IL GIUDICE DI PACE Sciogliendo la riserva formulata all'udienza del 22 settembre 2006, ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto al n. 540/06 R.G.A.C., avente per oggetto «Opposizione ex art. 22, legge n. 689/1981», interposto da Corsino Calogero contro la Prefettura-Ufficio territoriale del Governo di Caltanissetta, in persona del Prefetto pro tempore. Visti gli atti e la documentazione depositata con il ricorso; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'amministrazione resistente; Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue Con ricorso del 28 aprile 2006, in pari data presentato presso la cancelleria dell'intestato ufficio, il sig. Corsino Calogero, obbligato in solido quale proprietario del mezzo infra descritto, ricorreva avverso il verbale di contestazione n. 551926913 del 22 aprile 2006, con il quale i Carabinieri di Caltanissetta - durante un normale controllo sul territorio, accettavano che il figlio minore Corsino Giuseppe, nato l'11 dicembre 1988, conducente del ciclomotore, targato 7ER14, circolava senza fare uso del casco protettivo. Veniva contestata con il predetto verbale la violazione dell'art. 171/1-2 del codice della strada e si procedeva da parte dei Carabinieri al sequestro amministrativo del ciclomotore, con affidamento in custodia a terzi, atto che, in base all'attuale normativa, e' da ritenere propedeutico al successivo provvedimento di confisca da parte del prefetto, come disposto dall'art. 213-sexies del codice della strada, a seguito della novella disposta con l'art. 5-bis del decreto legge 30 giugno 2005, n. 115, convertito in legge 17 agosto 2005, n. 168. Avverso tale sanzione e' insorto, con rituale ricorso in opposizione ex art. 22, legge n. 689/1991, quale obbligato in solido, il genitore, rilevando in primis l'incostituzionalita' della norma sanzionatrice de qua. Si costituiva con comparsa di risposta la Prefettura- U.T.G. di Caltanissetta, concludendo, in via preliminare, per la dichiarazione di inammissibilita' del gravame e, nel merito, per la reiezione della domanda del ricorrente, in quanto infondata in fatto ed in diritto. Con provvedimento del 29 aprile 2006 del g.d.p. coordinatore veniva concessa la tutela cautelare formulata dal ricorrente. All'udienza del 22 settembre 2006, confermata in udienza detta sospensione, la causa veniva trattata e posta in decisione. Come esposto in narrativa, parte ricorrente, a seguito del provvedimento di fermo del ciclomotore, di cui risulta proprietaria, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale della norma che dispone il sequestro del mezzo, in quanto viola i diritti del cittadino. Non sembra, innanzi tutto, che l'eccepita inammissibilita' del ricorso, per come sollevata dalla resistente amministrazione, possa fondatamente prospettarsi. Sostiene il Prefetto di Caltanissetta che, poiche' l'opposizione verte sull'applicazione della sanzione accessoria della confisca del ciclomotore, non puo' farsi luogo ad impugnazione separata ed autonoma rispetto a quella principale, rispetto alla quale sarebbe intervenuta l'acquiescenza del ricorrente. Parte ricorrente ha eccepito l'incostituzionalita' dell'art. 213, comma 2-sexies del codice della strada, nella formulazione di cui alla legge n. 168/2005, nella parte in cui stabilisce la sanzione amministrativa della confisca obbligatoria del ciclomotore o motoveicolo condotto da persona sprovvista del casco protettivo, senza, tuttavia, svolgere alcuna specifica argomentazione sul punto. La questione cosi' posta, pur mancando della necessaria motivazione, appare a questo decidente rilevante e non manifestamente infondata, per cui ritiene di dover sollevare d'ufficio il dubbio di legittimita' costituzionale della su richiamata norma per contrasto con gli artt. 3, 27, primo comma e 42, terzo comma, della Costituzione. Dispone l'art. 213, comma 2-sexies, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 del codice della strada, come recentemente modificato dall'art. 5-bis del decreto legge 30 giugno 2005, n. 115, convertito nella legge 17 agosto 2005, n. 168, che: «E' sempre disposta la confisca in tutti i casi in cui un ciclomotore o un motoveicolo sia stato adoperato per una delle violazioni amministrative di cui agli articoli 169, commi 2 e 7, 170 e 171 o per commettere un reato, sia che la violazione amministrativa o il reato sia stato commesso da un detentore maggiorenne, sia che sia stato commesso da un detentore minorenne ...». La confisca, ossia la sottrazione definitiva del bene al legittimo proprietario, a seguito ed in conseguenza della succitata infrazione al c.d.s., non e' giustificata e si pone in contrasto rispettivamente con i parametri, di rango costituzionale, di ragionevolezza, della responsabilita' personale e di riconoscimento e difesa della proprieta' privata. Come puntualizzato in una lontana sentenza della Corte cost. (n. 29/1961), la confisca, pur consistendo sempre nella privazione di beni economici, non ha eguale natura giuridica, stante che puo' essere disposta per diversi motivi ed indirizzata a varie finalita', si' da assumere natura e funzione di pena o di misura di sicurezza, ovvero di misura giuridica civile o amministrativa. L'istituto, quindi, assume concreta configurazione, a seconda della previsione normativa, che la introduce. Nel caso in esame, si e' certamente in presenza di una confisca avente natura di sanzione amministrativa accessoria. Se cosi' e' ed e' lo stesso Legislatore a qualificarla tale, una prima, grave discrasia rileva, nel senso che, pur accompagnandosi essa ad una sanzione principale, non possiede, in forza del suo reale contenuto, i tratti della secondarieta', della marginalita' e della complementarieta', ergendosi ad elemento primario di regolamentazione e, per cio' stesso, contrastando con le direttrici dell'intero sistema sanzionatorio degli illeciti amministrativi in tema di violazioni al codice della strada. La tutela di specifiche esigenze, facilmente individuabili nel caso in esame nella salvaguardia dell'incolumita' degli stessi contravvenzionati e secondariamente nell'interesse della sicurezza stradale in genere, appare contrastare con il principio di adeguatezza e di ragionevolezza, solennemente posto dall'art. 3, primo comma della Carta costituzionale. Non v'e' dubbio che, pur nell'ampia discrezionalita' di cui gode il Legislatore nel punire gli illeciti amministrativi, sussiste pur sempre un limite, oltrepassato il quale la scelta della sanzione, travalicando la giusta e debita misura, interferisce con l'impianto complessivo reggente l'intero sistema, venendo meno il necessario criterio di proporzionalita', in entrambi i casi in cui esso e' dato esprimersi: proporzione a minori ad maius e proporzione a maiori ad minus. Sotto quest'ultimo profilo, se, ad esempio, nessun provvedimento di confisca obbligatoria e' previsto dal c.d.s. nei casi di danno alle persone, provocati con veicolo a 4 ruote, neanche se dal fatto colposo o doloso dell'agente sia derivata la morte di una o piu' persone, disporre la confisca in casi meno gravi, a fronte, come nella presente fattispecie, di meri comportamenti irregolari di chi trovasi alla guida di un veicolo a due ruote, la severita' della sanzione diventa abnorme, iniqua ed in quanto tale non riesce ad essere metabolizzata dal corpo sociale. Ed ancora, con la recentissima legge n. del 9 febbraio 2006, recante tra l'altro modifiche al c.d.s. in tema di incidenti stradali, si e' dato un giro di vite ai delitti colposi, mentre per i pirati della strada sono stati previsti lavori di pubblica utilita'; tra le sanzioni amministrative accessorie l'art. 222 c.d.s., che gia' prevedeva che il giudice penale nell'emettere la sentenza di condanna applicasse la sospensione della patente di guida, ha soltanto ritoccato in su i periodi di sospensione, escludendosi ogni previsione di confisca del mezzo. Aggiungasi che la norma di cui all'art. 213, comma 2-sexies c.d.s., qui contestata, disponendo la confisca obbligatoria in tutti i casi in cui il conducente del ciclomotore si trovi alla guida senza casco, senza eccezione alcuna e senza valutazione delle diverse situazioni di fatto prospettabili alla competente autorita' amministrativa, quali l'appartenenza del veicolo a terzo estraneo all'illecito amministrativo sanzionato, si traduce in un'ingiustificata violazione del diritto sul bene confiscato, collidendo con il richiamato canone costituzionale, sancito dall'art. 42, terzo comma, della Costituzione. Sul punto, codesta Corte, gia' con sentenze n. 229/1974 e 259/1976 ha delibato nel senso qui invocato, riconoscendo ingiusta ed irrazionale la previsione della confisca obbligatoria del bene, allorche' sia evidente la violazione del canone di ragionevolezza desumibile dall'art. 3, primo comma, della Costituzione, non sussistendo il rischio che sia leso l'ambito della discrezionalita' riservato al Legislatore. Tali convincimenti la Corte ha, altresi', espresso in altre significative pronunce, quali la n. 371 del 27 ottobre 1994 e la n. 110 del 12 aprile 1996, rese proprio in tema di circolazione stradale. E' vero che la Corte costituzionale ha piu' volte affermato che la responsabilita' del proprietario di un veicolo, per le violazioni commesse da chi si trovi alla guida, costituisce un principio di ordine generale, come nel caso di fermo amministrativo del veicolo, dichiarato costituzionalmente legittimo anche quando sia di proprieta' di terzi. Ma qui la norma censurata non si limita a sottrarre all'incolpevole proprietario la disponibilita' per un tempo limitato di un bene patrimoniale e, quindi, a comprimere le sole facolta' di godimento della res, bensi', con una statuizione di tipo demolitorio, a sottrargli il bene in via definitiva, senza possibilita' alcuna di rientrare in suo possesso. Con l'entrata in vigore dell'art. 213, comma 2-sexies, e riconoscibile un ulteriore vulnus all'impianto costituzionale, quale discendente dall'art. 27, comma 1, allorche', pur essendo l'antigiuridicita' della condotta ascrivibile ad altri, la confisca del ciclomotore e' applicata in via immediata ed automatica, non consentendosi al proprietario del bene di provare la propria, assoluta estraneita' all'illecito amministrativo da altri commesso, venendo meno, in pari modo, il principio della personalita' della responsabilita' amministrativa, di cui all'art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689, secondo il quale «nelle violazioni cui e' applicabile una sanzione amministrativa ciascuno e' responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa». Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.