IL TRIBUNALE Nel proc. Pen. N. 270/06 R.G.T. contro Iana Monica, in atti compiutamente generalizzata, imputata del reato p. e. p. dall'art. 14, comma 5-ter del d. lgs. n. 286/1998 (inserito dall'art. 13, comma 1, lett. d) della legge 30 luglio 2002, n. 189, sostituito in seguito dall'art. 1, comma 5-bis del d.l. 14 settembre 2004, n. 241, conv. con modificazione nella legge 12 novembre 2004, n. 271) perche', essendo stata espulsa ai sensi dell'art. 14, comma 5-bis, d. lgs. citato con ordine dato con provvedimento scritto dal Questore della Provincia di Cosenza, susseguente a decreto di espulsione (per ingresso clandestino) del Prefetto di Cosenza emesso in data 20 ottobre 2005, con intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro cinque giorni dalla notifica (avvenuta nella stessa data del 20 ottobre 2005) e con indicazione delle conseguenze penali derivanti dalla trasgressione, senza giustificato motivo si tratteneva nel territorio dello Stato; fatto accertato in Mormanno il 9 maggio 2006; Ritenuto di dover sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter del d.lgs. 286/1998 (inserito dall'art. 13, comma 1, lett. d) della legge 30 luglio 2002, n. 189, come modificato dall'art. 1, comma 5-bis del d.l. 14 settembre 2004, n. 241, conv. con modificazioni nella legge 12 novembre 2004, n. 271), per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. O s s e r v a L'imputata, tratta in arresto il 9 maggio 2006 per violazione del citato art. 14, comma 5-ter del d.lgs. 286/1998, veniva presentata all'udienza odierna dal pubblico ministero per la convalida ed il contestuale giudizio direttissimo ed il nulla osta all'espulsione. A tanto si provvedeva nel corso della medesima udienza. Veniva disposta la immediata liberazione dell'imputata non avendo il p.m. richiesto l'adozione di alcuna misura cautelare. Quanto alla richiesta di nulla osta all'espulsione, la stessa veniva rigettata, trovandosi l'imputata in stato di gravidanza, certificato in atti, e sussistendo il divieto assoluto di espulsione di cui all'art. 19, comma 2, lett. d del d. lgs. n. 286/1998. Il tribunale ritiene di dover sollevare questione di legittimita' costituzionale relativa all'art. 14, comma 5-ter, del d. lgs. n. 268/1998, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che senza giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal questore, per violazione degli articoli 3 e 27 della Costituzione. Essa si appalesa rilevante giacche', ove si pervenga ad un giudizio di colpevolezza dell'imputata sarebbe comminata la pena prevista dalla norma della cui legittimita' costituzionale si dubita. La condotta dello straniero che permanga nel territorio dello Stato «senza un giustificato motivo», contravvenendo al provvedimento del questore di lasciare il territorio nazionale entro cinque giorni, ha subito vari trattamenti sanzionatori. Essa era sprovvista di specifica sanzione nella originaria formulazione dell'art. 14 del d. lgs. n. 286/1998. Successivamente, la legge n. 189/2002 introdusse una fattispecie contravvenzionale punibile con l'arresto da sei mesi ad un anno. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 223 del 15 luglio 2004, dichiaro' la illegittimita' costituzionale della norma per contrasto con gli artt. 3 e 13 Cost. «nella parte in cui stabilisce che per il reato previsto dal comma 5-ter del medesimo articolo 14 e' obbligatorio l'arresto in flagranza dell'autore del fatto». A seguito di tanto, un nuovo intervento legislativo, legge n. 271/2004, reintroduceva l'arresto obbligatorio in flagranza, trasformando la fattispecie in delitto punibile con la reclusione da uno a quattro anni. La condotta ascritta all'imputata risente, quanto al trattamento sanzionatorio, del notevole inasprimento di pena di cui si e' dato conto e che si sottopone a vaglio di costituzionalita' in riferimento ai citati articoli della Costituzione. A tal proposito, costituisce orientamento costante del Giudice delle leggi quello per cui il sindacato delle scelte sanzionatorie del legislatore e' possibile solo ove «l'opzione normativa' del legislatore contrasti con il principio di uguaglianza, sotto il profilo dell'assoluta arbitrarieta' o della manifesta irragionevolezza» (sentt. nn. 203/2003, 287/2001, 313/1995). La sentenza n. 5/2000 richiede che si indaghi «sul perche' una determinata disciplina operi, all'interno del tessuto egualitario dell'ordinamento, quella specifica equiparazione (oppure, a seconda dei casi, quella specifica distinzione), traendone, quindi, le debite conclusioni in punto corretto uso del potere normativo. Solo nel caso in cui siffatta verifica dovesse evidenziare una carenza di causa o ragione della disciplina introdotta potra' dirsi realizzato un vizio di legittimita' costituzionale della norma, proprio perche' fondato sulla irragionevole omologazione di situazioni diverse». Tale giudizio presuppone l'individuazione di un tertium comparationis ovvero di fattispecie analoghe ricavabili da norme incriminatici poste a tutela degli stessi interessi e nelle quali la condotta si connota secondo modalita' identiche o, quantomeno, analoghe. Nel caso che occupa sono ipotizzabili due raffronti: uno con le diverse fattispecie previste dall' art. 14 comma 5-ter del d. lgs. 286/1998 e l'altro con fattispie che non rientrano nella disciplina dell'immigrazione. Quanto al primo aspetto, si rileva che alcune ipotesi di irrelare permanenza (stranieri espulsi dal Ministero dell'interno per ragioni di ordine e sicurezza pubblica) non configurano alcun reato. Altre condotte che consistono nella inosservanza di omologhi provvedimenti del questore, sono puniti in modo del tutto differenziato nonostante ledano gli stessi interessi (si veda il caso dello straniero con regolare permesso di soggiorno, il cui permesso sia scaduto senza che sia stato richiesto il rinnovo nei sessanta giorni successivi alla scadenza; fattispecie punita con l'arresto da sei mesi ad un anno). Sotto differente prospettiva, la comparazione appare altresi' possibile con la fattispecie prevista dall'art. 650 c.p. (inottemperanza ad un provvedimento legalmente dato per ragioni di sicurezza pubblica o di ordine pubblico) nonche' dall'art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (violazione del provvedimento di rimpatrio emesso dal questore). Esiste stretta correlazione fra il principio di proporzionalita' della pena (ricavabile dall'art. 3 Cost.) e quello della finalita' rieducativa della pena (di cui all'art. 27, terzo comma, Cost.). Come e' stato affermato, «la palese sproporzione del sacrificio della liberta' personale produce ... una vanificazione del fine rieducativo della pena prescritto dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione, che di quella liberta' costituisce una garanzia istituzionale in relazione allo stato di detenzione» (sent. n. 343/1993). L'inasprimento della sanzione, inoltre, appare giustificato esclusivamente dalla necessita' di ripristinare l'arresto obbligatorio ritenuto illegittimo dalla Corte, scollegandolo dall'effettiva offensivita' della condotta.