Ricorso  del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e  difeso  dall'Avvocatura  generale dello Stato e presso la medesima
domiciliato  in  Roma,  via  dei  Portoghesi n. 12, avente ad oggetto
conflitto  di  attribuzione  tra poteri dello Stato nei confronti del
G.I.P. - operante in veste di G.U.P. - presso il Tribunale di Milano,
in  relazione  al  decreto di rinvio a giudizio emesso il 16 febbraio
2007 su richiesta di rinvio a giudizio della Procura della Repubblica
di  Milano  nei  confronti  di  funzionari  del SISMi (tra cui il suo
direttore)  di  agenti di un Servizio straniero e di altri, in quanto
detto  decreto e' stato adottato sulla base (anche) di documentazione
segreta e di altre fonti di prova acquisite in violazione del segreto
di  Stato  che  accompagnava  la  richiesta  di  rinvio  a giudizio e
costituisce  quindi  esercizio di funzione giurisdizionale in materia
sottratta alla competenza dell'Autorita' giudiziaria.


                              F a t t o

    1.  -  La  procura  della  Repubblica di Milano, procedendo nelle
indagini sul sequestro di persona di Nasr Osama Mustafa Hassan, alias
Abu   Omar,   avverti'  ben  presto  che  la  sua  attivita'  sarebbe
necessaramente  entrata  in  contatto con aree coperte dal segreto di
Stato  e  di  questo  ebbe,  anzi, preciso avvertimento, oltre che da
parte  dei  testimoni  e  degli indagati, da parte del Presidente del
Consiglio  pro  tempore,  il quale, informato dal Direttore dei SISMi
delle richieste di notizie indirizzategli dalla Procura milanese, con
nota    11 novembre    2005    n. USG/2.SP/l318/50/347    (doc.   1),
nell'affermare energicamente l'assoluta estraneita' del Governo e del
SISMi  al  sequestro  in danno di Abu Omar, confermo' le disposizioni
precedentemente impartite dai suoi predecessori in materia di segreto
di  Stato,  in  particolare  per  quanto  attiene alle «relazioni dei
Servizi ... con organi informativi di altri Stati».
    E'  chiaro  l'implicito  richiamo  alla direttiva 30 luglio 1985,
n. 2001.5/707 (doc. 2), nella quale veniva stabilito quanto segue.
        «1.  Agli  effetti  dell'art.  342  del  codice  di procedura
penale,  devono  intendersi  coperti  dal  segreto  di Stato ai sensi
dell'art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, le cose, gli atti e
i   documenti   relativamente   ai   quali  esista  un  provvedimento
dichiarativo  del  segreto  di Stato, ovvero i cui contenuti o le cui
caratteristiche   siano   tali   da   rilevare  informazioni  o  dati
concernenti   i  compiti,  le  attribuzioni,  la  programmazione,  la
costituzione,   la  dislocazione,  l'impiego  e  gli  organici  degli
organismi  di  informazione e di sicurezza e le relative strutture; i
dati  di riconoscimento autentici o di copertura dei componenti degli
organismi  medesimi  e  quelli  di  copertura  di  tali organismi; le
posizioni  documentali  dei  singoli componenti; l'addestramento e la
preparazione  professionale  di tipo specialistico per lo svolgimento
delle  attivita'  istituzionali;  le aree ed i settori di impiego; le
operazioni  e  le  attivita'  informative; le modalita' e le tecniche
operative,   le   fonti   confidenziali;   le  relazioni  con  organi
informativi  di  altri Stati; le infrastrutture ed i poli operativi e
logistici;  l'assetto ed il funzionamento degli impianti, dei sistemi
e delle reti di telecomunicazione, radiogoniometriche, radar e cripto
nonche'  di  elaborazione  dati;  l'armamento,  l'equipaggiamento,  i
veicoli, i mezzi e i materiali speciali in dotazione.
    2.  -  Agli  effetti dell'art. 352 del codice di procedura penale
deve  intendersi  coperta  da  segreto di Stato ogni notizia relativa
agli oggetti di cui all'articolo precedente.»
    Direttiva,  quest'ultima, ben nota agli operatori nel campo della
giustizia penale (cfr. Assise Roma, sentenza n. 21/1997 del 12 giugno
1997 e Cass. Sez. I pen. sentenza n. 3348 del 29 gennaio 2002).
    L'apposizione  del  segreto  di  Stato  fu  ancora  reiterata dal
Presidente  del  Consiglio  pro  tempore,  con  nota  26 luglio  2006
n. USG/2.SP/813/50/347  (doc.  3)  contenente risposta al Procuratore
della Repubblica di Milano il quale aveva chiesto «la trasmissione di
ogni  comunicazione  o  documento  ...  concernenti  il  sequestro in
oggetto  indicato (Abu Omar: n.d.r.) o le vicende sopra descritte che
lo  hanno  preceduto  o, in generale, tutti i documenti informativi e
atti  relativi alle pratiche delle c.d. «renditions». «Tanto premesso
-  continuava  il  Procuratore  della  Repubblica di Milano - rivolgo
richiesta alla S.V. competente ai sensi dell'art. 1, legge 24 ottobre
1977,  n. 801,  nella  ipotesi  in  cui  su  tali  atti,  documenti o
informative,  ove  effettivamente  esistenti,  gravasse il segreto di
Stato, di valutare l'opportunita' di revocarlo» (doc. 4).
    La  risposta  del  Presidente  del  Consiglio  pro  tempore fu la
seguente:   «...   rilevo   che   su   detta  documentazione  risulta
effettivamente  apposto  il  segreto di Stato da parte del precedente
Presidente   del   Consiglio   dei  ministri;  il  segreto  e'  stato
successivamente   confermato   dallo   Scrivente.   Ne'   sussistono,
nell'attuale  contesto,  le  condizioni  per  rimuovere il segreto di
Stato da detta documentazione ...».
    Ma  v'e'  di  piu'. Tra le varie attivita' di indagine svolte, la
Procura  di Milano procedette al sequestro di tutta la documentazione
esistente presso un Ufficio del SISMi sito in via Nazionale, in Roma.
    Fra   tali   documenti   -   molti   dei  quali  contenenti  dati
oggettivamente  coperti da segreto di Stato - spiccava in particolare
una  cartella,  di  colore blu, rinvenuta nella stanza n. 10, ufficio
della dott.ssa Tontodimamma e cosi' descritta:
      «Reperto D. 19» «Materiale rinvenuto nella stanza n. 10 Ufficio
della dott.ssa Tontodimamma Jenny:
            Reperto  D.  19:  una cartellina di colore blu contenente
fotocopie relative a documenti riguardanti il rapimento del cittadino
egiziano   Abu   Omar   Al  Masri,  tutti  classificati  riservati  e
riservatissimi  cosi'  suddivisi.  a) documento  composto  da 5 fogli
formato  A4,  intestato:  «In  Italia,  la  rabbia per la tattica USA
colora  un  caso  di spionaggio - New York Times» e terminante con la
frase   «assistere   efficacemente  l'indagine  italiana»  b) nr.  20
fotocopie  di  documentazione  relativa  al  sequestro  del cittadino
egiziano, il tutto tenuto insieme da un fermaglio.» (doc. 5).
    Tale  documentazione,  per  di  piu',  era  in  larghissima parte
identica  a  quella  che  il  Direttore del SISMi con nota 31 ottobre
2006,  trasmise  -  su  specifica  richiesta - alla Procura di Milano
(doc.  6).  Si  trattava, in realta', della versione definitiva di un
appunto   di   cui   il   documento   sequestrato   costituiva  bozza
preparatoria.
    Orbene,  tale  trasmissione  ufficiale conteneva l'avvertenza che
alcuni  passaggi  dei  documenti  trasmessi  erano «oscurati» perche'
coperti  da  segreto di Stato (in quanto idonei a rivelare nominativi
di  agenti  stranieri,  sigle segrete dei relativi servizi e rapporti
fra servizi italiani e stranieri).
    Ciononostante,   la   Procura   di   Milano   ha   utilizzato  la
documentazione   integrale   come   prova  (e  prova  di  particolare
importanza),  come  fonte  di  ulteriori  indagini  e come base della
richiesta  di  rinvio  a  giudizio  (doc.  7, ultimo 1/2 di pag. 10 e
inizio pag. 11), cosi' violando il segreto di Stato.
    A  cio'  si  aggiunga  che  il documento e' stato trasmesso dalla
Procura milanese al Parlamento Europeo e pubblicato su internet (doc.
8).  Il  che  e'  forse irrilevante ai fini del presente conflitto ma
testimonia,   a  carico  del  potere  inquirente  in  questione,  una
singolare  indifferenza  nei  confronti delle prerogative degli altri
poteri dello Stato.
    In  definitiva e per concludere sul punto il titolare dell'azione
penale ha acquisito documenti ictu oculi coperti dal segreto di Stato
ed   espressamente   segretati   in  molte  loro  parti  in  sede  di
trasmissione ufficiale.
    Ciononostante  ha  fatto  uso  della loro versione integrale come
elemento  di prova, come strumento di acquisizione di ulteriori fonti
di prova e li ha offerti alla pubblicita' del processo.
    2.  - Un ulteriore strumento di indagine utilizzato dalla Procura
milanese e' stato quello delle intercettazioni telefoniche effettuate
«a  tappeto» su utenze «di servizio» del SISMi, nella consapevolezza,
da parte della Procura, di cio' informata dal gestore della telefonia
mobile,  che  l'associazione ai numeri di utenza SISMi era coperta da
segreto  di  Stato.  Infatti il relativo contratto con il gestore del
servizio  di telefonia mobile era espressamente segretato (all. 9) ed
il  gestore  avvertiva  i  richiedenti  delle esigenze di particolare
riservatezza (ad esempio all. 10).
    Segreto   che  costituisce,  d'altronde,  ovvia  conseguenza  del
principio,  sopra  illustrato,  della  copertura  di  segretezza  sui
nominativi  degli  agenti,  sul  modus operandi dei Servizi, sui loro
contatti    con   omologhi   esteri,   sull'identita'   delle   fonti
confidenziali.  Principio  derivante  pianamente  dalla normativa sul
segreto  di  Stato,  dalla direttiva del Presidente del Consiglio del
1985  sopra  ricordata  e  dalle  conferme  del  segreto dello stesso
Presidente 11 novembre 2005 e 26 luglio 2006 prima citate.
    Nonostante   tali   inequivocabili  determinazioni  adottate  dai
massimi  responsabili  della  politica  informativa  e  di  sicurezza
nell'interesse e per la difesa dello Stato democratico, la Procura di
Milano,  nell'ambito  del  procedimento  penale  avente ad oggetto il
sequestro  di  Abu  Omar,  ha  chiesto  ed  ottenuto di mettere sotto
intercettazione   un  rilevantissimo  numero  di  utenze  telefoniche
cellulari  in  uso  al Servizio. Tale attivita' di intercettazione ha
consentito,  attraverso un effetto «a catena», di prendere cognizione
di  ben 180 utenze telefoniche (sia quelle direttamente intercettate,
sia  quelle in uso agli interlocutori dei soggetti che impiegavano le
utenze  direttamente  intercettate)  e  di rendere noto, in tal modo,
l'intero   sistema   delle  reti  di  comunicazioni  telefoniche  del
Servizio,  nonche'  l'identita'  di  ben  85  soggetti appartenenti o
appartenuti al Servizio - numero di gran lunga eccedente quello degli
indagati  -,  di altri soggetti appartenenti ad organismi informativi
stranieri   e   di  fonti  informative  (doc.  11:  brogliacci  delle
registrazioni delle conversazioni intercettate (con relativo indice),
ed elenco di parte dei numeri di telefono del SISMi intercettati).
    3. - Un'ulteriore linea di condotta tenuta dalla Procura milanese
che  appare  poco  rispettosa del segreto di Stato e' stata quella di
forzare  gli  indagati  a rispondere anche quando la risposta avrebbe
comportato  la  violazione di un opposto segreto di Stato. Tale linea
di  condotta  si e' articolata a volte nella negazione dell'esistenza
di  un segreto di Stato (doc. 12, specialmente pagg. 89 e ss) a volte
nell'invito  a  violarlo  perche'  il  relativo  reato  sarebbe stato
scriminato dall'esercizio del diritto di difesa (doc. 13-15), a volte
qualificando  la  mancata  risposta  per  opposizione di segreto come
rifiuto di rispondere (doc. 16).
    Tale atteggiamento del p.m. milanese appare teso - costi quel che
costi  - all'apprendimento di notizie coperte da segreto di Stato. Se
ne  ha  conferma dalla richiesta di incidente probatorio 18 settembre
2006  (doc.  17), richiesta fatta al fine - candidamente dichiarato -
di  accertare  i  rapporti fra SISMi e CIA. Cioe' rapporti coperti da
segreto  di  Stato  in  virtu'  di  leggi,  direttive e provvedimenti
puntuali.    Fine,    poi,   concretamente   perseguito   nel   corso
dell'incidente  svoltosi  il  30 settembre successivo (doc. 18 specie
pagg. da 21 a 25).
    4.  -  Tutti  gli  elementi di prova cosi' ottenuti dalla Procura
milanese  ed  acquisiti  al  fascicolo processuale sono stati posti a
base  della  richiesta  di  rinvio  a  giudizio  5 dicembre  2006 nei
confronti  del  Generale  Pollari, allora Direttore del SISMi, di sei
agenti   dello   stesso   servizio,   di   numerosi   agenti   CIA  e
complessivamente di 35 imputati.
    Da quanto esposto, emerge che l'attivita' svolta dalla Procura di
Milano  ai  fini dell'acquisizione di fonti di prova atte a sostenere
l'accusa,  ha  eluso  il  segreto  di  Stato  piu' volte richiamato e
confermato,   in   differenti  momenti  di  indagine,  ricercando  ed
ottenendo proprio quei documenti e quelle notizie che si erano volute
segretare, offrendo alla pubblicita' del giudizio modalita' operative
del  SISMi,  nominativi  dei  suoi  agenti  e di fonti confidenziali,
nominativi di agenti stranieri.
    Sempre  in  punto di fatto, va, infine, posto in evidenza come la
divulgazione  dei  risultati  istruttori espone i Servizi italiani al
rischio  concreto  di  un  «ostracismo  informativo»  da  parte degli
omologhi  stranieri  interessati a problematiche comuni, con evidenti
negativi  contraccolpi  sullo  svolgimento dell'attivita' informativa
presente  e futura e, di conseguenza, sulla effettivita' del prodotto
di «intelligence» elaborato dagli organismi informativi.
    Sotto  il profilo della politica internazionale, poi, va rilevato
il   sensibile   danno   recato  all'immagine  del  Governo  italiano
soprattutto nella delicatissima e vitale materia della collaborazione
fra Stati nel campo dell'antiterrorismo.
    In  considerazione  di  quanto  sopra,  previa  deliberazione del
Consiglio  dei ministri 7 febbraio 2007, con ricorso 14 febbraio 2007
veniva  elevato  di  fronte  a codesta Corte conflitto ai sensi degli
artt. 37  e  ss.  legge  11 marzo  1953,  n. 87  per violazione degli
artt. 1,  5,  52,  87,  94, 95 e 126 Costituzione e con riguardo agli
artt. 12  e  16  della legge 24 ottobre 1977, n. 801 e 202, 256 e 362
c.p.p.,  affermandosi  che  l'attivita'  svolta  dalla  Procura della
Repubblica di Milano nel corso delle indagini ed in sede di incidente
probatorio  e  la  conseguente richiesta di rinvio a giudizio avevano
esorbitato dai poteri strumentali all'esercizio dell'azione penale in
presenza dell'apposizione di segreto di Stato da parte del Presidente
del Consiglio dei ministri.
    All'udienza  preliminare del 16 febbraio 2007 la difesa di alcuni
imputati  chiedeva  rinvio  attesa  la proposizione del conflitto. Si
opponeva  il p.m. ed il G.U.P. rigettava l'istanza sulla scorta della
considerazione  che  il  Potere  «resistente» non poteva considerarsi
legalmente   «confliggente»   fino   alla   notifica  del  ricorso  e
dell'ordinanza  di  ammissibilita'  (doc.  19).  Disponeva  quindi il
giudizio con decreto in pari data (doc. 20).

                            D i r i t t o

    1. - Sull'ammissibilita' del ricorso.
    Sia  consentito  al  riguardo limitarsi a richiamare i precedenti
specifici  in  termini  di  codesta  Corte  (sentt.  110 e 410/1998 e
precedenti   ordinanze   426/1997  e  266/1998)  a  nulla  rilevando,
ovviamente,  dal  punto di vista oggettivo che si trattasse allora di
quel   peculiare   aspetto  della  funzione  giurisdizionale  che  e'
l'esercizio   dell'azione   penale   mentre   si  tratta  oggi  della
manifestazione  tipica  di  detta  funzione  e  dal  punto  di  vista
soggettivo  che  si trattasse allora del Procuratore della Repubblica
ed   oggi  del  G.I.P.  (G.U.P.),  attesa  la  natura  «diffusa»  del
Giudiziario.
    2.  -  Nel  merito: violazione degli artt. 1, 5, 52, 87, 95, 102,
126  Costituzione  in  relazione agli artt. 12 e 16, legge 24 ottobre
1977, n. 801 e 202, 256 e 362 c.p.p..
    2.1.  -  La  violazione  da  parte  del  G.I.P.  - G.U.P. - delle
prerogative  del  Presidente  del  Consiglio in materia di segreto di
Stato e' automatica conseguenza della pregressa violazione, operata a
monte   dal  p.m.  La  sottoscritta  difesa  non  potra'  quindi  che
riproporre  le stesse censure gia' formulate nel precedente conflitto
contro il Procuratore della Repubblica di Milano.
    Si  osserva  quindi che, se e' vero che nelle democrazie avanzate
il  governo della cosa pubblica ha per regola la trasparenza, vero e'
anche  che  non esiste ordinamento al mondo che non conosca, sia pure
in via di eccezione e con varie denominazioni, l'istituto del segreto
di  Stato. Un segreto da opporsi per la tutela di valori fondamentali
e tanto forte da resistere ad altri valori pur essi di fondo.
    Nel  nostro  ordinamento  costituzionale,  codesta  Corte, con la
storica  sentenza  24 maggio  1977,  n. 86,  attraverso  l'esame  del
combinato  disposto  degli  artt. 1,  5, 52, 87 e 126 Costituzione ha
ritenuto  di  individuare  tali valori, posti al vertice di quelli su
cui poggia la sabus rei publicae, nella esistenza, nella integrita' e
nella essenza democratica dello Stato. In proposito e' necessario far
riferimento  ad una scala di valori perche', come e' noto, l'istituto
della «segretazione» impone una comparazione fra valori, fra funzioni
e  fra  interessi:  quelli che attraverso la segretazione si vogliono
tutelare   e   quelli  che  attraverso  la  segretazione  si  debbono
sacrificare.
    Nella  specie,  il livello «supremo» dei valori tutelabili con il
presidio del segreto di Stato, postula la resistenza di tale presidio
anche  rispetto  ad altri valori, funzioni ed interessi, pur tutelati
dalla  Costituzione,  quali  il  valore della giustizia e la funzione
giurisdizionale. Sempre con la sentenza sopra citata codesta Corte ha
individuato   nel   Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  quale
responsabile  della  «suprema»  attivita' politica (art. 95 Cost.) il
necessario   titolare  del  potere  di  segretazione.  Un  potere  da
esercitare,   ovviamente,   nell'esercizio  di  una  discrezionalita'
puramente  politica - e quindi libera nei fini - con l'adozione di un
atto  che  di quella natura politica partecipa e che prevale, quindi,
necessariamente    nei    confronti    dell'esercizio    del   potere
giurisdizionale,  in  quanto  pariordinato alla legge nella gerarchia
delle fonti.
    Naturalmente  -  ha  soggiunto codesta Corte - l'atto politico di
segretazione  non  puo'  ritenersi  sottratto  a qualunque controllo:
soggiacera'   invece   all'istituzionale   controllo  del  Parlamento
(art. 94  Cost.),  dinanzi  al  quale  il Governo (ed il suo Capo) e'
responsabile  politicamente.  Sara'  appena  il  caso,  da ultimo, di
rammentare  in  proposito  la  non  segretabilita'  di fatti eversivi
dell'ordine  costituzionale  pure  affermato  da  codesta  Corte.  La
relativa  segretazione  si porrebbe infatti come fatto rivoluzionario
in  contraddizione  con  il  valore da proteggere: l'integrita' dello
Stato democratico.
    In  puntuale  applicazione  dell'insegnamento cosi' riassunto, il
legislatore  ha  riformato  i  «Servizi» con la nota legge 24 ottobre
1977,  n. 801,  poi  in  parte  (ma  solo  in  parte)  trasfusa negli
artt. 202, 204, 256 e 362 del nuovo c.p.p.
    In  virtu' di tale normativa, quando su determinate notizie viene
ritualmente  apposto  il  segreto  di  Stato  e  tali  notizie  siano
essenziali per la definizione del processo penale, detto processo non
puo'  che  concludersi con sentenza di non luogo a procedere o di non
doversi procedere per l'esistenza di un segreto di Stato.
    La  normativa,  espressamente dettata solo per il processo penale
(probabilmente perche' detto processo rappresenta da un lato la forma
di giurisdizione piu' esposta ad imbattersi nel limite del segreto di
Stato,  dall'altro  quella meno suscettibile di limitazioni di fronte
all'accertamento  della  verita),  deve  estendersi  anche al giudice
civile e amministrativo. Giudice che, pero', a differenza del giudice
penale,  in  caso  di  opposizione del segreto non potra' rendere una
pronuncia  di  non liquet ma dovra' pronunciarsi invece sulla domanda
in  base  alle  proprie regole di giudizio applicate agli elementi di
cui  dispone,  anche  a costo di rendere una sentenza sostanzialmente
ingiusta  (come  d'altronde  accade  quando  il giudice e' altrimenti
vincolato  dalla  regola  probatoria)  ma  rinunciando  comunque alla
conoscenza delle notizie coperte da segreto, in quanto «essenziale e'
che  non  sia divulgato, nemmeno nell'ambito del processo, un segreto
di Stato» (Cass. SS.UU. 26 gennaio 1989-17 novembre 1989, n. 4905).
    Se  quanto  sopra  e' esatto - e non sembra lecito dubitarne - la
apposizione  del  segreto  di  Stato  da  parte  del  Presidente  del
Consiglio  su  determinate notizie integra l'esercizio di un potesta'
che costituisce «sbarramento al potere giurisdizionale stesso» (Corte
cost. sentt. n. 86/1997 e n. 110/1998 cit.).
    2.2.  -  Nella  specie,  come  risulta dalla narrativa in fatto e
dalla  documentazione  elencata,  il Presidente del Consiglio aveva a
due  riprese  affermato  e  confermato  l'esistenza  di un segreto di
Stato.
    Una  prima volta precisando che il segreto copriva i rapporti del
SISMi  con  i  Servizi stranieri, una seconda volta che detto segreto
copriva  «tutti  gli  atti,  documenti  e  informative  relativi alle
pratiche delle c.d. renditions».
    Ciononostante  la  Procura milanese procedette nelle sue indagini
violando il segreto sotto almeno tre profili.
    2.2.1.   -   Una  prima  violazione  attiene  all'utilizzo  della
documentazione  sequestrata  nell'Ufficio  SISMi  di  via  Nazionale.
Trattavasi  infatti,  come risulta dalla narrativa in fatto, punto 1,
di  documentazione ictu oculi segreta non solo per le classificazioni
formali  apposte  sulla  copertina, non solo per i suoi contenuti che
disvelavano nomi di agenti stranieri, fonti informative, rapporti con
servizi  di nazionalita' varia, ma addirittura perche' il segreto era
stato  formalmente  opposto  dal Direttore del Servizio, il quale nel
trasmettere  quella  stessa  documentazione  alla Procura milanese ne
aveva  oscurato  tutta una serie di passaggi precisando nella nota di
accompagnamento  che  le  parti  oscurate erano coperte da segreto di
Stato.
    L'utilizzazione   della  documentazione  non  oscurata  (per  non
parlare  della  sua  pubblicizzazione  in sede europea e mondiale) ha
dunque violato il segreto di Stato.
    Ne'  potrebbe certo obiettarsi che la opposizione del segreto non
e'  stata  confermata  dal  Presidente del Consiglio, perche' sarebbe
stato  onere  del  p.m.  chiederne  la  conferma  e  sarebbe  assurdo
sostenere  che  l'autorita'  giudiziaria  puo'  superare  il  segreto
opposto   semplicemente   omettendo   di  chiederne  la  conferma  al
Presidente del Consiglio.
    2.2.2.  -  Una  seconda violazione consiste nelle intercettazioni
telefoniche  a  tappeto di ben 85 utenze di servizio di agenti SISMi,
il  che  comporta  la conoscenza dello «assetto o funzionamento degli
impianti,  dei  sistemi e delle reti di telecomunicazione» (direttiva
di   segretazione   30 luglio   1985   citata   -  doc.  2)  nonche',
necessariamente,  di  nominativi  di  agenti  e  di  informatori,  di
modalita' operative, di rapporti con servizi stranieri. Notizie tutte
coperte, come e' ovvio, da segreto di Stato, utilizzate come fonti di
prova ed offerte alla pubblicita' del processo.
    Attraverso  tale  modo  di  procedere  si e' resa disponibile una
massa  di informazioni tale da gettar luce sull'intero dispositivo di
sicurezza  e  di  antiterrorismo italiano e su parte di altri sistemi
nazionali.
    L'attivita'  di  indagine svolta attraverso le intercettazioni in
questione  appare,  quindi,  essere  andata ben al di la' dell'ambito
entro  il  quale,  alla  luce della giurisprudenza costituzionale, il
pubblico  ministero  puo'  legittimamente indagare sui fatti di reato
oggetto di una notitia criminis.
    Nella  sentenza n. 110/1998 codesta Corte, pur avendo ribadito il
principio  che, in base alla disciplina vigente, non e' configurabile
alcuna  immunita'  sostanziale  collegata  all'attivita'  dei Servizi
informativi, di guisa che l'apposizione del segreto di Stato da parte
del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  non  ha  l'effetto di
impedire  che  il  pubblico  ministero  proceda  nelle  indagini,  ha
chiaramente   affermato  che  tale  apposizione  certamente  inibisce
all'autorita'  giudiziaria  di acquisire e di utilizzare gli elementi
di conoscenza e di prova coperti dal segreto.
    Ed  e'  proprio  tale limite che appare essere stato valicato nel
caso  di  specie,  con  la  intercettazione  «a tappeto» delle utenze
telefoniche  intestate  al  SISMi da parte dell'autorita' giudiziaria
milanese, che puo' essere ritenuta lesiva della sfera di attribuzioni
del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  con riferimento alla
competenza  a  dirigere  ed a coordinare la politica informativa e di
sicurezza nell'interesse e per la difesa dello Stato democratico ed a
tutelare  il  segreto di Stato, ex art. 1 della legge n. 801/1977, ed
in  attuazione  degli  artt. 1,  5,  52,  87,  94,  95  e  126  della
Costituzione.
    Ne'  potrebbe obbiettarsi che nella specie non vi e' stata alcuna
opposizione  ne'  conferma di segreto di Stato perche', come e' noto,
il  segreto di Stato esiste anche in assenza di una sua opposizione o
di  un  provvedimento  dichiarativo  e l'autorita' giudiziaria che si
imbatte  in un segreto per tale riconoscibile, come era nella specie,
ha il dovere di non violarlo o, se ha dei dubbi, di chiedere conferma
al  Presidente  del Consiglio per evitare il rischio di infrangere il
precetto di cui all'art. 261 c.p.
    2.2.3.  -  Una  terza  ipotizzabile  violazione  riguarda  la non
commendevole  pressione  esercitata  dal  p.m. sugli indagati perche'
rivelassero  il segreto di Stato da loro opposto, come analiticamente
descritto in parte narrativa.
    La  sottoscritta  difesa e' ben consapevole della delicatezza del
problema,   delicatezza   indotta   sia   dalla   scarsita'  e  dalla
contraddittorieta'   dei   precedenti   nella   giurisprudenza  della
Cassazione  e  di  codesta Corte, sia dalla incompletezza della legge
n. 801/1977,  tale  rimasta  nonostante  il  monito  contenuto  nella
sentenza  n. 110/1998  di  codesta Corte. In tale quadro, il presente
giudizio  sembra l'occasione propizia perche' codesta Corte possa far
luce,  magari  con una sentenza manipolativa per addizione, su di una
zona grigia di confine fra segreto di Stato e giurisdizione.
    E'  noto,  naturalmente,  a  questa  difesa  il  precedente della
Cassazione  invocato  dalla Procura milanese (Cass. VI, 10 marzo 1987
in  CED  n. 175919, Musumeci) che sovraordina il diritto di difesa al
segreto di Stato.
    Ma   trattasi,   ad   avviso  di  questa  difesa,  di  precedente
insoddisfacente,   perche'   isolato,   reso   in   caso   di  specie
assolutamente  diverso  dal  presente, sotto il regime del previgente
codice  e  largamente  contraddetto  dalla  sentenza di codesta Corte
n. 110/1998 che sovraordina il valore del segreto di Stato rispetto a
ogni  diritto individuale, in quanto tutela la sicurezza dello Stato,
che  e' «interesse essenziale, insopprimibile della collettivita' con
palese carattere di assoluta preminenza su ogni atto, in quanto tocca
... la esistenza stessa dello Stato».
    La  verita'  e'  che sembrerebbe, all'opposto, ben sostenibile la
opponibilita' del segreto anche da parte dell'indagato-imputato.
    Nel   conflitto   risolto  da  codesta  Corte  con  la  decisione
n. 110/1998  una opposizione di segreto era stata fatta proprio da un
indagato  alla Procura romana (prima della remissione degli atti alla
Procura  bolognese)  e  la  Procura romana, correttamente, chiese - e
ottenne - conferma del segreto dal Presidente del Consiglio.
    La   Procura  bolognese,  in  sede  di  conflitto,  contesto'  la
irritualita'  della  opposizione  di quel segreto perche' fatta da un
indagato  e non da un testimone. L'Avvocatura dello Stato sostenne la
legittimita'  di  tale  opposizione  e  codesta  Corte  -  pur  senza
affrontare ex professo il problema - accolse il ricorso per conflitto
del  Presidente del Consiglio. Orbene, sembra a questa difesa che una
lettura  estensiva  dell'art. 202  c.p.p.  (che  letteralmente limita
l'opponibilita'  del segreto al solo testimone) nel senso di renderla
applicabile  anche  all'indagato-imputato  sia  assai piu' conforme a
Costituzione  (segnatamente  artt. 3,  24 e 111) di quanto non sia la
esegesi  letterale caldeggiata dalla Procura milanese e codesta Corte
ha  sempre insegnato che quando della norma giuridica siano possibili
due  interpretazioni,  e  di  queste  due una soltanto sia conforme a
Costituzione  essa sola e' quella valida. Orbene, se e' vero, come e'
vero,  che  l'apposizione del segreto di Stato e' atto politico volto
alla  tutela  dei  supremi interessi della Nazione, libero nei fini e
quindi equiordinato alla legge nella gerarchia delle fonti, tanto che
ha  il  potere  di  fermare  la  giurisdizione penale, sembra assurdo
renderlo   recessivo  a  fronte  del  diritto  di  difesa  esercitato
dall'imputato  (ed  anche,  per  coerenza,  dal  litigante  civile  o
amministrativo).
    E  se e' vero, come pure e' vero, che la giurisdizione presuppone
la  parita'  delle  parti  nel  giusto  processo,  quando  il segreto
impedisce  la  prova, essa giurisdizione dovrebbe reagire ugualmente,
ritraendosi,  sia  quando  la prova segretata impedisca all'accusa di
provare  la colpevolezza, sia quando tale prova impedisca alla difesa
di provare l'innocenza.
    Un  ulteriore  profilo  della  tesi caldeggiata e' poi dato dalla
irragionevolezza  della  norma di cui all'art. 202 c.p.p. se ritenuta
applicabile  al  solo testimone e non anche all'indagato. Esegesi che
comporterebbe,  infatti,  il dissolvimento dello scudo del segreto di
Stato in virtu' del semplice - quanto facile e rimesso al buon volere
del p.m. - mutamento di veste di un soggetto processuale quando passa
da quella del testimone informato dei fatti a quella dell'indagato.
    In  altri  termini  sembra,  a  tal  punto,  che  al risultato di
ritenere  opponibile il segreto anche dall'indagato-imputato si possa
giungere  attraverso  una  interpretazione  estensiva della normativa
vigente,   interpretata   sulla   base  del  criterio  esegetico  del
privilegio spettante alla lettura costituzionalmente corretta e cioe'
attraverso  la  conformazione  a  Costituzione del combinato disposto
degli  artt. 2,  comma  1,  n. 70, legge 16 febbraio 1987, n. 81, 12,
legge n. 801/1977 e 202 c.p.p.
    Tanto il principio direttivo della legge delega dell'87 quanto il
disposto  dell'art. 12, legge n. 801/1977 non sono, infatti, coerenti
con una limitazione della disciplina del segreto al solo testimone ed
i  limiti  letterali  dell'art. 202  c.p.p.  sono  verosimilmente  il
portato  di  una pigrizia intellettuale del legislatore delegato, che
si  e'  rifatto al sottosistema probatorio del vecchio codice. Sembra
quindi   di  poter  concludere  che  una  lettura  costituzionalmente
corretta   del   sistema   normativo  sopra  indicato  possa  portare
all'affermazione  della  opponibilita'  del segreto di Stato anche da
parte dell'indagato-imputato.
    La    Procura    milanese    avrebbe   quindi   prevaricato   gli
indagati-imputati  contestando,  anzitutto,  l'esistenza stessa di un
segreto   di   Stato  insistendo,  quindi,  in  piu'  occasioni,  per
convincerli  a  violare  il  segreto  di  Stato  nell'esercizio di un
diritto  di  difesa  la cui valenza, pur di rilevanza costituzionale,
non  puo' compararsi con i supremi interessi dello Stato tutelati dal
segreto  e cosi' arrogandosi una prerogativa di rimozione del segreto
che e' solo del Presidente del Consiglio.
    2.2.4. - Sia consentito a tal punto osservare che l'atteggiamento
del  p.m.  milanese  appare assai poco conforme al principio di leale
cooperazione  fra poteri dello Stato, teso com'e' alla prevaricazione
degli  indagati-imputati per apprendere notizie coperte da segreto di
Stato,   nei   dichiarato   scopo   di   pervenire   ad  accertamenti
tassativamente vietati dall'ordinamento vigente: si veda, ad esempio,
la  richiesta  di  incidente  probatorio 18 settembe 2006, rivolta al
(candidamente) palesato fine di accertare i rapporti fra SISMi e CIA:
cioe' rapporti coperti da segreto di Stato secondo leggi, direttive e
provvedimenti puntuali. Fine, poi, concretamente perseguito nel corso
dell'incidente  svoltosi  il 30 settembre successivo (cfr. docc. 17 e
18).
    A  questo  si aggiunga che le indagini effettuate «a tappeto» sul
SISMi  ed i suoi vertici, piu' che volte a perseguire responsabilita'
penali   individuali,   sembrano   tese   ad   indagare   (se  non  a
criminalizzare)  l'attivita'  di  un  apparato  dello  Stato  le  cui
funzioni  attengono  alla  sicurezza della Nazione in una visione dei
rapporti  fra  poteri  dello  Stato  che non appare certo ispirata al
principio di leale collaborazione. In definitiva e per concludere, la
Procura  della  Repubblica di Milano ha svolto sotto svariati profili
attivita'  istruttoria  volta  a  violare un segreto di Stato e sulla
base  delle  fonti di prova direttamente o indirettamente ottenute da
tali  violazioni  ha  chiesto  il rinvio a giudizio del Direttore del
SISMi  e di numerosi agenti dello stesso servizio (oltre che di altri
soggetti)  arrogandosi la potesta' di procedere nell'esercizio di una
funzione  che  le  era preclusa dal limite apposto dal Presidente del
Consiglio nell'esercizio del suo potere politico.
    L'attivita'  del  G.I.P.  (G.U.P.), consequenziale alla richiesta
della  Procura,  e' stata quella di delibarla sulla base di emergenze
documentali  di  cui  il  G.I.P.  stesso  non avrebbe dovuto prendere
cognizione.
    Proprio  sulla  base  di tutte tali emergenze documentali che mai
avrebbero  dovuto essere o comunque restare fra le carte processuali,
il  G.I.P.  (G.U.P.) ha adottato il provvedimento di cui all'art. 429
c.p.p.,  in  questa  sede  impugnato,  che  viola  le prerogative del
Governo in materia di segreto di Stato in quanto provvedimento:
        adottato  sulla  base  di  documenti  ed altre fonti di prova
coperti  da  segreto  di  Stato  e  quindi non conoscibili dal G.I.P.
(G.U.P.);
        atto a pubblicizzare ulteriormente tali documenti;
        prodromico  ad  ulteriori  attivita' giurisdizionali precluse
dal segreto che ha ormai inficiato di nullita' (quanto meno parziale)
l'indagine sin qui svolta.