LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

    Ha   emesso   la   seguente  ordinanza  sull'appello  n. 1198/05,
depositato il 4 marzo 2005, avverso la sentenza n. 670/03/2004 emessa
dalla   Commissione   tributaria   provinciale   di   Roma,  proposto
dall'ufficio  Banca  Monte dei Paschi di Siena - Concessionaria serv.
risc. trib.ti difeso da Thaulero Filippone Carlo, via dei Normanni, 1
- 00184 Roma;
    Controparte:  D'Urso  Massimo,  via  dei  Ciclamini,  16  - 00055
Ladispoli (RM); atti impugnati: cartella di pagamento IRPEF.
    Con  atto  del  26  giugno  2003 il sig. D'Urso Massimo proponeva
ricorso   contro   cartella  di  pagamento  relativa  ad  IRPEF  1993
notificatagli il 20 giugno 2003, eccependone la tardivita'.
    Successivamente  il  concessionario per la riscossione notificava
al  ricorrente  preavviso  di  fermo amministrativo di veicolo di sua
proprieta',  ai  sensi dell'art. 86, d.P.R. n. 602/1973, recante data
28 gennaio 2004; contro tale nota proponeva ricorso il D'Urso in data
3 marzo 2004.
    La  Commissione  tributaria  provinciale  di  Roma, riuniti i due
ricorsi,  li  accoglieva ritenendo tardiva, e di conseguenza priva di
effetto,  la  notifica  della  cartella  di  pagamento annullando nel
contempo  il  preavviso  di  fermo  amministrativo  con  condanna del
concessionario   al  pagamento  delle  spese  di  lite  motivato  dal
«notevole pregiudizio economico e morale del contribuente».
    Propone  appello  il Monte dei Paschi di Siena, nella qualita' di
concessionario per la riscossione per la provincia di Roma eccependo,
tra l'altro, il difetto di giurisdizione delle Commissioni tributarie
in materia di fermo amministrativo.
    1.  - Osserva il Collegio che la questione della giurisdizione in
relazione  al  fermo  di  veicoli  (c.d.  ganasce  fiscali)  previsto
dall'art. 86,   d.P.R.   n. 603   del  1973  ha  formato  oggetto  di
contrastanti pronunce da parte dei Tribunale amministrativo regionale
ed  e'  stata di recente oggetto di esame da parte della V e della IV
sezione  del  Consiglio  di  Stato,  che hanno ritenuto sussistere la
giurisdizione del giudice ordinario.
    Anche  la  Corte  di  cassazione,  con  pronuncia resa in sede di
regolamento di giurisdizione ha ritenuto esservi la giurisdizione del
giudice ordinario (Cass., ss. uu., 31 gennaio 2006, n. 2053).
    Questo    Collegio   dovrebbe,   pertanto,   adeguarsi   a   tale
orientamento,  e,  per  l'effetto, declinare la propria giurisdizione
annullando sul punto la sentenza di primo grado.
    Ritiene  tuttavia  il  Collegio  che  il  diritto  vivente, quale
risulta  a  seguito  delle  citate  pronunce,  da'  luogo  a dubbi di
legittimita'   costituzionale   che   appaiono   non   manifestamente
infondati.
    La  controversia  investe  il  fermo  di  veicolo disposto da una
concessionaria  della  riscossione  di  entrate  tributarie,  a norma
dell'art. 86,  d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nel testo introdotto
dal d.lgs. 27aprile 2001, n. 193.
    Giova  ricordare  che  l'istituto  del  fermo  era stato inserito
dall'art. 5,  d.l.  31  dicembre  1996,  n. 669  nel testo del d.P.R.
n. 602 del 1973, con l'art. 91-bis del d.P.R. medesimo, per i veicoli
a  motore  ed  alcune  categorie  di  autoscafi,  attribuendosene  la
competenza  a  disporlo  alla  direzione  regionale delle imposte sui
redditi,    allorche'    il    concessionario    avesse    dimostrato
l'impossibilita'  di eseguire il pignoramento per mancato reperimento
del bene.
    Con la novella del d.P.R. n. 602 del 1973. disposta dal d.lgs. 26
febbraio  1999,  n. 46,  il  fermo  veniva  spostato nell'art. 86, ed
esteso  alla  generalita'  dei  beni mobili registrati, ma conservava
l'originaria  connotazione di strumento inteso alla conservazione del
bene  per  la  soddisfazione  del  credito  tributario, affidato alla
determinazione    dell'ufficio   finanziario   regionale,   allorche'
l'esecuzione   forzata   non   fosse  stata  possibile,  per  mancato
reperimento del bene.
    Sempre  con  la  novella  del  1999  il  fermo  veniva  inserito,
sistematicamente,   negli  atti  della  riscossione  (titolo  II)  e,
specificamente,  al  capo III, espressamente intitolato «Disposizioni
particolari  in materia di espropriazione di beni mobili registrati»,
in  immediata successione al capo intitolato «Espropriazione forzata»
(capo  II),  nella  cui  sezione  I  sono  contenute  le disposizioni
generali  in  tema  di  riscossione  coattiva, fra cui quelle dettate
dall'art. 50 (termine per l'inizio dell'esecuzione).
    La   disciplina   introdotta  nel  1999  -  con  l'attribuire  la
competenza a disporre il fermo alla direzione regionale delle entrate
ed  il condizionarne l'esperimento al mancato reperimento del bene da
pignorare  -  lasciava  l'iniziativa  del  fermo  all'amministrazione
titolare  del  diritto  di  credito,  ed  al  concessionario  la  sua
esecuzione,  mediante l'iscrizione nel pubblico registro, dopo di che
il concessionario non era esonerato dal perseguire il bene attraverso
la procedura di pignoramento, con le conseguenti responsabilita'.
    Cio'   rallentava   in   maniera  sensibile  il  procedimento  di
riscossione coattiva, accentuando l'aleatorieta' del recupero.
    Con   il  d.lgs.  27  aprile  2001,  n. 193,  e'  stata  prevista
l'attribuzione diretta, al concessionario, della potesta' di disporre
la  misura  conservativa,  con il solo limite del decorso del termine
stabilito  dall'art. 50, comma 1, d.P.R. n. 602 del 1973 (vale a dire
il  termine per l'inizio del procedimento esecutivo) e salve, in ogni
caso, le dilazioni o le sospensioni di pagamento accordate.
    Tale   novella   si   inserisce   nel   quadro  delle  misure  di
semplificazione  ed accelerazione delle procedure, che il legislatore
nazionale  ha,  nella  piu' recente produzione normativa, delegato al
Governo, in questa come in altre materie.
    Il   testo  dell'art. 86,  d.P.R.  n. 602  del  1973,  nel  testo
introdotto  nel  2001, demanda ad un futuro regolamento la disciplina
attuativa: «con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con i
Ministri  dell'interno  e  dei  lavori  pubblici,  sono  stabiliti le
modalita',  i  termini  e  le  procedure  per  l'attuazione di quanto
previsto nel presente articolo», recita l'art. 86, comma 4.
    E'  sorta  questione  se,  nelle  more  dell'emanazione  di  tale
regolamento, che ancora non e' stato varato, fosse o meno applicabile
il  regolamento  esistente (d.m. 7 settembre 1998 n. 503), emanato in
attuazione  della  disciplina  precedente che, come visto, attribuiva
all'amministrazione    finanziaria,    e    non    direttamente    al
concessionario, il potere di disporre il fermo.
    La   questione   aveva   avuto  contrastanti  interpretazioni  in
giurisprudenza,    ma   la   tesi   prevalente   era   stata   quella
dell'inapplicabilita  della  nuova  disciplina,  non  essendo ad essa
adattabile il regolamento esistente.
    L'amministrazione  finanziaria,  che  con  circolari dell'Agenzia
delle  entrate  aveva  ritenuto  applicabile  il regolamento del 1998
anche  nel vigore della nuova disciplina (circolare 24 novembre 1999,
n. 221   e   risoluzione  1° marzo  2002,  n. 64),  si  era  adeguata
interlocutoriamente  al  prevalente orientamento giurisprudenziale, e
con risoluzione 22 luglio 2004, n. 92, aveva invitato i concessionari
della riscossione ad astenersi temporaneamente di disporre fermi.
    Da  ultimo,  e' intervenuto l'art. 3, comma 41, d.l. 30 settembre
2005,  n. 203,  conv.  nella legge 2 dicembre 2005, n. 248, che detta
una  norma  di  interpretazione autentica dell'art. 86, d.P.R. n. 602
del  1973,  e  stabilisce  che  le disposizioni del citato art. 86 si
interpretano  nel senso che, fino all'emanazione del decreto previsto
dal  comma 4 dello stesso articolo, il fermo puo' essere eseguito dal
concessionario  sui veicoli a motore nel rispetto delle disposizioni,
relative al d.m. 7 settembre 1998, n. 503 del Ministro delle finanze.
    L'Agenzia  delle  entrate  ha  adottato  la risoluzione 9 gennaio
2006,  n. 2/E,  con  cui  viene  revocata  la  precedente risoluzione
n. 92/2004,  e  si  consente  ai  concessionari  della riscossione di
procedere  in  via diretta al fermo, a condizione che l'iscrizione di
fermo  «sia  preceduta da un preavviso, contenente ulteriore invito a
pagare  le  somme  dovute,  esclusivamente presso gli sportelli della
competente  azienda  concessionaria, entro i successivi venti giorni,
decorsi   i  quali,  il  preavviso  stesso  assumera'  il  valore  di
comunicazione di iscrizione di fermo».
    2.   -  Questo  collegio  conosce  l'indirizzo  giurisprudenziale
favorevole  all'attribuzione  di  giurisdizione  sul punto al giudice
ordinario  da  ultimo ribadito dalle sezioni unite della Cassazione e
dal  Consiglio  di Stato (C. Stato, V, 13 settembre 2005, n. 4689; C.
Stato, sez. IV, 3 febbraio 2006, n. 418).
    2.1.  -  Secondo  la  Corte  di  cassazione  (Cass., sez. un., 31
gennaio  2006,  n. 2053)  «il  fermo  amministrativo  di  beni mobili
registrati  del  debitore d'imposta e' preordinato all'espropriazione
forzata.
    Ne  fa  fede  il fatto che il rimedio s'inserisce nel proccsso di
espropriazione   forzata  esattoriale,  il  quale  e'  segnato  dalle
seguenti  tappe:  l'iscrizione  del  credito a ruolo (art. 49, d.P.R.
n. 602/1973);  la  notificazione  al  contribuente  della cartella di
pagamento al fine della decorrenza del termine dilatorio per l'inizio
dell'esecuzione   (art. 50,   d.P.R.   citato);  la  possibilita'  di
iscrivere  il  fermo  nei registri mobiliari (art. 51, d.P.R. citato)
per  sottrarre  il  bene  sia  alla  circolazione naturale secondo il
disposto  dell'art. 214,  comma  8,  del  codice  della strada, sia a
quella  giuridica  attraverso  la  inopponibilita'  al concessionario
degli  atti  di disposizione successivi del bene, secondo il disposto
dall'art. 5, comma 1, d.m. n. 503/1998.
    Il    fermo    amministrativo,   dunque,   e'   atto   funzionale
all'espropriazione  forzata  e,  quindi,  mezzo  di realizzazione del
credito allo stesso modo con il quale la realizzazione del credito e'
agevolata dall'iscrizione ipotecaria ex art. 77, d.P.R. citato.
    Se  ne  ricava che la tutela giudiziaria esperibile nei confronti
del  fermo  amministrativa  si  deve  realizzare  davanti  al giudice
ordinario  con  le  forme,  consentite  dal  vigente  art. 57, d.P.R.
citato, dell'opposizione all'esecuzione o agli atti esecutivi.
    Si  deve  aggiungere  che  nella  materia  non ricorre neppure la
giurisdizione  esclusiva del giudice amministrativo, giacche', con la
richiesta   di   trascrizione   nei   registri  mobiliari  del  fermo
amministrativo,  il  concessionario  non  esercita  alcun  potere  di
supremazia  in  materia  di  pubblici  servizi  che,  alla luce della
pronuncia  della Corte costituzionale n. 204/2004, giustifichi questa
forma di giurisdizione amministrativa».
    2.2.  -  Ad  avviso  del  Consiglio  di  Stato  (V  sezione),  la
disciplina  del fermo recata dall'art. 86, d.P.R. n. 602 del 1973 non
attribuirebbe  al  concessionario  poteri  di  natura  amministrativo
-tributaria,  propri dell'amministrazione, bensi' si muoverebbe nella
logica   -   propria  del  diritto  comune  -  dell'attribuzione  (al
creditore) di strumenti idonei a ricercare e conservare i cespiti del
patrimonio  del  debitore  idonei  a garantire, in sede esecutiva, la
soddisfazione  de1  credito, sia pure con la peculiarita' connesse al
titolo per il quale si procede alla riscossione coattiva.
    Pertanto,  sia  prima, sia successivamente alla riforma del 2001,
il  fermo  dei beni mobili registrati assolverebbe ad una funzione di
conservazione   del  cespite  patrimoniale  del  debitore,  in  vista
dell'espropriazione  forzata  intesa  alla  realizzazione del credito
tributario,  per molti versi assimilabile (con le peculiarita' dovute
alla  natura  del  bene)  all'iscrizione ipotecarla sui beni immobili
prevista dall'art. 77 dello stesso decreto.
    Dalla  collocazione  sistematica  e  dal testo della norma che lo
prevede  (nella  formulazione  attuale  ed  in  quelle precedenti) si
evincerebbe  che  lo  strumento,  pur non ponendosi ancora nella fase
della  esecuzione,  o  degli  atti  esecutivi,  costituisce  un mezzo
cautelativo    ed    anticipatorio    degli   effetti   espropriativi
dell'esecuzione, che sottrae il bene innanzitutto all'uso al quale e'
destinato  (e  da  cui  potrebbero derivare conseguenze dirette sulla
idoneita'  a soddisfare, con l'esecuzione, la realizzazione coattiva,
totale  o  parziale,  del  credito) ed alla circolazione giuridica in
danno del creditore.
    In  tale  contesto, l'enunciato secondo cui, trascorso il termine
previsto   dal   primo  comma  dell'art. 50  (sessanta  giorni  dalla
notificazione  della  cartella  di pagamento) il concessionario «puo»
disporre   il   fermo  amministrativo  del  bene  mobile  registrato,
conferirebbe, al soggetto responsabile della riscossione, non gia' un
singolare   potere   autoritativo  e  discrezionale  in  vista  degli
interessi  pubblici specifici affidati alla cura dell'amministrazione
concedente,  bensi' una potesta' che si colloca (concettualmente) nel
quadro  dei  diritti  potestativi  del  creditore (quale e' quello di
promuovere  atti  conservativi  sul  patrimonio del debitore in vista
della  esecuzione forzata) che trovano nel diritto comune la naturale
collocazione e nel giudice ordinario di quello naturale, in quanto la
soggezione  del debitore all'esercizio della potesta' ha la sua fonte
nel  debito certo, liquido ed esigibile, che vincola il debitore alla
sua  estinzione  (con i mezzi ordinari o con l'esecuzione forzata), e
nel rapporto obbligatorio la sua intrinseca giustificazione.
    La  controversia  relativa  al  fermo,  sia  nella fase della sua
esecuzione  che  in  quella della sua disposizione, della quale viene
dato  avviso  al  debitore,  non  riguarderebbe ne' il tributo per il
quale  si  procede  alla  riscossione,  ne'  la  materia del pubblico
servizio   anche   nella   piu'  lata  accezione  assunta  dal  testo
dell'art. 33,  d.lgs.  31  marzo  1998,  n. 80 (come sostituito dalla
legge n. 205 del 2000, e prima dell'intervento demolitore della Corte
costituzionale),  ma  si  muoverebbe  su  di  un  binario  del  tutto
differente,  che ha nel giudice ordinario l'autorita' giurisdizionale
deputata  a  conoscere delle relative controversie (nel limite in cui
le  stesse non siano sottratte alla cognizione di alcun giudice) come
specificato  dall'art. 57, d.P.R. n. 602 del 1973 (che non ammette le
opposizioni  di  cui  all'art. 615 c.p.c., fatta eccezione per quelle
relative alla pignorabilita' dei beni).
    Sempre  nella  logica  di  siffatta impostazione privatistica, e'
stato  anche osservato (Tribunale amministrativo regionale Campania -
Napoli,  sez.  I,  16  settembre 2004, n. 12025) che l'esecuzione del
fermo,  affidata  ora direttamente al concessionario, non costituisce
altro  che  l'espressione  dello  jus  eligendi  (diritto  di scelta)
ordinariamente  riconosciuto, nelle procedure esecutive, al creditore
procedente   tra  i  diversi  mezzi  di  aggressione  del  patrimonio
dell'esecutato o tra diversi beni passibili di esecuzione forzata; si
tratta,  dunque,  di  una  facolta'  di  diritto  comune destinata ad
incidere  nella  sfera  giuridica  del  debitore  (ne  non vi si puo'
sottrarre  se  non  con  l'estinzione  del  debito), accostabili alle
potesta'   amministrative,   soltanto  per  il  tratto  comune  della
soggezione  di  chi e' destinato a subirle, senza che, per questo, il
potere  esercitato  esca  dalla sfera delle relazioni intersoggettive
per  essere ricondotto ai rapporti governati dal diritto pubblico, la
cui tutela appartiene al la cognizione del giudice amministrativo.
    La  sezione  V del Consiglio di Stato conclude pertanto nel senso
che  il fermo sarebbe atto funzionale alla esecuzione, che - pure con
le  connotazioni  particolari  derivanti  dalla  natura  del rapporto
obbligatorio  in forza del quale il debitore e' tenuto al pagamento e
della  legislazione  speciale che lo prevede, accordando poteri extra
ordinem  al  creditore  ed allo stesso incaricato della riscossione -
dovrebbe  comunque  essere inquadrato (per di piu' nella sistemazione
piu' corretta derivante dalla riforma del 2001, che ha opportunamente
individuato  nello  stesso responsabile della riscossione il soggetto
abilitato  a disporlo) fra gli strumenti di conservazione dei cespiti
patrimoniali  sui  quali  puo'  essere  soddisfatto  coattivamente il
credito,  che  l'ordinamento ordinariamente appresta alla generalita'
dei  creditori (in base alla scelta politica, di carattere generale e
di  diritto  comune,  di una tutela piu' incisiva degli interessi dei
creditori,  nel  rapporto intersoggettivo debito-credito), cosi' come
prodromica   all'esecuzione   e'   la  notificazione  della  cartella
esattoriale  che  assolve,  nel  procedimento  di  riscossione,  alla
medesima  funzione  della  notiticazione del precetto di pagamento di
diritto comune.
    In tale quadro, la cognizione delle controversie ad esso relativo
si  sottrarrebbe alla giurisdizione del giudice amministrativo, sia a
quella  costitutiva  di  legittimita'  (non  essendovi  provvedimento
amministrativo  lesivo  di  interessi legittimi del titolare del bene
che   ne   assoggettato)  sia  a  quella  esclusiva,  eccezionalmente
demandata a tale giudice.
    Una certa propensione a ricondurre l'istituto nella giurisdizione
esclusiva del giudice ammnistrativo sarebbe, secondo la V sezione del
Consiglio di Stato, ormai risolta, in radice, in senso contrario, dal
ridimensionamento  delle  attribuzioni  del  giudice  amministrativo,
conseguente  alla  sentenza della Corte costituzionale 6 luglio 2004,
n. 204,  che  ha significativamente modificato il testo dell'art. 33,
d.lgs.  31  marzo 1998, n. 80 (come sostituito dalla legge n. 205 del
2000),  dichiarandone, tra l'altro, l'illegittimita' del primo comma,
nella  parte  in  cui  prevede  che  sono devolute alla giurisdizione
esclusiva  del  giudice  amministrativo  «tutte  le  controversie  in
materia  di  pubblici  servizi,  ivi  compresi  quelli»  anziche' «le
controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di
pubblici  servizi,  escluse  quelle concernenti indennita', canoni ed
altri  corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati' dalla
pubblica  amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un
procedimento  amministrativo  disciplinato dalla legge 7 agosto 1990,
n. 241,   ovvero  ancora  relative  all'affidamento  di  un  pubblico
servizio,  ed  alla  vigilanza e controllo nei confronti del gestore,
nonche».
    3.  - In difformita' dal suesposto orientamento, ritiene tuttavia
questo Collegio che vi siano fondati argomenti per affermare:
        a)  che  il  fermo di cui all'art. 86, d.P.R. n. 602 del 1973
sia un provvedimento amministrativo;
        b)  che su tale provvedimento non vi sia la giurisdizione del
giudice ordinario.
    3.1.  -  In relazione alla prima affermazione, in sintesi, sembra
corretto  ricostruire  il  fermo come provvedimento amministrativo di
autotutela conservativa del patrimonio del debitore tributario, e non
come  strumento di autotutela civilistica in un ordinario rapporto di
credito debito.
    3.2.  -  Giova  anzitutto osservare che il d.P.R. n. 602 del 1973
nel  suo  titolo II disciplina la «riscossione coattiva», e, nel capo
II di tale titolo, la «espropriazione forzata».
    Tale   collocazione   sistematica,  unitamente  ad  argomenti  di
carattere  storico  e  sistematico,  evidenzia  che  l'espropriazione
forzata    esattoriale    ha    connotati    profondamente    diversi
dall'espropriazione  forzata  disciplinata  nel  codice  di procedura
civile.  I  due  istituti, identici solo nel nome, sono diversi nella
natura  giuridica:  il  primo  e'  un procedimento amministrativo, il
secondo e' un processo giurisdizionale.
    E,  invero,  il c.d. patto commissorio, che consente al creditore
di  soddisfarsi  in  via di autotutela sul patrimonio del debitore, e
dunque    con    una    espropriazione   forzata   privatistica,   e'
dall'ordinamento  vietato per la generalita' dei creditori (art. 2744
cod.  civ.).  in  quanto  la  soddisfazione  del  credito  in  via di
espropriazione  forzata  e'  affidata  ad un vero e proprio processo,
sotto  il  controllo  di  un  giudice, il c.d. processo di esecuzione
(libro III del cod. proc. civ.).
    Al  divieto  generalizzato  di  autotutela  esecutiva  si sottrae
tutt'oggi,  almeno  in  parte,  lo  Stato per i crediti tributari: il
d.P.R.   n. 602   del   1973   disciplina   l'espropriazione  forzata
nell'ambito    della   riscossione,   sancendo   che   all'esecuzione
esattoriale  si applica il cod. proc. civ. solo se non derogato e nei
limiti  della compatibilita'. Si tratta, pertanto, di un procedimento
amministrativo, con limitati momenti di processualizzazione.
    Da  una  disamina  del  d.P.R.  n. 602  del  1973  si  evince che
l'espropriazione  forzata  a soddisfacimento dei crediti tributari e'
connotata da molteplici profili di autotutela pubblica esecutiva, che
sono  il  residuo di antichi privilegi del creditore, conservati solo
allo Stato in ragione delle peculiarita' del credito tributario.
    In  sintesi, l'espropriazione forzata di cui al d.P.R. n. 602 del
1973  e'  condotta  dallo  stesso  concessionario della riscossione e
dall'ufficiale della riscossione, e l'intervento del giudice e' molto
piu'   limitato  e  ristretto  rispetto  al  processo  di  esecuzione
delineato dal cod. proc. civ. in dettaglio:
        l'art. 49,    d.P.R.    n. 602    dcl    1973   avverte   che
all'espropriazione  forzata si applica il cod. proc. civ. solo se non
derogato e solo nei limiti della compatibilita':
        l'art. 49,  comma  3,  aggiunge  che  le  funzioni  spettanti
all'ufficiale giudiziario nel processo di esecuzione, sono attribuite
all'ufficiale della riscossione;
        la   vendita   dei   beni  pignorati  e'  fatta  a  cura  del
concessionario  della riscossione, senza necessita' di autorizzazione
del  giudice  (art. 52),  e  il  procedimento di vendita si svolge in
maniera diversa rispetto a quanto prevede il cod. proc. civ.;
        e'    fortemente   limitata   l'ammissibilita'   dei   rimedi
processualcivilistici      dell'opposizione      all'esecuzione     e
del'opposizione agli atti esecutivi, di cui agli artt. 615 e 617 cod.
proc. civ. (art. 57, d.P.R. n. 602 del 1973);
        e'  eccezionale  la  possibilita'  che  il  giudice  sospenda
l'esecuzione esattoriale (art. 60).
    Da  tale quadro si evince che l'espropriazione forzata del d.P.R.
n. 602   del  1973  ha  connotati  peculiari  che  la  avvicinano  ai
procedimenti   amministrativi  ablatori,  e  dunque  a  strumenti  di
autotutela pubblicistica, piu' che al processo di esecuzione forzata.
    Ed   e'  in  tale  quadro  che  va  collocato  il  fermo  di  cui
all'art. 86,  d.P.R.  n. 602 del 1973, che e' strumento di autotutela
nell'ambito del procedimento amministrativo di riscossione coattiva e
non rimedio cautelare nell'ambito del processo di esecuzione forzata.
    3.3.  -  Si  deve,  in secondo luogo, considerare che il processo
civile  non  conosce, nell'ambito del processo di esecuzione forzata,
strumenti   di   autotutela   conservativa   rimessi   all'iniziativa
unilaterale  del  creditore,  il  quale  e'  invece  sempre  tenuto a
rivolgersi  al  giudice per assicurarsi la conservazione dei beni del
debitore a garanzia delle proprie ragioni di credito.
    Viceversa,  il  d.P.R.  n. 602  del  1973  ha  attributito, prima
all'amministrazione  tributaria, e poi direttamente al concessionario
della  riscossione,  un  potere di autotutela conservativa a garanzia
della  riscossione  del  credito tributario, costituito dal fermo dei
beni mobili registrati (in primis, veicoli a motore e autoscafi).
    Invero, si tratta di strumento che sortisce l'effetto di impedire
la  circolazione  del  bene,  e  di rendere inopponibili al creditore
tributario gi atti di disposizione del bene (art. 5, d.m. 7 settembre
1998, n. 503).
    Si  tratta  dunque  di misura che sortisce effetti analoghi ad un
sequestro  conservativo, con la peculiarita' che viene disposta senza
l'intervento  di  alcun giudice, ma in virtu' di un atto dello stesso
concessionario.
    Si   verifica,   pertanto,  una  limitazione  delle  facolta'  di
godimento  e  di  disposizione  inerenti al diritto di proprieta', in
virtu'  di  un  atto  autoritativo  unilaterale, e dunque secondo una
vicenda  assimilabile  ai  provvedimenti  amministrativi ablatori, e,
segnatamente, alle requisizioni.
    3.4.  - Prima della novella del 2001, il fermo veniva chiesto dal
concessionario   della   riscossione,   e   disposto   con   un  atto
dell'amministrazione    finanziaria,    che    veniva   espressamente
qualificato   dal   legislatore   come  «provvedimento»,  di  cui  il
concessionario  curava  l'iscrizione  nei  pubblici registi ((art. 4,
d.m. n. 503/1998).
    Anche la versione novellata dell'art. 86, d.P.R. n. 602 del 1973,
nonostante   attribuisca   direttamente   al   concessionario   della
riscossione  il potere di disporre il fermo, continua a parlare di un
«provvedimento»  di fermo, stabilendo che il fermo si esegue mediante
iscrizione  nei registri mobiliari «del provvedimento che lo dispone»
(art. 86, comma 2).
    Emerge dunque un dato letterale inequivoco: infatti l'espressione
«provvedimento»  e'  tipicamente impiegata, nel linguaggio normativo,
per indicare gli atti autoritativi della pubblica amministrazione.
    3.5.  -  Oltre  al  dato  letterale, soccorrono considerazioni di
carattere sistematico.
    Mentre  la  generalita' dei creditori non dispone di strumenti di
autotutela  esecutiva  e  conservativa,  invece con l'art. 86, d.P.R.
n. 602 del 1973 si attribuisce al creditore un potere particolarmente
incisivo della sfera del debitore, che si giustifica solo in funzione
del  rilevante  interesse  pubblico  connesso  alla  riscossione  del
credito tributario.
    Non  vi  e'  pertanto  un  paritetico rapporto di credito-debito,
riconducibile  allo schema diritto soggettivo - giudice ordinario, ma
un  potere autoritativo unilaterale strumentale al soddisfacimento di
un  interesse pubblico, riconducibile allo schema interesse legittimo
- giudice amministrativo.
    Prima  della novella del 2001, il potere di disporre il fermo era
attribuito  all'autorita'  amministrativa:  l'attribuzione,  ora,  al
concessionario  della riscossione, risponde ad esigenze di celerita',
ma  non  muta  la natura dello strumento, che rimane un provvedimento
autoritativo,   attribuito   al   concessionario  secondo  lo  schema
dell'esercizio privato di pubbliche funzioni.
    Va  anche  considerato  che  mentre  prima  del 2001 il fermo era
condizionato  al mancato riferimento del bene da pignorare, nel testo
vigente  dell'art. 86  il  fermo  puo'  essere disposto a prescindere
dall'esito infruttuoso del pignoramento.
    Cio'  implica  che  il  fermo  puo'  essere  disposto con la sola
condizione  che sia inutilmente decorso il termine di sessanta giorni
dalla  notificazione  della  cartella  di  pagamento, ma e' del tutto
svincolato dall'inizio del procedimento di esecuzione forzata, inizio
che,  secondo  la  regola  generale divisata dall'art. 491 c.p.c., e'
segnato dal pignoramento.
    Sicche',   mentre   prima   della   novella  del  2001  il  fermo
presupponeva  quanto  meno  un  tentativo  di  avvio del procedimento
esecutivo  (con ricerca dei beni da pignorare e esito infiuttuoso del
pignoramento),  nel  testo  vigente il fermo e' svincolato dall'avvio
del processo esecutivo. Il che e' indizio del suo carattere di misura
di autotutela conservativa del patrimonio del debitore.
    3.6.  -  Si  deve,  ancora, osservare che il comma 3 dell'art. 86
dispone  che  chiunque  circola  con  veicoli, autoscafi o aeromobili
sottoposti al fermo e' soggetto alla sanzione prevista dall'art. 214,
comma 8, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285.
    Si  tratta  della  sanzione amministrativa pecuniaria e di quella
della  confisca del veieolo, previste dal codice della strada in caso
di circolazione di veicolo sottoposto a fermo amministrativo.
    Dunque,  sotto  il profilo sanzionatorio, la violazione del fermo
di  cui  all'art. 86 in commento viene normativamente equiparata alla
violazione del fermo amministrativo.
    Ora,  sarebbe  ben  strano,  se  il  fermo  di cui all'art. 86 in
commento  fosse  una  misura  di autotutela civilistica, che alla sua
violazione   non   conseguano   sanzioni   civili,   bensi'  sanzioni
amministrative.
    Ancora,  se  si  trattasse  di  atto  di  autotutela civilistica,
l'adempimento  da  parte  del  debitore  dovrebbe  di  per se' essere
sufficiente  a  far  venire  meno gli effetti del fermo: la prova del
pagamento  dovrebbe  consentire la cancellazione della iscrizione del
fermo  nei  registri  mobiliari.  Invece, l'art. 6, d.m. n. 503/1998,
stabilisce la inidoneita' della sola prova del pagamento a consentire
la  cancellazione  del  fermo. Occorre, invece, che il concessionario
comunichi   l'avvenuto   pagamento  alla  direzione  regionale  delle
entrate,  che  nei successivi venti giorni emette un provvedimento di
revoca  del  fermo  inviandolo  al  contribuente  (nel nuovo assetto,
compete al concessionario disporre la revoca del fermo). Solo dopo il
provvedimento di revoca, e' possibile, per il debitore, conseguire la
cancellazione  della  iscrizione  del  fermo,  recandosi al p.r.a. ed
esibendo il provvedimento di revoca.
    Tale  assetto denota che il fermo non e' un atto materiale, ma un
provvedimento  amministrativo, che produce i suoi effetti finche' non
viene  meno in virtu' di un atto di revoca, revoca che costituisce un
tipico  atto provvedimentale di ritiro, e interviene quando mutino le
circostanze  di fatto o per sopravvenuti motivi di pubblico interesse
ovvero   nel   caso  di  nuova  valutazione  dell'interesse  pubblico
originario (art. 21-quinquies, legge 7 agosto 1990, n. 241).
    3.7.  - Piu' in generale, va osservato che il d.m. n. 503/1998 ha
procedimentalizzato  il  fermo,  inserendolo  in  un  vero  e proprio
procedimento   amministrativo  (avviso  di  avvio  del  procedimento,
adozione  del  provvedimento  di  fermo,  revoca  del provvedimento),
sicche'  riesce difficile accogliere la prospettazione secondo cui il
fermo  rientra nel novero delle attivita' materiali di autotutela del
creditore in un rapporto paritario di credito-debito.
    In  piu',  come  si  evince  dall'ultima norma di interpretazione
autentica  dell'art. 86,  d.P.R. n. 602 del 1973, e dalla conseguente
risoluzione   dell'Agenzia  delle  entrate  n. 9  del  2006,  e'  ora
demandato  ai  concessionari della riscossione di adottare e revocare
il provvedimento di fermo, utilizzando il procedimento di cui al d.m.
n. 503/1998.  Sicche',  i  concessionari  della riscossione lungi dal
potersi limtare a chiedere al p.r.a. la iscrizione e la cancellazione
dell'  iscrizione  del  fermo,  devono  seguire  un  vero  e  proprio
procedimento  amministrativo,  con  un  tipico  esercizio  privato di
poteri pubblicistici.
    3.8.  -  In conclusione, sembra corretto ritenere che il fermo di
cui   all'art. 86,  d.P.R.  n. 602  del  1973  sia  un  provvedimento
amministrativo  di  autotutela,  in  funzione dell'interesse pubblico
sotteso  alla  soddisfazione  del  credito  tributario, attribuito al
concessionario  della riscossione che sotto tale profilo e' esercente
privato di una pubblica funzione.
    Si  tratta  di provvedimento riconducibile allo schema degli atti
ablatori.
    In  quanto  provvedimento amministrativo, discrezionale nell'an e
nel  quid,  deve  essere  congruamente motivato sia in relazione alla
sussistenza   di  un  interesse  pubblico  prevalente  sull'interesse
privato  alla  libera  disponibilita'  del bene sia in relazione alla
proporzione  tra  l'entita' del credito tributario da riscuotere e il
sacrificio che viene imposto al privato con la temporanea sottrazione
dell'uso e della disponibilita' giuridica del bene.
    4.  - Una volta ricostruito il fermo di cui all'art. 86 citato in
termini di provvedimento amministrativo, ad avviso del Collegio se le
norme  contenute  negli  artt. 49,  57,  86,  d.P.R. n. 602 del 1973,
nonche'  quelle  contenute  negli  articoli 2 e 19, d.lgs. n. 546 del
1992,  vengono interpretate, secondo il diritto vivente quale risulta
dalla  giurisprudenza,  nel  senso  di attribuire la giurisdizione al
giudice  ordinario,  le  stesse  appaiono  sospette di illegittimita'
costituzionale.
    E,  invero,  tali  norme non attribuiscono, come gia' esposto, al
giudice   ordinario   un   potere   di   sindacato   pieno  sull'atto
amministrativo, esteso al potere di annullamento dell'atto.
    Sicche'  il  giudice  ordinario  non ha il potere di sindacare la
motivazione  del  provvedimento  e,  segnatamente, la proporzione tra
l'entita' della misura e il credito garantito.
    Se,  invece,  tali  norme  venissero interpretate nel senso della
giurisdizione  del giudice tributario, vi sarebbe maggiore tutela per
il  destinatario del fermo, avendo il giudice tributario il potere di
sospendere   e  annullare  il  provvedimento,  previo  sindacato  sul
corretto esercizio del potere, sulla adeguatezza della motivazione e,
segnatamente,  sulla  proporzione  tra misura del fermo e entita' del
credito.
    Le  norme  citate,  se  intese nel senso di attribuire al giudice
ordinario   la   giurisdizione   sul   fermo,  senza  contestualmente
attribuirgli  una  giurisdizione piena sul provvedimento, appaiono in
contrasto con gli articoli 3, 16, 24, 41 e 42 Cost.:
        3,  per  irragionevole disparita' di trattamento tra soggetti
destinatari  di  provvedimenti  amministrativi, in danno dei soggetti
destinatari dei provvedimenti di fermo, che non possono fruire di una
tutela piena, di annullamento;
        16, per limitazione, mediante i provvedinenti di fermo, della
liberta'  di  circolazione  dei  cittadini, limitazione che non trova
adeguata  tutela  mediante  un  sindacato  giuirisdizionale pieno sui
provvedimenti medesimi;
        41, per limitazione, mediante i provvedimenti di fermo, della
iniziativa  economica  privata,  limitazione  che  non trova adeguata
tutela  mediante un sindacato giurisdizionale pieno sui provvedimenti
medesimi, laddove i provvedimenti siano sproporzionati;
        42, per limitazione, mediante i provvedimenti di fermo, della
proprieta'   privata,  limitazione  che  non  trova  adeguata  tutela
mediante   un   sindacato  giurisdizionale  pieno  sui  provvedimenti
medesimi, laddove i provvedimenti siano sproporzionati.
    Le  questioni,  oltre  che  non  manifestamente  infondate,  sono
rilevanti  ai  fini  del  giudizio  in corso, in quanto alla luce del
diritto   vivente  questo  Collegio  dovrebbe  declinare  la  propria
giurisdizione e, per l'effetto, annullare la sentenza di primo grado.
In   tal   modo,  si  determinerebbe  una  diminuita  tutela  per  il
ricorrente, attuale appellato.
    Diversamente,  se  le questioni di costituzionalita' risultassero
fondate,  l'esito  del  giudizio  sarebbe  differente, potendo questo
Collegio  trattenere  la  causa  e  deciderla  nel  merito, valutando
l'adeguatezza  della  motivazione  del provvedimento e la proporzione
tra misura disposta e entita' del credito.
    Le norme denunciate potrebbero essere interpretate, nel senso qui
proposto,  di  attribuire  la  giurisdizione  al  giudice tributario,
secondo il criterio di attrazione tra rapporto controverso principale
e  strumenti di garanzia ed esecuzione dello stesso, e in tal caso si
sottrarrebbero a censure di incostituzionalita': ma allo stato osta a
tale   interpretazione   il   diritto  vivente  quale  risulta  dalla
giurisprudenza ordinaria e amministrativa.
    5.  -  In  conclusione,  appare  rilevante  e  non manifestamente
infondata,  in  relazione  agli articoli 3, 16, 24, 41 e 42 Cost., la
questione  di  legittimita' costituzionale degli articoli 49, 57, 86,
d.P.R.  n. 602  del  1973, e degli articoli 2 e 19, d.lgs. n. 546 del
1992, se interpretati, secondo il diritto vivente quale risulta dalla
giurisprudenza,  nel  senso  di  attribuire  al  giudice ordinario la
giurisdizione  sulle  controversie  in materia di fermo tributario di
veicoli,  perche'  non  attribuiscono  alla giurisdizione del giudice
ordinario  un  sindacato  pieno  sul  provvedimento,  anziche' essere
interpretati  nel  senso  di  attribuire  la giurisdizione al giudice
tribuitario  quale  giudice  del  rapporto  principale  cui accede la
garanzia e la procedura in discussione.
    Il  giudizio deve essere sospeso, e gli atti vanno trasmessi alla
Corte costituzionale.
    Ogni  ulteriore  statuizione in rito, in merito, e in ordine alle
spese, resta riservata alla decisione definitiva.