ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2,
del  codice  di  procedura penale, promosso con ordinanza del 2 marzo
2005 dal Tribunale di Alessandria nel procedimento penale a carico di
G.D.,  iscritta  al  n. 451  del registro ordinanze 2005 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 39, 1ª serie speciale,
dell'anno 2005.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  7 febbraio  il  giudice
relatore Giuseppe Tesauro.
    Ritenuto  che  il  Tribunale  di  Alessandria,  con ordinanza del
2 marzo 2005, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma,
24,  secondo  comma,  27,  secondo  comma,  76 e 111, primo e secondo
comma,  della  Costituzione, questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in
cui  non  prevede  l'incompatibilita' con la funzione di giudizio del
giudice  che,  nella  fase preliminare del dibattimento, «ha ritenuto
inidonee  le  attivita'  risarcitorie  e  riparatorie poste in essere
dall'imputato ai fini della dichiarazione di estinzione del reato» di
cui  all'art. 35  del  decreto  legislativo  28 agosto  2000,  n. 274
(Disposizioni   sulla   competenza  del  giudice  di  pace,  a  norma
dell'art. 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468);
        che  il  rimettente  premette  di essere investito, in virtu'
della  disciplina  transitoria di cui al combinato disposto dell'art.
64,  comma 2, e dell'art. 63, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000, di
un  procedimento penale a carico di soggetto cui e' ascritto un reato
di   competenza  del  giudice  di  pace,  nel  quale  e'  applicabile
l'istituto   dell'estinzione   del   reato   conseguente  a  condotte
riparatorie, introdotto dall'art. 35 dello stesso decreto;
        che,  prima  dell'apertura del dibattimento, egli ha disposto
la  sospensione  del  processo  per  un  periodo di tre mesi, a norma
dell'art. 35,  comma 3,  del  d.lgs. n. 274 del 2000, onde consentire
all'imputato  di  provvedere alla riparazione del danno cagionato dal
reato;
        che,  in  seguito,  il  giudice a quo, valutata la congruita'
della  somma  offerta a titolo di risarcimento del danno alla persona
offesa,  gia'  costituita  parte  civile,  ha rigettato, con separata
ordinanza,  l'istanza  di  proscioglimento  ai sensi dell'art. 35 del
d.lgs. n. 274 del 2000;
        che,  secondo  il  rimettente,  la  decisione  in merito alla
rispondenza  della  condotta  riparatoria  dell'imputato ai requisiti
stabiliti  dal richiamato art. 35 si sostanzia inevitabilmente in una
valutazione non formale, bensi' di contenuto, circa l'idoneita' degli
atti  a  fondare  un  giudizio  di  responsabilita' penale e, quindi,
implica    l'accertamento    in   ordine   alla   correttezza   della
qualificazione   giuridica   del   fatto   in   imputazione,  nonche'
all'insussistenza  delle  condizioni  legittimanti il proscioglimento
nel  merito  ai  sensi  dell'art. 129  cod.  proc. pen., costituendo,
inoltre,  anticipazione  del convincimento del giudice in ordine alla
domanda avanzata dalla parte civile;
        che,     in     tale    situazione,    l'omessa    previsione
dell'incompatibilita'  del  giudice  si  porrebbe  in  contrasto  con
l'art. 3   Cost.,   a   causa   della  ingiustificata  disparita'  di
trattamento rispetto alle fattispecie analoghe ricomprese nell'ambito
di  applicazione  dell'art. 34 cod. proc. pen; con l'art. 24, secondo
comma,  27,  secondo  comma,  e 111, primo e secondo comma, Cost., in
quanto  sarebbero  vulnerati  il  diritto di difesa dell'imputato, il
principio  della  presunzione di non colpevolezza e la garanzia di un
giusto   processo   «in  cui  il  contraddittorio  e'  rispettato  in
condizioni  di  parita'  tra  le parti ed innanzi un giudice terzo ed
imparziale»; infine, con l'art. 76 Cost., in relazione alle direttive
n. 67  e  n. 103  dell'art. 2  della  legge  16 febbraio  1987, n. 81
(Delega  legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del
nuovo codice di procedura penale);
        che  nel  presente  giudizio e' intervenuto il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione,
sul  rilievo che, alla stregua del costante insegnamento della Corte,
l'incompatibilita'  si  radica  solo  in  conseguenza  «di precedenti
valutazioni  sulla  responsabilita'  penale dell'imputato manifestate
dallo stesso giudice in altre fasi del medesimo processo».
    Considerato   che   il  Tribunale  di  Alessandria  dubita  della
legittimita'  costituzionale  dell'art. 34,  comma 2,  del  codice di
procedura  penale,  nella  parte  in  cui  non  prevede che non possa
partecipare  al  giudizio  il  giudice  che,  prima dell'apertura del
dibattimento,  si  sia  pronunciato  in  ordine  all'idoneita'  della
condotta    riparatoria    dedotta    dall'imputato   ai   fini   del
proscioglimento  per  estinzione del reato, ai sensi dell'art. 35 del
decreto   legislativo  28 agosto  2000,  n. 274  (Disposizioni  sulla
competenza  del  giudice  di  pace,  a norma dell'art. 14 della legge
24 novembre 1999, n. 468);
        che  la  declaratoria  di  estinzione del reato conseguente a
condotte riparatorie costituisce modalita' di definizione alternativa
del  procedimento  penale davanti al giudice di pace, applicabile, in
virtu'  dell'art.  63, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000, anche nei
casi  in cui le fattispecie criminose indicate nell'art. 4, commi 1 e
2, siano giudicate da un giudice diverso dal giudice di pace;
        che  il  proscioglimento  per  estinzione del reato, in forza
dell'art. 35  del  citato decreto, presuppone che il giudice, sentite
le  parti  e la persona offesa, accerti - qualora a tal fine, secondo
quanto  affermato  dalla  giurisprudenza di legittimita', non occorra
procedere   oltre   -   l'intervenuta   riparazione   del   danno   e
l'eliminazione  delle  conseguenze  dannose  o  pericolose del reato,
nonche'  valuti positivamente l'idoneita' delle attivita' riparatorie
e  risarcitorie  dedotte  dall'imputato  a  soddisfare le esigenze di
riprovazione del reato e quelle di prevenzione;
        che,  ad  avviso  del rimettente, il provvedimento con cui il
giudice,   all'esito   delle   anzidette   verifiche,   si  pronuncia
sull'istanza  dell'imputato,  rigettandola,  esprime  un giudizio sul
fondamento   dell'accusa,  che  condiziona,  nella  prosecuzione  del
procedimento, l'esercizio obiettivo della funzione;
        che, tuttavia, in base ad un principio piu' volte ribadito da
questa  Corte, alcuna menomazione dell'imparzialita' del giudice puo'
essere  configurata  in  relazione  a  valutazioni,  anche di merito,
compiute  all'interno della medesima fase del procedimento (ordinanze
n. 123  e  90  del  2004,  n. 370 del 2000, n. 232 del 1999, n. 131 e
n. 24 del 1996);
        che,  diversamente, si attribuirebbe all'imputato la potesta'
di determinare l'incompatibilita' del giudice correttamente investito
del  giudizio,  in  contrasto  con  il principio del giudice naturale
precostituito    per    legge,   dando   luogo,   al   contempo,   ad
un'irragionevole frammentazione della serie procedimentale;
        che,    dunque,   la   questione   deve   essere   dichiarata
manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.