LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE Ha emesso la seguente ordinanza sull'appello n. 1198/05, depositato il 4 marzo 2005, avverso la sentenza n. 670/03/2004 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Roma, proposto dall'ufficio Banca Monte dei Paschi di Siena - Concessionaria serv. risc. trib.ti difeso da Thaulero Filippone Carlo, via dei Normanni, 1 - 00184 Roma; Controparte: D'Urso Massimo, via dei Ciclamini, 16 - 00055 Ladispoli (RM); atti impugnati: cartella di pagamento IRPEF. Con atto del 26 giugno 2003 il sig. D'Urso Massimo proponeva ricorso contro cartella di pagamento relativa ad IRPEF 1993 notificatagli il 20 giugno 2003, eccependone la tardivita'. Successivamente il concessionario per la riscossione notificava al ricorrente preavviso di fermo amministrativo di veicolo di sua proprieta', ai sensi dell'art. 86, d.P.R. n. 602/1973, recante data 28 gennaio 2004; contro tale nota proponeva ricorso il D'Urso in data 3 marzo 2004. La Commissione tributaria provinciale di Roma, riuniti i due ricorsi, li accoglieva ritenendo tardiva, e di conseguenza priva di effetto, la notifica della cartella di pagamento annullando nel contempo il preavviso di fermo amministrativo con condanna del concessionario al pagamento delle spese di lite motivato dal «notevole pregiudizio economico e morale del contribuente». Propone appello il Monte dei Paschi di Siena, nella qualita' di concessionario per la riscossione per la provincia di Roma eccependo, tra l'altro, il difetto di giurisdizione delle Commissioni tributarie in materia di fermo amministrativo. 1. - Osserva il Collegio che la questione della giurisdizione in relazione al fermo di veicoli (c.d. ganasce fiscali) previsto dall'art. 86, d.P.R. n. 603 del 1973 ha formato oggetto di contrastanti pronunce da parte dei Tribunale amministrativo regionale ed e' stata di recente oggetto di esame da parte della V e della IV sezione del Consiglio di Stato, che hanno ritenuto sussistere la giurisdizione del giudice ordinario. Anche la Corte di cassazione, con pronuncia resa in sede di regolamento di giurisdizione ha ritenuto esservi la giurisdizione del giudice ordinario (Cass., ss. uu., 31 gennaio 2006, n. 2053). Questo Collegio dovrebbe, pertanto, adeguarsi a tale orientamento, e, per l'effetto, declinare la propria giurisdizione annullando sul punto la sentenza di primo grado. Ritiene tuttavia il Collegio che il diritto vivente, quale risulta a seguito delle citate pronunce, da' luogo a dubbi di legittimita' costituzionale che appaiono non manifestamente infondati. La controversia investe il fermo di veicolo disposto da una concessionaria della riscossione di entrate tributarie, a norma dell'art. 86, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nel testo introdotto dal d.lgs. 27aprile 2001, n. 193. Giova ricordare che l'istituto del fermo era stato inserito dall'art. 5, d.l. 31 dicembre 1996, n. 669 nel testo del d.P.R. n. 602 del 1973, con l'art. 91-bis del d.P.R. medesimo, per i veicoli a motore ed alcune categorie di autoscafi, attribuendosene la competenza a disporlo alla direzione regionale delle imposte sui redditi, allorche' il concessionario avesse dimostrato l'impossibilita' di eseguire il pignoramento per mancato reperimento del bene. Con la novella del d.P.R. n. 602 del 1973. disposta dal d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, il fermo veniva spostato nell'art. 86, ed esteso alla generalita' dei beni mobili registrati, ma conservava l'originaria connotazione di strumento inteso alla conservazione del bene per la soddisfazione del credito tributario, affidato alla determinazione dell'ufficio finanziario regionale, allorche' l'esecuzione forzata non fosse stata possibile, per mancato reperimento del bene. Sempre con la novella del 1999 il fermo veniva inserito, sistematicamente, negli atti della riscossione (titolo II) e, specificamente, al capo III, espressamente intitolato «Disposizioni particolari in materia di espropriazione di beni mobili registrati», in immediata successione al capo intitolato «Espropriazione forzata» (capo II), nella cui sezione I sono contenute le disposizioni generali in tema di riscossione coattiva, fra cui quelle dettate dall'art. 50 (termine per l'inizio dell'esecuzione). La disciplina introdotta nel 1999 - con l'attribuire la competenza a disporre il fermo alla direzione regionale delle entrate ed il condizionarne l'esperimento al mancato reperimento del bene da pignorare - lasciava l'iniziativa del fermo all'amministrazione titolare del diritto di credito, ed al concessionario la sua esecuzione, mediante l'iscrizione nel pubblico registro, dopo di che il concessionario non era esonerato dal perseguire il bene attraverso la procedura di pignoramento, con le conseguenti responsabilita'. Cio' rallentava in maniera sensibile il procedimento di riscossione coattiva, accentuando l'aleatorieta' del recupero. Con il d.lgs. 27 aprile 2001, n. 193, e' stata prevista l'attribuzione diretta, al concessionario, della potesta' di disporre la misura conservativa, con il solo limite del decorso del termine stabilito dall'art. 50, comma 1, d.P.R. n. 602 del 1973 (vale a dire il termine per l'inizio del procedimento esecutivo) e salve, in ogni caso, le dilazioni o le sospensioni di pagamento accordate. Tale novella si inserisce nel quadro delle misure di semplificazione ed accelerazione delle procedure, che il legislatore nazionale ha, nella piu' recente produzione normativa, delegato al Governo, in questa come in altre materie. Il testo dell'art. 86, d.P.R. n. 602 del 1973, nel testo introdotto nel 2001, demanda ad un futuro regolamento la disciplina attuativa: «con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con i Ministri dell'interno e dei lavori pubblici, sono stabiliti le modalita', i termini e le procedure per l'attuazione di quanto previsto nel presente articolo», recita l'art. 86, comma 4. E' sorta questione se, nelle more dell'emanazione di tale regolamento, che ancora non e' stato varato, fosse o meno applicabile il regolamento esistente (d.m. 7 settembre 1998 n. 503), emanato in attuazione della disciplina precedente che, come visto, attribuiva all'amministrazione finanziaria, e non direttamente al concessionario, il potere di disporre il fermo. La questione aveva avuto contrastanti interpretazioni in giurisprudenza, ma la tesi prevalente era stata quella dell'inapplicabilita della nuova disciplina, non essendo ad essa adattabile il regolamento esistente. L'amministrazione finanziaria, che con circolari dell'Agenzia delle entrate aveva ritenuto applicabile il regolamento del 1998 anche nel vigore della nuova disciplina (circolare 24 novembre 1999, n. 221 e risoluzione 1° marzo 2002, n. 64), si era adeguata interlocutoriamente al prevalente orientamento giurisprudenziale, e con risoluzione 22 luglio 2004, n. 92, aveva invitato i concessionari della riscossione ad astenersi temporaneamente di disporre fermi. Da ultimo, e' intervenuto l'art. 3, comma 41, d.l. 30 settembre 2005, n. 203, conv. nella legge 2 dicembre 2005, n. 248, che detta una norma di interpretazione autentica dell'art. 86, d.P.R. n. 602 del 1973, e stabilisce che le disposizioni del citato art. 86 si interpretano nel senso che, fino all'emanazione del decreto previsto dal comma 4 dello stesso articolo, il fermo puo' essere eseguito dal concessionario sui veicoli a motore nel rispetto delle disposizioni, relative al d.m. 7 settembre 1998, n. 503 del Ministro delle finanze. L'Agenzia delle entrate ha adottato la risoluzione 9 gennaio 2006, n. 2/E, con cui viene revocata la precedente risoluzione n. 92/2004, e si consente ai concessionari della riscossione di procedere in via diretta al fermo, a condizione che l'iscrizione di fermo «sia preceduta da un preavviso, contenente ulteriore invito a pagare le somme dovute, esclusivamente presso gli sportelli della competente azienda concessionaria, entro i successivi venti giorni, decorsi i quali, il preavviso stesso assumera' il valore di comunicazione di iscrizione di fermo». 2. - Questo collegio conosce l'indirizzo giurisprudenziale favorevole all'attribuzione di giurisdizione sul punto al giudice ordinario da ultimo ribadito dalle sezioni unite della Cassazione e dal Consiglio di Stato (C. Stato, V, 13 settembre 2005, n. 4689; C. Stato, sez. IV, 3 febbraio 2006, n. 418). 2.1. - Secondo la Corte di cassazione (Cass., sez. un., 31 gennaio 2006, n. 2053) «il fermo amministrativo di beni mobili registrati del debitore d'imposta e' preordinato all'espropriazione forzata. Ne fa fede il fatto che il rimedio s'inserisce nel proccsso di espropriazione forzata esattoriale, il quale e' segnato dalle seguenti tappe: l'iscrizione del credito a ruolo (art. 49, d.P.R. n. 602/1973); la notificazione al contribuente della cartella di pagamento al fine della decorrenza del termine dilatorio per l'inizio dell'esecuzione (art. 50, d.P.R. citato); la possibilita' di iscrivere il fermo nei registri mobiliari (art. 51, d.P.R. citato) per sottrarre il bene sia alla circolazione naturale secondo il disposto dell'art. 214, comma 8, del codice della strada, sia a quella giuridica attraverso la inopponibilita' al concessionario degli atti di disposizione successivi del bene, secondo il disposto dall'art. 5, comma 1, d.m. n. 503/1998. Il fermo amministrativo, dunque, e' atto funzionale all'espropriazione forzata e, quindi, mezzo di realizzazione del credito allo stesso modo con il quale la realizzazione del credito e' agevolata dall'iscrizione ipotecaria ex art. 77, d.P.R. citato. Se ne ricava che la tutela giudiziaria esperibile nei confronti del fermo amministrativa si deve realizzare davanti al giudice ordinario con le forme, consentite dal vigente art. 57, d.P.R. citato, dell'opposizione all'esecuzione o agli atti esecutivi. Si deve aggiungere che nella materia non ricorre neppure la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, giacche', con la richiesta di trascrizione nei registri mobiliari del fermo amministrativo, il concessionario non esercita alcun potere di supremazia in materia di pubblici servizi che, alla luce della pronuncia della Corte costituzionale n. 204/2004, giustifichi questa forma di giurisdizione amministrativa». 2.2. - Ad avviso del Consiglio di Stato (V sezione), la disciplina del fermo recata dall'art. 86, d.P.R. n. 602 del 1973 non attribuirebbe al concessionario poteri di natura amministrativo -tributaria, propri dell'amministrazione, bensi' si muoverebbe nella logica - propria del diritto comune - dell'attribuzione (al creditore) di strumenti idonei a ricercare e conservare i cespiti del patrimonio del debitore idonei a garantire, in sede esecutiva, la soddisfazione de1 credito, sia pure con la peculiarita' connesse al titolo per il quale si procede alla riscossione coattiva. Pertanto, sia prima, sia successivamente alla riforma del 2001, il fermo dei beni mobili registrati assolverebbe ad una funzione di conservazione del cespite patrimoniale del debitore, in vista dell'espropriazione forzata intesa alla realizzazione del credito tributario, per molti versi assimilabile (con le peculiarita' dovute alla natura del bene) all'iscrizione ipotecarla sui beni immobili prevista dall'art. 77 dello stesso decreto. Dalla collocazione sistematica e dal testo della norma che lo prevede (nella formulazione attuale ed in quelle precedenti) si evincerebbe che lo strumento, pur non ponendosi ancora nella fase della esecuzione, o degli atti esecutivi, costituisce un mezzo cautelativo ed anticipatorio degli effetti espropriativi dell'esecuzione, che sottrae il bene innanzitutto all'uso al quale e' destinato (e da cui potrebbero derivare conseguenze dirette sulla idoneita' a soddisfare, con l'esecuzione, la realizzazione coattiva, totale o parziale, del credito) ed alla circolazione giuridica in danno del creditore. In tale contesto, l'enunciato secondo cui, trascorso il termine previsto dal primo comma dell'art. 50 (sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento) il concessionario «puo» disporre il fermo amministrativo del bene mobile registrato, conferirebbe, al soggetto responsabile della riscossione, non gia' un singolare potere autoritativo e discrezionale in vista degli interessi pubblici specifici affidati alla cura dell'amministrazione concedente, bensi' una potesta' che si colloca (concettualmente) nel quadro dei diritti potestativi del creditore (quale e' quello di promuovere atti conservativi sul patrimonio del debitore in vista della esecuzione forzata) che trovano nel diritto comune la naturale collocazione e nel giudice ordinario di quello naturale, in quanto la soggezione del debitore all'esercizio della potesta' ha la sua fonte nel debito certo, liquido ed esigibile, che vincola il debitore alla sua estinzione (con i mezzi ordinari o con l'esecuzione forzata), e nel rapporto obbligatorio la sua intrinseca giustificazione. La controversia relativa al fermo, sia nella fase della sua esecuzione che in quella della sua disposizione, della quale viene dato avviso al debitore, non riguarderebbe ne' il tributo per il quale si procede alla riscossione, ne' la materia del pubblico servizio anche nella piu' lata accezione assunta dal testo dell'art. 33, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 (come sostituito dalla legge n. 205 del 2000, e prima dell'intervento demolitore della Corte costituzionale), ma si muoverebbe su di un binario del tutto differente, che ha nel giudice ordinario l'autorita' giurisdizionale deputata a conoscere delle relative controversie (nel limite in cui le stesse non siano sottratte alla cognizione di alcun giudice) come specificato dall'art. 57, d.P.R. n. 602 del 1973 (che non ammette le opposizioni di cui all'art. 615 c.p.c., fatta eccezione per quelle relative alla pignorabilita' dei beni). Sempre nella logica di siffatta impostazione privatistica, e' stato anche osservato (Tribunale amministrativo regionale Campania - Napoli, sez. I, 16 settembre 2004, n. 12025) che l'esecuzione del fermo, affidata ora direttamente al concessionario, non costituisce altro che l'espressione dello jus eligendi (diritto di scelta) ordinariamente riconosciuto, nelle procedure esecutive, al creditore procedente tra i diversi mezzi di aggressione del patrimonio dell'esecutato o tra diversi beni passibili di esecuzione forzata; si tratta, dunque, di una facolta' di diritto comune destinata ad incidere nella sfera giuridica del debitore (ne non vi si puo' sottrarre se non con l'estinzione del debito), accostabili alle potesta' amministrative, soltanto per il tratto comune della soggezione di chi e' destinato a subirle, senza che, per questo, il potere esercitato esca dalla sfera delle relazioni intersoggettive per essere ricondotto ai rapporti governati dal diritto pubblico, la cui tutela appartiene al la cognizione del giudice amministrativo. La sezione V del Consiglio di Stato conclude pertanto nel senso che il fermo sarebbe atto funzionale alla esecuzione, che - pure con le connotazioni particolari derivanti dalla natura del rapporto obbligatorio in forza del quale il debitore e' tenuto al pagamento e della legislazione speciale che lo prevede, accordando poteri extra ordinem al creditore ed allo stesso incaricato della riscossione - dovrebbe comunque essere inquadrato (per di piu' nella sistemazione piu' corretta derivante dalla riforma del 2001, che ha opportunamente individuato nello stesso responsabile della riscossione il soggetto abilitato a disporlo) fra gli strumenti di conservazione dei cespiti patrimoniali sui quali puo' essere soddisfatto coattivamente il credito, che l'ordinamento ordinariamente appresta alla generalita' dei creditori (in base alla scelta politica, di carattere generale e di diritto comune, di una tutela piu' incisiva degli interessi dei creditori, nel rapporto intersoggettivo debito-credito), cosi' come prodromica all'esecuzione e' la notificazione della cartella esattoriale che assolve, nel procedimento di riscossione, alla medesima funzione della notiticazione del precetto di pagamento di diritto comune. In tale quadro, la cognizione delle controversie ad esso relativo si sottrarrebbe alla giurisdizione del giudice amministrativo, sia a quella costitutiva di legittimita' (non essendovi provvedimento amministrativo lesivo di interessi legittimi del titolare del bene che ne assoggettato) sia a quella esclusiva, eccezionalmente demandata a tale giudice. Una certa propensione a ricondurre l'istituto nella giurisdizione esclusiva del giudice ammnistrativo sarebbe, secondo la V sezione del Consiglio di Stato, ormai risolta, in radice, in senso contrario, dal ridimensionamento delle attribuzioni del giudice amministrativo, conseguente alla sentenza della Corte costituzionale 6 luglio 2004, n. 204, che ha significativamente modificato il testo dell'art. 33, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 (come sostituito dalla legge n. 205 del 2000), dichiarandone, tra l'altro, l'illegittimita' del primo comma, nella parte in cui prevede che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli» anziche' «le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennita', canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati' dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero ancora relative all'affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonche». 3. - In difformita' dal suesposto orientamento, ritiene tuttavia questo Collegio che vi siano fondati argomenti per affermare: a) che il fermo di cui all'art. 86, d.P.R. n. 602 del 1973 sia un provvedimento amministrativo; b) che su tale provvedimento non vi sia la giurisdizione del giudice ordinario. 3.1. - In relazione alla prima affermazione, in sintesi, sembra corretto ricostruire il fermo come provvedimento amministrativo di autotutela conservativa del patrimonio del debitore tributario, e non come strumento di autotutela civilistica in un ordinario rapporto di credito debito. 3.2. - Giova anzitutto osservare che il d.P.R. n. 602 del 1973 nel suo titolo II disciplina la «riscossione coattiva», e, nel capo II di tale titolo, la «espropriazione forzata». Tale collocazione sistematica, unitamente ad argomenti di carattere storico e sistematico, evidenzia che l'espropriazione forzata esattoriale ha connotati profondamente diversi dall'espropriazione forzata disciplinata nel codice di procedura civile. I due istituti, identici solo nel nome, sono diversi nella natura giuridica: il primo e' un procedimento amministrativo, il secondo e' un processo giurisdizionale. E, invero, il c.d. patto commissorio, che consente al creditore di soddisfarsi in via di autotutela sul patrimonio del debitore, e dunque con una espropriazione forzata privatistica, e' dall'ordinamento vietato per la generalita' dei creditori (art. 2744 cod. civ.). in quanto la soddisfazione del credito in via di espropriazione forzata e' affidata ad un vero e proprio processo, sotto il controllo di un giudice, il c.d. processo di esecuzione (libro III del cod. proc. civ.). Al divieto generalizzato di autotutela esecutiva si sottrae tutt'oggi, almeno in parte, lo Stato per i crediti tributari: il d.P.R. n. 602 del 1973 disciplina l'espropriazione forzata nell'ambito della riscossione, sancendo che all'esecuzione esattoriale si applica il cod. proc. civ. solo se non derogato e nei limiti della compatibilita'. Si tratta, pertanto, di un procedimento amministrativo, con limitati momenti di processualizzazione. Da una disamina del d.P.R. n. 602 del 1973 si evince che l'espropriazione forzata a soddisfacimento dei crediti tributari e' connotata da molteplici profili di autotutela pubblica esecutiva, che sono il residuo di antichi privilegi del creditore, conservati solo allo Stato in ragione delle peculiarita' del credito tributario. In sintesi, l'espropriazione forzata di cui al d.P.R. n. 602 del 1973 e' condotta dallo stesso concessionario della riscossione e dall'ufficiale della riscossione, e l'intervento del giudice e' molto piu' limitato e ristretto rispetto al processo di esecuzione delineato dal cod. proc. civ. in dettaglio: l'art. 49, d.P.R. n. 602 dcl 1973 avverte che all'espropriazione forzata si applica il cod. proc. civ. solo se non derogato e solo nei limiti della compatibilita': l'art. 49, comma 3, aggiunge che le funzioni spettanti all'ufficiale giudiziario nel processo di esecuzione, sono attribuite all'ufficiale della riscossione; la vendita dei beni pignorati e' fatta a cura del concessionario della riscossione, senza necessita' di autorizzazione del giudice (art. 52), e il procedimento di vendita si svolge in maniera diversa rispetto a quanto prevede il cod. proc. civ.; e' fortemente limitata l'ammissibilita' dei rimedi processualcivilistici dell'opposizione all'esecuzione e del'opposizione agli atti esecutivi, di cui agli artt. 615 e 617 cod. proc. civ. (art. 57, d.P.R. n. 602 del 1973); e' eccezionale la possibilita' che il giudice sospenda l'esecuzione esattoriale (art. 60). Da tale quadro si evince che l'espropriazione forzata del d.P.R. n. 602 del 1973 ha connotati peculiari che la avvicinano ai procedimenti amministrativi ablatori, e dunque a strumenti di autotutela pubblicistica, piu' che al processo di esecuzione forzata. Ed e' in tale quadro che va collocato il fermo di cui all'art. 86, d.P.R. n. 602 del 1973, che e' strumento di autotutela nell'ambito del procedimento amministrativo di riscossione coattiva e non rimedio cautelare nell'ambito del processo di esecuzione forzata. 3.3. - Si deve, in secondo luogo, considerare che il processo civile non conosce, nell'ambito del processo di esecuzione forzata, strumenti di autotutela conservativa rimessi all'iniziativa unilaterale del creditore, il quale e' invece sempre tenuto a rivolgersi al giudice per assicurarsi la conservazione dei beni del debitore a garanzia delle proprie ragioni di credito. Viceversa, il d.P.R. n. 602 del 1973 ha attributito, prima all'amministrazione tributaria, e poi direttamente al concessionario della riscossione, un potere di autotutela conservativa a garanzia della riscossione del credito tributario, costituito dal fermo dei beni mobili registrati (in primis, veicoli a motore e autoscafi). Invero, si tratta di strumento che sortisce l'effetto di impedire la circolazione del bene, e di rendere inopponibili al creditore tributario gi atti di disposizione del bene (art. 5, d.m. 7 settembre 1998, n. 503). Si tratta dunque di misura che sortisce effetti analoghi ad un sequestro conservativo, con la peculiarita' che viene disposta senza l'intervento di alcun giudice, ma in virtu' di un atto dello stesso concessionario. Si verifica, pertanto, una limitazione delle facolta' di godimento e di disposizione inerenti al diritto di proprieta', in virtu' di un atto autoritativo unilaterale, e dunque secondo una vicenda assimilabile ai provvedimenti amministrativi ablatori, e, segnatamente, alle requisizioni. 3.4. - Prima della novella del 2001, il fermo veniva chiesto dal concessionario della riscossione, e disposto con un atto dell'amministrazione finanziaria, che veniva espressamente qualificato dal legislatore come «provvedimento», di cui il concessionario curava l'iscrizione nei pubblici registi ((art. 4, d.m. n. 503/1998). Anche la versione novellata dell'art. 86, d.P.R. n. 602 del 1973, nonostante attribuisca direttamente al concessionario della riscossione il potere di disporre il fermo, continua a parlare di un «provvedimento» di fermo, stabilendo che il fermo si esegue mediante iscrizione nei registri mobiliari «del provvedimento che lo dispone» (art. 86, comma 2). Emerge dunque un dato letterale inequivoco: infatti l'espressione «provvedimento» e' tipicamente impiegata, nel linguaggio normativo, per indicare gli atti autoritativi della pubblica amministrazione. 3.5. - Oltre al dato letterale, soccorrono considerazioni di carattere sistematico. Mentre la generalita' dei creditori non dispone di strumenti di autotutela esecutiva e conservativa, invece con l'art. 86, d.P.R. n. 602 del 1973 si attribuisce al creditore un potere particolarmente incisivo della sfera del debitore, che si giustifica solo in funzione del rilevante interesse pubblico connesso alla riscossione del credito tributario. Non vi e' pertanto un paritetico rapporto di credito-debito, riconducibile allo schema diritto soggettivo - giudice ordinario, ma un potere autoritativo unilaterale strumentale al soddisfacimento di un interesse pubblico, riconducibile allo schema interesse legittimo - giudice amministrativo. Prima della novella del 2001, il potere di disporre il fermo era attribuito all'autorita' amministrativa: l'attribuzione, ora, al concessionario della riscossione, risponde ad esigenze di celerita', ma non muta la natura dello strumento, che rimane un provvedimento autoritativo, attribuito al concessionario secondo lo schema dell'esercizio privato di pubbliche funzioni. Va anche considerato che mentre prima del 2001 il fermo era condizionato al mancato riferimento del bene da pignorare, nel testo vigente dell'art. 86 il fermo puo' essere disposto a prescindere dall'esito infruttuoso del pignoramento. Cio' implica che il fermo puo' essere disposto con la sola condizione che sia inutilmente decorso il termine di sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento, ma e' del tutto svincolato dall'inizio del procedimento di esecuzione forzata, inizio che, secondo la regola generale divisata dall'art. 491 c.p.c., e' segnato dal pignoramento. Sicche', mentre prima della novella del 2001 il fermo presupponeva quanto meno un tentativo di avvio del procedimento esecutivo (con ricerca dei beni da pignorare e esito infiuttuoso del pignoramento), nel testo vigente il fermo e' svincolato dall'avvio del processo esecutivo. Il che e' indizio del suo carattere di misura di autotutela conservativa del patrimonio del debitore. 3.6. - Si deve, ancora, osservare che il comma 3 dell'art. 86 dispone che chiunque circola con veicoli, autoscafi o aeromobili sottoposti al fermo e' soggetto alla sanzione prevista dall'art. 214, comma 8, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285. Si tratta della sanzione amministrativa pecuniaria e di quella della confisca del veieolo, previste dal codice della strada in caso di circolazione di veicolo sottoposto a fermo amministrativo. Dunque, sotto il profilo sanzionatorio, la violazione del fermo di cui all'art. 86 in commento viene normativamente equiparata alla violazione del fermo amministrativo. Ora, sarebbe ben strano, se il fermo di cui all'art. 86 in commento fosse una misura di autotutela civilistica, che alla sua violazione non conseguano sanzioni civili, bensi' sanzioni amministrative. Ancora, se si trattasse di atto di autotutela civilistica, l'adempimento da parte del debitore dovrebbe di per se' essere sufficiente a far venire meno gli effetti del fermo: la prova del pagamento dovrebbe consentire la cancellazione della iscrizione del fermo nei registri mobiliari. Invece, l'art. 6, d.m. n. 503/1998, stabilisce la inidoneita' della sola prova del pagamento a consentire la cancellazione del fermo. Occorre, invece, che il concessionario comunichi l'avvenuto pagamento alla direzione regionale delle entrate, che nei successivi venti giorni emette un provvedimento di revoca del fermo inviandolo al contribuente (nel nuovo assetto, compete al concessionario disporre la revoca del fermo). Solo dopo il provvedimento di revoca, e' possibile, per il debitore, conseguire la cancellazione della iscrizione del fermo, recandosi al p.r.a. ed esibendo il provvedimento di revoca. Tale assetto denota che il fermo non e' un atto materiale, ma un provvedimento amministrativo, che produce i suoi effetti finche' non viene meno in virtu' di un atto di revoca, revoca che costituisce un tipico atto provvedimentale di ritiro, e interviene quando mutino le circostanze di fatto o per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario (art. 21-quinquies, legge 7 agosto 1990, n. 241). 3.7. - Piu' in generale, va osservato che il d.m. n. 503/1998 ha procedimentalizzato il fermo, inserendolo in un vero e proprio procedimento amministrativo (avviso di avvio del procedimento, adozione del provvedimento di fermo, revoca del provvedimento), sicche' riesce difficile accogliere la prospettazione secondo cui il fermo rientra nel novero delle attivita' materiali di autotutela del creditore in un rapporto paritario di credito-debito. In piu', come si evince dall'ultima norma di interpretazione autentica dell'art. 86, d.P.R. n. 602 del 1973, e dalla conseguente risoluzione dell'Agenzia delle entrate n. 9 del 2006, e' ora demandato ai concessionari della riscossione di adottare e revocare il provvedimento di fermo, utilizzando il procedimento di cui al d.m. n. 503/1998. Sicche', i concessionari della riscossione lungi dal potersi limtare a chiedere al p.r.a. la iscrizione e la cancellazione dell' iscrizione del fermo, devono seguire un vero e proprio procedimento amministrativo, con un tipico esercizio privato di poteri pubblicistici. 3.8. - In conclusione, sembra corretto ritenere che il fermo di cui all'art. 86, d.P.R. n. 602 del 1973 sia un provvedimento amministrativo di autotutela, in funzione dell'interesse pubblico sotteso alla soddisfazione del credito tributario, attribuito al concessionario della riscossione che sotto tale profilo e' esercente privato di una pubblica funzione. Si tratta di provvedimento riconducibile allo schema degli atti ablatori. In quanto provvedimento amministrativo, discrezionale nell'an e nel quid, deve essere congruamente motivato sia in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico prevalente sull'interesse privato alla libera disponibilita' del bene sia in relazione alla proporzione tra l'entita' del credito tributario da riscuotere e il sacrificio che viene imposto al privato con la temporanea sottrazione dell'uso e della disponibilita' giuridica del bene. 4. - Una volta ricostruito il fermo di cui all'art. 86 citato in termini di provvedimento amministrativo, ad avviso del Collegio se le norme contenute negli artt. 49, 57, 86, d.P.R. n. 602 del 1973, nonche' quelle contenute negli articoli 2 e 19, d.lgs. n. 546 del 1992, vengono interpretate, secondo il diritto vivente quale risulta dalla giurisprudenza, nel senso di attribuire la giurisdizione al giudice ordinario, le stesse appaiono sospette di illegittimita' costituzionale. E, invero, tali norme non attribuiscono, come gia' esposto, al giudice ordinario un potere di sindacato pieno sull'atto amministrativo, esteso al potere di annullamento dell'atto. Sicche' il giudice ordinario non ha il potere di sindacare la motivazione del provvedimento e, segnatamente, la proporzione tra l'entita' della misura e il credito garantito. Se, invece, tali norme venissero interpretate nel senso della giurisdizione del giudice tributario, vi sarebbe maggiore tutela per il destinatario del fermo, avendo il giudice tributario il potere di sospendere e annullare il provvedimento, previo sindacato sul corretto esercizio del potere, sulla adeguatezza della motivazione e, segnatamente, sulla proporzione tra misura del fermo e entita' del credito. Le norme citate, se intese nel senso di attribuire al giudice ordinario la giurisdizione sul fermo, senza contestualmente attribuirgli una giurisdizione piena sul provvedimento, appaiono in contrasto con gli articoli 3, 16, 24, 41 e 42 Cost.: 3, per irragionevole disparita' di trattamento tra soggetti destinatari di provvedimenti amministrativi, in danno dei soggetti destinatari dei provvedimenti di fermo, che non possono fruire di una tutela piena, di annullamento; 16, per limitazione, mediante i provvedinenti di fermo, della liberta' di circolazione dei cittadini, limitazione che non trova adeguata tutela mediante un sindacato giuirisdizionale pieno sui provvedimenti medesimi; 41, per limitazione, mediante i provvedimenti di fermo, della iniziativa economica privata, limitazione che non trova adeguata tutela mediante un sindacato giurisdizionale pieno sui provvedimenti medesimi, laddove i provvedimenti siano sproporzionati; 42, per limitazione, mediante i provvedimenti di fermo, della proprieta' privata, limitazione che non trova adeguata tutela mediante un sindacato giurisdizionale pieno sui provvedimenti medesimi, laddove i provvedimenti siano sproporzionati. Le questioni, oltre che non manifestamente infondate, sono rilevanti ai fini del giudizio in corso, in quanto alla luce del diritto vivente questo Collegio dovrebbe declinare la propria giurisdizione e, per l'effetto, annullare la sentenza di primo grado. In tal modo, si determinerebbe una diminuita tutela per il ricorrente, attuale appellato. Diversamente, se le questioni di costituzionalita' risultassero fondate, l'esito del giudizio sarebbe differente, potendo questo Collegio trattenere la causa e deciderla nel merito, valutando l'adeguatezza della motivazione del provvedimento e la proporzione tra misura disposta e entita' del credito. Le norme denunciate potrebbero essere interpretate, nel senso qui proposto, di attribuire la giurisdizione al giudice tributario, secondo il criterio di attrazione tra rapporto controverso principale e strumenti di garanzia ed esecuzione dello stesso, e in tal caso si sottrarrebbero a censure di incostituzionalita': ma allo stato osta a tale interpretazione il diritto vivente quale risulta dalla giurisprudenza ordinaria e amministrativa. 5. - In conclusione, appare rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli articoli 3, 16, 24, 41 e 42 Cost., la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 49, 57, 86, d.P.R. n. 602 del 1973, e degli articoli 2 e 19, d.lgs. n. 546 del 1992, se interpretati, secondo il diritto vivente quale risulta dalla giurisprudenza, nel senso di attribuire al giudice ordinario la giurisdizione sulle controversie in materia di fermo tributario di veicoli, perche' non attribuiscono alla giurisdizione del giudice ordinario un sindacato pieno sul provvedimento, anziche' essere interpretati nel senso di attribuire la giurisdizione al giudice tribuitario quale giudice del rapporto principale cui accede la garanzia e la procedura in discussione. Il giudizio deve essere sospeso, e gli atti vanno trasmessi alla Corte costituzionale. Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito, e in ordine alle spese, resta riservata alla decisione definitiva.