LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE

    Ha   emesso   la   seguente  ordinanza,  sul  ricorso  n. 651/04,
depositato    il    1°   luglio   2004,   avverso   avviso   recupero
n. RE3CR0500192/2004  assente  2001  credito  imposta, contro Agenzia
entrate  ufficio  Benevento proposto dal ricorrente: Sannio Tecnology
S.r.l.,  amm.  unico  Piantadosi  Angelo,  via  Benevento 141 - 82016
Montesarchio  (Benevento),  difeso  da:  Caserta  dott.ssa  Rosa, via
Vallicocelle  -  83018  San Martino Valle Caudina (Avellino), avverso
avviso  recupero  n. RE3CR0500192/2004 assente 2003, credito imposta,
contro  Agenzia  entrate  ufficio Benevento; proposto dal ricorrente:
Sannio  Tecnology S.r.l., amm. unico Piantadosi Angelo, via Benevento
141  -  82016  Montesarchio  (Benevento), difeso da: Caserta dott.ssa
Rosa,  via Vallicocelle - 83018 San Martino Valle Caudina (Avellino),
sul  ricorso  n. 1197/04, depositato il 9 dicembre 2004, avverso rec.
cred.  imp. n. RE3CR0500803/04 rec. credito. imp 2001, contro Agenzia
entrate  ufficio Benevento, proposto dal ricorrente: Sannio Tecnology
S.r.l.,  amm.re  unico  Piantadosi  Angelo,  via  Appia n. 01 - 82016
Montesarchio  (Benevento),  difeso  da:  Caserta  dott.  Rosa, studio
SO.GE.CO.  di  Siciliano,  via  Benevento  76  -  82016  Montesarchio
(Benevento).

                      Svolgimento del processo

    Con  due  ricorsi  datati  28  giugno  2004 e 8 dicembre 2004, la
Sannio   Tecnology  S.r.l.  impugnava  rispettivamente  gli  atti  di
recupero   di  crediti  di  imposte  dell'Agenzia  delle  Entrate  di
Benevento portanti i nn. RE3CR0500192/2004 e RE3CR0500803/04.
    La societa' ricorrente deduceva, col primo ricorso, che l'ufficio
aveva  omesso  di  considerare  che, in favore di essa istante, erano
maturati   due   distinti  crediti  di  imposte  riguardanti  diversi
investimenti  ed  aveva fondato il suo operato unicamente sul secondo
credito   di  imposte.  Chiedeva,  quindi,  l'annullamento  dell'atto
impugnato.
    Rilevava,  invece,  col secondo ricorso, che l'atto impugnato era
stato  emesso  dall'ufficio  in sostituzione di un precedente atto di
recupero, anch'esso impugnato e per il quale era pendente il relativo
giudizio. Chiedeva, quindi, l'annullamento dell'avviso di recupero.
    Osservava, in ogni caso, col secondo ricorso:
        a)  che il termine del 28 febbraio 2003, previsto dalla legge
n. 289  del  27  dicembre 2002 per l'invio del modello CVS (approvato
dall'ufficio soltanto in data 24 gennaio 2003) violava l'art. 3 dello
Statuto  del contribuente, in quanto poneva a carico del contribuente
medesimo  un  adempimento  da  compiersi  in  un  termine inferiore a
sessanta giorni;
        b)  che, inoltre, il recupero operato dall'ufficio riguardava
un  credito maturato prima dell'8 luglio 2001 e, cioe', anteriormente
alla  entrata  in  vigore  della  citata legge n. 289 del 27 dicembre
2002,  in  palese  violazione dell'art. 3, comma 2, dello Statuto del
contribuente  il  quale  prevede  espressamente  che  le disposizioni
tributarie non possono avere efficacia retroattiva.
    Deduceva  ancora  la  societa'  ricorrente che «sarebbe, inoltre,
assurdo,  oltre  che  illegittimo  ed incostituzionale, perseguire un
comportamento  dell'anno  2001»  in  base  ad  una  normativa emanata
successivamente.  Invocava, a sostegno del proprio rilievo, l'art. 25
della  Costituzione  secondo  il quale «nessuno puo' essere punito se
non  in  forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto
commesso».
    Resisteva l'ufficio con memoria di costituzione.
    I   due   procedimenti  sopra  richiamati  venivano  riuniti  con
provvedimento del presidente di sezione del 27 aprile 2005.
    All'udienza  fissata per la discussione i procuratori delle parti
si riportavano alle deduzioni gia' svolte.

                       Motivi della decisione

    Va   preliminarmente   esaminata   la  questione  riguardante  il
contrasto, evidenziato dalla societa' ricorrente, fra l'art. 62 della
legge  n. 289  del  27  dicembre  2002  e  l'art. 3 dello Statuto del
contribuente  (legge  27 luglio 2000, n. 212), nonche' la conseguente
questione di legittimita' costituzionale del citato art. 62, in parte
adombrata  dalla  medesima  societa'  ricorrente,  ma che si solleva,
comunque  d'ufficio,  per  contrasto  con  gli  artt. 97  e  24 della
Costituzione  in  relazione  anche  all'art. 3  della legge 27 luglio
2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente).
    Ritiene   la   commissione   che   la  prospettata  questione  di
legittimita'  costituzionale  e' influente, ai fini della decisione e
non manifestamente infondata.
    Al   fine   di   valutare   la   rilevanza   della  questione  di
costituzionalita' innanzi richiamata si rende necessario esaminare in
primo luogo, in via incidentale, l'eccezione con la quale la societa'
ricorrente  ha  dedotto  l'illegittimita'  dell'atto  di recupero del
credito  oggetto del presente giudizio perche' emesso in sostituzione
di  analogo  atto  precedentemente  adottato,  anch'esso impugnato ed
oggetto,  quindi,  di  altro  giudizio.  E' evidente, infatti, che la
eventuale  fondatezza  del  ricorso,  per detto verso, comportando la
dichiarazione   di   nullita'   o,   comunque,   l'annullamento   del
provvedimento   oggetto   del   presente   procedimento,   renderebbe
ininfluente,  ai  fini  della  decisione,  la  sollevata questione di
legittimita'  costituzionale.  Orbene  ritiene la commissione, che la
questione  incidentale,  ultimamente  richiamata,  e'  destituita  di
fondamento.  Infatti,  l'art. 2-quater  del  d.l.  30 settembre 1994,
n. 656,   convertito   nella  legge  30  novembre  1994,  n. 656  (da
considerare  applicabile  a seguito dell'abrogazione dell'art. 68 del
d.P.R.  n. 287  del  1992  operata  con l'art. 23 del d.P.R. 26 marzo
2001,  n. 107)  sancisce  espressamente che il potere di annullamento
d'ufficio  o  di  revoca degli atti illegittimi o infondati, da parte
degli  organi  dell'amministrazione  finanziaria a cio' preposti, ben
puo'  essere  esercitato  anche  «in  pendenza  di  giudizio».  Tanto
premesso  e'  da  considerare  senz'altro  rilevante,  ai  fini della
decisione  della  presente  controversia,  la  sollevata eccezione di
legittimita'  costituzionale, sia sotto il profilo innanzi esaminato,
sia  sotto  ogni  altro  profilo  essendo  evidente  che la eventuale
illegittimita'  costituzionale  dell'art. 62 della legge n. 289/2002,
finirebbe  per  travolgere  la pretesa tributaria dell'ufficio che in
detta norma trova il suo fondamento.
    La  sollevata  eccezione  di  legittimita' costituzionale appare,
altresi',  non  manifestamente  infondata  per  i  motivi  di seguito
riportati.
    Va  premesso,  in  punto  di  fatto,  che l'art. 8 della legge 23
dicembre  2000,  n. 388  attribuisce  alle imprese «che attuano nuovi
investimenti»,  «un  contributo  nella  forma di credito di imposta»,
condizionando  detta  attribuzione  all'invio al «centro operativo di
Pescara   dell'Agenzia  delle  entrate  una  istanza  contenente  gli
elementi  identificativi dell'impresa, l'ammortamento complessivo dei
nuovi  investimenti e la ripartizione regionale degli stessi, nonche'
l'impegno,  a  pena  di  disconoscimento del beneficio, ad avviare la
realizzazione   degli   investimenti  successivamente  alla  data  di
presentazione  della medesima istanza e comunque entro sei mesi dalla
predetta data».
    L'art. 62 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, entrata in vigore
il  1°  gennaio  2003  ha sancito l'obbligo per «i soggetti che hanno
conseguito  il  diritto  a  contributo anteriormente alla data dell'8
luglio  2002»,  di  inviare  entro  il  28  febbraio 2003, «a pena di
decadenza  dal  contributo conseguito automaticamente» ed utilizzando
un modello da predisporsi dal direttore dell'Agenzia delle entrate, i
dati  occorrenti  per  la ricognizione degli investimenti realizzati.
Appare   evidente,   da  quanto  sopra  riportato,  che  il  disposto
dell'art. 62  della citata legge n. 289 del 2002 realizza una duplice
violazione dell'art. 3 dello Statuto del contribuente. Esso, infatti,
si configura, per un verso, come retroattivo, andando ad incidere sul
diritto   al   contributo  gia'  in  precedenza  maturato  in  favore
dell'imprenditore, contravvenendo, in tal modo al disposto del citato
art. 3,  primo  comma;  viola,  per altro verso, il secondo comma del
medesimo  art. 3,  ponendo  a  carico  del soggetto un adempimento da
realizzarsi in un periodo di tempo inferiore ai sessanta giorni.
    Orbene  le  predette  violazioni  dell'art. 3  dello  Statuto del
contribuente   si   configurano,   altresi',   a   parere  di  questa
commissione, come violazioni degli artt. 97 e 24 della Costituzione.
    L'art. 1  dello  Statuto  del contribuente sancisce espressamente
che  le  disposizioni  in  esso contenute sono dettate «in attuazione
degli artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione». Il che significa che,
a  giudizio  del  legislatore,  ogni  disposizione  precettiva  dello
Statuto   del   contribuente   e'   espressione   di   un   principio
costituzionale.  La  regola  enunciata  ha trovato piena applicazione
nella  giurisprudenza  della Corte di cassazione la quale, dopo avere
ripetutamente  statuito che il dubbio interpretativo sulla portata di
una   qualsiasi   disposizione   tributaria   deve   essere   risolto
dall'interprete nel senso piu' conforme ai principi dello Statuto, ha
aggiunto,  significativamente,  (Cass.  14 aprile 2004, n. 7080) «che
l'interpretazione  conforme  a  statuto  si  risolve,  in  definitiva
nell'interpretazione conforme alle norme costituzionali richiamate».
    E',  ovviamente,  compito  dell'interprete individuare i principi
costituzionali  contenuti  in  ogni  singola  norma dello Statuto del
contribuente.  In  siffato,  compito, pero' l'interprete non puo' non
tener  conto  delle  indicazioni, anche indirette, che provengono dal
legislatore medesimo.
    Con specifico riguardo all'art. 3 dello Statuto del contribuente,
e'  da  ritenere  che il legislatore abbia avvertito la necessita' di
sancire   la   irretroattivita'   della   legge   tributaria   e   la
impossibilita'  di  assegnare  al contribuente, per gli adempimenti a
suo  carico,  un termine inferiore a sessanta giorni, sul presupposto
che  la  retroattivita'  della  predetta legge e l'assegnazione di un
termine  inferiore  ai sessanta giorni, sia contrario al principio di
correttezza  e buona fede cui devono essere improntati i rapporti tra
amministrazione  e  contribuente.  Principio  questo  che deve essere
osservato   non   solo   dall'amministrazione   finanziaria  in  fase
applicativa,  ma  anche  dallo stesso legislatore tributario all'atto
dell'emanazione   delle   fonti  normative  (Cass.  14  aprile  2004,
n. 7080).  A detto presupposto, ritiene questa commissione di doversi
attenere.  Orbene  non  v'e' dubbio che il principio di correttezza e
buona  fede  e'  riconducibile all'art. 97 della Costituzione essendo
evidente  che  in  assenza di correttezza e di buona fede non possono
certo   essere   assicurati  «il  buon  andamento  e  l'imparzialita'
dell'amministrazione».
    Con  specifico riferimento all'inosservanza del termine minimo di
sessanta  giorni  da  assegnare al contribuente per gli adempimenti a
suo  carico,  viene,  altresi', in rilievo la violazione dell'art. 24
della  Costituzione.  E'  da  ritenere,  infatti,  che il legislatore
medesimo abbia considerato il termine di sessanta giorni, come quello
minimo  indispensabile  perche'  il  contribuente possa esplicare gli
adempimenti  a  suo  carico  a tutela dei suoi diritti e, quindi, del
diritto alla difesa.
    A  nulla  rileva  poi che l'art. 24 della Costituzione non figuri
fra  quelli  richiamati  dall'art. 1,  primo comma, dello Statuto del
contribuente.  L'elencazione  contenuta  in quest'ultima disposizione
normativa  e'  da considerare, infatti, non tassativa, ben potendo il
giudice  ordinario,  nel procedimento di individuazione di ipotesi di
contrarieta'  fra legge ordinaria e principi costituzionale, scorgere
in  alcune norme dello Statuto del contribuente la estrinsecazione di
principi  costituzionali deducibili da altre disposizioni della Carta
costituzionale,  oltre  quelle  espressamente  richiamate alla citata
legge ordinaria n. 212/2000.
    Premesso  quanto  innanzi gli atti del procedimento vanno rimessi
dinanzi  alla Corte costituzionale, ai sensi dell'art. 23 della legge
11 marzo 1953, n. 87.