ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 567, secondo comma, del codice penale, promosso con ordinanza del 31 agosto 2005 dalla Corte di cassazione nel procedimento penale a carico di M.G. ed altro, iscritta al n. 16 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, 1ª serie speciale, dell'anno 2006. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella Camera di consiglio del 24 gennaio 2007 il giudice relatore Alfio Finocchiaro. Ritenuto che, con ordinanza del 31 agosto 2005, la Corte di cassazione ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 567, secondo comma, del codice penale nella parte in cui prevede - quale sanzione in caso di falsita' nella formazione dell'atto di nascita di un neonato - la pena della reclusione da cinque a quindici anni, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, in quanto la pena comminata sarebbe irragionevolmente elevata se comparata con quelle, piu' miti, previste per condotte non solo simili ma addirittura piu' gravi; che il Collegio rimettente espone che, con sentenza del Tribunale di Salerno, R.C. e G.M. sono stati dichiarati colpevoli del delitto di alterazione di stato previsto dall'art. 567, secondo comma, cod. pen., per avere reso false dichiarazioni di paternita' naturale - rispettivamente in data 31 luglio 1982 e 18 agosto 1983 - in relazione a due neonate partorite da donne che non consentivano di essere nominate, e che, con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, gli imputati sono stati condannati alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione ciascuno; che avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno - che in data 26 maggio 2004 ha confermato la decisione di primo grado - gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento per diversi motivi; che il Procuratore generale presso la Corte di cassazione, nel sostenere l'infondatezza di tali motivi, ha chiesto che venisse sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 567, secondo comma, cod. pen., per violazione dei principi di uguaglianza e di proporzionalita' delle pene; che il giudice a quo osserva che oggetto delle norme incriminatici di cui all'art. 567 cod. pen. e' la tutela dello status filiationis, e non della fede pubblica in quanto tale, giacche' per la tutela di quest'ultima sarebbe gia' sufficiente la previsione del delitto di falso ideologico per induzione del pubblico ufficiale, mentre e' evidente, nelle ipotesi di cui si tratta, un quid pluris, che investe l'interesse del minore e la rilevanza sociale del rapporto familiare riconosciuto per legge sulla base di un supporto naturalistico; che il Collegio rimettente rileva che nella fattispecie di cui all'art. 567, primo comma, cod. pen., che punisce con la reclusione da tre a dieci anni l'alterazione dello stato civile di un neonato mediante la sostituzione di quest'ultimo, «si verifica un accordo - il quale puo' essere anche anteriore alla dichiarazione all'ufficiale di stato civile - mediante il quale si attribuisce a due neonati uno status filiationis oggettivamente falso, perche' diverso da quello formale»; che tale condotta, secondo il giudice a quo, e' piu' grave rispetto a quella contemplata dal secondo comma dello stesso art. 567, perche' l'attribuzione di un falso status «presuppone una condotta materiale piu' complessa, un accordo che investe un numero maggiore di persone, con conseguente attribuzione di un falso status a due soggetti anziche' ad uno»; che cio' consentirebbe di affermare, nella previsione sanzionatoria del secondo comma dell'art. 567 del codice penale, l'esistenza di una lesione del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.; che, aggiunge il Collegio rimettente, pur costituendo la vita umana, nella coscienza sociale, in tutto il sistema penale e nella cultura occidentale, il bene fondamentale, tuttavia il delitto di alterazione previsto dall'art. 567, secondo comma, cod. pen. e' punito piu' gravemente dell'infanticidio in condizioni di abbandono materiale o morale (art. 578 dello stesso codice), per il quale e' comminata la sanzione della reclusione da quattro a dodici anni; che la grave pena edittale prevista dalla norma censurata sposta notevolmente i tempi di compimento della prescrizione, con la conseguenza che, nella specie, dovrebbe oggi «affermarsi la colpevolezza degli imputati [...] quando le persone, il cui status fu in ipotesi alterato, hanno raggiunto l'eta' di ventidue e ventitre anni»; che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'inammissibilita' e, comunque, per l'infondatezza della questione. Considerato che la Corte di cassazione dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 567, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui commina la reclusione da cinque a quindici anni a chiunque, nella formazione di un atto di nascita, altera lo stato civile di un neonato, mediante false dichiarazioni, false attestazioni o altre falsita', per violazione dell'art. 3 della Costituzione, in quanto la pena comminata e' irragionevolmente elevata se comparata con quelle, piu' miti, previste per condotte non solo simili ma addirittura piu' gravi; che, quali tertia comparationis, il giudice a quo richiama gli art. 567, primo comma, cod. pen., che punisce con la reclusione da tre a dieci anni l'alterazione dello stato civile di un neonato, mediante la sostituzione di quest'ultimo, e l'art. 578 dello stesso codice, che punisce con la reclusione da quattro a dodici anni la madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo la nascita o del feto durante il parto, quando il fatto e' determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto; che questa Corte ha, anche di recente (ordinanza n. 229 del 2006), ribadito il proprio orientamento - espresso sin dalla sentenza n. 26 del 1979 - secondo il quale la determinazione del trattamento sanzionatorio per condotte penalmente rilevanti rientra nella discrezionalita' del legislatore, salvo il sindacato di costituzionalita' su scelte normative palesemente arbitrarie o radicalmente ingiustificate, tali da evidenziare un uso distorto di tale discrezionalita' (sentenza n. 325 del 2005); che detto sindacato e' possibile qualora ci si dolga del fatto che per un certo reato sia prevista una pena troppo elevata e siano indicate, come tertia comparationis, norme che prevedano, in relazione a «fattispecie di reato sostanzialmente identiche», una pena piu' mite; che le fattispecie descritte dal primo comma (scambio di neonati senza commettere alcun falso) e dal secondo comma (falsa attestazione all'ufficiale dello stato civile in ordine alla identita' dei genitori del neonato) dell'art. 567 del codice penale sono oggettivamente diverse perche', seppure in entrambe e' tutelato il medesimo bene giuridico (l'interesse del minore alla verita' dell'attestazione ufficiale della propria ascendenza), nel caso del primo comma la condotta consiste in uno scambio materiale di neonati, mentre la fattispecie prevista dal secondo comma si realizza mediante la commissione di altro reato (quello di falso ideologico, che non concorre con quello di alterazione di stato), rivelando una piu' intensa carica criminosa, di tal che il principio di eguaglianza appare rispettato, avendo il legislatore trattato, dal punto di vista sanzionatorio, situazioni diverse in modo diverso; che proprio la rilevata diversita' tra le condotte criminose prese in esame, unitamente al fatto che la fattispecie prevista dal secondo comma dell'art. 567 del codice penale si concreta in un comportamento che gia' di per se' realizzerebbe un reato di falso, hanno, tra l'altro, ripetutamente indotto la Corte di cassazione a ritenere manifestamente infondata la questione all'odierno esame; che, parimenti, non sono assimilabili le fattispecie previste dall'art. 578 del codice penale e dalla norma censurata, per la diversita' della condotta contemplata e del bene giuridico protetto; che, pertanto, la questione e' manifestante infondata. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.