ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 10, commi 1 e
2,  del  decreto  legislativo  17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei
procedimenti  in  materia  di diritto societario e di intermediazione
finanziaria,  nonche' in materia bancaria e creditizia, in attuazione
dell'articolo 12  della  legge  3 ottobre 2001, n. 366), promosso dal
Tribunale  di  Lamezia Terme nel procedimento civile instaurato da P.
L.  ed  altri  nei  confronti  della San Paolo IMI Asset Management -
Societa'  di  gestione  del  risparmio  s.p.a.  con  ordinanza del 30
giugno 2004,  iscritta  al  n. 924  del  registro  ordinanze  2004  e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, 1ª serie
speciale, dell'anno 2004;
    Visto  l'atto di costituzione di P. L. ed altri (fuori termine) e
della  San  Paolo  IMI  Asset  Management  - Societa' di gestione del
risparmio  s.p.a.,  nonche'  l'atto  di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri.
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  21 novembre  2006  il giudice
relatore Francesco Amirante;
    Uditi  gli  avvocati  Roberto  Carleo  per la San Paolo IMI Asset
Management  -  Societa' di gestione del risparmio s.p.a. e l'avvocato
dello  Stato  Antonio  Palatiello per il Presidente del Consiglio dei
ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Il giudice relatore di una controversia instaurata dinanzi
al  Tribunale  di  Lamezia  Terme in composizione collegiale ai sensi
dell'art. 1,  lettera d),  del  decreto  legislativo 17 gennaio 2003,
n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e
di   intermediazione  finanziaria,  nonche'  in  materia  bancaria  e
creditizia,  in  attuazione  dell'articolo 12  della  legge 3 ottobre
2001,  n. 366),  ha  sollevato, con ordinanza del 30 giugno 2004 e in
riferimento  agli artt. 3, 24, 76 e 111 della Costituzione, questione
di legittimita' dell'art. 10, commi 1 e 2, del citato d.lgs. n. 5 del
2003,  «nella  parte in cui prima vieta e, poi, sancisce la decadenza
dal  potere  di proporre nuove eccezioni non rilevabili d'ufficio, di
precisare  o  modificare domande o eccezioni gia' proposte nonche' di
formulare  ulteriori istanze istruttorie e depositare nuovi documenti
successivamente   alla   notificazione   dell'istanza  di  fissazione
dell'udienza,  anche  quando tale ultima istanza sia stata notificata
da  parte  convenuta  dopo  la  sua  costituzione, nella pendenza del
termine  per  il  deposito, a cura di parte attrice, della memoria di
replica  di  cui  agli  artt. 4,  secondo comma, e 6, primo e secondo
comma», dello stesso d.lgs. n. 5 del 2003.
    Precisa il remittente che, con atto di citazione iscritto a ruolo
il  20 febbraio  2004, la San Paolo IMI Asset Managment - Societa' di
gestione  del  risparmio  s.p.a  era  stata  convenuta in giudizio da
alcuni  clienti  -  acquirenti di quote del fondo di investimento San
Paolo Azioni Italia - i quali avevano chiesto all'adito Tribunale «di
accertare  e  dichiarare  l'invalidita'  e,  comunque, la nullita' e,
comunque,  l'annullabilita'  e,  in  ogni  caso,  l'inefficacia»  del
relativo contratto ovvero, in via subordinata, di dichiarare «risolto
il  suddetto  contratto  per  esclusivo fatto e colpa imputabili alla
societa'  convenuta» e, in ogni caso, di condannare la convenuta alla
restituzione   di   quanto   indebitamente   percepito   nonche'   al
risarcimento di tutti i danni. Con comparsa di risposta notificata il
28 aprile  2003  (recte:  28 aprile  2004) e depositata il successivo
30 aprile  ai  sensi  degli artt. 4, commi 1 e 5, del d.lgs. n. 5 del
2003,  la  societa'  convenuta si costituiva in giudizio, concludendo
per  il  rigetto integrale di tutte le domande avanzate dagli attori,
in  quanto  infondate  in  fatto  e  in  diritto.  Successivamente la
convenuta  medesima  - con atto notificato lo stesso 30 aprile 2004 e
depositato  il  successivo  7 maggio  -  presentava  istanza  per  la
fissazione  dell'udienza  di  trattazione,  ai  sensi  degli artt. 8,
comma 2,  lettera c),  e  9,  comma 3,  del d.lgs. n. 5 del 2003. Gli
attori,  con  nota notificata e depositata il 10 maggio 2004 ai sensi
dell'art. 10,  comma 1,  del d.lgs. n. 5 del 2003, insistevano per le
conclusioni   gia'   rassegnate   e   formulavano   nuove   richieste
istruttorie.  La parte convenuta, con istanza notificata il 13 maggio
2004  e  depositata  il  successivo  17 maggio ai sensi dell'art. 10,
comma 2,  del  d.lgs. n. 5 del 2003, eccepiva l'intervenuta decadenza
della  parte  attrice  dal  potere  di  formulare  ulteriori  istanze
istruttorie.  Gli  attori,  con  una memoria di replica depositata il
28 maggio  2004, sostenevano l'irritualita' dell'istanza di decadenza
avanzata dalla convenuta sul rilievo che essa, ai sensi dell'art. 157
cod. proc. civ., avrebbe dovuto essere proposta nella prima istanza o
difesa  successiva  ritualmente disciplinata rispetto al procedimento
instaurato e, cioe', con le memorie conclusionali di cui all'art. 12,
comma 3,   lettera e),   del   d.lgs.   n. 5  del  2003.  Gli  attori
aggiungevano  che  -  in  base  all'interpretazione sistematica delle
norme   processuali  disciplinanti  il  particolare  procedimento  in
argomento,   effettuata   anche  sulla  base  dei  principi  generali
desumibili  dal  codice di rito (richiamati dall'art. 1, comma 4, del
d.lgs.  n. 5  del  2003)  -  doveva ritenersi che, nella pendenza del
termine  per  la notificazione e il deposito della memoria di replica
da  parte  dell'attore  (ai  sensi dell'art. 6 del citato d.lgs.), vi
fossero  comunque le condizioni per presentare la richiesta dei nuovi
mezzi   istruttori   in  contestazione,  nonostante  la  proposizione
dell'istanza  di  fissazione  dell'udienza  da  parte  del convenuto.
Altrimenti si sarebbe dovuto dubitare della conformita' agli artt. 3,
24,  76, 77 e 111 Cost. dell'art. 10, comma 2, del citato d.lgs. n. 5
del  2003,  nella  parte  relativa  alla  categorica previsione della
decadenza dalla formulazione di ulteriori richieste istruttorie e dal
deposito  di  nuovi  documenti  da  parte dell'attore a seguito della
notificazione  dell'istanza  di  fissazione dell'udienza a cura della
controparte,  anche  in  pendenza  del  termine  per la notifica e il
deposito della memoria di replica da parte dell'attore ai sensi degli
artt. 4, comma 2, e 6, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 5 del 2003.
    Il   giudice   relatore   del   collegio  giudicante,  dopo  aver
sottolineato  che  in applicazione dell'art. 10, comma 2, in oggetto,
si   sarebbe  dovuta  dichiarare  la  decadenza  degli  attori  dalla
presentazione  delle richieste istruttorie in argomento, ha sollevato
la   presente   questione   di   legittimita'  costituzionale  (nella
formulazione  dianzi  indicata  e, cioe', estesa anche al comma 1 del
medesimo art. 10), ritenendosi titolare della relativa legittimazione
essendo  a  lui  «demandata  [...]  -  e  non al collegio decidente -
l'ammissione  delle  richieste  istruttorie  ex art. 12, comma 3, del
d.lgs. n. 5 del 2003».
    Quanto  alla  rilevanza  il remittente precisa che, nella specie,
gli   attori  hanno  posto  l'accento  sul  fatto  che  le  richieste
istruttorie   di   cui   si  tratta  «trovavano  la  propria  ragione
giustificativa  nella  posizione difensiva assunta da parte convenuta
nella comparsa di costituzione».
    Per quel che riguarda il merito della questione, il giudice a quo
sostiene  che  la  disposizione censurata si pone, in primo luogo, in
contrasto con l'art. 3 Cost. in quanto, del tutto irragionevolmente e
contraddittoriamente,    consente    al    convenuto   -   attraverso
l'utilizzazione   dello  strumento  processuale  della  presentazione
dell'istanza  di  fissazione di udienza senza alcuna limitazione - di
ostacolare  l'effettivo  esercizio  del  diritto  di  difesa da parte
dell'attore, con conseguente disparita' di trattamento fra le parti e
concessione  di  un  favor  non  giustificato  a vantaggio di uno dei
contendenti.  La  disposizione  stessa  violerebbe, in modo evidente,
anche  il diritto di difesa di cui all'art. 24, secondo comma, Cost.,
perche'  attribuisce  ad  una  delle  parti «la possibilita' [...] di
incidere  sulle  facolta'  di allegazione ordinariamente riconosciute
alla controparte», permettendole, cosi', di stabilire unilateralmente
il   thema   decidendum   e   il  thema  probandum,  «con  arbitraria
neutralizzazione  del  diritto  di  replica  della  controparte».  Il
suddetto   meccanismo   si   porrebbe,  altresi',  in  contrasto  con
l'art. 111,  secondo comma, Cost., perche', compromettendo gravemente
la  parita'  delle  armi  tra  le  parti, attribuisce al convenuto la
facolta'  di  anticipare  il  momento  di  maturazione  delle singole
preclusioni  a  carico  dell'attore,  cosi' negando a quest'ultimo il
diritto  di  replica  rispetto  alle  conclusioni  della  comparsa di
costituzione   e   risposta  e  impedendo  la  piena  attuazione  del
contraddittorio.   Infine,   la  disposizione  censurata  sarebbe  in
contrasto  con  l'art. 76  Cost. in quanto, eccedendo dalla delega di
cui  all'art. 12,  comma 2,  della  legge 3 ottobre 2001, n. 366, «si
discosta  nettamente,  nella  definizione delle scadenze processuali,
dalla disciplina del processo ordinario di cognizione».
    2. - Si e' costituita in giudizio la societa' San Paolo IMI Asset
Management  che  ha  chiesto,  anche  in  una  memoria  depositata in
prossimita'   dell'udienza,   che   la   questione   sia   dichiarata
inammissibile o manifestamente infondata.
    Alla  prima  conclusione  si  perverrebbe  sia  per il difetto di
legittimazione   del  giudice  relatore  remittente  a  sollevare  la
questione (avendo la normativa denunciata una diretta influenza sulla
decisione   della  controversia,  demandata  al  collegio),  sia  per
l'irrilevanza della questione nel giudizio a quo, derivante dal fatto
che,  al  di  la'  dell'ampia  formulazione  adottata dal remittente,
l'unica   attivita'  effettuata  dagli  attori  e'  stata  quella  di
presentare  ulteriori  istanze  istruttorie,  richiesta  che non puo'
farsi  derivare  dalla  posizione  difensiva  assunta  dalla societa'
convenuta.
    Peraltro, la normativa censurata non sarebbe affatto in contrasto
con  i  parametri  evocati, in primo luogo perche' essa e' il diretto
portato  della  scelta del legislatore di attribuire a ciascuna delle
parti,  in  corrispondenza  con  l'onere  di  completezza  degli atti
introduttivi  del  giudizio,  il potere di rinunciare all'ampliamento
del  thema  decidendum  e  di  provocare,  attraverso la richiesta di
fissazione   dell'udienza,  l'immediata  remissione  della  causa  in
decisione.  D'altra  parte,  non  si  riscontrerebbe  neppure  alcuna
violazione dell'art. 76 Cost., in quanto non solo le parti si trovano
in   una   posizione   di   assoluta   parita'  in  riferimento  alla
determinazione  delle  scadenze  di rito, ma comunque l'art. 12 della
legge  di  delega non contiene alcun espresso riferimento al processo
civile  ordinario  di  cognizione,  limitandosi  a  dare le direttive
dell'attuazione del principio di concentrazione e della riduzione dei
termini processuali.
    3. -  E'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,   che  ha  concluso  per  l'inammissibilita'  o  la  manifesta
infondatezza  della  questione,  cui si perverrebbe, rispettivamente,
per  difetto di rilevanza e perche' il remittente muove da un erroneo
presupposto  interpretativo,  in  quanto non avendo, nella specie, la
convenuta  atteso  la replica degli attori o la scadenza del relativo
termine,   la   sua   istanza   di  fissazione  dell'udienza  sarebbe
intempestiva e, come tale, inidonea a determinare la decadenza di cui
all'art. 10, comma 1, censurato.

                       Considerato in diritto

    1. -  Il  giudice  relatore  in una causa svolgentesi con il rito
societario  davanti  al  Tribunale  di  Lamezia Terme in composizione
collegiale  ha  sollevato,  in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 111
Cost., questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, commi 1
e  2,  del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei
procedimenti  in  materia  di diritto societario e di intermediazione
finanziaria,  nonche' in materia bancaria e creditizia, in attuazione
dell'art. 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366), «nella parte in cui
prima  vieta  e,  poi,  sancisce  la decadenza dal potere di proporre
nuove  eccezioni  non rilevabili d'ufficio, di precisare o modificare
domande  o  eccezioni  gia'  proposte, nonche' di formulare ulteriori
istanze istruttorie e depositare nuovi documenti successivamente alla
notificazione  dell'istanza  di fissazione dell'udienza, anche quando
tale  ultima  istanza sia stata notificata da parte convenuta dopo la
sua  costituzione, nella pendenza del termine per il deposito, a cura
di  parte  attrice,  della  memoria  di  replica di cui agli artt. 4,
secondo  comma e 6, primo e secondo comma, del d.lgs 17 gennaio 2003,
n. 5».
    Il  remittente  espone  che la convenuta, dopo aver chiesto nella
comparsa  di  costituzione il rigetto delle domande perche' infondate
in  fatto e in diritto, senza assegnare agli attori alcun termine per
la  replica,  aveva  notificato  e  depositato  istanza di fissazione
dell'udienza;  che  gli  attori,  a loro volta, nel termine legale di
trenta  giorni avevano notificato la memoria di replica con la quale,
tra  l'altro,  formulavano  in via gradata nuove istanze istruttorie;
che  con  ulteriore  atto  difensivo la convenuta aveva chiesto fosse
dichiarata  la  decadenza  degli attori dal potere di formulare nuove
istanze istruttorie.
    In punto di rilevanza, in siffatta situazione egli assume che non
avrebbe potuto ammettere le istanze istruttorie proposte dagli attori
nella  memoria  di replica, attesa la decadenza prevista dall'art. 10
del d.lgs. n. 5 del 2003.
    Secondo il remittente, le disposizioni censurate contrasterebbero
con   i   menzionati  parametri  in  quanto,  escludendo  l'ulteriore
esercizio   del   potere   degli   attori  di  dedurre  nuove  prove,
inciderebbero   sul   diritto  di  difesa  di  costoro,  creando  una
ingiustificata  disparita'  di trattamento tra le parti in violazione
del  principio  della  parita'  delle  armi,  elemento essenziale del
principio costituzionale del giusto processo, ed in difformita' della
delega che tale disparita' non prevedeva.
    2. -  La  questione non e' ammissibile per carenze di motivazione
in ordine ad una pluralita' di profili.
    L'ordinanza  di  rimessione, infatti, riferisce che la convenuta,
con  la  comparsa  di  costituzione,  aveva  chiesto il rigetto delle
domande  perche'  infondate  in  fatto  e  in  diritto, ma non espone
neppure  sinteticamente  gli argomenti addotti a sostegno di siffatte
generiche  conclusioni  e  non riferisce quindi se il contenuto delle
difese  (della  convenuta)  fosse  tale da determinare un ampliamento
dell'oggetto  dell'indagine  processuale  rispetto a quello delineato
nell'atto di citazione.
    Il  remittente  si  limita  ad  affermare  che  «la  questione di
legittimita'  costituzionale  e'  rilevante  in  quanto gli attori si
dolgono   del   fatto   che   le   richieste   istruttorie  formulate
(interrogatorio  formale  e  prova  testimoniale  nonche'  istanza di
ammissione  di  consulenza  tecnica  d'ufficio in materia contabile),
entro  il  termine per il deposito della memoria di replica e dopo la
notificazione  dell'istanza  di fissazione dell'udienza, trovavano la
propria  ragione  giustificativa nella posizione difensiva assunta da
parte  convenuta  nella  comparsa  di  costituzione».  In tal modo il
remittente  sostituisce  alla  esposizione dei fatti di causa ed alla
propria necessaria valutazione dei medesimi, quella ininfluente della
parte.
    Le  suindicate omissioni di corretta motivazione inficiano, anche
riguardo  ad  altri aspetti, il ragionamento del giudice a quo sia in
punto di rilevanza, che di non manifesta infondatezza.
    Infatti,  nell'ordinanza  di  rimessione,  anziche'  ricollegare,
com'e'  nel  sistema del decreto legislativo n. 5 del 2003, il potere
di  notificare  e  depositare l'istanza di fissazione dell'udienza al
contenuto   delle   difese   dalla   parte   istante  e  quindi  alla
determinazione  della  materia controversa, si afferma che il decreto
attribuisce  «al  convenuto  la  facolta'  di utilizzare lo strumento
processuale  dell'istanza  di  fissazione  dell'udienza  senza alcuna
limitazione»   e   gli  «consente  anche  di  ostacolare  l'effettivo
esercizio  del  diritto  di  difesa a danno dell'attore, per tale via
riconoscendogli  il  potere  di  provocare  meccanismi  anticipati ed
impeditivi  del  diritto  di  replica,  con conseguente disparita' di
trattamento fra le parti e concessione di un favor non giustificato a
vantaggio  di  uno  dei  contendenti,  e  cio'  in  palese violazione
dell'art. 3 Cost.».
    Con  siffatto  argomentare,  pero',  il  remittente  trascura  di
motivare  riguardo  alle  condizioni  che  legittimano  l'istanza  di
fissazione  dell'udienza, ai modi per farne valere l'illegittimita' e
all'individuazione  degli  organi a cio' deputati. E cio' comporta la
carenza di motivazione anche sulla propria legittimazione a sollevare
l'attuale questione, riguardo alla quale l'ordinanza di rimessione si
limita   all'affermazione  «che  nessun  dubbio  puo'  correre  sulla
legittimazione  del  giudice  relatore  nel procedimento instaurato a
sollevare   la  questione  di  legittimita'  costituzionale,  essendo
demandata  a  tale  giudice  e non al Collegio decidente l'ammissione
delle  richieste  istruttorie  ex  art. 12,  terzo  comma, del d.lgs.
17 gennaio 2003, n. 5».
    Sul punto si osserva che questa Corte ha piu' volte affermato che
anche  un  singolo  componente  (relatore,  presidente)  di un organo
giurisdizionale  collegiale  e'  legittimato a sollevare questioni di
legittimita'   costituzionale,   ma  limitatamente  alle  ipotesi  di
questioni  vertenti  su  norme  che  egli deve applicare (v. sentenze
n. 109  del  1962,  n. 62  del 1966, n. 90 del 1968, n. 125 del 1980,
n. 1104  del  1988, n. 71 del 1994, n. 204 del 1997, n. 111 del 1998,
ordinanze  n. 157  del 1989, n. 59 del 1990, 436 del 1994, n. 295 del
1996,  n. 552 del 2000, n. 23 del 2001, n. 391 del 2002). Nel caso in
esame,  il  giudice  a  quo, relatore nella causa collegiale pendente
davanti  al  Tribunale,  ha addotto il proprio potere di ammettere le
prove  -  peraltro  trascurando  la  giurisprudenza di questa Corte -
considerandolo   in   via   astratta   e  non  con  riferimento  alle
disposizioni  che,  per quanto in particolare connota la fattispecie,
regolano  l'istanza  di  fissazione dell'udienza e la sua idoneita' a
provocare le decadenze di cui all'art. 10 del d.lgs n. 5 del 2003.