IL TRIBUNALE

    Nel  procedimento  penale  a  carico  di Ricci Graziana, Dominici
Leone  e Marchionni Luca in ordine al reato di cui all'art. 44, lett.
b),  d.P.R.  n. 380/2001,  alla  pubblica udienza del 26 giugno 2006,
sentite  le  parti,  ha  pronunciato  e  dato  lettura della seguente
ordinanza.
    E'  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la questione di
legittimita'  costituzionale dell'art. 181, comma 1-quinquies, d.lgs.
n. 42 del 2004, nei termini di seguito indicati.
    1.   -   Ricci   Graziana   e  Dominici  Leone  (in  qualita'  di
committenti), e Marchionni Luca (in qualita' di direttore dei lavori)
sono  stati  citati a giudizio al fine di rispondere del reato di cui
all'art. 44,  lett.  b),  d.P.R.  n. 380/2001  per aver realizzato in
totale  difformita'  dalla  concessione  edilizia  n. C/99/315  del 4
aprile  2000, un porticato dotato di parapetti in muratura intonacata
a  filo  pilastri  sul  lato  strada  e  sporgente  di cm. 70 per una
superficie  di  mq.  10.76  nonche' due setti murari fuori sagoma per
fini statici, uno sul lato strada ed uno sul lato mare.
    Dalle  testimonianze  assunte  alla  scorsa udienza del 19 giugno
2006  e'  emerso  che  le  opere edilizie oggetto di imputazione sono
state  integralmente  demolite  in  epoca successiva all'accertamento
delle  irregolarita'  avvenuto  in  data  14 aprile 2004, circostanza
confermata  dall'archiviazione  del  procedimento  amministrativo  da
parte dell'ufficio competente del Comune di Follonica (v. nota del 21
settembre 2004, prot. n. 20515).
    Pertanto,  sulla  base  di  tali  risultanze istruttorie, si deve
affermare  che,  in  data anteriore alla procedura d'ufficio ad opera
della  autorita'  comunale,  e'  stata  effettuata  la  rimessione in
pristino  dell'immobile  in  conformita'  alla  concessione  edilizia
originariamente  rilasciata,  per  cui  vi  sarebbero gli estremi per
l'applicazione  della  particolare  ipotesi  di  estinzione del reato
ambientale  prevista  dall'art. 181-quinquies, d.lgs. n. 42 del 2004,
mentre  analoga fattispecie estintiva non e' contemplata per il reato
edilizio oggetto di contestazione.
    Di   qui   la   rilevanza   della   questione   di   legittimita'
costituzionale nei termini che si vanno ad indicare.
    2.  -  In  ordine  al requisito della non manifesta infondatezza,
appare  opportuno  prendere  le  mosse  da  una disamina dei principi
giurisprudenziali  elaborati  in  relazione  alla  disciplina vigente
prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 42 del 2004.
    2.1. - In primo luogo, e' principio pacifico nella giurisprudenza
di  legittimita'  che non sussiste assorbimento tra il reato edilizio
di   cui   all'art. 20,   legge   n. 47/1985   (oggi  art. 44  d.P.R.
n. 380/2001) ed il reato c.d. di danno ambientale di cui all'art. 163
d.lgs.  n. 490/1999  (oggi  art.  181,  comma  1, d.lgs. n. 42/2004),
trattandosi  di  reati con diversa obiettivita' giuridica (v., tra le
tante, Cass. 24 ottobre 1995, n. 10557; 9 settembre 1994, n. 9749).
    2.2.  -  Cosi',  e'  stato piu' volte ribadito che la fattispecie
estintiva  conseguente  al  rilascio  della  concessione in sanatoria
(oggi  permesso  in  sanatoria)  di  cui  al combinato disposto degli
artt. 36   e   45  d.P.R.  n. 380/2001  (gia'  artt. 13  e  22  legge
n. 47/1985)  riguarda  esclusivamente  il  reato edilizio e non anche
quello  ambientale  (v.,  per  tutte, Cass., sez. III, 2 luglio 1994,
n. 7541).
    A  tal  riguardo,  la  Corte  costituzionale  ha  avuto  modo  di
dichiarare  la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
costituzionale  del  combinato  disposto  degli  artt. 13  e 22 legge
n. 47/1985  nella  parte  in  cui  non  prevede che il rilascio della
concessione  edilizia in sanatoria estingua, oltre alle violazioni di
natura  strettamente  urbanistica, anche il reato di danno ambientale
(Corte cost. ord. 6 marzo 2001, n. 46 ord. 21 luglio 2000, n. 327).
    In  particolare, la Corte ha osservato che il diverso trattamento
normativo  trova giustificazione nella particolare esigenza di tutela
dei   beni   paessaggistico-ambientali  considerata  tra  i  principi
fondamentali  della  Costituzione  come forma di tutela della persona
umana nella sua vita, sicurezza e sanita', con riferimento anche alle
generazioni future, in relazione al valore estetico-culturale assunto
dall'ordinamento  quale valore primario ed assoluto insuscettibile di
essere subordinato a qualsiasi altro (Corte cost. ord. n. 46/2001).
    2.3.  -  In  ordine  alla  questione specifica della riduzione in
pristino dell'opera abusiva, prima della entrata in vigore del d.lgs.
n. 42/2004,   era  principio  consolidato  in  giurisprudenza  quello
secondo   cui  l'eliminazione  delle  opere  abusive  non  comportava
l'estinzione  del  reato commesso con la loro costruzione, potendo la
stessa  essere  soltanto  valutata  ai  fini sia della mancanza di un
danno  penalmente  rilevante, sia della buona fede dell'imputato (v.,
per  tutte,  Cass.,  sez.  III, 29 settembre 1998, n. 10199; 14 marzo
1992,  n. 2706).  In  particolare, e' interessante riportare un passo
della motivazione della prima pronuncia richiamata, in cui si afferma
che  la demolizione delle opere abusive non comporta l'estinzione del
reato   commesso  con  la  loro  costruzione,  in  quanto  nei  reati
urbanistici  ha  rilevanza  penale anche l'elusione del controllo che
l'autorita'   amministrativa   e'  chiamata  ad  esercitare,  in  via
preventiva e generale, sull'attivita' edilizia assoggettata al regime
concessorio  ed  allorche' un'attivita' siffatta venga iniziata senza
il preventivo assenso dell'amministrazione comunale si ha inesistenza
di  un  danno  urbanistico  soltanto  nell'ipotesi di cui all'art. 13
legge  n. 47/1985,  mentre al di fuori di tali ipotesi l'eliminazione
spontanea    del    manufatto   abusivo   non   vale   ad   eliminare
l'antigiuridicita'   sostanziale  del  fatto  reato:  il  territorio,
infatti,  ha  comunque  subito  un  vulnus,  pur  se  vi e' stata una
successiva  attivita'  spontanea  rivolta  ad  elidere le conseguenze
dannose del reato (Cass., 29 settembre 1998, n. 10199).
    Relativamente  al disposto di cui all'art. 8-quater, legge n. 298
del  1985,  che  escludeva la punibilita' nei confronti di coloro che
avevano  demolito  o  eliminato  le  opere  abusive  entro la data di
entrata  in  vigore  della  legge  di conversione (5 luglio 1985), la
Cassazione   ha   affermato  che  si  trattava  di  una  disposizione
testualmente  riferita  e  limitata  sotto  il profilo temporale alle
demolizioni  di  opere  abusive  eseguite entro la data di entrata in
vigore suddetta (Cass., sez. III, 29 settembre 1998, n. 10199).
    Tale  ultima conclusione riceveva l'autorevole avallo della Corte
costituzionale,  che  con la sentenza n. 167 del 1989 osservo' che la
interpretazione  limitativa  non era da considerare illegittima sotto
il  profilo,  costituzionale  in  quanto  la  demolizione  dell'opera
abusiva non eliminava l'antigiuridicita' del fatto. In altri termini,
secondo la Consulta, la norma in questione integrava una causa di non
perseguibilita'  con  esenzione  di  pena  per  ragioni  di  politica
criminale  e  non certo come effetto della caduta di antigiuridicita'
per  cause intrinseche attinenti al nucleo sostanziale dell'illecito,
con  la  conseguenza  che la indicazione di limiti temporali a taluni
effetti   di   estinzione   del   reato   o  della  pena,  o  di  non
procedibilita',  doveva ritenersi riservata alla discrezionalita' del
legislatore (Corte cost. sent. n. 167 del 1989).
    Pertanto, prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 42 del 2004,
la   giurisprudenza   di   legittimita'  affermava  con  orientamento
consolidato  che  la  demolizione  dell'opera  abusiva non comportava
l'estinzione   ne'   del  reato  edilizio  ne'  di  quello  di  danno
ambientale,  potendo la demolizione rilevare solo ai fini della buona
fede dell'imputato o della sussistenza del danno.
    A  quest'ultimo  riguardo,  e ad integrazione di quanto osservato
precedentemente in punto di rilevanza della questione, si rileva come
nella  fattispecie  la  natura delle opere abusive, il lasso di tempo
trascorso   tra  la  realizzazione  di  esse  e  la  demolizione,  la
circostanza  che l'azione di riduzione in pristino sia stata posta in
essere  solo  a  seguito dell'accertamento ad opera dei vigili urbani
ed,   infine,   il   complessivo  comportamento  degli  imputati  non
consentano  di ritenere l'insussistenza del danno, in quanto le opere
suddette  hanno  certamente determinato un vulnus al territorio; ne',
d'altra  parte,  vi  sono  elementi per ravvisare la buona fede degli
imputati,  per  cui gli stessi non possono essere mandati assolti per
difetto di un danno penalmente rilevante o per mancanza dell'elemento
soggettivo. Di conseguenza, non essendo ravvisabili i presupposti per
la  pronuncia  assolutoria,  diviene rilevante la questione de qua in
quanto  dall'accoglimento  della  stessa  discenderebbe  l'obbligo di
emissione della sentenza di non doversi procedere.
    3.  -  Con  l'entrata  in  vigore  del  d.lgs. n. 42 del 2004, il
legislatore  ha previsto esplicitamente l'estinzione del reato di cui
all'art.  181,  comma  1 (gia' art. 163 d.lgs. n. 490/1999) a seguito
della  rimessione  in pristino delle aree o degli immobili soggetti a
vincoli  paesaggistici,  a  condizione  che  cio'  avvenga a cura del
trasgressore   prima   che   sia  disposta  d'ufficio  dall'autorita'
amministativa  e comunque prima che intervenga la condanna (art. 181,
comma 1-quinquies).
    Tale  norma  e'  applicabile  anche  agli  abusi  commessi  prima
dell'entrata  in  vigore  della  stessa  disposizione,  in virtu' del
principio ex art. 2, comma 2, c.p.
    La   fattispecie  estintiva  de  qua  e',  inoltre,  da  ritenere
applicabile  qualsiasi  abuso,  a  prescindere  dalla  natura e dalla
gravita'  dello  stesso,  essendo  solo  prevista  la  rimessione  in
pristino  in  epoca  precedente  alla  demolizione  d'ufficio ed alla
emissione della condanna.
    Rispetto  a quest'ultimo presupposto, la suprema Corte di recente
ha  affermato  che la demolizione d'ufficio deve farsi coincidere con
l'emissione del provvedimento amministrativo contenente l'intimazione
al  ripristino  dello  stato  dei  luoghi,  con la conseguenza che la
fattispecie  estintiva  non  sarebbe  invocabile dal trasgressore che
avesse provveduto alla demolizione dopo l'ingiunzione amministrativa,
sebbene  anteriormente alla esecuzione d'ufficio a sue spese ad opera
della  P.A.  (Cass.  pen.,  sez.  III,  sent.  n. 3945  del  2006). A
prescindere  dalla  condivisibilita'  di tale tesi, si osserva in via
assorbente  che,  nella fattispecie, la demolizione e' avvenuta prima
dell'emissione di un provvedimento ingiuntivo ad opera della P.A.
    Di  conseguenza, gli odierni imputati avrebbero potuto certamente
beneficiare  di  tale  disposizione  piu' favorevole relativamente al
reato  ambientale  di  cui  all'art.  181,  comma 1, cit., mentre gli
stessi  non possono beneficiare della medesima disposizione in ordine
alla  contravvenzione  edilizia  loro  contestata  in quanto la causa
estintiva  e'  stata  prevista  solo  in  ordine  al  reato  di danno
ambientale,  con  implicita  esclusione (attesa la tassativita' delle
previsioni  estintive  di  reati)  dei  reati  edilizi, logicamente e
normativamente  distinti  ed  autonomi rispetto alle violazioni della
legge  ambientale  (quest'ultima  considerazione  e'  contenuta nella
ordinanza n. 46 del 2001 della Corte costituzionale). Anche in ambito
dottrinale   e'   stata   affermata   la   natura  eccezionale  della
disposizione  in  esame,  come  tale  applicabile  solo  alla  figura
contravvenzionale  di  cui  al  comma 1 dell'art. 181, non potendo la
stessa  estendersi  ne'  al  reato  urbanistico  ne'  tanto meno alla
ipotesi delittuosa piu' grave introdotta dal legislatore del 2004 con
il comma 1-bis dell'articolo indicato.
    Pertanto,     nella    impossibilita'    di    un'interpretazione
costituzionalmente  orientata,  rimane  da valutare la ragionevolezza
del diverso trattamento normativo.
    Ebbene,   la   valutazione   deve  partire  dalle  considerazioni
riportate in precedenza sub. 2.2. in ordine alla particolare esigenza
di  tutela  del  bene ambientale, motivazioni che avevano condotto il
legislatore,  da  un lato, a tenere distinte, ai fini dell'estinzione
conseguente  all'accertamento  di  conformita',  le ipotesi del reato
edilizio   e  di  quello  ambientale,  ed  il  Giudice  delle  leggi,
dall'altro,  ad affermare la legittimita' di tale diverso trattamento
normativo.
    Muovendo  da  tale premessa appare francamente sprovvista di ogni
ragionevole  giustificazione  la previsione dell'estinzione del reato
ambientale  a  seguito  della  rimessione in pristino e non anche del
reato  edilizio,  in  considerazione proprio della maggiore rilevanza
del bene giuridico protetto dalla prima contravvenzione.
    Il  diverso  trattamento normativo non si giustifica in relazione
alla  natura  del  reato:  a diversa conclusione, infatti, si sarebbe
potuti pervenire nella ipotesi in cui il reato edilizio, a differenza
di quello ambientale, fosse stato considerato di mero pericolo; ma la
giurisprudenza     di    legittimita'    puo'    dirsi    consolidata
nell'orientamento  secondo cui il reato ambientale ha natura di reato
di  pericolo  per  la  cui  configurabilita'  non  e'  necessario  un
effettivo  pregiudizio per l'ambiente (v., da ultimo, Cass.pen., sez.
III,  11  gennaio 2006, n. 564), per cui la diversita' di trattamento
non puo' trovare giustificazione in cio'.
    Sotto  altro  profilo,  si puo' obiettare che proprio l'autonomia
tra  le  due  fattispecie  di  reato (v. sopra subb. 2.1. e 2.2.) non
permette   di  ravvisare  quello  schema  «ternario»  necessariamente
presupposto dal giudizio di ragionevolezza ex art. 3 Costituzione.
    A tale obiezione, tuttavia, si deve replicare che il parametro di
ragionevolezza  derivante  dal  principio  di  uguaglianza  non  puo'
ritenersi   violato  solo  nella  ipotesi  classica  del  trattamento
differenziato  di  situazioni  sostanzialmente identiche, ma anche in
quella  di trattamento identico di fattispecie dotate di offensivita'
diversa  e  quindi,  a  maggior ragione, pure nel caso di trattamento
piu'  sfavorevole  riservato  alla  fattispecie penale oggettivamente
meno grave.
    Ebbene, e' proprio quest'ultima ipotesi a ricorrere nella vicenda
che  ci  occupa,  in  quanto  il regime normativo attualmente vigente
prevede, in caso di rimessione in pristino, l'estinzione del reato di
danno  ambientale  e  non anche di quello edilizio, nonostante che il
bene  giuridico  tutelato  da  quest'ultimo  non  abbia  la rilevanza
costituzionale  propria  del  bene  tutelato  dall'altra  fattispecie
penale,  ed  in  assenza  di  altri  elementi  atti a giustificare in
qualche modo il diverso trattamento normativo.
    Ne'  potrebbe obiettarsi che la disposizione di cui all'art. 181,
comma 1-quinquies, deve qualificarsi come derogatoria alla disciplina
generale  circa  la  punibilita'  di ogni forma di trasformazione del
territorio a prescindere dall'effettivo pregiudizio procurato, con il
conseguente  richiamo  di quell'orientamento secondo cui il principio
di  uguaglianza  in questi casi potrebbe essere invocato solo al fine
di  ripristinare la disciplina generale, ingiustificatamente derogata
da  quella particolare, e non gia' al fine di estendere ad altri casi
quest'ultima (v. Corte cost. sent. n. 383 del 1992).
    A  tale  obiezione,  infatti si deve replicare che la Consulta ha
precisato  che  e'  possibile  estendere  l'ambito  di una previsione
eccezionale  o  derogatoria  quando  tra  il caso ricompreso e quello
escluso  ricorra  l'eadem ratio derogandi (ord. n. 484 del 1994), non
potendo  allora  ritenersi che la salvaguardia della discrezionalita'
legislativa  esima  la  Corte  dal valutare se non vi siano manifesti
motivi  di  irrazionalita',  e di discriminazioni prive di fondamento
giustificativo  (Corte  cost., sent. n. 185 del 1995), soprattutto in
considerazione  del  fatto  che  in  questo  caso  la  valutazione di
irragionevolezza  non  condurrebbe ad una pronuncia additiva in malam
partem in materia penale.
    In   definitiva,   non   essendo   possibile  una  intepretazione
adeguatrice   sulla   base  del  diritto  vigente  stante  la  natura
eccezionale e tassativa delle ipotesi estintive del reato, non rimane
che sottoporre la questione al vaglio della Consulta.