LA CORTE DI APPELLO

    Ha emesso la seguente ordinanza.

                          Premesso in fatto

    Con  sentenza  in data 3 ottobre 2002, il g.u.p. del Tribunale di
Brescia  dichiarava  non  doversi  procedere  nei confronti di Memeti
Sinan  e  Memeti  Beilimo  alias  Bekim con riferimento ai delitti di
sequestro  di  persona  e,  per  il  solo  Memeti  Sinan, di violenza
sessuale perche' i fatti non sussistono.
    Il  g.u.p.  rilevava che gli imputati avevano patteggiato la pena
avuto riguardo al delitto di sfruttamento della prostituzione di Latu
Lara e Vlad Diana, fatti che avevano fatto oggetto di confessione.
    In punto alle accuse di violenza sessuale e sequestro di persona,
secondo  il  g.u.p.,  non  sussisterebbe una prova tranquillizzante e
sviluppabile in sede dibattimentale poiche' l'accusa si fondava sulle
dichiarazioni  delle prostitute e non vi erano elementi di riscontro,
apprendo  al  contempo del tutto improbabile la loro presenza in sede
dibattimentale.
    Il  procuratore  generale  ha chiesto, in riforma della sentenza,
che la Corte disponesse il rinvio a giudizio degli imputati.
    A  sostegno  del  gravame  il  p.g.  ha  rilevato che l'accusa si
fondava   sulle   dichiarazioni  della  vittima,  donna  sequestrata,
violentata   e   quindi   costretta   a   prostituirsi,  circostanza,
quest'ultima,   non  negata  dagli  imputati  che  per  l'imputazione
relativa allo sfruttamento hanno chiesto l'applicazione della pena.
    Le  dichiarazioni  delle  vittime,  con natura testimoniale e non
abbisognevoli  di  riscontri,  avevano trovato importanti elementi di
conferma  nel  fatto  che  la  ragazza segregata, riuscita a fuggire,
aveva  trovato  rifugio presso vicini, potenziali testimoni ed i C.C.
intervenuti  avevano  sorpreso  gli  imputati  a  pochissima distanza
dall'abitazione prigione a bordo della vettura indicata dalla Latu.
    Memeti  Sinan era stato inoltre trovato in possesso di una placca
con   la  scritta  «Associazione  Carabinieri  in  congedo»  a  pieno
riscontro  delle  dichiarazioni  della  donna sulle modalita' del suo
sequestro.
    Non  poteva  essere  affermata  apoditticamente l'irreperibilita'
della persona offesa per la celebrazione del dibattimento, ne' poteva
in  via  preventiva affermarsi la non applicabilita' al caso in esame
dell'art. 512-bis    c.p.p.   che   consente   l'acquisizione   delle
dichiarazioni rese dalla persona residente all'estero non reperibile.

                        Osservato in diritto

    Nelle  more della trattazione di questo processo in secondo grado
e' entrata in vigore la legge 20 febbraio 2006, n. 46, che all'art. 4
ha  modificato l'art. 428 c.p.p. che ha escluso il potere del p.m. di
impugnare  la  sentenza  di  non  luogo  a  procedere  con  il  mezzo
dell'appello,   consentendo   quale  unico  gravame  il  ricorso  per
cassazione.
    Detta  legge  ha  altresi'  disciplinato  il  regime  transitorio
prevedendosene   al   primo   comma  dell'art. 10  l'applicazione  ai
procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima.
    Il sistema introdotto dai commi successivi del detto articolo non
e'  applicabile  al  caso di specie poiche' il termine di sentenza di
proscioglimento e' collegato alla sua originaria appellabilita' e dal
p.m.  e  dall'imputato, cosa che non verifica quanto alla sentenza di
non doversi procedere.
    Cio'  premesso,  la Corte ritiene di dover sollevare questione di
legittimita'   costituzionale   avuto   riguardo   al   nuovo   testo
dell'art. 428  c.p.p.  e della disciplina transitoria con riferimento
agli artt. 111 e 112 della Costituzione.
    Deve   ritenersi   la  rilevanza  della  questione  nel  presente
giudizio:   la  sua  decisione,  invero,  e'  idonea  ad  imporre  la
cessazione o la prosecuzione del presente giudizio di appello.
    Parimenti   la   questione  presenta  aspetti  di  non  manifesta
infondatezza.
    In   particolare   la   disciplina   transitoria   configura   un
provvedimento  giurisdizionale  inoppugnabile  in  contrasto  con  la
previsione  di  cui all'art. 111, settimo comma Cost. che prevede che
contro  le  sentenze  sia  sempre  ammesso ricorso per cassazione per
violazione  di  legge, ricorso che nel caso di specie e' all'evidenza
precluso   per   la   ritenuta   inapplicabilita'   della  disciplina
transitoria   e  perche'  la  pronuncia  di  inammissibilita',  unico
provvedimento prospettabile, e' per legge inoppugnabile.
    Sotto  altro  aspetto,  inoltre,  questo  collegio rileva come la
Corte  costituzionale  dopo  avere affermato con sentenza n. 177/1971
che «il potere di impugnazione del pubblico ministero costituisce una
estrinsecazione  ed un aspetto dell'esercizio dell'azione penale», ha
poi  modificato  il  proprio orientamento, ritenendo che il potere di
impugnazione  del  pubblico ministero non costituisce estrinsecazione
«necessaria»  dei  poteri  inerenti  all'esercizio dell'azione penale
essendo   possibili   configurazioni   asimmetriche   del  potere  di
impugnazione  della  parte  pubblica  e  privata  e  limitazione alla
facolta'  di appello giustificate da particolari contesti processuali
(ad esempio nel giudizio abbreviato).
    La  sentenza  della Corte costituzionale n. 98 del 24 marzo 1994,
peraltro,    che   ha   rigettato   l'eccezione   di   illegittimita'
costituzionale   delle   norme  che  nel  rito  abbreviato  escludono
l'appello  incidentale  del  pubblico  ministero, ha rilevato che «la
configurazione  dei  poteri  di  impugnazione  del pubblico ministero
rimane  affidata  alla  legge ordinaria che potrebbe essere censurata
per  irragionevolezza  solo  se  i poteri stessi, nel loro complesso,
dovessero  risultare  inidonei  all'assolvimento dei compiti previsti
dall'art. 112 Cost.».
    Detta  situazione  di  irragionevolezza  e' proprio quella che si
verifica  a  seguito  dell'entrata  in  vigore  del  testo modificato
dell'art. 428  c.p.p.  che  preclude  l'appello  del  p.m.  contro la
sentenza di non luogo a procedere.
    La   soppressione   del  potere  di  appello  del  p.m.,  invero,
compromette irrimediabilmente la capacita' del medesimo di far valere
la  pretesa  punitiva  dello  Stato ponendolo nella condizione di non
poter coltivare l'azione pubblica punitiva attraverso la richiesta al
giudice  superiore  di  riesame dei fatti affermati nella sentenza di
non  doversi  procedere,  pur  in  presenza  di valutazioni di merito
assolutamente non condivisibili.