IL TRIBUNALE La sig.ra Luisetta Destri ha adito il giudice monocratico del lavoro del Tribunale della Spezia per sentir accertare, nei confronti del Ministero dell'economia e delle finanze e della Regione Liguria, il suo diritto al godimento della pensione di inabilita' civile, di cui all'art. 12, d.l. n. 5 del 1971, convertito nella legge n. 118 del 1971 e per la conseguente condanna dell'I.N.P.S. al pagamento della relativa prestazione economica. Avendo i convenuti costituiti (Ministero ed I.N.P.S.) contestato la sussistenza del requisito reddituale per il conseguimento della prestazione, la ricorrente ha prodotto una dichiarazione da cui risulta che il proprio reddito e' inferiore al limite stabilito per la pensione di inabilita' civile, mentre, se e' sommato a quello del coniuge, diviene superiore (il reddito dichiarato per l'anno 2004 e' pari ad euro 6.912,00 per essa ricorrente e pari ad euro 23.006,00 se sommato a quello del coniuge, a fronte di un limite di reddito per gli invalidi totali per l'anno 2004 pari ad euro 13.430,78). Ora, si rileva che le prestazioni di invalidita' civile - trovanti fondamento nella legge n. 118 del 1971, cit. (pensione di inabilita': art. 12, per gli invalidi civili assoluti; assegno mensile di assistenza: art. 13, per gli invalidi civili parziali) - originariamente erano assoggettate tutte al medesimo limite reddituale, di cui all'art. 26, legge n. 153 del 1969, come poi modificato dall'art. 3, d.l. n. 30 del 1974, convertito, con modifiche, nella legge n. 114 del 1974; tale limite era semplicemente differenziato a seconda che l'interessato fosse coniugato o meno. A seguito dell'art. 1, d.l. n. 856 del 1976, convertito, con modificazioni, nella legge n. 29 del 1977, veniva stabilito che la soglia reddituale per godere delle prestazioni per gli invalidi, i mutilati, i ciechi ed i sordomuti civili assoluti (tra cui la pensione di inabilita) fosse piu' elevata rispetto a quella per godere dell'assegno mensile di assistenza, evidentemente e ragionevolmente tenendo conto della maggior incidenza invalidante che presupponevano le prime prestazioni rispetto all'ultima; mette conto rilevare che, tuttavia, le modalita' di computo del reddito - e l'ambito di rilevanza di detto computo: limitato all'interessato od esteso al suo nucleo familiare - permanevano identiche sia in caso di richiesta di prestazioni per invalidi, mutilati, ciechi e sordomuti civili assoluti sia in caso di domanda di assegno mensile di assistenza. Invece, con l'art. 14-septies, quarto e quinto comma, legge n. 33 del 1980, di conversione, con modificazioni, del d.l. n. 663 del 1979, si e', per la prima volta, stabilito un diverso ambito di computo del reddito ai fini del conseguimento delle prestazioni di invalidita' civile. Infatti - per quel che qui interessa e rileva -, l'art. 14-septies, quinto comma, espressamente limitato al solo assegno mensile di assistenza, sancisce che, nella determinazione del reddito rilevante, debba essere escluso quello «... percepito da altri componenti del nucleo familiare di cui il soggetto interessato fa parte», cosi', in sostanza, dando rilievo solo al reddito di quest'ultimo; questa esenzione non si rinviene, invece, nel quarto comma, che indica i limiti di reddito per il conseguimento della pensione di inabilita' civile e delle prestazioni per mutilati, ciechi e sordomuti civili assoluti. Pertanto, con la legge n. 33 del 1980, si e' mantenuta la differenziazione tra la soglia di reddito (piu' alta) rilevante per il conseguimento della pensione (e delle prestazioni per i mutilati, i ciechi ed i sordomuti civili assoluti) e quella (piu' bassa) per l'ottenimento dell'assegno mensile di assistenza (per gli invalidi civili parziali); nel contempo, pero', si e' sancito che, ai fini del raggiungimento o meno di tale soglia, solamente per la seconda (l'assegno mensile), debba essere escluso, dal calcolo del limite del reddito, quello degli eventuali componenti il nucleo familiare dell'interessato. Tanto e' vero che la Corte di cassazione - con orientamento costante e ripetuto a diversi intervalli di tempo (sentt. 22 luglio 1992, n. 8816; 27 ottobre 1997, n. 10570; 19 novembre 2002, n. 16311; 20 novembre 2002, n. 16363; 11 settembre 2003, n. 13363) - ha statuito che, ai fini del conseguimento della pensione di inabilita' civile, occorre considerare i redditi dell'interessato e del coniuge, a differenza che nel caso dell'assegno. Non si ignora che codesta Corte, affrontando, sia pure incidentalmente, la questione nella sentenza 21 febbraio-9 marzo 1988, n. 88, ha, in motivazione, affermato invece che, tanto per l'assegno quanto per la pensione, non rileva il reddito del coniuge dell'interessato. E, tuttavia, sulla scorta della lettura congiunta del quarto e quinto comma dell'art. 14-septies e rilevando il loro diverso tenore, la Corte di cassazione e' venuta consolidando il differente orientamento interpretativo sopraddetto, che puo' considerarsi diritto vivente, perche' non contrastato da difformi pronunzie della Corte medesima. E, per giustificare tale disparita' di regime, la Corte di legittimita' ha sottolineato la diversa natura delle due prestazioni (pensione ed assegno) ed ha richiamato i meccanismi di solidarieta' familiare, che debbono integrare quelli pubblici (Cass. n. 16363 del 2002, cit., in motivaz.). Ritiene il giudice non condivisibile tale impostazione, perche' prospettante una questione non manifestamente infondata di legittimita' costituzionale dell'art. 14-septies, quarto comma in combinato disposto col quinto comma, legge n. 33 del 1980, cit. Infatti, tanto la pensione di inabilita' civile quanto l'assegno mensile di assistenza rientrano nel novero delle prestazioni assistenziali volte a dare un sostegno economico a chi versa in una situazione di totale o parziale invalidita', con cio' contribuendosi a realizzare il precetto costituzionale di cui agli artt. 2 e 38. Pare difficile, quindi, sostenere che le due prestazioni non partecipino della medesima ratio e non abbiano identiche finalita' (lo si desume anche dal fatto che entrambe possono richiedersi fino al compimento del 65° anno di eta); cio' che le differenzia e', in sostanza, il grado di invalidita' richiesto per il loro conseguimento, che da' ragione della differente soglia reddituale. Pertanto, e' perfettamente ragionevole che si richieda un piu' basso limite di reddito per chi conserva ancora una quota della capacita' lavorativa, rispetto a chi l'ha vista del tutto abolita. Se cosi' e', cio' che non appare ragionevole e' la distinzione operata dall'art. 14-septies, laddove, dopo avere esentato coloro che richiedono l'assegno mensile di assistenza dal computare anche i redditi del nucleo familiare (quinto comma), prescrive regola differente e peggiorativa per coloro che richiedono una prestazione che presuppone un ben piu' alto grado invalidante (quarto comma). In altri termini, la norma in parola appare dubitale di illegittimita' costituzionale, poiche', innovando al previgente sistema, ha preveduto una condizione peggiorativa per il calcolo dei redditi per quella situazione che, per definizione, e' piu' grave e, quindi, meritevole di un trattamento certamente non deteriore rispetto all'altra. Inoltre, il riferimento ai meccanismi di solidarieta' familiare - richiamati dalla suprema Corte - non puo' valere solo per gli inabili, ma vale anche per gli invalidi parziali; anzi, puo' dirsi che e' proprio quando in un nucleo familiare vi e' un soggetto totalmente e non solo parzialmente inabile che la situazione e' piu' gravosa e la solidarieta' familiare ha maggiormente bisogno del sostegno dato dall'intervento assistenziale pubblico. Ancora, nemmeno potrebbe osservarsi in contrario che l'inabile puo' cumulare la pensione con l'indennita' di accompagnamento, di cui all'art. 1, legge n. 18 del 1980 e successive modifiche e, quindi, godere di piu' trattamenti assistenziali rispetto all'invalido parziale. Infatti, se pure tale ultima provvidenza e' sganciata da limiti reddituali, pur tuttavia il requisito della totale invalidita' non integra, di per se', quello dell'accompagnamento (legato, come e' noto, ad una invalidita' al 100% correlata all'impossibilita' della deambulazione o alla mancanza di autonomia nel compiere gli atti quotidiani della vita). L'insegnamento della Corte di cassazione - la cui interpretazione del dato normativo, per vero, pare obbligata dal chiaro tenore dello stesso - conduce, quindi, piuttosto che a disvelare la differenza di ratio tra le due prestazioni, ad evidenziare i dubbi, non manifestamente infondati, di illegittimita' costituzionale. La discrezionalita' di cui gode il legislatore qui sembra trasmodare, piuttosto, in irragionevolezza della disciplina normativa, che e' deteriore per la situazione di invalidita' totale rispetto a quella parziale. Si aggiunga che un orientamento dei giudici di merito - a quanto consta, minoritario -, cercando di superare il chiaro tenore di legge con un'interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata del quarto e quinto comma dell'art. 14-septies, giunge a ritenere pleonastica, nel secondo, l'espressa esenzione dei redditi del nucleo familiare e, quindi, ad applicarla anche nel caso del primo (v. App. Genova 9 novembre 2005, in atti). Ma e' costante insegnamento di codesta Corte delle leggi che un'interpretazione costituzionalmente orientata del dato normativo e' consentita - ed, anzi, doverosa - qualora dello stesso piu' possano essere le plausibili opzioni ermeneutiche; non quando, invece - come nel caso di specie -, il tenore letterale del testo ed il raffronto tra le sue parti non lascino spazio a piu' ricostruzioni egualmente sostenibili (p. es., sent. 4-15 maggio 1992, n. 210, ordd. 16-30 gennaio 2003, n. 19, 11-24 aprile 2002, n. 138, 10-12 aprile 2002, n. 116). Pertanto, nei termini prospettati supra, pare non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto dell'art. 14-septies, quarto e quinto comma, cit., laddove non prevede, anche per il conseguimento della pensione di inabilita' civile, il computo dei redditi del solo richiedente ai fini del superamento o meno della soglia reddituale. Il parametro costituzionale di riferimento appare essere l'art. 3, primo comma, in quanto e' regolata in modo piu' sfavorevole o deteriore una situazione di maggior gravita', ma anche il combinato disposto dell'art. 3, secondo comma e dell'art. 38, primo comma, in quanto si attuano in modo contraddittorio i precetti dell'eguaglianza sostanziale e della piena tutela delle situazioni di invalidita'. La questione e' poi rilevante nel presente giudizio, in quanto la ricorrente, senza il computo dei redditi del coniuge (ed, a maggior ragione, del nucleo familiare), rientrerebbe nella soglia reddituale per poter conseguire la prestazione. La questione qui agitata costituisce, quindi, motivo autonomo e sufficiente di rigetto della domanda allo stato degli atti, considerando che l'orientamento prevalente della suprema Corte e' nel senso che, nei giudizi per il conseguimento delle prestazioni assistenziali diversi dall'opposizione a revoca, il giudice deve accertare anche il possesso del requisito reddituale (p. es., Cass. 6 marzo 2004, n. 4634); in ogni caso, il presente non e' giudizio di opposizione a revoca per ritenuta insussistenza o non permanenza del requisito sanitario. Con il ricorso, infatti, la ricorrente richiede non solo l'accertamento del suo diritto alla titolarita' della provvidenza assistenziale, ma anche la condanna del soggetto pagatore (l'I.N.P.S.) alla sua erogazione. Inoltre, la questione non puo' dirsi irrilevante perche' non e' stata ancora esperita in giudizio la C.T.U. medica, al fine di verificare il grado di invalidita': infatti, sarebbe contrario al principio di economicita' - che pure governa il processo - licenziare una onerosa perizia per accertare lo stato invalidante di chi gia' non possiede il requisito reddituale; situazione aggravata dall'essere la perizia, a norma dell'art. 152, disp. att. c.p.c., posta poi ordinariamente a carico dell'Erario (salve le eccezioni di cui allo stesso articolo). Anche il requisito della rilevanza e' quindi sussistente. La presente questione e' stata posta d'ufficio, con l'adesione della difesa di parte ricorrente; delle parti convenute, rimasta contumace la Regione Liguria, solo l'I.N.P.S. ha presentato, nel termine concesso, note scritte in merito. Gli atti vanno quindi trasmessi alla Corte costituzionale per l'ulteriore corso; ed il presente giudizio rimane sospeso sino all'esito del procedimento di costituzionalita' anzidetto.