifiche  di  cui  alla  legge
30 luglio   2002,   n. 189,  promosso  dal  Tribunale  amministrativo
regionale  della  Lombardia, sezione staccata di Brescia, sui ricorsi
proposti da S. D. ed altro contro il Ministero dell'interno ed altro,
con  ordinanza  del  7  giugno 2005  iscritta  al n. 488 del registro
ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 40, 1ª serie speciale, dell'anno 2005;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera di consiglio dell'8 novembre 2006 il giudice
relatore Francesco Amirante.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Nel corso di due giudizi, aventi ad oggetto l'annullamento
di  due provvedimenti del Questore di Mantova con i quali erano stati
rifiutati i rinnovi di altrettanti permessi di soggiorno di cittadini
extracomunitari,   il   Tribunale   amministrativo   regionale  della
Lombardia,  sezione staccata di Brescia, ha sollevato, in riferimento
agli  artt. 3,  4,  16,  27  e  35  della  Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 4,  comma 3,  e  dell'art. 5,
comma 5,  del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico
delle  disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione e
norme  sulla  condizione  dello  straniero),  nel  testo risultante a
seguito delle modifiche di cui alla legge 30 luglio 2002, n. 189.
    Premette in fatto il remittente che entrambi i ricorrenti avevano
presentato  istanza per il rinnovo del permesso di soggiorno e che il
Questore   di   Mantova   le  aveva  respinte,  poiche'  i  cittadini
extracomunitari  erano  stati condannati a seguito di patteggiamento,
con  sentenze passate in giudicato, per reati di detenzione e spaccio
di  sostanze  stupefacenti; tali reati rientrano nelle ipotesi per le
quali le norme impugnate non consentono l'ammissione in Italia ne' il
rinnovo del permesso di soggiorno in precedenza concesso.
    Aggiunge,  altresi',  il giudice a quo di aver sollevato gia' una
prima  volta, nel corso dei medesimi giudizi, un'analoga questione di
legittimita'  costituzionale, dichiarata manifestamente inammissibile
da questa Corte con l'ordinanza n. 9 del 2005.
    Dopo  aver proceduto alla riunione dei giudizi, aventi ad oggetto
la  medesima  materia, il Tribunale amministrativo regionale richiama
il contenuto delle norme impugnate, in particolare l'art. 4, comma 3,
del  d.lgs.  n. 286  del  1998,  a  norma del quale non e' ammesso in
Italia  lo  straniero  condannato,  anche a seguito di patteggiamento
della  pena,  per una serie di reati, fra i quali quelli inerenti gli
stupefacenti.  Poiche'  il  censurato art. 5, comma 5, dispone che il
permesso  di  soggiorno  o  il  suo  rinnovo vengano rifiutati quando
mancano  o vengono a mancare i requisiti per l'ingresso in Italia, da
tanto  consegue che, in presenza di una condanna per uno dei reati di
cui al citato art. 4, comma 3, «il diniego di rinnovo del permesso di
soggiorno  rappresenti un epilogo scontato e perentorio», non essendo
consentita  all'autorita'  amministrativa  ed  a  quella  giudiziaria
alcuna concorrente valutazione in ordine «al rilievo, sul piano della
sicurezza  pubblica, del singolo episodio ostativo». Da tanto deriva,
secondo  il  giudice  a  quo, la rilevanza della questione, in quanto
l'accoglimento della medesima imporrebbe l'accoglimento dei ricorsi.
    Cio' posto per dare conto della rilevanza, il remittente osserva,
quanto  alla  non  manifesta infondatezza della questione, che le due
norme  appaiono  in  conflitto  con  gli evocati parametri, sotto tre
differenti  aspetti:  1) nella parte in cui rendono elemento ostativo
al rinnovo del permesso di soggiorno anche le condanne pronunciate, a
seguito  di  patteggiamento della pena, in epoca precedente l'entrata
in  vigore  della  legge  n. 189  del  2002,  cui  si  deve  la nuova
formulazione  dell'art. 4,  comma 3,  del  d.lgs. n. 286 del 1998; 2)
nella  parte  in cui introducono un divieto automatico di rinnovo del
permesso  di  soggiorno  «per  determinati  reati  anche  di  lieve o
lievissima  entita»;  3) nella parte in cui sottraggono all'autorita'
amministrativa  il  potere di valutare la pericolosita' del cittadino
extracomunitario,   al  fine  di  tutelare  l'ordine  pubblico  e  la
sicurezza.
    Quanto alla prima doglianza il Tribunale amministrativo regionale
remittente,  richiamandosi  alla  sentenza  n. 394 del 2002 di questa
Corte,  nota  che  la  legge  n. 189  del  2002, introducendo ex novo
l'elemento  ostativo  al rinnovo del permesso di soggiorno costituito
dall'esistenza di una sentenza di condanna emessa «anche a seguito di
applicazione  della  pena  su richiesta», ha sostanzialmente alterato
«la componente negoziale insita nell'istituto del patteggiamento»; in
altri  termini  i  due  ricorrenti,  i  quali  avevano  a  suo  tempo
concordato  la pena sulla base di un certo quadro normativo - che non
prevedeva  alcun  divieto  di  rinnovo  del  permesso  di soggiorno a
seguito  di  un  patteggiamento  della  pena  -  hanno  visto  mutata
radicalmente   la   loro   posizione,   con   un  effetto  gravemente
pregiudizievole non prevedibile al momento del patteggiamento (le due
sentenze  risultano  essere divenute irrevocabili in data 20 febbraio
1997  e  28 febbraio  2001,  ossia  in  epoca precedente l'entrata in
vigore della legge n. 189 del 2002). L'aspettativa costituzionalmente
rilevante  sarebbe  da identificare, in questo caso, con la legittima
permanenza  nel  territorio italiano, con le conseguenti opportunita'
in  termini  di  lavoro  (art. 4  Cost.)  e  di esercizio delle altre
prerogative di cui agli artt. 13, 16 e 35 della Costituzione.
    Sotto   altro  profilo,  il  Tribunale  amministrativo  regionale
censura   le   norme  in  oggetto  perche'  prevedono  come  ostacolo
insuperabile  al  rinnovo  del  permesso  di  soggiorno  «un'unica ed
isolata  condanna  per determinati reati, anche di lieve o lievissima
entita»,   senza   alcun   margine   di  valutazione  della  concreta
pericolosita'  sociale del condannato. Siffatta previsione sarebbe in
contrasto  con l'art. 3 Cost. inteso come principio di ragionevolezza
ed  adeguatezza,  nonche'  con i diritti fondamentali dello straniero
regolarmente  soggiornante  in Italia. Pur essendo pacifico, infatti,
che  la  disciplina della permanenza degli stranieri e' affidata alla
discrezionalita' del legislatore, cui spetta il bilanciamento di vari
interessi  fra  loro  anche  in  contrasto, e' altresi' vero che tale
discrezionalita'   incontra  il  limite  della  ragionevolezza,  come
riconosciuto  da  questa  Corte in numerose pronunce (sentenze n. 104
del  1969,  n. 144  del  1970  e  n. 62 del 1994). Nel caso in esame,
trattandosi  non  di  un  primo ingresso bensi' della possibilita' di
permanenza  in  Italia, il sacrificio del diritto dello straniero non
puo' essere ammesso «se non in stretto collegamento con l'esigenza di
tutela  di  altri  beni  costituzionalmente  rilevanti»; sicche' solo
l'accertamento  in concreto della pericolosita' potrebbe giustificare
l'assunzione  di  una  misura  cosi'  grave  come  quella del mancato
rinnovo   del   permesso   di   soggiorno.  L'irragionevolezza  della
previsione,  inoltre,  risulterebbe  anche  dalla parificazione - una
volta  che  sia  stato  commesso  un  certo  reato  -  tra  straniero
socialmente pericoloso e straniero non socialmente pericoloso.
    Il  sistema  derivante  dalle norme impugnate appare al giudice a
quo, inoltre, in contrasto con gli artt. 4, 27 e 35 Cost., perche' il
mancato  rinnovo  del permesso di soggiorno comporta l'impossibilita'
di  svolgere  un regolare lavoro, «condannando di fatto l'interessato
ad  una  condizione  di  irregolarita' e clandestinita». Non potrebbe
ipotizzarsi,  d'altra parte, che la condanna per un solo reato sia di
per   se'  sintomo  di  pericolosita';  a  questo  proposito  vengono
richiamate  le  sentenze  n. 78 del 2005, n. 139 e n. 140 del 1982 di
questa  Corte:  la prima, relativa alla sostanziale ininfluenza della
mera  denuncia;  le altre, relative al rapporto che deve esistere, in
materia  di  misure  di sicurezza personali, tra applicabilita' delle
stesse   e   pericolosita'   sociale  del  condannato.  I  menzionati
precedenti  appaiono al Tribunale amministrativo regionale remittente
tali  da  far ritenere l'irrazionalita' della presunzione assoluta di
pericolosita' a seguito della commissione di un unico reato.
    2.  -  E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata infondata.
    Secondo la difesa erariale, con le norme censurate il legislatore
ha  inteso  affermare  che  aver commesso uno dei reati che impedisce
l'ingresso  nel  nostro  Paese e' una manifestazione di pericolosita'
tale   da  giustificare  il  diniego  del  rinnovo  del  permesso  di
soggiorno;  quanto  all'estensione  di tale previsione anche ai reati
oggetto  di  patteggiamento  della  pena, l'Avvocatura osserva che il
rito  adottato non puo' che «cedere» rispetto al tipo di reato per il
quale viene scelto il patteggiamento.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  Tribunale  amministrativo  regionale  della Lombardia,
sezione  staccata  di  Brescia,  ha  sollevato,  in  riferimento agli
artt. 3,   4,   16,   27,  e  35  della  Costituzione,  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 4,  comma 3,  e  dell'art. 5,
comma 5,  del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico
delle  disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione e
norme  sulla  condizione  dello  straniero),  nel  testo risultante a
seguito  delle  modifiche  introdotte  con  la  legge 30 luglio 2002,
n. 189.
    sSecondo  il  remittente,  le  suddette disposizioni sarebbero in
contrasto  sotto  molteplici  profili  con  i  parametri  evocati; in
particolare,  esse  contrasterebbero  con gli artt. 3, 4, 16, 27 e 35
Cost.,  in  quanto  attribuiscono  efficacia  ostativa al rinnovo del
permesso  di  soggiorno  anche  alle  condanne  pronunciate  ai sensi
dell'art. 444   cod.   proc.   pen.   (patteggiamento)  anteriormente
all'entrata  in vigore della legge n. 189 del 2002, che ha modificato
l'art. 4,   comma 3,   del   d.lgs.   n. 286   del   1998,  incidendo
negativamente  sul diritto al lavoro e sulla liberta' di circolazione
nel territorio nazionale.
    In  secondo  luogo,  esse  violerebbero  l'art. 3 Cost. in quanto
introducono   un   divieto   automatico   di  rinnovo,  senza  alcuna
valutazione  della  pericolosita'  sociale  da  parte  dell'autorita'
amministrativa, al fine di tutelare l'ordine e la sicurezza pubblici.
    Infine,   violerebbero   l'art. 3   Cost.  perche'  attribuiscono
efficacia  ostativa  anche  ad  un  solo  episodio criminoso di lieve
entita'.
    2. - La questione e' inammissibile sotto tutti i profili dedotti.
    Si  deve  anzitutto  rilevare  che  il  Tribunale  amministrativo
regionale remittente fonda il suo ragionamento riguardo alle condanne
inflitte  in  sede  di  patteggiamento sul presupposto che esse siano
ostative  al  rinnovo del permesso di soggiorno ancorche' antecedenti
l'entrata  in  vigore della legge n. 189 del 2002, che tale efficacia
ha  attribuito  alle  medesime. Dell'assunto, tuttavia, il remittente
non  fornisce  alcuna  motivazione,  dimostrando  cosi'  di  non aver
esplorato  le  diverse,  possibili interpretazioni delle disposizioni
censurate  tali da escludere la loro applicabilita' nelle fattispecie
oggetto  del  giudizio  a quo, nelle quali l'efficacia preclusiva del
rinnovo  del  permesso  di  soggiorno  sarebbe  spiegata  da condanne
antecedenti  l'entrata in vigore della legge n. 189 del 2002. Cio' in
presenza  di  diversi  orientamenti  giurisprudenziali  affermati  in
numerose  pronunce  di giudici amministrativi, conformi alla sentenza
n. 394 del 2002 di questa Corte, richiamata dallo stesso remittente.
    In   secondo   luogo,  il  giudice  a  quo,  mentre  denuncia  la
sottrazione  all'autorita'  amministrativa  del potere di valutare la
pericolosita'  sociale del cittadino extracomunitario e sottolinea la
diversita'  di  trattamento  che  in  tal  modo verrebbe a profilarsi
rispetto all'ipotesi dell'espulsione inflitta allo straniero a titolo
di  misura  di  sicurezza  dal giudice penale, non si pone neppure il
problema  del  giudizio  in cui tale valutazione dovrebbe ricevere il
necessario   controllo   giurisdizionale  e,  quindi,  della  propria
legittimazione  a  sollevare  siffatta  questione.  In  tal  modo, il
remittente  trascura quanto affermato da questa Corte con l'ordinanza
n. 9 del 2005, i cui principi sono stati poi ribaditi con la sentenza
n. 240 del 2006.
    Si   deve   osservare,  infine,  che  il  remittente  censura  le
disposizioni  in  scrutinio  anche  per l'efficacia attribuita ad una
sola  condanna  per  reati  di  lieve entita', ma non fornisce alcuna
motivazione  sul  punto  con  riguardo alla rilevanza, in particolare
sulla ritenuta lieve entita' dei reati che, nelle fattispecie oggetto
del suo esame, precluderebbero il rinnovo del permesso di soggiorno.