IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza ex art. 23, legge dell'11 marzo 1953, n. 87. Visti gli atti del procedimento penale soprarubricato nei confronti di Rizza Paolo Gaetano per il reato ex artt. 99, quarto comma c.p. e 73, comma 1-bis lett. a) d.P.R. n. 309/1990 in Trecate il 17 gennaio 2006. O s s e r v a i n f a t t o In data 17 gennaio 2006 Rizza Paolo Gaetano veniva tratto in arresto per il reato di detenzione illecita di sostanze stupefacenti del tipo cocaina ed hashish. Il provvedimento restrittivo scaturiva dall'esecuzione di un decreto di perquisizione locale e personale disposto dal p.m. di Novara nei confronti dell'odierno imputato, a seguito di segnalazioni del comune di Magenta relative alla situazione della figlia minore dell'odierno imputato (Rizza Priscilla) ed alle preoccupazioni manifestate dalle assistenti sociali e dalla madre della ragazza circa il presunto consumo di sostanze stupefacenti all'interno dell'abitazione dei Rizza. Le perquisizioni effettuate durante la mattinata del 17 gennaio 2006 davano esito positivo portando al rinvenimento e sequestro di un bustina di plastica di cm 6x9, contenente al suo interno due bustine contenenti gr. 5,00 e 0,9 di cocaina; una bustina di plastica di cm 6x9 contenente marijuana del peso di gr. 2,8; un sacchetto In plastica avente all'interno due sacchetti contenenti gr. 94,00 e 60,50 di marijuana; un mozzicone di «spinello» rinvenuto in un posacenere, ed infine un contenitore in plastica sigillato contenente 100 bustine di cm 6x9, tre bustine sfuse vuote dello stesso tipo e misura, un rocchetto di nastro isolante di colore nero quasi esaurito. L'esito positivo del narcotest per entrambe le qualita' di stupefacente rinvenuto portava all'arresto del Rizza per il fiagrante reato di detenzione ai fini di spaccio per come declinato in imputazione. Nel medesimo contesto venivano assunte anche le spontanee dichiarazioni dei figli dell'imputato (Rizza Rosita e Rizza Beniamino): la prima riferiva di abitare con il padre da circa un mese e di aver rinvenuto la droga solo il giorno dell'arresto, precisando di fare uso di marijuana ogni tanto. Il secondo riferiva di abitare con il padre da circa un anno e di fare saltuariamente uso di «canne» consumata in compagnia di conoscenti ed amici e di aver visto «l'erba» del padre solo il giorno dell'arresto. In sede di interrogatorio di convalida Rizza negava totalmente gli addebiti asserendo il consumo personale dello stupefacente rinvenuto, giustificando l'assunzione di cocaina per lenire i dolori derivanti da un grave infortunio occorsogli circa 7 mesi addietro (con frattura del bacino e dei polsi), insieme a 6/7 spinelli di marijuana. sempre per la stessa ragione medicamentosa. Il provvedimento restrittivo veniva convalidato ed applicata la misura cautelare dell'obbligo di dimora con divieto di allontanamento notturno, sulla ritenuta non credibilita' delle dichiarazioni rese dall'interessato. Acquisiti gli esiti delle analisi chimico tossicologiche (che hanno indicato un principio attivo medio pari al 45% per la cocaina e che oscilla dal 12,5 al 13,4 % per la marijuana) e sulla base di tale attivita' istruttoria il g.i.p. emetteva decreto di giudizio immediato a seguito di richiesta formulata dal p.m. L'imputato ha avanzato istanza di definizione con rito abbreviato non condizionato. In sede di celebrazione dell'udienza camerale la difesa ha sollevato in via preliminare eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 3, legge n. 251/2006 per violazione degli artt. 3, primo comma, 25, secondo comma e 27, terzo comma cost., ritenendo tale norma incostituzionale nella parte in cui prelude il giudizio di prevalenza circostanziale tra aggravanti ed attenuanti in caso di recidivo ex art. 99, quarto comma c.p. Il p.m. si e' associato alla richiesta difensiva evidenziando la fondatezza e la manifesta rilevanza della questione sollevata. I n d i r i t t o La questione di illegittimita' costituzionale appare rilevante e fondata unicamente in relazione all'art. 27, terzo comma cost. In punto rilevanza della questione sollevata si osserva. E' pacificamente emersa (e non e' in ogni caso contestata) la condotta materiale della detenzione di gr. 5,9 di cocaina e 157,3 gr. di marijuana in capo all'imputato. Del pari risulta provata dalla pubblica accusa la detenzione ai fini di spaccio discendente dalla valutazione complessiva, in prima battuta, della differente qualita' di sostanza (cocaina e marijuana), del non modesto dato quantitativo ponderale dello stupefacente (pari a complessivi gr. 5 di cocaina e 157,3 gr. di marijuana gia' suddivisa) che, sebbene in via astratta non sia incompatibile con la destinazione personale, e' un dato che va tuttavia letto alla luce delle circostanze concrete nelle quali e' stato rinvenuto che inequivocabilmente depongono a favore della tesi accusatoria. In primo luogo le modalita' di confezionamento della droga (involucri immediatamente cedibili), oltre che dal rinvenimento di strumenti inequivocabilmente utilizzati per lo spaccio della sostanza (ci si riferisce alla predisposizione di numerosi sacchetti di plastica per le singole dosi e del nastro adesivo utizzato per la sigillatura delle confezioni), nonche' dalla mancanza di adeguate e lecite fonti di reddito. In tale contesto le dichiarazioni rese dal Rizza in sede di convalida, nella loro inverosimiglianza, valgono a rafforzare l'ipotesi accusatoria. Invero la versione del Rizza contrasta non solo con quanto coerentemente asserito dai figli dello stesso, i quali hanno escluso un'attivita' cosi' rilevante di reperimento, scorta ed uso plurimo quotidiano di droga da parte del padre riferendo di aver appreso della presenza della droga solo all'atto dell'intervento della p.g. Ma anche dalle stesse modalita' di assunzione (piu' volte al giorno) che come tali non sarebbero sfuggite all'osservazione dei figli conviventi. In ogni caso il costo per l'approvvigionamento della droga pare del tutto incompatibile con la situazione economico sociale dell'imputato (operaio in malattia per infortunio con canone d'affitto di Euro 300 al mese, spese di mantenimento e figli). Tuttavia il fatto in contestazione, ad avviso del giudicante, va ricondotto all'ipotesi attenuata di cui al quinto comma dell'art. 73 d.P.R. n. 309/1990: il quantitativo non elevato di sostanza stupefacente, e le modalita' concrete dell'azione complessivamente considerate, depongono in tal senso confortando la valutazione di una minima offensivita' della condotta in contestazione per la collettivita'. Per giurisprudenza costante ed univoca tale ipotesi costituisce una circostanza attenuante e non una fattispecie autonoma di reato (cfr. ex pluribus e da ultimo Cass. 24 febbraio 2005 Cianchetta). Sul versante delle aggravanti risulta contestata la recidiva ex art. 99, quarto comma c.p. da intendersi come recidiva reiterata specifica, in quanto risultano quattro condanne di cui due per detenzione illecita di stupefacenti La recidiva rientra tra le circostanze inerenti la persona del colpevole (art. 70 u.c.c.p.). L'art. 69 c.p. che disciplina il giudizio di bilanciamento in caso di concorso tra aggravanti ed attenuanti (cd. concorso eterogeneo) e' stato modificato dall'art. 3, legge 5 dicembre 2005, n. 251 (in vigore dall'8 dicembre 2005) prevedendo all'u.c. il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute aggravanti nei casi previsti dall'art. 99, comma 4, nonche' dagli artt. 111 e 112, comma 1 n. 4 c.p. Orbene nel caso di specie la gravita' del fatto e la conseguente pericolosita' sociale dimostrata dal reo con la condotta tenuta, risultano di modesta entita', tenuto conto dell'esiguita' del quantitativo di droga detenuto e del fatto che i precedenti penali dell'imputato, pur numerosi, risultano sostanzialmente legati ad una condizione di tossicodipendenza e comunque risalenti all'anno 2000. Sicche' vigente l'art. 69 c.p. ante novella 2005, l'attenuante ad effetto speciale sarebbe stata ritenuta prevalente rispetto alla recidiva, consentendo l'individuazione di un trattamento sanzionatorio congruo all'effettiva gravita' della condotta che spaziava da i a sei anni di reclusione e da Euro 3.000 a Euro 26.000 di multa. Mentre nell'attuale formulazione dell'art. 69 c.p. il minimo sanzionatotio applicabile nel caso in esame, e previo giudizio di equivalenza, sarebbe quello di anni 6 di reclusione e Euro 26.000 di multa (tenuto conto del trattamento piu' favorevole alla luce delle modifiche introdotte al d.P.R. n. 309/1990 dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 272), trattamento che pare del tutto sproporzionato alla condotta tenuta dall'imputato nell'occorso. Da qui la rilevanza della prospettata questione di illegittimita' costituzionale. In punto fondatezza della questione si osserva. La questione non appare fondata con riferimento all'art. 3 Cost. in relazione alla violazione del principio di ragionevolezza inteso quale particolare accezione del principio uguaglianza. Va osservato, in via generale, che la Corte costituzionale ha avuto modo piu' volte di affermare che il legislatore, nell'ambito della sua discrezionalita' e competenza, nell'individuazione della quantita' e qualita' della pena incontra come unico limite quello della ragionevolezza, la cui violazione porta ad una conseguente disparita' di trattamento (da ultimo sent. n. 78/2005; sent. n. 219/2004; ord. n. 438/2001, n. 207/1999, n. 435/1998; sent. n. 306/1993). In particolare, riguardo alla condizione di soggetto recidivo, va sottolineato che il legislatore ne ha differenziato (in termini meno favorevoli) il trattamento sanzionatorio rispetto al soggetto incensurato, considerando la recidiva una condizione di sintomatica pericolosita' soggettiva piu' intensa rispetto alle altre forme di recidiva. A titolo esemplificativo il legislatore ha escluso il recidivo reiterato dall'applicazione di numerosi istituti quali l'amnistia, l'indulto (salvo diversa disposizione di legge), l'oblazione ex art. 162-bis c.p., la sospensione condizionale della pena, l'estinzione delle pene della reclusione e della multa per decorso del tempo. In alcuni casi (da ultimo in tema di predusione al rito alternativo del parteggiamento) la Corte costituzionale ha ritenuto che il differente trattamento sanzionatorio fosse sostenuto da motivazioni ragionevoli, giungendo anche a precisare che «tra le "condizioni personali e sociali" richiamate dall'art. 3 Cost. per escludere che possano costituire il presupposto di eventuali trattamenti discriminatori, non rientrano certamente quelle che, come la recidiva, derivano da una condotta illegale o addirittura criminosa» (sent. n. 421/2004; e prima sent. n. 100/1971 e n. 5/1977). Sicche' appare coerente e ragionevole, nella prospettiva dell'art 3 Cost., la scelta del legislatore di riservare un trattamento sanzionatorio piu' rigoroso per coloro che hanno dimostrato una rilevante capacita' a delinquere. La dedotta illegittimita' costituzionale ex art. 25, secondo comma Cost. deve ritenersi assorbita nell'art. 3 posto che la stessa difesa nella prospettazione della questione rinvia alle medesime deduzioni svolte in relazione a tale norma. Per contro la questione e' fondata in riferimento all'art. 27, terzo comma Cost. La funzione che la carta costituzionale assegna alla sanzione penale e' duplice: per un verso retributiva ed affittiva, in funzione di un'esigenza di difesa sociale e di prevenzione generale; e per l'altro rieducativa e di prevenzione speciale, in funzione del recupero del reo al contesto sociale. Le due funzioni coesistono all'interno di un sistema normativo vivente che risente ed e' direttamente influenzato dalla dinamica dei fenomeni delinquenziali, sicche' in relazione alle scelte di politica criminale del legislatore, si potra' valorizzare la prima piuttosto che la seconda di tali funzioni, ma «a patto che nessuna di esse ne risulti obliterata» (sent. n. 257/2006). La stessa Corte costituzionale ha precisato che «in tanto puo' concretamente parlarsi di una sostanziale non elusione delle funzioni costituzionali della pena, in quanto il sacrificio dell'una sia il "minimo indispensabile" per realizzare il soddisfacimento dell'altra, giacche' soltanto nel quadro di un sistema informato ai paradigmi della "adeguatezza e della proporzionalita'" delle misure ... e' possibile sindacare la razionalita' intrinseca (e quindi la compatibilita' costituzionale) degli equilibri prescelti dal legislatore» (ibidem). Rimarcando, poi, con preoccupazione la tendenza alla configurazione normativa di «tipi d'autore» per i quali la rieducazione non sarebbe possibile o potrebbe non essere perseguita. Tali rilievi valgono anche con riferimento all'art. 3, legge n. 251/2005 ove il legislatore ha privilegiato la linea repressiva obliterando del tutto il percorso di rieducazione pur assegnato alla pena: il legislatore del 2005 ha mutilato il potere del giudice di applicare la legge, nell'ambito del suo libero convincimento formatosi nel corso del giudizio, con la preclusione del giudizio di prevalenza nel bilanciamento circostanziale tra attenuanti ed aggravanti ex art. 69 u.c. c.p., intaccando quella che e' una vera e propria regola di giudizio alla quale e' ispirato l'intero sistema penale sostanziale e processuale e, prima ancora, costituzionale del nostro ordinamento giuridico. Cosi' facendo, infatti., si preclude la possibilita' di individuare in concreto quel trattamento sanzionatorio correlato alla gravita' del fatto commesso ed alla personalita' del colpevole in modo tale da reprimere la sua condotta (f. retributiva) ed al contempo da consentire quell'auspicabile cammino di recupero sociale sotteso alla funzione rieducativi assegnata alla sanzione penale. Alla luce di quanto sinora esposto va, pertanto, disposta la sospensione del presente procedimento penale ai sensi dell'art. 23, legge n. 87/1953.