Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato e presso la medesima domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, avente ad oggetto conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del G.I.P. - operante in veste di G.U.P. - presso il Tribunale di Milano, in relazione al decreto di rinvio a giudizio emesso il 16 febbraio 2007 su richiesta di rinvio a giudizio della Procura della Repubblica di Milano nei confronti di funzionari del SISMi (tra cui il suo direttore) di agenti di un Servizio straniero e di altri, in quanto detto decreto e' stato adottato sulla base (anche) di documentazione segreta e di altre fonti di prova acquisite in violazione del segreto di Stato che accompagnava la richiesta di rinvio a giudizio e costituisce quindi esercizio di funzione giurisdizionale in materia sottratta alla competenza dell'Autorita' giudiziaria. F a t t o 1. - La procura della Repubblica di Milano, procedendo nelle indagini sul sequestro di persona di Nasr Osama Mustafa Hassan, alias Abu Omar, avverti' ben presto che la sua attivita' sarebbe necessaramente entrata in contatto con aree coperte dal segreto di Stato e di questo ebbe, anzi, preciso avvertimento, oltre che da parte dei testimoni e degli indagati, da parte del Presidente del Consiglio pro tempore, il quale, informato dal Direttore dei SISMi delle richieste di notizie indirizzategli dalla Procura milanese, con nota 11 novembre 2005 n. USG/2.SP/l318/50/347 (doc. 1), nell'affermare energicamente l'assoluta estraneita' del Governo e del SISMi al sequestro in danno di Abu Omar, confermo' le disposizioni precedentemente impartite dai suoi predecessori in materia di segreto di Stato, in particolare per quanto attiene alle «relazioni dei Servizi ... con organi informativi di altri Stati». E' chiaro l'implicito richiamo alla direttiva 30 luglio 1985, n. 2001.5/707 (doc. 2), nella quale veniva stabilito quanto segue. «1. Agli effetti dell'art. 342 del codice di procedura penale, devono intendersi coperti dal segreto di Stato ai sensi dell'art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, le cose, gli atti e i documenti relativamente ai quali esista un provvedimento dichiarativo del segreto di Stato, ovvero i cui contenuti o le cui caratteristiche siano tali da rilevare informazioni o dati concernenti i compiti, le attribuzioni, la programmazione, la costituzione, la dislocazione, l'impiego e gli organici degli organismi di informazione e di sicurezza e le relative strutture; i dati di riconoscimento autentici o di copertura dei componenti degli organismi medesimi e quelli di copertura di tali organismi; le posizioni documentali dei singoli componenti; l'addestramento e la preparazione professionale di tipo specialistico per lo svolgimento delle attivita' istituzionali; le aree ed i settori di impiego; le operazioni e le attivita' informative; le modalita' e le tecniche operative, le fonti confidenziali; le relazioni con organi informativi di altri Stati; le infrastrutture ed i poli operativi e logistici; l'assetto ed il funzionamento degli impianti, dei sistemi e delle reti di telecomunicazione, radiogoniometriche, radar e cripto nonche' di elaborazione dati; l'armamento, l'equipaggiamento, i veicoli, i mezzi e i materiali speciali in dotazione. 2. - Agli effetti dell'art. 352 del codice di procedura penale deve intendersi coperta da segreto di Stato ogni notizia relativa agli oggetti di cui all'articolo precedente.» Direttiva, quest'ultima, ben nota agli operatori nel campo della giustizia penale (cfr. Assise Roma, sentenza n. 21/1997 del 12 giugno 1997 e Cass. Sez. I pen. sentenza n. 3348 del 29 gennaio 2002). L'apposizione del segreto di Stato fu ancora reiterata dal Presidente del Consiglio pro tempore, con nota 26 luglio 2006 n. USG/2.SP/813/50/347 (doc. 3) contenente risposta al Procuratore della Repubblica di Milano il quale aveva chiesto «la trasmissione di ogni comunicazione o documento ... concernenti il sequestro in oggetto indicato (Abu Omar: n.d.r.) o le vicende sopra descritte che lo hanno preceduto o, in generale, tutti i documenti informativi e atti relativi alle pratiche delle c.d. «renditions». «Tanto premesso - continuava il Procuratore della Repubblica di Milano - rivolgo richiesta alla S.V. competente ai sensi dell'art. 1, legge 24 ottobre 1977, n. 801, nella ipotesi in cui su tali atti, documenti o informative, ove effettivamente esistenti, gravasse il segreto di Stato, di valutare l'opportunita' di revocarlo» (doc. 4). La risposta del Presidente del Consiglio pro tempore fu la seguente: «... rilevo che su detta documentazione risulta effettivamente apposto il segreto di Stato da parte del precedente Presidente del Consiglio dei ministri; il segreto e' stato successivamente confermato dallo Scrivente. Ne' sussistono, nell'attuale contesto, le condizioni per rimuovere il segreto di Stato da detta documentazione ...». Ma v'e' di piu'. Tra le varie attivita' di indagine svolte, la Procura di Milano procedette al sequestro di tutta la documentazione esistente presso un Ufficio del SISMi sito in via Nazionale, in Roma. Fra tali documenti - molti dei quali contenenti dati oggettivamente coperti da segreto di Stato - spiccava in particolare una cartella, di colore blu, rinvenuta nella stanza n. 10, ufficio della dott.ssa Tontodimamma e cosi' descritta: «Reperto D. 19» «Materiale rinvenuto nella stanza n. 10 Ufficio della dott.ssa Tontodimamma Jenny: Reperto D. 19: una cartellina di colore blu contenente fotocopie relative a documenti riguardanti il rapimento del cittadino egiziano Abu Omar Al Masri, tutti classificati riservati e riservatissimi cosi' suddivisi. a) documento composto da 5 fogli formato A4, intestato: «In Italia, la rabbia per la tattica USA colora un caso di spionaggio - New York Times» e terminante con la frase «assistere efficacemente l'indagine italiana» b) nr. 20 fotocopie di documentazione relativa al sequestro del cittadino egiziano, il tutto tenuto insieme da un fermaglio.» (doc. 5). Tale documentazione, per di piu', era in larghissima parte identica a quella che il Direttore del SISMi con nota 31 ottobre 2006, trasmise - su specifica richiesta - alla Procura di Milano (doc. 6). Si trattava, in realta', della versione definitiva di un appunto di cui il documento sequestrato costituiva bozza preparatoria. Orbene, tale trasmissione ufficiale conteneva l'avvertenza che alcuni passaggi dei documenti trasmessi erano «oscurati» perche' coperti da segreto di Stato (in quanto idonei a rivelare nominativi di agenti stranieri, sigle segrete dei relativi servizi e rapporti fra servizi italiani e stranieri). Ciononostante, la Procura di Milano ha utilizzato la documentazione integrale come prova (e prova di particolare importanza), come fonte di ulteriori indagini e come base della richiesta di rinvio a giudizio (doc. 7, ultimo 1/2 di pag. 10 e inizio pag. 11), cosi' violando il segreto di Stato. A cio' si aggiunga che il documento e' stato trasmesso dalla Procura milanese al Parlamento Europeo e pubblicato su internet (doc. 8). Il che e' forse irrilevante ai fini del presente conflitto ma testimonia, a carico del potere inquirente in questione, una singolare indifferenza nei confronti delle prerogative degli altri poteri dello Stato. In definitiva e per concludere sul punto il titolare dell'azione penale ha acquisito documenti ictu oculi coperti dal segreto di Stato ed espressamente segretati in molte loro parti in sede di trasmissione ufficiale. Ciononostante ha fatto uso della loro versione integrale come elemento di prova, come strumento di acquisizione di ulteriori fonti di prova e li ha offerti alla pubblicita' del processo. 2. - Un ulteriore strumento di indagine utilizzato dalla Procura milanese e' stato quello delle intercettazioni telefoniche effettuate «a tappeto» su utenze «di servizio» del SISMi, nella consapevolezza, da parte della Procura, di cio' informata dal gestore della telefonia mobile, che l'associazione ai numeri di utenza SISMi era coperta da segreto di Stato. Infatti il relativo contratto con il gestore del servizio di telefonia mobile era espressamente segretato (all. 9) ed il gestore avvertiva i richiedenti delle esigenze di particolare riservatezza (ad esempio all. 10). Segreto che costituisce, d'altronde, ovvia conseguenza del principio, sopra illustrato, della copertura di segretezza sui nominativi degli agenti, sul modus operandi dei Servizi, sui loro contatti con omologhi esteri, sull'identita' delle fonti confidenziali. Principio derivante pianamente dalla normativa sul segreto di Stato, dalla direttiva del Presidente del Consiglio del 1985 sopra ricordata e dalle conferme del segreto dello stesso Presidente 11 novembre 2005 e 26 luglio 2006 prima citate. Nonostante tali inequivocabili determinazioni adottate dai massimi responsabili della politica informativa e di sicurezza nell'interesse e per la difesa dello Stato democratico, la Procura di Milano, nell'ambito del procedimento penale avente ad oggetto il sequestro di Abu Omar, ha chiesto ed ottenuto di mettere sotto intercettazione un rilevantissimo numero di utenze telefoniche cellulari in uso al Servizio. Tale attivita' di intercettazione ha consentito, attraverso un effetto «a catena», di prendere cognizione di ben 180 utenze telefoniche (sia quelle direttamente intercettate, sia quelle in uso agli interlocutori dei soggetti che impiegavano le utenze direttamente intercettate) e di rendere noto, in tal modo, l'intero sistema delle reti di comunicazioni telefoniche del Servizio, nonche' l'identita' di ben 85 soggetti appartenenti o appartenuti al Servizio - numero di gran lunga eccedente quello degli indagati -, di altri soggetti appartenenti ad organismi informativi stranieri e di fonti informative (doc. 11: brogliacci delle registrazioni delle conversazioni intercettate (con relativo indice), ed elenco di parte dei numeri di telefono del SISMi intercettati). 3. - Un'ulteriore linea di condotta tenuta dalla Procura milanese che appare poco rispettosa del segreto di Stato e' stata quella di forzare gli indagati a rispondere anche quando la risposta avrebbe comportato la violazione di un opposto segreto di Stato. Tale linea di condotta si e' articolata a volte nella negazione dell'esistenza di un segreto di Stato (doc. 12, specialmente pagg. 89 e ss) a volte nell'invito a violarlo perche' il relativo reato sarebbe stato scriminato dall'esercizio del diritto di difesa (doc. 13-15), a volte qualificando la mancata risposta per opposizione di segreto come rifiuto di rispondere (doc. 16). Tale atteggiamento del p.m. milanese appare teso - costi quel che costi - all'apprendimento di notizie coperte da segreto di Stato. Se ne ha conferma dalla richiesta di incidente probatorio 18 settembre 2006 (doc. 17), richiesta fatta al fine - candidamente dichiarato - di accertare i rapporti fra SISMi e CIA. Cioe' rapporti coperti da segreto di Stato in virtu' di leggi, direttive e provvedimenti puntuali. Fine, poi, concretamente perseguito nel corso dell'incidente svoltosi il 30 settembre successivo (doc. 18 specie pagg. da 21 a 25). 4. - Tutti gli elementi di prova cosi' ottenuti dalla Procura milanese ed acquisiti al fascicolo processuale sono stati posti a base della richiesta di rinvio a giudizio 5 dicembre 2006 nei confronti del Generale Pollari, allora Direttore del SISMi, di sei agenti dello stesso servizio, di numerosi agenti CIA e complessivamente di 35 imputati. Da quanto esposto, emerge che l'attivita' svolta dalla Procura di Milano ai fini dell'acquisizione di fonti di prova atte a sostenere l'accusa, ha eluso il segreto di Stato piu' volte richiamato e confermato, in differenti momenti di indagine, ricercando ed ottenendo proprio quei documenti e quelle notizie che si erano volute segretare, offrendo alla pubblicita' del giudizio modalita' operative del SISMi, nominativi dei suoi agenti e di fonti confidenziali, nominativi di agenti stranieri. Sempre in punto di fatto, va, infine, posto in evidenza come la divulgazione dei risultati istruttori espone i Servizi italiani al rischio concreto di un «ostracismo informativo» da parte degli omologhi stranieri interessati a problematiche comuni, con evidenti negativi contraccolpi sullo svolgimento dell'attivita' informativa presente e futura e, di conseguenza, sulla effettivita' del prodotto di «intelligence» elaborato dagli organismi informativi. Sotto il profilo della politica internazionale, poi, va rilevato il sensibile danno recato all'immagine del Governo italiano soprattutto nella delicatissima e vitale materia della collaborazione fra Stati nel campo dell'antiterrorismo. In considerazione di quanto sopra, previa deliberazione del Consiglio dei ministri 7 febbraio 2007, con ricorso 14 febbraio 2007 veniva elevato di fronte a codesta Corte conflitto ai sensi degli artt. 37 e ss. legge 11 marzo 1953, n. 87 per violazione degli artt. 1, 5, 52, 87, 94, 95 e 126 Costituzione e con riguardo agli artt. 12 e 16 della legge 24 ottobre 1977, n. 801 e 202, 256 e 362 c.p.p., affermandosi che l'attivita' svolta dalla Procura della Repubblica di Milano nel corso delle indagini ed in sede di incidente probatorio e la conseguente richiesta di rinvio a giudizio avevano esorbitato dai poteri strumentali all'esercizio dell'azione penale in presenza dell'apposizione di segreto di Stato da parte del Presidente del Consiglio dei ministri. All'udienza preliminare del 16 febbraio 2007 la difesa di alcuni imputati chiedeva rinvio attesa la proposizione del conflitto. Si opponeva il p.m. ed il G.U.P. rigettava l'istanza sulla scorta della considerazione che il Potere «resistente» non poteva considerarsi legalmente «confliggente» fino alla notifica del ricorso e dell'ordinanza di ammissibilita' (doc. 19). Disponeva quindi il giudizio con decreto in pari data (doc. 20). D i r i t t o 1. - Sull'ammissibilita' del ricorso. Sia consentito al riguardo limitarsi a richiamare i precedenti specifici in termini di codesta Corte (sentt. 110 e 410/1998 e precedenti ordinanze 426/1997 e 266/1998) a nulla rilevando, ovviamente, dal punto di vista oggettivo che si trattasse allora di quel peculiare aspetto della funzione giurisdizionale che e' l'esercizio dell'azione penale mentre si tratta oggi della manifestazione tipica di detta funzione e dal punto di vista soggettivo che si trattasse allora del Procuratore della Repubblica ed oggi del G.I.P. (G.U.P.), attesa la natura «diffusa» del Giudiziario. 2. - Nel merito: violazione degli artt. 1, 5, 52, 87, 95, 102, 126 Costituzione in relazione agli artt. 12 e 16, legge 24 ottobre 1977, n. 801 e 202, 256 e 362 c.p.p.. 2.1. - La violazione da parte del G.I.P. - G.U.P. - delle prerogative del Presidente del Consiglio in materia di segreto di Stato e' automatica conseguenza della pregressa violazione, operata a monte dal p.m. La sottoscritta difesa non potra' quindi che riproporre le stesse censure gia' formulate nel precedente conflitto contro il Procuratore della Repubblica di Milano. Si osserva quindi che, se e' vero che nelle democrazie avanzate il governo della cosa pubblica ha per regola la trasparenza, vero e' anche che non esiste ordinamento al mondo che non conosca, sia pure in via di eccezione e con varie denominazioni, l'istituto del segreto di Stato. Un segreto da opporsi per la tutela di valori fondamentali e tanto forte da resistere ad altri valori pur essi di fondo. Nel nostro ordinamento costituzionale, codesta Corte, con la storica sentenza 24 maggio 1977, n. 86, attraverso l'esame del combinato disposto degli artt. 1, 5, 52, 87 e 126 Costituzione ha ritenuto di individuare tali valori, posti al vertice di quelli su cui poggia la sabus rei publicae, nella esistenza, nella integrita' e nella essenza democratica dello Stato. In proposito e' necessario far riferimento ad una scala di valori perche', come e' noto, l'istituto della «segretazione» impone una comparazione fra valori, fra funzioni e fra interessi: quelli che attraverso la segretazione si vogliono tutelare e quelli che attraverso la segretazione si debbono sacrificare. Nella specie, il livello «supremo» dei valori tutelabili con il presidio del segreto di Stato, postula la resistenza di tale presidio anche rispetto ad altri valori, funzioni ed interessi, pur tutelati dalla Costituzione, quali il valore della giustizia e la funzione giurisdizionale. Sempre con la sentenza sopra citata codesta Corte ha individuato nel Presidente del Consiglio dei ministri, quale responsabile della «suprema» attivita' politica (art. 95 Cost.) il necessario titolare del potere di segretazione. Un potere da esercitare, ovviamente, nell'esercizio di una discrezionalita' puramente politica - e quindi libera nei fini - con l'adozione di un atto che di quella natura politica partecipa e che prevale, quindi, necessariamente nei confronti dell'esercizio del potere giurisdizionale, in quanto pariordinato alla legge nella gerarchia delle fonti. Naturalmente - ha soggiunto codesta Corte - l'atto politico di segretazione non puo' ritenersi sottratto a qualunque controllo: soggiacera' invece all'istituzionale controllo del Parlamento (art. 94 Cost.), dinanzi al quale il Governo (ed il suo Capo) e' responsabile politicamente. Sara' appena il caso, da ultimo, di rammentare in proposito la non segretabilita' di fatti eversivi dell'ordine costituzionale pure affermato da codesta Corte. La relativa segretazione si porrebbe infatti come fatto rivoluzionario in contraddizione con il valore da proteggere: l'integrita' dello Stato democratico. In puntuale applicazione dell'insegnamento cosi' riassunto, il legislatore ha riformato i «Servizi» con la nota legge 24 ottobre 1977, n. 801, poi in parte (ma solo in parte) trasfusa negli artt. 202, 204, 256 e 362 del nuovo c.p.p. In virtu' di tale normativa, quando su determinate notizie viene ritualmente apposto il segreto di Stato e tali notizie siano essenziali per la definizione del processo penale, detto processo non puo' che concludersi con sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere per l'esistenza di un segreto di Stato. La normativa, espressamente dettata solo per il processo penale (probabilmente perche' detto processo rappresenta da un lato la forma di giurisdizione piu' esposta ad imbattersi nel limite del segreto di Stato, dall'altro quella meno suscettibile di limitazioni di fronte all'accertamento della verita), deve estendersi anche al giudice civile e amministrativo. Giudice che, pero', a differenza del giudice penale, in caso di opposizione del segreto non potra' rendere una pronuncia di non liquet ma dovra' pronunciarsi invece sulla domanda in base alle proprie regole di giudizio applicate agli elementi di cui dispone, anche a costo di rendere una sentenza sostanzialmente ingiusta (come d'altronde accade quando il giudice e' altrimenti vincolato dalla regola probatoria) ma rinunciando comunque alla conoscenza delle notizie coperte da segreto, in quanto «essenziale e' che non sia divulgato, nemmeno nell'ambito del processo, un segreto di Stato» (Cass. SS.UU. 26 gennaio 1989-17 novembre 1989, n. 4905). Se quanto sopra e' esatto - e non sembra lecito dubitarne - la apposizione del segreto di Stato da parte del Presidente del Consiglio su determinate notizie integra l'esercizio di un potesta' che costituisce «sbarramento al potere giurisdizionale stesso» (Corte cost. sentt. n. 86/1997 e n. 110/1998 cit.). 2.2. - Nella specie, come risulta dalla narrativa in fatto e dalla documentazione elencata, il Presidente del Consiglio aveva a due riprese affermato e confermato l'esistenza di un segreto di Stato. Una prima volta precisando che il segreto copriva i rapporti del SISMi con i Servizi stranieri, una seconda volta che detto segreto copriva «tutti gli atti, documenti e informative relativi alle pratiche delle c.d. renditions». Ciononostante la Procura milanese procedette nelle sue indagini violando il segreto sotto almeno tre profili. 2.2.1. - Una prima violazione attiene all'utilizzo della documentazione sequestrata nell'Ufficio SISMi di via Nazionale. Trattavasi infatti, come risulta dalla narrativa in fatto, punto 1, di documentazione ictu oculi segreta non solo per le classificazioni formali apposte sulla copertina, non solo per i suoi contenuti che disvelavano nomi di agenti stranieri, fonti informative, rapporti con servizi di nazionalita' varia, ma addirittura perche' il segreto era stato formalmente opposto dal Direttore del Servizio, il quale nel trasmettere quella stessa documentazione alla Procura milanese ne aveva oscurato tutta una serie di passaggi precisando nella nota di accompagnamento che le parti oscurate erano coperte da segreto di Stato. L'utilizzazione della documentazione non oscurata (per non parlare della sua pubblicizzazione in sede europea e mondiale) ha dunque violato il segreto di Stato. Ne' potrebbe certo obiettarsi che la opposizione del segreto non e' stata confermata dal Presidente del Consiglio, perche' sarebbe stato onere del p.m. chiederne la conferma e sarebbe assurdo sostenere che l'autorita' giudiziaria puo' superare il segreto opposto semplicemente omettendo di chiederne la conferma al Presidente del Consiglio. 2.2.2. - Una seconda violazione consiste nelle intercettazioni telefoniche a tappeto di ben 85 utenze di servizio di agenti SISMi, il che comporta la conoscenza dello «assetto o funzionamento degli impianti, dei sistemi e delle reti di telecomunicazione» (direttiva di segretazione 30 luglio 1985 citata - doc. 2) nonche', necessariamente, di nominativi di agenti e di informatori, di modalita' operative, di rapporti con servizi stranieri. Notizie tutte coperte, come e' ovvio, da segreto di Stato, utilizzate come fonti di prova ed offerte alla pubblicita' del processo. Attraverso tale modo di procedere si e' resa disponibile una massa di informazioni tale da gettar luce sull'intero dispositivo di sicurezza e di antiterrorismo italiano e su parte di altri sistemi nazionali. L'attivita' di indagine svolta attraverso le intercettazioni in questione appare, quindi, essere andata ben al di la' dell'ambito entro il quale, alla luce della giurisprudenza costituzionale, il pubblico ministero puo' legittimamente indagare sui fatti di reato oggetto di una notitia criminis. Nella sentenza n. 110/1998 codesta Corte, pur avendo ribadito il principio che, in base alla disciplina vigente, non e' configurabile alcuna immunita' sostanziale collegata all'attivita' dei Servizi informativi, di guisa che l'apposizione del segreto di Stato da parte del Presidente del Consiglio dei ministri non ha l'effetto di impedire che il pubblico ministero proceda nelle indagini, ha chiaramente affermato che tale apposizione certamente inibisce all'autorita' giudiziaria di acquisire e di utilizzare gli elementi di conoscenza e di prova coperti dal segreto. Ed e' proprio tale limite che appare essere stato valicato nel caso di specie, con la intercettazione «a tappeto» delle utenze telefoniche intestate al SISMi da parte dell'autorita' giudiziaria milanese, che puo' essere ritenuta lesiva della sfera di attribuzioni del Presidente del Consiglio dei ministri, con riferimento alla competenza a dirigere ed a coordinare la politica informativa e di sicurezza nell'interesse e per la difesa dello Stato democratico ed a tutelare il segreto di Stato, ex art. 1 della legge n. 801/1977, ed in attuazione degli artt. 1, 5, 52, 87, 94, 95 e 126 della Costituzione. Ne' potrebbe obbiettarsi che nella specie non vi e' stata alcuna opposizione ne' conferma di segreto di Stato perche', come e' noto, il segreto di Stato esiste anche in assenza di una sua opposizione o di un provvedimento dichiarativo e l'autorita' giudiziaria che si imbatte in un segreto per tale riconoscibile, come era nella specie, ha il dovere di non violarlo o, se ha dei dubbi, di chiedere conferma al Presidente del Consiglio per evitare il rischio di infrangere il precetto di cui all'art. 261 c.p. 2.2.3. - Una terza ipotizzabile violazione riguarda la non commendevole pressione esercitata dal p.m. sugli indagati perche' rivelassero il segreto di Stato da loro opposto, come analiticamente descritto in parte narrativa. La sottoscritta difesa e' ben consapevole della delicatezza del problema, delicatezza indotta sia dalla scarsita' e dalla contraddittorieta' dei precedenti nella giurisprudenza della Cassazione e di codesta Corte, sia dalla incompletezza della legge n. 801/1977, tale rimasta nonostante il monito contenuto nella sentenza n. 110/1998 di codesta Corte. In tale quadro, il presente giudizio sembra l'occasione propizia perche' codesta Corte possa far luce, magari con una sentenza manipolativa per addizione, su di una zona grigia di confine fra segreto di Stato e giurisdizione. E' noto, naturalmente, a questa difesa il precedente della Cassazione invocato dalla Procura milanese (Cass. VI, 10 marzo 1987 in CED n. 175919, Musumeci) che sovraordina il diritto di difesa al segreto di Stato. Ma trattasi, ad avviso di questa difesa, di precedente insoddisfacente, perche' isolato, reso in caso di specie assolutamente diverso dal presente, sotto il regime del previgente codice e largamente contraddetto dalla sentenza di codesta Corte n. 110/1998 che sovraordina il valore del segreto di Stato rispetto a ogni diritto individuale, in quanto tutela la sicurezza dello Stato, che e' «interesse essenziale, insopprimibile della collettivita' con palese carattere di assoluta preminenza su ogni atto, in quanto tocca ... la esistenza stessa dello Stato». La verita' e' che sembrerebbe, all'opposto, ben sostenibile la opponibilita' del segreto anche da parte dell'indagato-imputato. Nel conflitto risolto da codesta Corte con la decisione n. 110/1998 una opposizione di segreto era stata fatta proprio da un indagato alla Procura romana (prima della remissione degli atti alla Procura bolognese) e la Procura romana, correttamente, chiese - e ottenne - conferma del segreto dal Presidente del Consiglio. La Procura bolognese, in sede di conflitto, contesto' la irritualita' della opposizione di quel segreto perche' fatta da un indagato e non da un testimone. L'Avvocatura dello Stato sostenne la legittimita' di tale opposizione e codesta Corte - pur senza affrontare ex professo il problema - accolse il ricorso per conflitto del Presidente del Consiglio. Orbene, sembra a questa difesa che una lettura estensiva dell'art. 202 c.p.p. (che letteralmente limita l'opponibilita' del segreto al solo testimone) nel senso di renderla applicabile anche all'indagato-imputato sia assai piu' conforme a Costituzione (segnatamente artt. 3, 24 e 111) di quanto non sia la esegesi letterale caldeggiata dalla Procura milanese e codesta Corte ha sempre insegnato che quando della norma giuridica siano possibili due interpretazioni, e di queste due una soltanto sia conforme a Costituzione essa sola e' quella valida. Orbene, se e' vero, come e' vero, che l'apposizione del segreto di Stato e' atto politico volto alla tutela dei supremi interessi della Nazione, libero nei fini e quindi equiordinato alla legge nella gerarchia delle fonti, tanto che ha il potere di fermare la giurisdizione penale, sembra assurdo renderlo recessivo a fronte del diritto di difesa esercitato dall'imputato (ed anche, per coerenza, dal litigante civile o amministrativo). E se e' vero, come pure e' vero, che la giurisdizione presuppone la parita' delle parti nel giusto processo, quando il segreto impedisce la prova, essa giurisdizione dovrebbe reagire ugualmente, ritraendosi, sia quando la prova segretata impedisca all'accusa di provare la colpevolezza, sia quando tale prova impedisca alla difesa di provare l'innocenza. Un ulteriore profilo della tesi caldeggiata e' poi dato dalla irragionevolezza della norma di cui all'art. 202 c.p.p. se ritenuta applicabile al solo testimone e non anche all'indagato. Esegesi che comporterebbe, infatti, il dissolvimento dello scudo del segreto di Stato in virtu' del semplice - quanto facile e rimesso al buon volere del p.m. - mutamento di veste di un soggetto processuale quando passa da quella del testimone informato dei fatti a quella dell'indagato. In altri termini sembra, a tal punto, che al risultato di ritenere opponibile il segreto anche dall'indagato-imputato si possa giungere attraverso una interpretazione estensiva della normativa vigente, interpretata sulla base del criterio esegetico del privilegio spettante alla lettura costituzionalmente corretta e cioe' attraverso la conformazione a Costituzione del combinato disposto degli artt. 2, comma 1, n. 70, legge 16 febbraio 1987, n. 81, 12, legge n. 801/1977 e 202 c.p.p. Tanto il principio direttivo della legge delega dell'87 quanto il disposto dell'art. 12, legge n. 801/1977 non sono, infatti, coerenti con una limitazione della disciplina del segreto al solo testimone ed i limiti letterali dell'art. 202 c.p.p. sono verosimilmente il portato di una pigrizia intellettuale del legislatore delegato, che si e' rifatto al sottosistema probatorio del vecchio codice. Sembra quindi di poter concludere che una lettura costituzionalmente corretta del sistema normativo sopra indicato possa portare all'affermazione della opponibilita' del segreto di Stato anche da parte dell'indagato-imputato. La Procura milanese avrebbe quindi prevaricato gli indagati-imputati contestando, anzitutto, l'esistenza stessa di un segreto di Stato insistendo, quindi, in piu' occasioni, per convincerli a violare il segreto di Stato nell'esercizio di un diritto di difesa la cui valenza, pur di rilevanza costituzionale, non puo' compararsi con i supremi interessi dello Stato tutelati dal segreto e cosi' arrogandosi una prerogativa di rimozione del segreto che e' solo del Presidente del Consiglio. 2.2.4. - Sia consentito a tal punto osservare che l'atteggiamento del p.m. milanese appare assai poco conforme al principio di leale cooperazione fra poteri dello Stato, teso com'e' alla prevaricazione degli indagati-imputati per apprendere notizie coperte da segreto di Stato, nei dichiarato scopo di pervenire ad accertamenti tassativamente vietati dall'ordinamento vigente: si veda, ad esempio, la richiesta di incidente probatorio 18 settembe 2006, rivolta al (candidamente) palesato fine di accertare i rapporti fra SISMi e CIA: cioe' rapporti coperti da segreto di Stato secondo leggi, direttive e provvedimenti puntuali. Fine, poi, concretamente perseguito nel corso dell'incidente svoltosi il 30 settembre successivo (cfr. docc. 17 e 18). A questo si aggiunga che le indagini effettuate «a tappeto» sul SISMi ed i suoi vertici, piu' che volte a perseguire responsabilita' penali individuali, sembrano tese ad indagare (se non a criminalizzare) l'attivita' di un apparato dello Stato le cui funzioni attengono alla sicurezza della Nazione in una visione dei rapporti fra poteri dello Stato che non appare certo ispirata al principio di leale collaborazione. In definitiva e per concludere, la Procura della Repubblica di Milano ha svolto sotto svariati profili attivita' istruttoria volta a violare un segreto di Stato e sulla base delle fonti di prova direttamente o indirettamente ottenute da tali violazioni ha chiesto il rinvio a giudizio del Direttore del SISMi e di numerosi agenti dello stesso servizio (oltre che di altri soggetti) arrogandosi la potesta' di procedere nell'esercizio di una funzione che le era preclusa dal limite apposto dal Presidente del Consiglio nell'esercizio del suo potere politico. L'attivita' del G.I.P. (G.U.P.), consequenziale alla richiesta della Procura, e' stata quella di delibarla sulla base di emergenze documentali di cui il G.I.P. stesso non avrebbe dovuto prendere cognizione. Proprio sulla base di tutte tali emergenze documentali che mai avrebbero dovuto essere o comunque restare fra le carte processuali, il G.I.P. (G.U.P.) ha adottato il provvedimento di cui all'art. 429 c.p.p., in questa sede impugnato, che viola le prerogative del Governo in materia di segreto di Stato in quanto provvedimento: adottato sulla base di documenti ed altre fonti di prova coperti da segreto di Stato e quindi non conoscibili dal G.I.P. (G.U.P.); atto a pubblicizzare ulteriormente tali documenti; prodromico ad ulteriori attivita' giurisdizionali precluse dal segreto che ha ormai inficiato di nullita' (quanto meno parziale) l'indagine sin qui svolta.