ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 708, comma 2,
e  715,  comma 6,  del  codice  di  procedura  penale,  promosso  con
ordinanza  del  3 febbraio  2006 dalla Corte di appello di Catanzaro,
iscritta  al  n. 258  del  registro ordinanze 2006 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 35,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2006.
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  7 marzo 2007 il giudice
relatore Gaetano Silvestri.
    Ritenuto  che  con  ordinanza  del  3 febbraio  2006  la Corte di
appello  di  Catanzaro ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 13
della  Costituzione,  questioni  di legittimita' costituzionale degli
artt. 715,  comma 6,  e 708, comma 2, del codice di procedura penale,
nella  parte in cui collegano la maturazione dei termini perentori di
durata  delle  misure  privative  della  liberta' personale, disposte
provvisoriamente  a carico dell'estradando, al mancato verificarsi di
eventi   «non  conoscibili»  dal  giudice,  se  non  per  effetto  di
comunicazione da parte del Ministro della giustizia;
        che  la  Corte  rimettente  e'  chiamata  a  deliberare circa
l'eventuale revoca - ai sensi dell'art. 715, comma 6, cod. proc. pen.
- della misura della custodia in carcere applicata il 7 dicembre 2005
dal  presidente della stessa Corte, in sede di convalida dell'arresto
operato  dalla  polizia  giudiziaria,  nei  confronti di un cittadino
croato   colpito   da   mandato  di  cattura  internazionale,  emesso
dall'autorita'   giudiziaria   croata   per   il  reato  di  omicidio
volontario;
        che  il  giudice a quo riferisce che in data 9 dicembre 2005,
nel corso dell'audizione effettuata ai sensi dell'art. 717 cod. proc.
pen.,   la   persona   arrestata  ha  prestato  il  proprio  consenso
all'estradizione e che il relativo verbale e' stato trasmesso in pari
data al Ministro della giustizia;
        che,  come  riferisce la rimettente, in data 14 dicembre 2005
il  Ministro  della  giustizia  ha  chiesto,  ai sensi dell'art. 716,
comma 4,  cod.  proc.  pen.,  il  mantenimento della misura cautelare
disposta a carico del cittadino croato;
        che,  inoltre,  il  Ministero  della giustizia, nonostante le
numerose  richieste inviategli dall'autorita' giudiziaria procedente,
non  ha poi trasmesso ulteriori informazioni fino al 18 gennaio 2006,
giorno  in  cui la stessa rimettente ha ricevuto, per conoscenza, una
nota  dalla  quale  risulta  che  in pari data lo stesso Ministero ha
chiesto  al  Ministero  degli  affari  esteri  se le autorita' croate
avessero  inoltrato  la documentazione estradizionale, «nulla essendo
pervenuto al Ministero della giustizia»;
        che  il giudice a quo segnala di avere nuovamente sollecitato
il  Ministero  della  giustizia, nei giorni 25 e 30 gennaio 2006, per
sapere  se  fosse  pervenuta  la domanda di estradizione, comunicando
inoltre  che  in data 23 gennaio 2006 era scaduto anche il termine di
quarantacinque giorni, decorrente dalla ricezione del verbale recante
il  consenso del cittadino croato all'estradizione, entro il quale il
Ministro  della  giustizia  avrebbe  dovuto  valutare  nel  merito la
domanda  di  estradizione, con conseguente sopravvenuta cessazione di
efficacia della misura privativa della liberta';
        che, secondo quanto riferisce la rimettente, soltanto in data
30 gennaio  2006  il Ministero della giustizia comunicava via fax che
le  autorita'  croate avevano provveduto ad inoltrare rituale domanda
di  estradizione  nei  confronti  della  persona  sottoposta a misura
cautelare,  «senza  peraltro  precisare  se  i  relativi atti fossero
pervenuti  entro  il termine di quaranta giorni previsto dall'art. 16
della  Convenzione  europea  di  estradizione e dall'art. 715, ultimo
comma,  cod.  proc.  pen., ne' se il Ministro avesse deciso in merito
alla  estradizione  entro il termine previsto dall'art. 708, comma 1,
cod. proc. pen.»;
        che, premessa l'applicabilita' nella specie della Convenzione
europea  di  estradizione,  data  a  Parigi il 13 dicembre 1957 (resa
esecutiva  in  Italia  con  la  legge  30 gennaio 1963, n. 300), e in
vigore  nella  Repubblica  di Croazia dal 25 aprile 1995, la Corte di
appello  di  Catanzaro  giudica  prevalente  la disposizione pattizia
contenuta   nell'art. 16,   paragrafo   4,   su   quella  codicistica
dell'art. 715, comma 6, con riferimento all'individuazione del giorno
dell'arresto quale dies a quo per la decorrenza del termine di durata
della misura cautelare;
        che   il   giudice   a   quo   segnala  come,  nonostante  la
inequivocabile  perentorieta' del termine indicato, la giurisprudenza
di  legittimita', con orientamento consolidato, affermi che, «poiche'
la  Convenzione  prevede  la  possibilita'  di  superamento  di detto
termine  mediante  nuovo  arresto  qualora la domanda di estradizione
pervenga   successivamente,   deve   escludersi   che  la  perenzione
dell'arresto  provvisorio  imponga  la  scarcerazione dell'estradato,
qualora pervenga comunque, sia pure in ritardo, la domanda formale di
estradizione» (sentenza 11 maggio 1993, n. 1395);
        che,   peraltro,  la  Corte  rimettente  non  condivide  tale
orientamento, in quanto esso vanificherebbe la previsione del termine
perentorio  e renderebbe la misura privativa della liberta' personale
suscettibile  di  durata  illimitata, in attesa della richiesta dello
Stato estero;
        che,  nel  merito,  il  giudice  a  quo rileva come l'inutile
decorrenza  del  termine  indicato dall'art. 715, comma 6, cod. proc.
pen.,  sia  ancorata  ad una circostanza - la ricezione, da parte del
Ministero  degli  affari  esteri  o  di quello della giustizia, della
domanda  di  estradizione e dei documenti indicati nell'art. 700 cod.
proc.  pen.  -  che  non  e'  direttamente  «conoscibile» dal giudice
procedente,  sicche', in difetto di tempestiva comunicazione da parte
del  Ministro  della giustizia, accade, per un verso, che l'autorita'
giudiziaria  sia impossibilitata a verificare l'avvenuta scadenza del
termine  e a revocare eventuali misure cautelari, e, per altro verso,
che  il  termine stesso risulti procrastinabile a tempo indeterminato
dal  Ministro,  con evidenti riflessi sulla privazione della liberta'
personale;
        che  la rimettente ribadisce come, nel caso di specie, il fax
pervenuto  dal  Ministero della giustizia in data 30 gennaio 2006 non
fornisca  alcun  dato  circa  il carattere tempestivo della ricezione
della domanda di estradizione;
        che,  a parere del giudice a quo, a fronte del chiaro dettato
normativo  sarebbe  del tutto arbitrario trarre conseguenze dal «mero
silenzio» del Ministero della giustizia, posto che l'evento estintivo
della   misura   non   e'   collegato  alla  mancanza  di  tempestiva
comunicazione  della  ricezione,  quanto piuttosto al «fatto storico»
della  mancata  ricezione  della  domanda di estradizione nel termine
indicato;
        che,  pertanto,  la  Corte  di appello di Catanzaro prospetta
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 715,  comma 6, cod. proc.
pen.,  per  l'irragionevolezza  che  connoterebbe la previsione di un
termine perentorio senza contestuale assicurazione della possibilita'
di  verifica  giudiziale  dell'evento cui detto termine e' collegato,
con  la conseguenza che il giudice - in mancanza di comunicazione del
Ministero  della  giustizia  - «non e' posto in grado di provvedere a
norma  del  combinato disposto degli artt. 715 e 718 cod. proc. pen.»
alla  revoca  della misura cautelare provvisoriamente disposta a fini
estradizionali;
        che,   inoltre,  la  stessa  norma  e'  censurata  anche  con
riferimento  all'art. 13  Cost.,  in  quanto,  per effetto della «non
conoscibilita»  da parte del giudice dell'evento cui la legge collega
il mantenimento o la perenzione della misura privativa della liberta'
personale,  la  durata  di quest'ultima sarebbe determinata non dalla
legge,   ma  dal  Ministro,  il  quale  «ritardando  o  omettendo  di
comunicare  se la domanda di estradizione sia pervenuta, impedisce al
giudice  di provvedere a norma del combinato disposto degli artt. 715
e 718 cod. proc. pen.»;
        che,  a  parere  della  rimettente,  alle medesime censure si
esporrebbe anche la previsione contenuta nell'art. 708, comma 2, cod.
proc. pen;
        che  il  giudice  a  quo  rileva  come tale norma preveda, al
comma 1,  il  termine  di  quarantacinque  giorni  entro  il quale il
Ministro della giustizia, nei casi di consenso dell'interessato, deve
decidere in ordine all'estradizione, e faccia decorrere detto termine
dal  giorno  della ricezione del verbale che documenta il consenso, e
come  la  stessa  norma,  al  comma 2,  stabilisca  che «scaduto tale
termine  senza  che  sia  intervenuta  la  decisione del ministro, la
persona  della  quale e' stata richiesta l'estradizione, se detenuta,
e' posta in liberta»;
        che,  premesso  il  carattere  perentorio del termine fissato
nell'art. 708,  comma 2, cod. proc. pen. (Cass., sentenza 21 dicembre
1990,  n. 6225), la rimettente precisa che, nel caso di specie, detto
termine sarebbe scaduto in data 23 gennaio 2006, emergendo da cio' la
rilevanza  della  questione  ai  fini  della decisione in ordine alla
scarcerazione dell'estradando;
        che,  inoltre,  anche nell'art. 708, comma 2, cod. proc. pen.
«la decorrenza finale del termine e' rimessa ad una attivita' che non
e' conoscibile dal giudice, con la conseguenza che, in difetto di una
comunicazione  da parte del Ministro, da un lato e' impossibile [...]
verificarne  la scadenza e dall'altro lato e' procrastinabile a tempo
indeterminato  dall'organo  politico,  con  evidenti  riflessi  sulla
durata della custodia cautelare dell'estradando»;
        che  la  Corte  rimettente ribadisce l'assunto secondo cui il
silenzio  del  Ministro non potrebbe essere valorizzato ai fini della
decisione,  in  quanto la norma censurata collega l'effetto estintivo
della  misura  restrittiva alla mancanza della deliberazione, e non a
quella   della   relativa   comunicazione  all'autorita'  giudiziaria
procedente;
        che,  pertanto,  la  disposizione in esame, al pari di quella
contenuta  nell'art. 715,  comma 6,  cod. proc. pen., sarebbe viziata
per  l'irragionevolezza  della previsione di un termine perentorio la
cui  scadenza  non  e'  verificabile  dal  giudice senza l'intervento
dell'organo  politico,  sicche'  la  durata  della  misura  cautelare
resterebbe  priva  di  limiti  temporali o, comunque, sarebbe rimessa
alla discrezionalita' del Ministro della giustizia;
        che,  infine,  il  giudice  a  quo  evidenzia come, atteso il
tenore   delle   disposizioni   censurate,   sarebbe  preclusa  «ogni
interpretazione  alternativa  che  consenta  di  superare i delineati
profili  di  illegittimita'  costituzionale» e, per altro verso, come
non  possano trovare applicazione, nel giudizio principale, i diversi
termini  di  durata  delle  misure coercitive stabiliti dall'art. 714
cod.    proc.   pen.,   «non   essendovi   la   ulteriore   procedura
giurisdizionale   finalizzata   alla  sentenza  di  cui  all'art. 705
c.p.p.».
    Considerato che la Corte di appello di Catanzaro ha sollevato, in
riferimento  agli  artt. 3  e  13  della  Costituzione,  questioni di
legittimita' costituzionale degli artt. 715, comma 6, e 708, comma 2,
del  codice  di  procedura  penale,  nella  parte  in  cui tali norme
collegano la maturazione dei termini perentori di durata delle misure
privative  della  liberta'  personale,  disposte  provvisoriamente  a
carico   dell'estradando,  al  mancato  verificarsi  di  eventi  «non
conoscibili»  dal  giudice,  se  non  per effetto di comunicazione da
parte del Ministro della giustizia;
        che  gli  artt. 715, comma 6, e 708, comma 2, cod. proc. pen.
fanno dipendere il decorso dei termini perentori in essi previsti: il
primo,  dall'arrivo al Ministero degli affari esteri o a quello della
giustizia della domanda di estradizione; il secondo, dalla ricezione,
da  parte  del Ministro della giustizia, del verbale che da' atto del
consenso all'estradizione della persona interessata;
        che  la  ritardata  od  omessa  comunicazione  da  parte  del
Ministero   della   giustizia   alla   Corte  di  appello  competente
costituisce - alla stregua della esposizione narrativa del rimettente
-  una  inadempienza del suddetto Ministero, che determina un, seppur
grave, inconveniente di fatto;
        che   tale   inconveniente  di  fatto  rilevato  dal  giudice
rimettente  non  e'  certamente  ricollegabile  ai  termini perentori
previsti  dalle  norme  censurate,  da  ritenersi indispensabili e da
applicarsi  con  il  massimo  rigore,  poiche' si versa in materia di
restrizioni della liberta' personale;
        che  il  rimettente,  peraltro,  non  definisce  il  tipo  di
intervento  richiesto  a  questa Corte, limitandosi a prospettare una
presunta  contraddizione  tra  la  perentorieta' dei termini previsti
dalle  norme  censurate  e  l'asserita impossibilita' di verifica, da
parte dell'autorita' giudiziaria competente, del fatto storico da cui
dipende la decorrenza dei termini stessi;
        che,  pertanto,  il  petitum  delle questioni di legittimita'
costituzionale  sollevate dal giudice rimettente non e' precisato ne'
e'  deducibile dall'atto introduttivo del presente giudizio, giacche'
non  emerge dall'ordinanza di rimessione quale intervento additivo, a
parere  del giudice a quo, dovrebbe essere effettuato da questa Corte
per eliminare gli inconvenienti denunciati;
        che,   in   linea   astratta,   i  rimedi  potrebbero  essere
molteplici,   derivanti   o  da  una  diversa  interpretazione  delle
disposizioni  in  oggetto  o  da  interventi  del  legislatore  sulle
procedure   previste  dalla  legge  in  tema  di  liberta'  personale
dell'estradando;
        che,  di  conseguenza, manca una soluzione costituzionalmente
obbligata del dubbio prospettato dal giudice rimettente.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.