IL TRIBUNALE

    Sentito  il  legale  di  parte  ricorrente  ed  il rappresentante
dell'amministrazione;
    A scioglimento della riserva di cui al verbale che precede;
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Con  ricorso  in  data  21 luglio 2004, il cittadino ecuadoriano,
signor  Navarro  Ripalda  Bairon  Luis, ha chiesto a questo tribunale
l'accertamento  dell'illegittimita'  del decreto di espulsione emesso
nei  suoi  confronti, in data 16 luglio 2004, dal Prefetto di Genova,
nonche'  di  ogni altro atto ad esso collegato, e conseguentemente la
declaratoria  di  nullita'  del suddetto decreto. Dopo avere premesso
che  gli  era  stato  contestata  l'omessa  richiesta del permesso di
soggiorno  entro  gli otto giorni lavorativi dall'ingresso in Italia,
si  doleva innanzi tutto il ricorrente della mancanza di prove in tal
senso,  avuto  riguardo  al  mero  richiamo  da  parte del prefetto a
dichiarazioni  asseritamente da lui rilasciate, «senza la presenza di
alcun difensore e in difetto di un traduttore».
    In  linea  di  fatto  egli  faceva  presente  di convivere, in un
appartamento  locato  in  Castellazzo  Bormida  (AL),  con la moglie,
signora   Guiracocha  Castro  Martha  Patricia,  munita  di  regolare
permesso  di soggiorno, e in possesso di un buon lavoro come badante,
e con la loro figlia N.G.M.D.L.A., di soli quattro anni, regolarmente
inserita presso la locale scuola materna.
    Tenuto   conto  delle  circostanze  sopra  esposte  lo  straniero
evidenziava  l'infondatezza  in  fatto  e  in  diritto della disposta
espulsione,  viziata inoltre da omessa istruttoria, posto che sarebbe
bastato  interpellare  a mezzo interprete per ottenere le spiegazioni
del caso e la trasmissione della documentazione relativa. In punto di
diritto  la difesa del ricorrente lamentava la violazione delle norme
in  materia  di  unita'  familiare (artt. 29 e 30 della Costituzione,
artt. 28  e  29  del  T.U.  sull'immigrazione,  l'art. 8  della legge
4 agosto  1955,  n. 848  e  l'art. 13  della  Convenzione OIL  del 24
giugno 1975,  n. 143,  ratificata in Italia con legge 10 aprile 1981,
n. 158,  artt. 8  e  9  della Convenzione di New York sui diritti del
fanciullo,  l'art. 17  del  Patto Internazionale sui diritti civili e
politici,   l'art. 12  della  Dichiarazione  Universale  dei  diritti
dell'uomo),  sottolineando  in  particolare  che l'art. 28 del citato
testo  unico  prevede  il  diritto  di  mantenere  o  di riacquistare
l'unita'  familiare  nei  confronti  dei familiari, per gli stranieri
titolari di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno,
e  che  il  successivo  art. 29,  comma 1,  lettera  a) consente allo
straniero  di  chiedere  il ricongiungimento familiare con il coniuge
non legalmente separato.
    Sulla  base  del contenuto del ricorso, ove venivano richiamati i
diritti della famiglia come societa' naturale fondata sul matrimonio,
l'impugnata espulsione avrebbe violato il diritto alla vita familiare
del  ricorrente  e, segnatamente, al mantenimento della relazione con
la   moglie  e  la  figlia,  in  una  situazione  in  cui  la  misura
dell'espulsione  non  trova  giustificazione  nei superiori interessi
pubblici  (ad  es. la sicurezza nazionale, il benessere economico del
paese,  la  difesa dell'ordine pubblico, la prevenzione dei reati, la
tutela  della  salute o della morale, ...). Sottolineava, inoltre, il
difensore  che,  nel  caso  in  esame,  ove il ricorrente si trovasse
all'estero,  l'ingresso  in  Italia  ai fini del ricongiungimento non
potrebbe essergli negato non avendo egli riportato condanne per reati
di  cui  all'art. 380,  comma 1 e 2 c.p.p., ovvero per reati inerenti
agli   stupefacenti,   alla  liberta'  sessuale,  al  favoreggiamento
dell'immigrazione clandestina, o per reati connessi allo sfruttamento
della prostituzione o di minori.
    Ed   ancora   la   difesa   del   ricorrente  lamentava  l'omessa
comunicazione   dell'avvio   del   procedimento   amministrativo   di
espulsione.  in violazione del principio di carattere generale di cui
all'art. 7  della  legge  n. 241/1990,  non ricorrendo le esigenze di
celerita' affermate dall'amministrazione e non avendo, per le ragioni
indicate,  lo  straniero  alcuna ragione di rendersi irreperibile. Da
ultimo,  in  via  subordinata,  veniva  sostenuta  la  illegittimita'
costituzionale  dell'art. 19, comma 2, del T.U. sull'immigrazione, in
relazione  agli artt. 3, 10 e 29 e 30 della Costituzione, nella parte
in  cui non prevede il divieto di espulsione del coniuge di cittadino
straniero regolare, in possesso dei requisiti per il ricongiungimento
familiare.  In  sede  di  discussione  orale  il  difensore  ha  pure
evidenziato  la pretesa illegittimita' degli artt. 29, primo comma, e
30   del   decreto  legislativo  citato,  sempre  in  relazione  agli
artt. 3,10, 29 e 30 della Carta costituzionale.
    Nel  corso  della presente procedura l'amministrazione versava in
atti   il   c.d.   modulo   plurilingue  (contestato  dalla  difesa),
sottoscritto  dal  ricorrente  in data 16 luglio 2004, ove il momento
dell'ingresso in Italia veniva da lui fatto risalire al gennaio 2002.
    All'esito della discussione finale, durante la quale il difensore
illustrava le argomentazioni difensive di cui al ricorso, il delegato
della  questura  concludeva,  invece,  per  la  reiezione del ricorso
stante la manifesta irregolarita' della posizione dello straniero sul
territorio  nazionale,  sostenendo  inoltre  che,  alla stregua della
vigente  normativa, anche un eventuale accoglimento dell'impugnazione
non  avrebbe' potuto consentire la regolarizzazione del ricorrente da
parte della competente autorita' amministrativa.
    Venendo al merito della decisione rileva questo giudicante che il
primo  motivo  del  ricorso,  inerente  alla  pretesa  erroneita' dei
presupposti  in  fatto  posti  a  base  del decreto impugnato, e alla
mancanza  di  prova  circa  il  momento dell'ingresso in Italia dello
straniero, non appare fondato. Ed infatti, premesso che il ricorrente
non  ha  disconosciuto la firma da lui apposta sul modulo plurilingue
della  Questura  di Genova (c.d. dichiarazione d'identita' personale)
versato  in atti dall'amministrazione, in relazione alla compilazione
dello  stesso  non  si  pone un problema di comprensione o meno della
lingua  italiana,  in quanto il modulo in questione contiene anche la
traduzione in lingua spagnola dell'informazione che viene richiesta a
chi  e'  chiamato a compilarlo. Non vi e' pertanto motivo di dubitare
della veridicita' di quanto affermato dal signor Navarra Ripalta, nel
punto  in  cui  egli ha dichiarato di essere entrato nel nostro paese
nel gennaio del 2002.
    Cio' comporta l'essere pienamente integrata la fattispecie di cui
all'art. 13,  secondo  comma,  lettera  b)  del  d.lgs.  n. 286/1998,
relativa  al  fatto di essersi lo straniero trattenuto nel territorio
dello  Stato  senza  avere  richiesto  il  permesso  di soggiorno nel
termine  previsto  (otto  giorni  lavorativi  dall'ingresso, ai sensi
dell'art. 5,   comma 2,   del  citato  testo  normativo).  In  ordine
all'ipotesi  di  un ritardo dovuto alla forza maggiore il ricorrente,
non  solo  non  ha  offerto  alcuna prova in tal senso, ma neppure ha
fatto cenno a tale problematica.
    Quanto  al  motivo  del  ricorso  riguardante  il  mancato avviso
dell'avvio  della  procedura  di  cui  il  ricorrente  si  duole,  la
giurisprudenza  di  questo  ufficio  e'  consolidata nel senso che, a
fronte  del nuovo quadro normativo determinato dall'entrata in vigore
della  legge  n. 189/2002,  l'avvenuta  tipizzazione delle ipotesi di
espulsione  amministrativa  dello  straniero  esclude  l'esercizio di
potere  discrezionale  da  parte  dell'Autorita' competente, la quale
infatti,  accertata la ricorrenza di una delle ipotesi previste dalla
legge,  e'  tenuta  alla  emissione  del  decreto  di  espulsione. In
sostanza,  proprio  in ragione del carattere obbligatorio e vincolato
sopra  delineato  del  provvedimento di espulsione, previsto ai sensi
dell'art. 13,  secondo  e  terzo  comma, della c.d. legge Bossi-Fini,
l'amministrazione puo' dirsi esonerata dall'obbligo di cui all'art. 7
della  legge n. 241/1990, ferma restando la possibilita' di differire
il  pieno  contraddittorio tra l'organo che emette il provvedimento e
chi ne e' destinatario nel giudizio avanti al giudice ordinario.
    Si  consideri  inoltre  che,  nel caso in esame, non pare neppure
potersi  censurare  il provvedimento impugnato sotto il profilo della
carenza di motivazione (si v. ad sul punto in una fattispecie analoga
Trib.  di  Trento ord. 7 dicembre 2002, est. Pascucci, ric. M.A.E.) o
dell'eccesso di potere (si v. ad es. Trib. Genova ord. 22 marzo 2004,
est.  Martinelli,  ric.  P.D.M.E.),  posto  che  dallo  stesso modulo
plurilingue  versato  in  atti  si  evince  che l'odierno ricorrente,
invitato  dalla  competente  autorita' amministrativa ad attestare il
suo   inserimento   sociale   e  familiare,  non  ha  fornito  alcuna
precisazione in merito.
    Relativamente  alle  doglianze  del  difensore  incentrate  sulla
normativa  internazionale  che  tutela  l'unita'  familiare anche con
riguardo  a  cittadini  stranieri,  non pare consentito al giudicante
l'annullamento  del  decreto  di  espulsione  in  esame,  e  cio'  in
considerazione  del fatto che esso e' stato correttamente motivato su
di  una  violazione  di legge che, come si e' visto, e' espressamente
prevista dalla vigente legislazione italiana di settore.
    A questo punto devono necessariamente essere affrontati i profili
di  incostituzionalita'  della  normativa  in  materia  di  stranieri
evidenziati  dalla  difesa  che,  sia  pure  in  via  subordinata, ha
sottolineato   il   presunto  contrasto  tra  la  normativa  posta  a
fondamento  del  provvedimento  impugnato  con  il diritto all'unita'
della famiglia. Prima di entrare nel merito delle questioni sollevate
e'  opportuno  dare  atto  delle risultanze di fatto emerse nel corso
della  presente procedura, per quanto concerne il nucleo parentale di
riferimento del signor Navarro Ripalta.
    A conferma di quanto affermato in sede di ricorso, sul territorio
nazionale risultano essere presenti la moglie del ricorrente, signora
Mlartha Patricia Guiracocha Castro, di professione badante, munita di
regolare   permesso  di  soggiorno,  nonche'  titolare  contratto  di
locazione  ad uso abitativo in Castellazzo Bormida (AL), regolarmente
registrato,  e  la  figlia minore, M.D.L.A.N.G., nata 13 luglio 1999,
regolarmente iscritta e frequentante la Scuola Materna di Castellazzo
Bormida.  In  definitiva  il  ricorrente  risulta essere un cittadino
ecuadoregno,  che  all'eta' di circa 30 anni ha raggiunto in Italia i
suoi  familiari,  evidentemente nella speranza di potere ricostituire
nel  nostro  paese l'unita' del nucleo parentale gia' esistente nella
nazione  di origine (come comprovato dalla documentazione autenticata
versata in atti).
    Tutto  cio' precisato in linea di fatto, va ricordato in punto di
diritto  il  contenuto  dell'art. 2  del  d.lgs. n. 286/1998 il quale
prevede  che  allo straniero, «comunque presente sul territorio dello
Stato», sono riconosciuti «i diritti fondamentali della persona umana
previsti   dalle   norme   di   diritto  interno,  dalle  convenzioni
internazionali  in  vigore,  e dai principi di diritto internazionali
generalmente  riconosciuti».  Non puo' essere poi contestato il fatto
che   tra   i   diritti   fondamentali  della  persona,  riconosciuti
dall'art. 2  della  Carta  costituzionale, rientri a pieno titolo «il
diritto all'unita' familiare». Lo stesso giudice delle leggi ha avute
modo di affermare la piena equiparazione degli stranieri ai cittadini
italiani  per  quanto concerne il godimento dei diritti in materia di
famiglia (si v. ad es. le sentenze n. 28/1995, e n. 203/1997).
    In   particolare   la   Corte,   piu'  recentemente  (cfr.  sent.
n. 376/2000),  ha  ribadito che la piu' ampia protezione riconosciuta
alla famiglia non puo' non prescindere dalla condizione, di cittadini
o   di   stranieri  (dei  genitori),  trattandosi  di  diritti  umani
fondamentali,  cui  puo'  derogarsi  solo in presenza di specifiche e
motivate  esigenze  volte  alla  tutela  delle  stesse  regole  della
convivenza democratica.». Proprio nella pronuncia da ultimo citata e'
stato evidenziato come i principi di protezione dell'unita' familiare
trovino  riconoscimento, non solo nella nostra Costituzione (artt. 29
e  30), ma anche in svariate disposizioni dei trattati internazionali
ratificati  dall'Italia  (gli artt. 8 e 12 della legge 4 agosto 1955,
n. 848   che   ha  reso  esecutiva  la  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia  dei  dritti  dell'uomo  e  delle liberta' fondamentali;
l'art. 10  del  Patto  internazionale  relativo  a diritti economici,
sociali  e  culturali; l'art. 23 del Patto internazionale relativo ai
diritti  civili  e  politici,  resi  esecutivi dalla legge 25 ottobre
1977, n. 881).
    In  particolare  va sottolineato come il diritto all'unita' della
famiglia,  secondo  la  prospettiva delineata dall'art. 8 della CEDU,
risponda all'esigenza che la vita familiare di un soggetto, anche non
cittadino, possa soffrire ingerenza da parte della pubblica autorita'
solo  quando  cio'  si riveli necessario «per la sicurezza nazionale,
l'ordine  pubblico,  il benessere economico del paese, la prevenzione
dei  reati,  la protezione della salute o della morale, la protezione
dei   diritti  e  delle  liberta'  altrui».  In  argomento  non  pare
irrilevante  ricordare  che le norme della Convenzione europea per la
salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e delle liberta' fondamentali,
fatte  salve  quelle  il  cui contenuto e' di genericita' tale da non
delineare  fattispecie  sufficientemente  puntualizzate, hanno valore
precettivo, secondo l'interpretazione che ne ha dato la Suprema Corte
(cfr.  Cass.  Sez. Un. 8 maggio 1989, n. 15), nel senso che esse sono
di  «immediata  applicazione  nel  nostro paese e vanno concretamente
valutate  nella loro incidenza sul piu' ampio complesso normativo che
si  e'  venuto  a  determinare  in  conseguenza  del loro inserimento
nell'ordinamento italiano».
    Con  riferimento  al  caso  in oggetto, e ai fini della rilevanza
della  questione di costituzionalita' in esame, va detto che, pur non
potendosi  negare  la  necessita'  di un bilanciamento tra il diritto
all'unita'   familiare   e   l'interesse   dello   Stato  a  regolare
l'immigrazione  nel  nostro  Paese  (cfr. sul punto Corte europea dei
diritti,  21 dicembre  2001,  Sen.  c.  Paesi  Bassi),  l'inserimento
lavorativo  del  coniuge  del  ricorrente  attestato  dal permesso di
soggiorno,   l'eta'   della   figlia  minore  (4  anni)  regolarmente
frequentante  la  scuola materna (come da dichiarazione del Dirigente
Scolastico  dell'Istituto  «G.  Pochettino»),  e dunque l'inserimento
complessivo  del  nucleo  familiare  sul  territorio  italiano, rende
astratta   e,  pertanto,  non  proponibile,  l'ipotesi  che  l'unita'
familiare  possa  essere  realizzata  dalla  ricorrente, dalla moglie
dalla figlia in altro Paese anziche' nel nostro.
    In   altre   parole,   se   e'   vero   che   in  questa  materia
l'amministrazione  deve  compiere  valutazioni  connesse  ad esigenze
pubblicistiche,  con  particolare riguardo a quelle in tema di ordine
pubblico,  di  prevenzione  dei reati e similari, le quali potrebbero
sotto   tali   profili  giustificare  provvedimenti  di  diniego  nei
confronti  delle  istanze dei cittadini stranieri, e altrettanto vero
che  l'espulsione in esame (la quale, per le ragioni sopra anticipate
non  contiene  alcuna  valutazione  circa la situazione familiare del
soggetto)  determina  l'inevitabile  traumatica  rottura di un nucleo
familiare  coeso  (avendo  tra  l'altro  la signora Guiracocha Castro
dichiarato  voler  mantenere l'unita' del suo nucleo familiare «ormai
radicato  in  Italia»;  si  v.  sul  punto il doc. 12 in atti), cosi'
sottraendo  il  ricorrente anche alle sue funzioni paterne. Alla luce
di quanto sopra esposto, negare, con l'emanazione di un provvedimento
di  espulsione,  il diritto del ricorrente a convivere con la propria
famiglia  legittima  in  Italia  appare  non  conforme alla normativa
costituzionale e internazionale.
    Per  tutte  le ragioni indicate non appare infondata la questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 19,  secondo  comma,  del
d.lgs. n. 286/1998, laddove nel disciplinare i divieti di espulsione,
sotto  la  lettera c),  si  limita  a prevedere la non espellibilita'
degli  stranieri  «conviventi  con  parenti  entro il quarto o con il
coniuge  di  nazionalita'  italiana»,  senza  prendere minimamente in
considerazione  la  tutela  degli  stranieri  tout  court,  anch'essi
titolari  del diritto all'unita' familiare, gia' conviventi in Italia
con   il   coniuge,   in   regola   con   il  permesso  di  soggiorno
(ed eventualmente  con  i  figli),  con  i  quali  potrebbero  essere
ricongiunti ai sensi della stessa legge in materia di immigrazione.
    Tale  previsione  fortemente  restrittiva  appare irragionevole e
gravemente  lesiva  di  quel  diritto  all'unita'  familiare  di cui,
sussistendo  determinati  presupposti, dovrebbe poter godere anche lo
straniero,  presente  sul  territorio dello Stato, nella sua veste di
marito  e  padre. Per le stesse ragioni appare non infondata anche la
questione  di  costituzionalita' degli artt. 29 e 30 del citato testo
normativo,  laddove  con riguardo, rispettivamente, alle richieste di
ricongiungimento  familiare  e  di  permesso  di soggiorno per motivi
familiari, tali disposizioni non prevedono che di tali istituti possa
beneficiare   anche   lo   straniero,   avente  i  requisiti  per  il
ricongiungimento, ma gia' presente sul territorio nazionale in quanto
convivente con la propria famiglia.
    Con  riguardo  specificamente  all'art. 30,  va  segnalato che il
comma 1, lettera d), della suddetta disposizione nel prevedere che il
permesso  di  soggiorno  per  motivi  di  famiglia  e'  rilasciato al
«genitore  straniero  anche naturale di minore italiano, residente in
Italia  (...) anche a prescindere dal possesso di un valido titolo di
soggiorno (...)» crea una evidente (e, per quanto si e' in precedenza
esposto,  ingiustificata)  sperequazione tra lo straniero genitore di
minore  italiano  e  lo  straniero  genitore di un minore tout court,
laddove  quest'ultimo  sia  pure regolarmente residente in Italia. In
definitiva,  ad  avviso  di  questo,  l'attuale  normativa in tema di
immigrazione  determina,  in  argomento,  una  situazione  fortemente
irrazionale  e  paradossale, atteso che uno straniero, titolare, come
nel  caso  di specie, del diritto al ricongiungimento familiare, puo'
esercitare  tale diritto esclusivamente trovandosi all'estero, mentre
nel   caso   in   cui   si  trovi  gia'  in  Italia,  egli  si  trova
nell'impossibilita'  di regolarizzare la propria posizione e si vede,
quindi,  costretto  ad  abbandonare  il  proprio nucleo familiare per
rientrare  (e  permanere  per  un  lungo  periodo)  nel proprio Paese
d'origine,  al  fine  di  potere  promuovere  da  li' la procedura di
ricongiungimento.