ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge
20 febbraio  2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in
materia  di  inappellabilita'  delle  sentenze  di proscioglimento) e
dell'art. 576   del  codice  di  procedura  penale,  come  modificato
dall'art. 6  della  stessa legge, promossi con ordinanze del 16 marzo
2006  dalla  Corte  di  appello  di Venezia, del 19 aprile 2006 dalla
Corte  di  appello  di  Brescia  e  del  27 marzo 2006 dalla Corte di
appello  di  Bologna,  rispettivamente iscritte ai nn. 335, 345 e 366
del  registro  ordinanze  2006  e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica nn. 39 e 40 1ª serie speciale, dell'anno 2006;
    Visti  gli  atti  di  costituzione  di  G.G. e della U.I. S.p.a.,
nonche'  gli  atti  di  intervento  del  Presidente del Consiglio dei
ministri;
    udito nell'udienza pubblica del 23 gennaio 2007 e nella Camera di
consiglio  del  24 gennaio  2007  il  giudice relatore Giovanni Maria
Flick;
    uditi gli avvocati Luigi Ravagnan per G.G., Giuseppe Frigo per la
U.  I.  S.p.a.  e  l'avvocato  dello  Stato  Massimo Giannuzzi per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
    Ritenuto  che,  con l'ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di
appello  di  Bologna  ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e
111  della  Costituzione,  questione  di  legittimita' costituzionale
dell'art. 576   del  codice  di  procedura  penale,  come  modificato
dall'art. 6  della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice
di procedura penale, in materia di inappellabilita' delle sentenze di
proscioglimento),  nella  parte  in  cui  -  ad  avviso  del  giudice
rimettente  -  esclude  che  la  parte  civile possa proporre appello
avverso la sentenza di proscioglimento dell'imputato;
        che  il  giudice  a quo - investito dell'appello proposto sia
dal  pubblico ministero che dalle parti civili, contro la sentenza di
assoluzione  emessa  in primo grado nei confronti di persona imputata
del   reato   di  omicidio  colposo  -  rileva  che  il  nuovo  testo
dell'art. 576  cod.  proc.  pen.,  quale  risultante  a seguito della
modifica  operata  medio  tempore  dall'art. 6  della legge n. 46 del
2006,  non  richiama piu', nel disciplinare il potere di impugnazione
della parte civile avverso le sentenze di proscioglimento, i mezzi di
impugnazione previsti per il pubblico ministero;
        che,  in  tal  modo, la norma censurata avrebbe integralmente
soppresso  il  potere di appello della parte civile, posto che, da un
lato,  l'art. 568,  comma 1, cod. proc. pen. sancisce il principio di
tassativita'  dei  mezzi di impugnazione; e, dall'altro lato, nessuna
ulteriore  norma  prevede  che  la  parte  civile  possa impugnare la
sentenza di primo grado mediante appello: onde residuerebbe, a favore
di  detta  parte,  unicamente  la  facolta'  di  proporre ricorso per
cassazione ai sensi del comma 2 del medesimo art. 568;
        che, sotto tale profilo, la disposizione si porrebbe tuttavia
in  contrasto  con  i  principi costituzionali di eguaglianza (art. 3
Cost.),  di  parita'  delle  parti nel processo (art. 111 Cost.) e di
tutela del diritto di azione e di difesa in giudizio (art. 24 Cost.);
        che  -  a differenza di quanto avviene per la limitazione dei
poteri  di  appello  del pubblico ministero introdotta dalla medesima
legge  n. 46  del  2006  (art. 593  cod.  proc. pen., come sostituito
dall'art. 1  di  detta  legge) - la soluzione normativa censurata non
potrebbe essere giustificata in un'ottica di riequilibrio complessivo
dei  poteri  delle  parti  contendenti:  infatti,  la  parte civile -
diversamente  dalla pubblica accusa - non fruisce di alcuna posizione
di  «prevalenza  sostanziale»  rispetto all'imputato, nell'assunzione
della  prova  nella  fase  delle  indagini  preliminari, ne' di altra
«posizione privilegiata» nelle successive fasi processuali;
        che,  di conseguenza, e con particolare riguardo alla dedotta
violazione dell'art. 111 Cost., una volta concessa al danneggiato dal
reato  la facolta' di esercitare l'azione civile nel processo penale,
esso  non  potrebbe  essere  discriminato  in  maniera  irragionevole
rispetto  al  danneggiante:  sicche',  disponendo quest'ultimo di uno
strumento  di  doglianza nel merito nei confronti della decisione del
primo,  lo  stesso strumento non potrebbe non essere riconosciuto, in
caso di soccombenza, anche al danneggiato costituitosi parte civile;
        che  la  previsione di un secondo grado di giudizio nel quale
solo  l'imputato,  ma  non  la parte civile, puo' svolgere le proprie
doglianze  verrebbe altresi' a ledere l'inviolabile diritto di azione
e difesa di tale ultima parte;
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  il  quale ha chiesto che la
questione sia dichiarata manifestamente infondata;
        che,  ad  avviso  della difesa erariale, l'art. 6 della legge
n. 46  del  2006 - nel sopprimere l'inciso «con il mezzo previsto per
il  pubblico ministero», contenuto nel testo previgente dell'art. 576
cod.   proc.   pen.,   in   correlazione   alla  scelta  di  limitare
drasticamente  il  potere  del  pubblico ministero e dell'imputato di
proporre appello contro le sentenze di proscioglimento - non avrebbe,
in  realta',  privato  la  parte  civile  della facolta' di appellare
avverso le medesime sentenze;
        che,  con  l'ordinanza  indicata  in  epigrafe,  la  Corte di
appello  di  Venezia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111,
secondo   comma,  Cost.,  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 10, commi 2 e 3, della legge n. 46 del 2006, nella parte in
cui  -  sancendo  l'inammissibilita' dell'appello proposto contro una
sentenza  di  proscioglimento  dall'imputato o dal pubblico ministero
prima  della  data  di  entrata  in  vigore  della  citata  legge; ma
riconoscendo  a  dette  parti  la  facolta' di proporre, in sua vece,
ricorso per cassazione entro quarantacinque giorni dalla notifica del
provvedimento  di  inammissibilita'  -  non  accorda analoga facolta'
anche alla parte civile;
        che   il   giudice   a   quo  premette  di  essere  investito
dell'appello proposto dalla parte civile contro la sentenza che aveva
assolto gli imputati dai plurimi reati loro ascritti;
        che,  anche secondo la Corte veneziana, la sopravvenuta legge
n. 46  del  2006  avrebbe  soppresso  il potere della parte civile di
proporre  appello  avverso  le  sentenze  di  proscioglimento: e cio'
tenuto  conto  sia  del  principio di tassativita' delle impugnazioni
enunciato  dall'art. 568  cod. proc. pen; sia dell'assenza, nel testo
novellato  dell'art. 576  cod.  proc.  pen.,  di  ogni  riferimento a
specifici  mezzi  di  impugnazione  della  parte civile; sia, infine,
della   circostanza   che   l'art. 593  cod.  proc.  pen.  identifica
unicamente   nel   pubblico  ministero  e  nell'imputato  i  soggetti
legittimati ad appellare contro le sentenze di primo grado;
        che,  in  forza  della  norma transitoria di cui all'art. 10,
comma 1,  della  legge  n. 46  del  2006,  d'altro  canto,  la  nuova
disciplina  introdotta da tale legge si applica anche ai procedimenti
in   corso,   estendendo   cosi'   la   sua  efficacia  agli  appelli
anteriormente proposti;
        che  il  medesimo  art. 10,  peraltro - dopo aver sancito, al
comma 2,  che  l'appello  gia'  proposto dall'imputato o dal pubblico
ministero   contro  una  sentenza  di  proscioglimento  debba  essere
dichiarato    inammissibile   -   al   successivo   comma 3   rimette
sostanzialmente    in    termini   le   predette   parti,   ai   fini
dell'impugnazione  della  sentenza  mediante  ricorso per cassazione,
prevedendo che quest'ultimo possa venir proposto entro quarantacinque
giorni dalla notifica del provvedimento di inammissibilita';
        che  analogo  potere  non e' riconosciuto, invece, alla parte
civile, cui la norma censurata non fa alcun riferimento;
        che  si determinerebbe, sotto tale aspetto, una disparita' di
trattamento  priva  di  ragionevole  giustificazione, e dunque lesiva
tanto del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) che di quello della
parita' delle parti nel processo (art. 111 Cost.);
        che,  rispetto all'appello anteriormente proposto dalla parte
civile,  troverebbe  infatti  applicazione  la  disposizione  di  cui
all'art. 568,   comma 5,  cod.  proc.  pen.,  a  fronte  della  quale
l'appello stesso si convertirebbe in ricorso per cassazione;
        che  cio' non varrebbe, tuttavia, a tutelare adeguatamente la
parte   civile,   giacche'   -   qualora   l'appello   fosse   basato
esclusivamente   su   argomentazioni  di  merito,  ovvero  risultasse
sottoscritto   da   un  difensore  non  abilitato  al  patrocinio  in
cassazione  - il gravame, una volta convertito in ricorso, diverrebbe
automaticamente inammissibile;
        che nel giudizio di costituzionalita' si e' costituita G. G.,
parte civile nel giudizio a quo, la quale ha chiesto che la questione
sia  dichiarata  manifestamente infondata, contestando la correttezza
della  premessa  da  cui muove il dubbio di costituzionalita': vale a
dire  la supposta rimozione, ad opera della legge n. 46 del 2006, del
potere  della  parte  civile  di  appellare  contro  le  sentenze  di
proscioglimento;
        che,  con  l'ordinanza  indicata  in  epigrafe,  la  Corte di
appello  di  Brescia  ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111
Cost.,  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 10 della
legge  n. 46  del  2006,  nella  parte  in  cui non prevede un regime
transitorio  per  l'appello  proposto  dalla  parte civile contro una
sentenza di proscioglimento, analogo a quello contemplato dai commi 2
e 3 del medesimo art. 10 per l'imputato e per il pubblico ministero;
        che   la   Corte   rimettente   -   chiamata  a  pronunciarsi
sull'appello  proposto  dalle  parti  civili  avverso  la sentenza di
assoluzione  degli  imputati  dai reati di truffa pluriaggravata e di
estorsione,  loro  ascritti - muove anch'essa dall'assunto per cui la
sopravvenuta  legge  n. 46  del  2006  avrebbe eliminato il potere di
appello della parte civile contro le sentenze di proscioglimento;
        che,   su   tale  premessa,  il  rimettente  lamenta  che  il
legislatore  non  abbia  previsto, per detta parte processuale, alcun
regime  transitorio,  omologo  a  quello  contemplato nei commi 2 e 3
dell'art. 10 per il pubblico ministero e l'imputato;
        che  -  non risultando possibile un'interpretazione estensiva
di  tale  disciplina,  in ragione del principio di tassativita' delle
impugnazioni - ne conseguirebbe, anche a parere di questo rimettente,
una  evidente  disparita'  di  trattamento  fra pubblico ministero ed
imputato,  da  un  lato,  e  parte  civile, dall'altro: disparita' da
ritenere  priva  di  ragionevole giustificazione, e dunque lesiva dei
principi di eguaglianza e di parita' delle parti nel processo;
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  il  quale ha chiesto che la
questione   sia   dichiarata   manifestamente   infondata,  ribadendo
l'erroneita'  del  presupposto  interpretativo  secondo  cui la legge
n. 46  del 2006 avrebbe privato la parte civile della possibilita' di
appellare contro la sentenza di proscioglimento;
        che  si  e'  altresi' costituita la societa' U. I., parte nel
giudizio   a   quo,   quale   responsabile  civile,  concludendo  per
l'accoglimento  della  questione: risulterebbe evidente, infatti - ad
avviso della difesa dell'interveniente - la sussistenza di una lacuna
del  regime  transitorio  per  la  parte  civile, lesiva del precetto
costituzionale  di  parita'  delle  parti  nel processo, benche', sul
piano   «storico»,   tale  omissione  sia  spiegabile  con  l'erronea
convinzione  del  legislatore di avere abolito l'appello del pubblico
ministero, mantenendo invece quello della parte civile.
    Considerato  che  le  ordinanze di rimessione sollevano questioni
identiche  o  connesse,  onde  i  relativi  giudizi vanno riuniti per
essere definiti con unica decisione;
        che  la Corte di appello di Bologna dubita della legittimita'
costituzionale  dell'art. 576  del  codice  di procedura penale, come
modificato dall'art. 6 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche
al  codice  di procedura penale, in materia di inappellabilita' delle
sentenze  di  proscioglimento),  nella  parte  in  cui  - in asserito
contrasto  con  i principi di eguaglianza, di parita' delle parti nel
processo  e  di  inviolabilita'  del  diritto  di  azione e di difesa
(artt. 3,  24 e 111 della Costituzione) - esclude che la parte civile
possa   proporre   appello  contro  la  sentenza  di  proscioglimento
dell'imputato;
        che, con due ordinanze di analogo tenore, la Corte di appello
di Venezia e la Corte di appello di Brescia censurano, a loro volta -
in  relazione ai principi di eguaglianza e di parita' delle parti nel
processo  (artt. 3  e 111 Cost.) - le disposizioni transitorie di cui
all'art. 10  della legge n. 46 del 2006, nella parte in cui prevedono
solo  a  favore  dell'imputato  e del pubblico ministero, e non anche
della  parte  civile,  una  «restituzione  in  termini»  per proporre
ricorso   per   cassazione,   di   seguito   alla   declaratoria   di
inammissibilita'   dell'appello   proposto  contro  una  sentenza  di
proscioglimento,  anteriormente  all'entrata in vigore della medesima
legge (commi 2 e 3);
        che   i  giudici  a  quibus  muovono  dalla  comune  premessa
interpretativa  in  forza  della  quale  la  novella del 2006 avrebbe
soppresso il potere di appello della parte civile: conclusione che si
imporrebbe alla luce del generale principio di tassativita' dei mezzi
di  impugnazione,  di  cui  all'art. 568,  comma 1,  cod. proc. pen.,
tenuto  conto del fatto che, per un verso, l'art. 593 cod. proc. pen.
non  include  la  parte  civile tra i soggetti legittimati a proporre
appello;  e,  per  un  altro  verso, il nuovo testo dell'art. 576 del
medesimo codice - ove non compare piu' la previsione secondo la quale
alla  parte  civile e' consentito proporre impugnazione con lo stesso
mezzo  previsto  per  il  pubblico ministero - non specifica di quali
mezzi di impugnazione detta parte sia ammessa a fruire;
        che,  peraltro,  la  Corte  di  cassazione  ha  avuto modo di
affermare l'opposta tesi, in virtu' della quale la citata novella non
avrebbe affatto determinato il venir meno, in capo alla parte civile,
del  potere di appello contro le sentenze di proscioglimento, ai soli
effetti  della  responsabilita'  civile  (si veda Cassazione, sezione
III, sentenza 11 maggio 2006, n. 22924);
        che  la  Corte di legittimita' ha fatto segnatamente leva, in
questa  direzione,  sulla  voluntas legis, quale risultante alla luce
dei  lavori  parlamentari:  lavori da cui emergerebbe in modo univoco
come  le  modifiche  apportate  al  testo  normativo  originariamente
approvato dal Parlamento, dopo il suo rinvio alle Camere da parte del
Presidente  della  Repubblica  ai  sensi  dell'art. 74  Cost. - e, in
particolare,   la   soppressione,   nell'art. 576  cod.  proc.  pen.,
dell'inciso   «con  il  mezzo  previsto  dal  pubblico  ministero»  -
mirassero   a   recepire   il   rilievo   formulato   nel   messaggio
presidenziale,  circa  l'eccessiva  compressione  della  tutela degli
interessi  civili delle vittime del reato che sarebbe scaturita dalle
soluzioni  legislative inizialmente adottate, ripristinando il potere
di appello della parte civile;
        che,  a  fronte  di questa diversa opzione ermeneutica, altra
sezione  della  stessa  Corte  di  cassazione  ha  quindi  rimesso la
questione  alle Sezioni Unite, a norma dell'art. 618 cod. proc. pen.,
onde dirimere il contrasto interpretativo insorto sul punto;
        che,  pertanto, deve registrarsi l'assenza, allo stato, di un
«diritto vivente», conforme alla premessa interpretativa posta a base
dei  dubbi  di  legittimita'  costituzionale:  risultando al riguardo
formulata  anche  una diversa soluzione, che varrebbe a soddisfare il
petitum  della Corte di appello di Bologna (che censura la disciplina
«a    regime»);    ed   a   rimuovere,   altresi',   il   presupposto
logico-giuridico  dell'esigenza  - postulata dalle Corti d'appello di
Venezia  e di Brescia - di dettare, per i gravami della parte civile,
una  disciplina transitoria analoga a quella stabilita per l'imputato
e  per  il  pubblico  ministero, in correlazione alla limitazione dei
poteri  di  appello di queste ultime parti disposta dall'art. 1 della
legge n. 46 del 2006;
        che a cio' va aggiunto come neppure in ordine alla disciplina
transitoria  si riscontri uniformita' di vedute: essendosi affermato,
da  una  parte  della giurisprudenza di legittimita', che ove pure la
nuova  legge avesse effettivamente rimosso il potere di appello della
parte civile, non ne conseguirebbe comunque - contrariamente a quanto
assumono i rimettenti - l'inammissibilita' dell'appello anteriormente
proposto da detta parte; e cio' in quanto la disposizione transitoria
di cui all'art. 10, comma 1 - evocata dai giudici a quibus a sostegno
del  loro assunto - nello stabilire che «la presente legge si applica
ai  procedimenti  in  corso  alla  data  di  entrata  in vigore della
medesima»,  si  sarebbe  limitata  soltanto a riaffermare il generale
principio tempus regit actum, tipico della materia processuale;
        che  i  giudici  rimettenti  hanno  omesso, d'altro canto, di
fornire  una  adeguata  motivazione  sulle  ragioni  per le quali gli
argomenti  che  sostengono  l'opposto orientamento interpretativo non
possano essere condivisi;
        che  a  cio'  consegue  la  manifesta  inammissibilita' delle
questioni:  giacche',  secondo  la  costante giurisprudenza di questa
Corte,  la  mancata  utilizzazione  dei  poteri interpretativi che la
legge riconosce, in via esclusiva, al giudice rimettente e la carenza
di una verifica di altre e diverse soluzioni interpretative - per far
fronte  al  dubbio  di  costituzionalita' ipotizzato - integrano, nel
modello  del  giudizio  incidentale  di  costituzionalita', omissioni
significative  e  tali  da  non  abilitare  il giudice a sollevare la
questione  di  legittimita'  costituzionale  (ex  plurimis, ordinanze
n. 34 del 2006, n. 381 del 2005 e n. 279 del 2003);
        che  le  questioni vanno dichiarate, pertanto, manifestamente
inammissibili.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.