Ricorso  della  Regione  Veneto,  in persona del presidente della
giunta regionale pro tempore on. dott. Roberto Formigoni, autorizzato
con  delibera  di  Giunta regionale n. VIII/004418 del 28 marzo 2007,
rappresentata  e difesa, come da mandato a margine del presente atto,
dall'avv.  Pio  Dario  Vivone e dall'avv. prof. Beniamino Caravita di
Toritto  e  presso lo studio del secondo elettivamente domiciliata in
Roma, via di Porta Pinciana n. 6;

    Contro  il  Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per
la  dichiarazione  di illegittimita' costituzionale del d.l. 20 marzo
2007,  n. 23,  recante «Disposizioni urgenti per il ripiano selettivo
dei  disavanzi  pregressi  nel  settore  sanitario», pubblicato nella
Gazzetta  Ufficiale  -  serie  generale,  n. 66 del 20 marzo 2007 per
violazione  degli  artt.  3,  32,  117,  commi  3 e 4, 119, 120 della
Costituzione,   oltre  che  per  violazione  del  principio  di  buon
andamento  dell'amministrazione  (art.  97  Cost.),  dell'obbligo  di
partecipare   alle   spese   pubbliche  in  ragione  della  capacita'
contributiva  (art.  53 Cost.) e della riserva di legge in materia di
prestazioni patrimoniali (art. 23 Cost.).
    Il  decreto-legge  n. 23 del 20 marzo 2007, recante «Disposizioni
urgenti  per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore
sanitario»,  pubblicato  nella  Gazzetta Ufficiale - serie generale -
n. 66  del  20  marzo  2007  adotta un meccanismo di subentro statale
finalizzato al ripiano dei disavanzi sanitari delle regioni.
    Com'e'  noto, il dissesto finanziario che caratterizza il sistema
sanitario  nazionale  ha  assunto  caratteri  gravi e strutturali per
effetto  di  una  costante  divaricazione  tra  i  costi previsti per
l'erogazione  delle  prestazioni  sanitarie,  con  oneri a carico del
Servizio  sanitario nazionale, e l'effettiva spesa sostenuta nei vari
distretti  sanitari;  tale  situazione  si e' tradotta, da molti anni
ormai,  in  una  radicata condizione di indebitamento. Con la riforma
del  Titolo V  della  Costituzione  tutta  la  materia  «tutela della
salute»,  di  maggiore  ampiezza della precedente materia «assistenza
sanitaria  e  ospedaliera»,  e' ricaduta nell'ambito della competenza
legislativa   concorrente   regionale;  a  questo  ampliamento  delle
competenze  e'  corrisposta  anche  l'attribuzione alle regioni della
complessiva  responsabilita'  per  il  contenimento  dei  costi  e il
mantenimento di una situazione di gestione economicamente efficiente,
fatta salva sempre la necessita' di non compromettere l'erogazione di
prestazioni attinenti ai livelli essenziali di assistenza.
    In  attuazione del generale principio di leale collaborazione tra
i  differenti  livelli  di  governo,  e  in una visione istituzionale
improntata  al  principio di responsabilita', nonche' alla necessita'
di  salvaguardare i livelli essenziali di assistenza, nel corso degli
ultimi  anni  sono  state  stipulate  intese  tra  Governo, regioni e
province  autonome  di  Trento  e Bolzano al fine di assumere impegni
vincolanti  per  il ripiano del disavanzo. Nell'accordo dell'8 agosto
2001  (pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  n. 208 del 7 settembre
2001),  appena prima dell'entrata in vigore del nuovo Titolo V, «allo
scopo  di  rendere  realistica  l'entita'  dei finanziamenti statali,
eliminando  gli  inconvenienti derivanti da sottostime delle esigenze
finanziarie  e  conferire  stabilita'  alla  spesa  in un arco almeno
triennale, nell'ambito delle compatibilita' di finanza pubblica e nel
quadro  di  un rinnovato patto di stabilita' interno, e' incrementata
la  quantificazione delle risorse previste per l'anno 2001 a chiusura
definitiva  tra  Governo  e regioni della partita finanziaria e sulla
base   dei   principio   della   corrispondenza  delle  risorse  alle
responsabilita».  A  fronte di questo impegno del Governo, le regioni
si   erano   impegnate   a  risolvere  ulteriori  eventuali  esigenze
finanziarie  con  mezzi  propri,  adottando,  in  ogni caso, tutte le
iniziative  possibili  per  la  corretta  ed  efficiente gestione del
servizio  al fine di contenere le spese. La validita' dell'accordo e'
stata  peraltro  subordinata  all'adozione  dei Livelli Essenziali di
Assistenza (LEA), successivamente definiti con decreto del Presidente
del  Consiglio  dei  ministri  del  29  novembre  2001. Alle relative
disposizioni  e'  stato  poi  attribuito valore di legge dall'art. 54
della legge n. 289 del 2002 (legge finanziaria 2003), che ha altresi'
specificato  che  eventuali  modifiche ai LEA (cosi' come individuati
negli  allegati  del  d.P.C.m.  29  novembre  2001) sono definite con
decreto  del  Presidente del Consiglio dei ministri, di intesa con la
Conferenza  permanente  per  i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano.
    Coerentemente   con   questa  impostazione  (nonche'  con  alcune
pronunce  della  Corte  costituzionale,  come  la n. 89 del 2000, che
individuavano  nelle  regioni i soggetti tenuti anche alla estinzione
delle  situazioni  debitorie  pregresse relative alle precedenti USL,
attraverso la costituzione delle gestioni a stralcio, trasformate poi
in  gestioni  liquida-torie  dall'art.  2,  comma  14, della legge 28
dicembre  1995,  n. 549),  il  d.l.  n. 347  del 2001, convertito con
modificazioni  dalla  legge  n. 405  del  2001,  ha previsto che alla
copertura  dei  disavanzi  di  gestione  fossero  tenute  le  regioni
mediante   norme   regionali  che  disponessero,  alternativamente  o
cumulativamente, l'introduzione di:
        «a)  misure  di  compartecipazione  alla spesa sanitaria, ivi
inclusa   l'introduzione  di  forme  di  corresponsabilizzazione  dei
principali soggetti che concorrono alla determinazione della spesa;
        b)   variazioni   dell'aliquota   dell'addizionale  regionale
all'imposta  sul reddito delle persone fisiche o altre misure fiscali
previste nella normativa vigente;
        c)  altre  misure  idonee  a  contenere la spesa, ivi inclusa
l'adozione di interventi sui meccanismi di distribuzione dei farmaci»
(comma 3 dell'art. 4 del d.l. n. 347 del 2001).
    Le  annuali  leggi  di bilancio, pur cercando di rimediare ad una
situazione  di  straordinaria  gravita', disponendo in alcuni casi il
finanziamento  di  quote  di  spesa del Servizio sanitario nazionale,
hanno  tuttavia sempre riconfermato, quale principio fondamentale mai
revocato  in  dubbio,  la  piena  responsabilizzazione delle Regioni,
chiarendo   altresi'  la  natura  derogatoria  rispetto  ai  principi
generali  delle  misure  di  partecipazione statale di volta in volta
predisposte.  La  legge  n. 311  del  2004  (legge finanziaria 2005),
all'art.  1,  comma  173,  ha  subordinato l'accesso delle Regioni al
finanziamento  integrativo a carico dello Stato alla realizzazione di
alcune  specifiche condizioni: vale a dire, alla stipula di un'intesa
tra  Stato  e  regioni  che  prevedesse,  tra  gli  altri  strumenti,
ulteriori  mezzi per migliorare il monitoraggio della spesa sanitaria
nell'ambito del «Nuovo sistema informativo sanitario»; o, ancora, «al
rispetto  degli  obblighi  di  programmazione a livello regionale, al
fine  di  garantire  l'effettivita' del processo di razionalizzazione
delle  reti  strutturali  dell'offerta  ospedaliera  e  della domanda
ospedaliera,  (con  particolare riguardo al riequilibrio dell'offerta
di  posti  letto  per acuti e per lungodegenza e riabilitazione, alla
promozione  del  passaggio dal ricovero ordinario al ricovero diurno,
nonche'  alla  realizzazione  degli  interventi  previsti  dal  Piano
nazionale  della prevenzione e dal Piano nazionale dell'aggiornamento
del  personale  sanitario,  coeren-temente  con  il  Piano  sanitario
nazionale).  La  stessa  disposizione  di  legge (il citato comma 173
dell'art.  1  della  legge finanziaria 2005) ha poi richiesto in capo
alle  regioni,  tra  le  condizioni  che  ne autorizzano l'accesso al
finanziamento   integrativo  a  carico  dello  Stato,  «l'obbligo  di
garantire  in sede di programmazione regionale, coerentemente con gli
obiettivi  sull'indebitamento  netto delle amministrazioni pubbliche,
l'equilibrio  economico-finanziario  delle proprie aziende sanitarie,
aziende ospedaliere, aziende ospedaliere universitarie ed Istituti di
ricovero  e  cura  a carattere scientifico, sia in sede di preventivo
annuale  che  di  conto  consuntivo,  realizzando  forme  di verifica
trimestrale   della   coerenza  degli  andamenti  con  gli  obiettivi
dell'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche e prevedendo
l'obbligatorieta'  dell'adozione  di  misure  per  la riconduzione in
equilibrio   della  gestione  ove  si  prospettassero  situazioni  di
squilibrio, nonche' l'ipotesi di decadenza del direttore generale».
    Il  comma  174  dell'art.  1  della  legge n. 311 del 2004 (legge
finanziaria 2005) ha disposto inoltre il ricorso allo strumento della
fiscalita' nel caso di disavanzi di gestione in ambito regionale: nel
caso in cui si evidenzia un disavanzo di gestione che i provvedimenti
regionali  non  riescono a riequilibrare, il Presidente del Consiglio
dei  ministri  puo' diffidare la regione a provvedere all'adozione di
ogni  misura  idonea entro il 30 aprile dell'anno successivo a quello
al  quale  si  riferisce  il  disavanzo; nel caso in cui tale termine
decorra  inutilmente,  il  Presidente  della  Regione, in qualita' di
commissario ad acta, approva il bilancio di esercizio consolidato del
Servizio  sanitario  regionale al fine di determinare l'ammontare del
disavanzo  di  gestione e adotta i necessari provvedimenti per il suo
ripianamento,  compreso  il  ricorso  agli  strumenti  fiscali  e  in
particolare  agli  aumenti  dell'addizionale  all'imposta sul reddito
delle persone fisiche e alle maggiorazioni dell'aliquota dell'imposta
regionale sulle attivita' produttive, entro le misure stabilite dalla
normativa vigente.
    Il  successivo  comma 180 dell'art. 1 della legge finanziaria per
il  2005 ha disposto che le regioni afflitte da problemi di disavanzo
per  i  quali  si  rende  necessaria  l'attivazione  delle  procedure
sostitutive   per   mezzo   del  Presidente  regionale  in  veste  di
commissario  ad  acta  devono  altresi' procedere ad una ricognizione
delle  cause,  nonche' all'elaborazione di «Un programma operativo di
riorganizzazione, di riqualificazione o di potenziamento del Servizio
sanitario  regionale, di durata non superiore al triennio. I Ministri
della  salute  e  dell'economia  e delle finanze e la singola regione
stipulano apposito accordo che individui gli interventi necessari per
il  perseguimento dell'equilibrio economico, nel rispetto dei livelli
essenziali  di  assistenza  e  degli  adempimenti  di cui alla intesa
prevista  dal comma 173. La sottoscrizione dell'accordo e' condizione
necessaria   per  la  riattribuzione  alla  Regione  interessata  del
maggiore   finanziamento   anche  in  maniera  parziale  e  graduale,
subordinatamente   alla   verifica  della  effettiva  attuazione  del
programma».
    Nell'intesa  Stato-regioni  del  23  marzo  2005  sono  stati poi
previsti  strumenti per il miglioramento del monitoraggio della spesa
nell'ambito  del «Nuovo sistema informativo sanitario» (art. 3) e, in
attuazione delle previsioni della legge finanziaria per il 2005 (e in
particolare  del  comma  180  dell'art.  1), sono stati ulteriormente
precisati  i  contenuti  dell'accordo  tra  regioni  in situazioni di
disavanzo  e  Ministri  della  salute, dell'economia e delle finanze,
sentito  il  Ministro  per  gli  affari  regionali,  per  accedere ai
finanziamenti  previsti.  Inoltre,  sono  stati  previsti un Comitato
paritetico  permanente  per  la  verifica dell'erogazione dei Livelli
essenziali  di  assistenza  (art. 9) e un «Tavolo tecnico», istituito
presso  il  Ministero  dell'economia e delle finanze, per la verifica
degli  adempimenti  richiesti dalla legge finanziaria 2005 (art. 12).
Il  tavolo richiede alle singole regioni la documentazione necessaria
alla  verifica degli adempimenti e all'individuazione delle eventuali
criticita' da risolvere.
    Piu'  di  recente  la  legge  n. 266  del 2005 (legge finanziaria
2006),  all'art.  1,  comma 277, ha previsto l'attivazione automatica
degli strumenti fiscali nel caso in cui «anche il commissario ad acta
non  adotti  le  misure  cui e' tenuto, con riferimento all'esercizio
2005  e  all'anno  d'imposta  2006»; in tale caso «si applicano nella
misura   massima   prevista  dalla  vigente  normativa  l'addizionale
all'imposta  sul  reddito  delle  persone  fisiche e le maggiorazioni
dell'aliquota dell'imposta regionale sulle attivita' produttive».
    Con  successivo protocollo di intesa tra il Governo, le regioni e
le  province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,  stipulato  il 28
settembre  2006  e' stato adottato un (ennesimo!) «Nuovo patto per la
salute»,  volto  a  «ricondurre sotto controllo la spesa sanitaria, a
dare certezza di risorse per il Servizio sanitario nazionale (S.S.N.)
su   un  arco  pluriennale,  a  sollecitare  e  sostenere  le  azioni
necessarie  a  elevare qualita' e appropriatezza delle prestazioni, a
riequilibrare  le capacita' di fornire servizi di analoga qualita' ed
efficacia  su  tutto il territorio nazionale». Tra le linee guida del
«Patto»  viene  esplicitamente menzionata la necessita' di assicurare
alla   sanita'   una   dinamica   di   crescita  compatibile  con  la
programmazione  finanziaria  del  Paese e di parametrare i livelli di
finanziamento  erogato alla verifica dell'effettivo costo dei Livelli
essenziali   di   assistenza,   in   condizioni   di   efficienza   e
appropriatezza.   Lo   strumento   inoltre  punta  dichiaratamente  a
«rafforzare   la   capacita'  programmatoria  e  organizzativa  delle
regioni»,  richiedendo a tali soggetti un'assunzione di «autonomia ed
inderogabile   responsabilita'  di  bilancio»  sia  nell'utilizzo  di
eventuali  maggiori  risorse  liberate da efficientamenti del sistema
sanitario  regionale,  sia  nell'adozione  di  misure  di  ripiano di
disavanzi.
    Su  queste  basi,  nel  patto  si conviene che il Governo ritiene
indispensabile  prorogare  il  meccanismo  di  «automatismo  fiscale»
(previsto  dalla  legge  n. 266  del  2005,  all'art.  1, comma 277).
Inoltre  il  Governo  si impegna a prevedere, in sede di approvazione
della legge finanziaria per l'anno 2007, un fondo transitorio «per le
regioni  che  presentano  grandi  criticita'  finanziarie» al fine di
sostenerle  «in  un  percorso  di  rientro (sic!) in grado di portare
all'azzeramento dei loro disavanzi entro l'anno 2010»;
    In   aggiunta  agli  adempimenti  previsti  dall'Accordo  del  28
settembre  2006,  lo  stesso  documento,  al  punto  1.4,  ha inoltre
previsto  che  «in  via  straordinaria,  per  le  regioni che abbiano
stipulato  l'accordo  di  cui all'art. 1, comma 180, della richiamata
legge  n. 311/2004  sono  considerate  idonee  forme di copertura dei
disavanzi pregressi, cumulativamente registrati e certificati fino al
2005,   al   netto   per   l'anno   2005  della  copertura  derivante
dell'incremento   automatico  delle  aliquote,  in  deroga  a  quanto
previsto  dalla  predetta  Intesa, con misure a carattere pluriennale
derivanti  da  specifiche  entrate  certe  e vincolate. A tal fine il
Governo  si  impegna  alla  proposizione  delle  necessarie  norme di
deroga».
    Inoltre,  il  punto 3.1 dell'intesa in esame delinea un ulteriore
concorso   transitorio   dello  Stato  alle  regioni  in  difficolta'
economico-finanziaria:
        in  primo  luogo  e' stabilito che il «Tavolo tecnico» per la
verifica   degli   adempimenti,   previsto  dall'art. 12  dell'Intesa
Stato-regioni   del   23   marzo   2005,  individua  le  «Regioni  in
difficolta»,  cioe'  le  regioni  che  presentano un disavanzo pari o
superiore  al  7% nell'anno precedente e/o nelle quali sia entrata in
vigore  la massimizzazione dell'aliquota di addizionale IRPEF e della
maggiorazione Irap;
        viene  poi  prevista  l'istituzione,  per  tutto  il triennio
2007-2009,  di  un  Fondo  transitorio di complessivi 2550 milioni di
euro  (ripartiti  in  1000  milioni  per l'anno 2007, 850 milioni per
l'anno 2008 e 700 milioni per l'anno 2009).
    L'accesso  alle  risorse  di  tale  Fondo  resta subordinato alla
sottoscrizione  dell'accordo  previsto  dalla  legge  finanziaria per
l'anno 2005 (in particolare dall'art. 1, comma 180 della legge n. 311
del  2004),  comprensivo  di  un  «Piano  di rientro». Tale «Piano di
rientro»  deve  contenere  sia  le misure di riequilibrio del profilo
erogativo dei Livelli essenziali di assistenza (per renderlo conforme
al  vigente  Piano  sanitario  nazionale  e  al  vigente  d.P.C.m. di
fissazione  dei  LEA),  sia  le misure necessarie all'azzeramento dei
disavanzo  entro  il  2010,  sia gli obblighi e le procedure previsti
dalle precedenti Intese Stato-regioni.
    L'accesso   al  fondo  transitorio  da  parte  delle  regioni  in
difficolta'  presuppone inoltre che «sia scattata formalmente in modo
automatico o che sia stato attivato l'innalzamento ai livelli massimi
dell'aliquota  di  addizionale  Irpef  e  della  maggiorazione Irap».
Qualora,  durante  il  procedimento di verifica annuale del piano, si
prefiguri  il  mancato rispetto di parte degli obiettivi intermedi di
riduzione  del  disavanzo  contenuti nel piano di rientro, la regione
interessata  puo'  proporre  misure  equivalenti  che  devono  essere
approvate  dal  Ministero della salute e dell'economia e finanze. «In
ogni  caso  l'accertato  verificarsi del mancato raggiungimento degli
obiettivi  intermedi comporta che, con riferimento all'anno d'imposta
dell'esercizio  successivo,  l'addizionale  all'imposta  sul  reddito
delle  persone  fisiche  e  l'aliquota  dell'imposta  regionale sulle
attivita'  produttive  si  applicano oltre i livelli massimi previsti
dalla  legislazione  vigente fino all'integrale copertura dei mancati
obbiettivi».
    Qualora  invece  gli  obiettivi intermedi siano stati conseguiti,
ottenendo  risultati  quantitativamente  migliori  di  quelli  minimi
prefissati,  la  regione  interessata  puo'  ridurre, con riferimento
all'anno    d'imposta    dell'esercizio   successivo,   l'addizionale
all'imposta   sul   reddito   delle   persone  fisiche  e  l'aliquota
dell'imposta  regionale  sulle  attivita'  produttive  per  la  quota
corrispondente al miglior risultato ottenuto.
    Tali  previsioni  pattizie,  contenute  nel  protocollo di intesa
siglato il 28 settembre 2006 tra il Governo, le regioni e le province
autonome  di  Trento  e  Bolzano, sono state poi recepite dalla legge
finanziaria  per  l'anno 2007 (legge n. 296 del 2006) che, alla lett.
b)  del comma 796 dell'art. 1, ha integralmente riproposto il testo e
i  contenuti  dell'accordo,  aggiungendo  inoltre  che gli interventi
individuati    dai    programmi    operativi   di   riorganizzazione,
qualificazione  o  potenziamento  del  servizio  sanitario regionale,
necessari  per  il  perseguimento  dell'equilibrio  economico,  «sono
vincolanti  per  la  regione  che  ha  sottoscritto  l'accordo  e  le
determinazioni   in  esso  previste  possono  comportare  effetti  di
variazione   dei   provvedimenti  normativi  ed  amministrativi  gia'
adottati   dalla   medesima  regione  in  materia  di  programmazione
sanitaria».
    Sebbene  dunque  il quadro normativo sin qui richiamato dia conto
di un complesso di misure che non ha escluso l'intervento dello Stato
nel  percorso di risanamento del deficit sanitario delle regioni, non
vi   e'   dubbio  che  tale  partecipazione  e'  stata  costantemente
subordinata  e anzi condizionata a misure fortemente indicative della
progressiva  responsabilizzazione delle regioni, coerentemente con la
soppressione  dei  trasferimenti  erariali  in  favore  delle regioni
relativi  al  finanziamento della spesa sanitaria corrente e in conto
capitale disposta dall'art. 1, lett. d) del d.lgs. n. 56 del 2000, e,
piu'  in  generale,  con  i  percorsi di «federalismo fiscale» che la
Costituzione,   almeno   a   partire  dalla  riforma  del  Titolo  V,
chiaramente traccia.
    Il  d.l.  n. 23  del 2007 stanzia invece un ingente finanziamento
statale   in  favore  delle  regioni  che  versano  nelle  condizioni
precisate  dallo  stesso decreto. Secondo quanto previsto dal comma 1
del  provvedimento, lo Stato, in deroga all'obbligo per le regioni di
coprire  gli  eventuali  disavanzi  di  gestione  con oneri a proprio
carico  (cosi'  come  espressamente stabilito dal comma 3 dell'art. 4
del  d.l.  n. 347  del 2001, convertito con modificazioni dalla legge
n. 405  del  2001),  partecipa  al ripiano dei disavanzi del Servizio
sanitario  nazionale  per  il  periodo  2001-2005  per le regioni che
soddisfino i seguenti requisiti:
        il  primo  e' costituito dalla sottoscrizione (nella forma di
accordo tra Stato e regioni) dei «piani di rientro» e dal conseguente
accesso  al  fondo  transitorio previsto dalla lett. b) del comma 796
dall'art.  1  della  legge  n. 296  del 2006 (legge finanziaria 2007)
(fondo gia' previsto dal protocollo di intesa del 28 settembre 2006);
        il secondo concerne:
          l'attivazione  sul  territorio  regionale,  a copertura dei
disavanzi  del  settore  sanitario  e a decorrere dal 2007, di misure
fiscali straordinarie;
          ovvero  l'impiego di quote di manovre fiscali gia' adottate
o  di  quote  di tributi erariali attribuiti alle regioni (nei limiti
dei  poteri loro attribuiti dalla normativa statale di riferimento ed
in  conformita'  ad  essa),  in via ulteriore rispetto all'incremento
nella  misura massima di IRAP e addizionale regionale all'IRPEF, tali
da  comportare  un  gettito superiore rispetto a quello derivante dal
predetto  incremento  nella misura massima di IRAP e dell'addizionale
regionale all'IRPEF.
    Il  secondo  comma dell'art. 1 prevede inoltre che per il periodo
di  imposta  successivo  al 31 dicembre 2006 e fino all'anno 2010 (in
deroga  dunque  al  principio  per  il  quale le modifiche ai tributi
periodici  si  applicano  solo  a  partire  dal  periodo  di  imposta
successivo  a  quello  in  corso alla data di entrata in vigore delle
disposizioni modificative, principio posto dall'art. 3 della legge 27
luglio  2000,  n. 212),  l'addizionale  all'IRPEF  e le maggiorazioni
dell'aliquota  dell'IRAP si applicano nella misura massima consentita
(misura  corrispondente  a  quanto  previsto  dal  comma  174, ultimo
periodo, dell'art. 1 della legge n. 311 del 2004) per le regioni che,
con  delibera  della  giunta  regionale (da pubblicare nel Bollettino
ufficiale  della regione entro il 27 marzo 2007), approvano l'Accordo
stipulato con il Governo (con i Ministri della salute e dell'economia
e  delle finanze) per l'individuazione degli interventi necessari per
il  perseguimento dell'equilibrio economico, come richiesto anche per
l'accesso al Fondo transitorio istituito dalla lett. b) del comma 796
dell'art.1 della legge finanziaria 2007.
    Tali  incrementi  non  si applicano nelle regioni nelle quali sia
scattato,   in   modo   automatico,  l'innalzamento  dell'addizionale
regionale  all'IRPEF e della maggiorazione dell'aliquota dell'IRAP e,
a  seguito  del  raggiungimento  dell'accordo  con  il  Governo sulla
copertura  dei disavanzi di gestione del servizio sanitario regionale
(accordo previsto dall'art. 1-bis del d.l. n. 206 del 2006 convertito
con  modificazioni dalla legge n. 234 del 2006) tale innalzamento non
sia stato applicato.
    Lo   stanziamento  per  il  ripiano  delle  situazioni  debitorie
accumulate  dalle  regioni  nel  settore  sanitario  autorizzato  dal
decreto  n. 23  del 2007 ammonta a 3000 milioni di Euro, da ripartire
tra le regioni interessate con decreto del Ministro delle finanze, di
concerto  con  il  Ministro della salute, sentito il Ministro per gli
affari regionali e le autonomie locali. I criteri per l'erogazione di
tale  stanziamento saranno definiti «sulla base dei debiti accumulati
fino  al  31 dicembre 2005, della capacita' fiscale regionale e della
partecipazione   delle   regioni   al  finanziamento  del  fabbisogno
sanitario».
    Il  d.l.  precisa  poi  che  alla  relativa copertura si provvede
mediante  «corrispondente  riduzione  dello stanziamento iscritto, ai
fini   del  bilancio  triennale  2007-2009,  nell'ambito  dell'unita'
previsionale  di  base  di conto capitale «Fondo speciale» per l'anno
2007,  allo  scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo
al Ministero dell'economia e delle finanze».
    Il   d.l.   n. 23  del  2007  lede  profondamente  le  competenze
riconosciute  alla  regione  Lombardia dalla Costituzione, risultando
lesivo  dell'autonomia  ad  essa  costituzionalmente  garantita per i
seguenti motivi di

                            D i r i t t o

    1. Premessa
    Nelle  more  dell'entrata  in  vigore  della legge cost. n. 3 del
2001,   vale   a  dire  dopo  l'approvazione  parlamentare  ma  prima
dell'esito  positivo  del  referendum, l'8 agosto 2001 veniva siglato
l'accordo  tra  Governo  e  regioni,  con  il  quale,  sulla base del
principio della corrispondenza delle risorse alle responsabilita', si
addiveniva  ad un incremento dei finanziamenti statali per il 2001 in
favore  delle regioni, da intendersi come «chiusura definitiva» della
partita finanziaria tra gli attori dell'intesa.
    L'intervento  legislativo  qui impugnato spinge invece il sistema
in  una direzione inequivocabilmente contraria alle opzioni tracciate
dal  legislatore  costituzionale  del 2001, vanificando, di fatto, le
scelte  costitutive  ed  essenziali  di  quella  riforma, ispirata ad
un'ampia  attribuzione  di  compiti  e funzioni alle regioni e ad una
corrispondente assunzione di responsabilita'.
    Il  d.l.  n. 23  del  2007  lede il principio di uguaglianza e si
configura come legge di sanatoria ponendosi in contrasto con l'art. 3
Cost.;  non  rispetta  il  vigente  riparto di competenze tra Stato e
regioni  e  contrasta  apertamente  con  i  principi  di «federalismo
fiscale»  violando  cosi'  gli artt. 117, commi terzo e quarto, e 119
Cost.;  viola inoltre il comma 6 dell'art. 119 Cost. poiche' consente
alle  regioni  di  indebitarsi  per  il  finanziamento  non  gia'  di
investimenti  ma  di debiti pregressi relativi a spese correnti; crea
situazioni di disparita' contributiva e modifica l'entita' di tributi
periodici  per un periodo di imposta precedente all'entrata in vigore
delle  disposizioni, ponendosi cosi' in contrasto con l'art. 53 Cost.
(principio  di capacita' contributiva) e con l'art. 23 Cost. (riserva
di legge in materia di «prestazioni personali e patrimoniali»); cosi'
facendo  lede  altresi'  i  principi di buon andamento della pubblica
amministrazione  (art.  97  Cost.)  e viola altresi' l'art. 120 Cost.
poiche',  disponendo a tutti gli effetti un vero e proprio intervento
sostituivo  del  Governo  nei  poteri  delle  regioni,  ancorche' non
esplicitato, non definisce con legge le procedure di garanzia atte ad
assicurare  che  tale  potere sostitutivo sia esercitato nel rispetto
del   principio   di   sussidiarieta'   e   del  principio  di  leale
collaborazione.
    2.  Illegittimita'  costituzionale  del  d.l.  n. 23 del 2007 per
violazione dell'art. 3 Cost. sotto il profilo dell'uguaglianza tra le
regioni.
    Il   provvedimento  impugnato  viola  il  basilare  principio  di
uguaglianza,  consacrato  dall'art.  3 Cost. Esso infatti, agendo con
metodo  selettivo,  opera  una  vera  e  propria  discriminazione fra
soggetti  istituzionalmente  fra  loro  equiordinati,  quali  sono le
regioni,  selezionandone  alcune  nei  confronti delle quali lo Stato
concorre  al ripiano del disavanzo nel settore del Servizio sanitario
nazionale,  ed escludendone altre che non avranno accesso ai benefici
predisposti dal decreto-legge.
    La  selezione  viene  infatti  operata sulla base di parametri la
sussistenza  dei  quali  rappresenta la dimostrazione evidente di una
prolungata  incapacita' amministrativa e gestionale di talune regioni
e,  di  fatto, porta all'esclusione di altre regioni le cui capacita'
gestionali  e  amministrative  hanno  invece  garantito situazioni di
maggiore equilibrio e di maggiore efficienza.
    Queste  capacita'  e  queste  pratiche virtuose, conseguite anche
attraverso   percorsi  di  responsabilizzazione  della  collettivita'
regionale, come il ricorso alla leva fiscale, valgono ora a escludere
le  regioni  che  le  hanno  poste  in  essere  dalla possibilita' di
ricevere   finanziamenti   statali,  in  forza  di  un  provvedimento
legislativo, qual e' quello qui impugnato, che costituisce in realta'
un  forte  disincentivo  al  reperimento di risorse nell'ambito della
finanza   regionale,  finalizzate  al  mantenimento  di  un  servizio
sanitario efficiente ed economicamente sostenibile.
    Cosi'   facendo,  il  d.l.  tradisce  in  pieno  quel  «carattere
incentivante»  piu'  volte  individuato  da  codesta  ecc.ma Corte in
relazione  al  finanziamento  statale ai fini del conseguimento degli
obiettivi  di  programmazione  sanitaria e del connesso miglioramento
del  livello di assistenza. (sentenze nn. 36 del 2004 e 98 del 2007),
finendo  in  realta'  per  incoraggiare  soltanto  politiche di minor
rigore,  alla  luce  di  una  sperata  e  tutt'altro  che improbabile
copertura statale delle situazioni di disavanzo.
    Tutto  cio'  in  un  ambito  nel  quale  la  collettivita' appare
direttamente  interessata da un lato alla implementazione di pratiche
amministrative  efficienti  ed  appropriate  che  si  traducano in un
livello  di  prestazioni soddisfacenti e dall'altro alla inderogabile
responsabilizzazione  per  la  gestione del settore sanitario e delle
risorse  ad  esso  collegate  che,  come  evidenziato  anche da gravi
vicende  giudiziarie  recenti, non puo' piu' essere pretermessa, come
invece  palesemente  fa  il decreto-legge qui impugnato, attraverso i
suoi esiti di esclusivo «ripiano».
    Il  d.l.  n. 23  del  2007 appare inoltre lesivo del principio di
uguaglianza  sancito  dall'art.  3  Cost.  anche perche', attribuendo
risorse  economiche  solo  ad  alcune regioni, pur oberate da gravi e
tuttavia  evitabili  (doverosamente  evitabili) situazioni di debito,
non  consente  alle  regioni  che quei disavanzi hanno saputo evitare
(come  la ricorrente) di utilizzare le risorse statali stanziate, per
il miglioramento del proprio servizio sanitario, su basi di effettiva
e reale parita' istituzionale. A queste regioni viene cosi' negata la
possibilita'  non  solo  di  confermare  una  situazione  di pareggio
economico-finanziario  del  sistema  sanitario  regionale ma anche di
diminuire  il  gravame delle compartecipazioni richieste ai cittadini
per  garantire  livelli  di  efficienza  economica. Il d.l. impugnato
premia  invece  quelle  regioni  che  al  fine  di porre rimedio alle
«inappropriatezze»  e  alle  «inefficienze  del sistema che minano il
controllo  della  spesa  e  l'efficacia  dei servizi per i cittadini»
(secondo  quanto  richiesto  dal Protocollo di intesa stipulato il 28
settembre 2006), hanno fatto affidamento nell'apporto determinante di
stanziamenti provenienti dallo Stato.
    3.  Illegittimita'  costituzionale  del  d.l.  23  del  2007  per
violazione  del  principio  di  ragionevolezza sotto il profilo della
illegittima natura retroattiva e di sanatoria del provvedimento.
    Il  d.l.  n. 23  del 2007, inoltre, allontanandosi esplicitamente
dai  caratteri  di  generalita'  e  astrattezza  che  tendenzialmente
dovrebbero  caratterizzare  ogni  provvedimento  normativo, introduce
norme  specifiche,  puntuali  e  di  carattere  provvedimentale,  che
valgono  a  selezionare in modo mirato i destinatari delle stesse. Le
previsioni  appaiono  per  di  piu'  munite di un'esplicita efficacia
retroattiva,  essendo  dirette a ripianare i «disavanzi pregressi nel
settore  sanitario».  Nella  sostanza, introducono una vera e propria
sanatoria  a  favore  di comportamenti di malagestione di cui si sono
rese protagoniste alcune amministrazioni regionali.
    La  giurisprudenza  di  codesta ecc.ma Corte ha da tempo chiarito
come,  in  via  di  principio, le leggi di sanatoria, pur non essendo
costituzionalmente  precluse,  devono essere considerate come ipotesi
eccezionali,   la   cui  giustifi-cazione  impone  uno  scrutinio  di
costituzionalita'  estremamente rigoroso. L'intervento legislativo in
sanatoria, infatti, puo' essere ragionevolmente giustificato soltanto
se  le  specifiche  peculiarita'  del  caso  siano  tali da escludere
l'arbitrarieta'   e   l'irragionevolezza   della  sostituzione  della
disciplina  generale  -  originariamente  applicabile  -  con  quella
eccezionale  successivamente  emanata.  L'ampio  vulnus  inferto alla
parita'  di  trattamento  da questo d.l., vulnus del quale si e' gia'
data   ampia   evidenza,   vale   senza   dubbio   ad   escludere  la
costituzionalita'  di  una legge con i caratteri della sanatoria qual
e'  il  decreto  n. 23 del 2007. Il rischio evidente di ogni legge di
sanatoria,  che  nel  caso del decreto qui impugnato diventa pericolo
attuale,  e'  chiaramente  quello  di vanificare del tutto i principi
regolatori  di una materia, consentendo quei comportamenti che invece
il  sistema  normativo  generale  derogato  non consente e vulnerando
gravemente altresi' la certezza del diritto.
    4.  Illegittimita'  costituzionale  del  d.l.  n. 23 del 2007 per
violazione  dei  commi  terzo  e quarto dell'art. 117 e dell'art. 119
Cost., anche in relazione all'art. 32.
    La   «tutela   della  salute»  fa  parte  di  un  fondamentale  e
incomprimibile  nucleo di diritti protetti e di fini perseguiti dallo
Stato sociale. Il quadro competenziale delineato dall'art. 117, terzo
comma  pone  la  materia  tra quelle affidate alla potesta' normativa
regionale concorrente: e' dunque la Costituzione ad individuare nelle
regioni  il  soggetto istituzionale competente ad emanare le norme di
dettaglio   relative  al  settore;  la  determinazione  dei  principi
fondamentali  e' invece riservata alla legislazione dello Stato; allo
Stato  e'  inoltre  riservata  in via esclusiva la determinazione dei
«livelli  essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali   che   devono   essere  garantiti  su  tutto  il  territorio
nazionale».
    In  realta',  la  riforma  del Titolo V della Costituzione non ha
fatto  che  sottolineare  la  vocazione del diritto alla salute ad un
radicamento  territoriale,  a  garanzia  di una sua effettiva tutela.
Proprio  per  questo la protezione della salute garantita dallo Stato
non  puo'  spingersi  fino  ad  abbracciare  l'intero  contenuto  del
diritto,  pena  l'illegittima soppressione delle competenze regionali
funzionali  a  modulare  l'offerta  sanitaria  alle concrete esigenze
locali.
    Peraltro, gia' da tempo codesta ecc.ma Corte ha affermato come la
materia  di  competenza  regionale  concorrente  della  «tutela della
salute»  deve  essere  intesa  come  «assai  piu' ampia rispetto alla
precedente  materia  assistenza  sanitaria  e  ospedaliera» (sentenze
n. 181  del  2006  e n. 270 del 2005), e a quella dell'organizzazione
sanitaria.  Si  tratta, secondo altra decisione, di materia in cui le
regioni possono adottare «una propria disciplina anche sostitutiva di
quella statale» (sentenza n. 510 del 2002).
    Il  d.l. n. 23 del 2007 altera gravemente il quadro di competenze
delineato dalla Costituzione: si tratta infatti dello stanziamento di
un  ingente  finanziamento vincolato nella destinazione, ben in grado
di   condizionare  e  influire  sull'esercizio  di  funzioni  che  la
Costituzione assegna all'ambito di competenza regionale. Come codesta
ecc.ma  Corte ha motivato, allorche' ci si trovi al cospetto di norme
che   presentano  una  «stretta  inerenza  con  l'organizzazione  del
servizio  sanitario regionale e, in definitiva, con le condizioni per
la  fruizione  delle prestazioni rese all'utenza», si puo' certamente
ritenere  che le stesse vadano ascritte, con prevalenza, alla materia
«tutela della salute» (sent. n. 181 del 2006).
    Una  norma  che  dispone un finanziamento di 3000 milioni di Euro
«per  il  ripiano  selettivo  dei  disavanzi  pregressi  nel  settore
sanitario»  a vantaggio di selezionate regioni e', con ogni evidenza,
norma  di  sicuro  impatto sull'organizzazione del servizio sanitario
regionale,   essendo   certamente   in   grado   di  condizionare  le
caratteristiche  generali  dell'offerta sanitaria regionale. E, sotto
altro profilo, da una previsione di tale natura non puo' ancorarsi la
esclusiva  competenza  statale  in  materia  di  «determinazione  dei
livelli  essenziali  delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali   che   devono   essere  garantiti  su  tutto  il  territorio
nazionale»,  cosi'  come prevista dall'art. 117, comma 2, lettera m),
Cost.  Come codesta ecc.ma Corte ha confermato nella sent. n. 181 del
2006,  «tale  titolo  di  legittimazione  legislativa non puo' essere
invocato  se non in relazione a specifiche prestazioni delle quali la
normativa  statale  definisca  il  livello essenziale di erogazione»,
risultando,   viceversa,  «del  tutto  improprio  e  inconferente  il
riferimento»  ad esso allorche' si intenda «individuare il fondamento
costituzionale  della  disciplina,  da  parte  dello Stato, di interi
settori  materiali» (sentenza n. 285 del 2005, ma si vedano anche, ex
multis, sentenze n. 423 e n. 16 del 2004; n. 282 del 2002)».
    Il  provvedimento  impugnato  inoltre si pone in palese contrasto
con  un principio che codesta ecc. Corte ha avuto modo di affermare e
chiarire  ripetutamente  (ad  esempio nelle sentenze n. 16 del 2004 e
n. 370  del  2003) motivando che il ricorso a finanziamenti vincolati
«puo'  divenire  uno  strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza
dello  Stato nell'esercizio delle funzioni delle regioni e degli enti
locali,  nonche'  di  sovrapposizione  di  politiche  e  di indirizzi
governati  centralmente  a quelli legittimamente decisi dalle regioni
negli ambiti materiali di propria competenza» (sent. 51 del 2005).
    Il processo complessivo di riordino in senso federale dello Stato
impone  che  le singole riforme non possano essere considerate come a
se'  stanti  rispetto  al resto, essendo richiesto, al contrario, una
continua  e  stretta  interrelazione  tra  le stesse, in modo tale da
fornire  al  processo  federalista coerenza e compiutezza. Va da se',
quindi,  come  il  testo  costituzionale  novellato  a  seguito della
Riforma  del Titolo V del 2001 individui una stretta correlazione tra
gli  articoli  119  e  117  laddove  esige  che le funzioni pubbliche
relative  a  materie  di  competenza  regionale  piena  o concorrente
debbano  essere  finanziate  con  le  risorse  proprie  alle quali si
riferisce  l'art.  119,  quarto  comma,  della  Costituzione (tributi
propri,  compartecipazioni al gettito di tributi erariali e quote del
fondo  perequativo  senza  vincolo  di  destinazione).  A sei anni di
distanza  dall'entrata  in  vigore  del  nuovo testo del Titolo V, il
«federalismo  fiscale»  previsto  dall'art.  119  - che, insieme agli
artt.  117  e  118  opera  come  vero  e proprio «distributore» della
sovranita'  popolare  tra  le  istituzioni  della Repubblica - stenta
ancora a trovare attuazione.
    Il  decreto  oggetto della presente impugnazione riflette infatti
la  storia  complessa dell'evoluzione della finanza locale in Italia,
spesso  caratterizzata  da  interventi  ex  post a ripiano dei debiti
degli  enti  locali,  che si sono poi cristallizzati con il tempo nel
sistema  dei  trasferimenti  e quindi dei tributi devoluti. In quanto
tale, si tratta di un sistema iniquo e irrazionale, non riconducibile
a  principi  oggettivi  di  attribuzione  delle  risorse  e  pertanto
radicalmente incostituzionale.
    Ripetutamente  codesta  ecc.ma Corte ha motivato come, pur in una
situazione di parziale attuazione dell'art. 119 Cost., deve ritenersi
preclusa   la  possibilita'  di  interventi  finanziari  statali  non
coerenti  con  il vigente riparto di competenze tra Stato e regioni e
debba  necessariamente  ridursi  l'ambito  di  tutti  i finanziamenti
statali  riconducibili  ad  una  finanza  cd.  derivata.  Cio' che la
giurisprudenza  costituzionale  ha  costantemente  affermato  e' che,
nell'attesa  della  completa  attuazione  del  dettato  dell'art. 119
Cost., e' necessario pervenire ad un ripensamento dell'intero sistema
di  relazioni  finanziarie  tra  livelli  di governo che, da un verso
riconosca  l'incompatibilita'  rispetto  al  quadro costituzionale di
riferimento di trasferimenti statali generalizzati in materie che non
siano  di  competenza  esclusiva  statale;  e,  sotto  altro profilo,
impedisca  che  l'ingerenza  statale  si  manifesti  anche attraverso
trasferimenti  particolari  e  una tantum (sentenze nn. 370 del 2003,
nn. 16, 320, 423 del 2004 e n. 118 del 2006).
    Ovviamente,  il  rispetto  delle  imprescindibili esigenze legate
allo  sviluppo  economico, alla coesione e alla solidarieta' sociale,
oltre  che  alla  rimozione  degli squilibri economici e sociali puo'
autorizzare la destinazione di risorse aggiuntive.
    Tuttavia  e' necessario sottolineare come la scelta di attribuire
le  risorse stanziate dal decreto (quantificate dal comma 3 dell'art.
1  del  d.l.  n. 23 del 2007 in 3000 milioni di euro per l'anno 2007)
«sulla  base  dei  debiti  accumulati fino al 31 dicembre 2005, delle
capacita'  fiscale  regionale e della partecipazione delle regioni al
finanziamento  del  fabbisogno  sanitario»  (art. 1, comma 3 del d.l.
n. 23 del 2007) non appare sufficiente ne' idonea a garantire nessuna
effettiva   perequazione  finalizzata  alla  rimozione  di  squilibri
«economici  e sociali» (come richiesto dal quinto comma dell'art. 119
Cost.).   In  realta'  misure  siffatte  ancorano  in  massima  parte
l'entita'  del  finanziamento all'ammontare del debito e pertanto non
hanno  alcuna  possibilita'  di rimediare alle situazioni strutturali
che  determinano inefficienze e diseconomie e quindi non sono utili a
determinare  effetti duraturi di riequilibrio economico e sociale. Al
contrario,  alimentano una condizione di irresponsabilita' diffusa in
ordine alle cause che hanno determinato gli enormi deficit.
    Viene  inoltre  minata la logica perequativa che, in un'ottica di
federalismo  fiscale,  guida  l'individuazione delle quote da erogare
alle  regioni  relative  al  Fondo  perequativo nazionale (introdotto
dall'art.  7  del  d.lgs.  n. 56 del 2000), effettuata in funzione di
parametri   riferiti   alla  popolazione  residente,  alla  capacita'
fiscale, ai fabbisogni sanitari e alla dimensione geografica, e, piu'
in  generale,  ad  indicatori  oggettivi che non si traducono in meri
indicatori del debito.
    L'art.  7  del  d.lgs.  n. 56  del  2000  (recante  la disciplina
relativa  al Fondo perequativo nazionale) e' stato prima «sospeso» ad
opera  dell'art. 4 del d.l. n. 314 del 2004 (convertito in legge, con
modificazioni,  dall'art.  1  della  legge n. 26 del 2005), ma ha poi
ripreso  vigenza grazie ai d.P.C.m. del 3 ottobre 2006 (pubblicato in
Gazzetta  Ufficiale  del 5 dicembre 2006, n. 283) che reca appunto la
quota  da  assegnare a ciascuna regione a titolo di fondo perequativo
nazionale,   nell'ambito   della   determinazione   delle   quote  di
compartecipazione   regionale   all'IVA.   Ma   e'   chiaro   che  un
provvedimento  come quello qui impugnato, mette in gioco la validita'
di un modello di finanziamento (qual e' quello posto dal d.lgs. n. 56
del  2000)  nel  quale  la  spesa sanitaria deve essere rigorosamente
controllata e progressivamente coperta con risorse regionali.
    Una   perequazione   intesa  come  mera  distribuzione  di  somme
occasionalmente reperite non puo' essere seriamente considerata quale
strumento  di  per  se'  idoneo  a  garantire  livelli di prestazioni
uniformi  su  tutto  il  territorio  nazionale,  ne'  puo'  indurre a
«dismettere»   (con  normative  permanentemente  derogatorie,  com'e'
storicamente  accaduto  nel  settore  del  finanziamento del servizio
sanitario)  i  ben  piu'  rigorosi  modelli  tracciati dalla norme in
materia di federalismo fiscale.
    5.  Illegittimita'  costituzionale  del  d.l.  n. 23  n. 2007 per
violazione del sesto comma dell'art. 119 Cost.
    Il  sesto  comma dell'art. 119 Cost., cosi' come modificato dalla
riforma  costituzionale  del  2001, costituzionalizza un principio di
ordinata  contabilita'  e  rappresenta  uno dei principi basilari del
sistema  di  finanza territoriale introdotto con la riforma dell'art.
119.  Cost.: la norma, com'e' noto, limita la possibilita' di comuni,
province,    citta'    metropolitane    e    regioni   di   ricorrere
all'indebitamento    per    il   solo   finanziamento   delle   spese
d'investimento.  In altri termini, il sesto comma dell'art. 119 Cost.
autorizza  il  finanziamento delle spese di investimento, assumendole
come  spese  «meritorie», e pone invece un'esplicita preclusione alla
possibilita'   di  indebitarsi  per  coprire  debiti  pregressi,  nel
presupposto  che  tali  finanziamenti  abbiano  scarsa  o inesistente
attitudine a produrre ricchezza.
    Deve  sottolinearsi  come  alla  legge  cost. n. 3 del 2001 hanno
fatto  seguito, dopo alcune norme di carattere transitorio deputate a
limitare  l'operativita'  del  precetto  sul  piano temporale (con il
comma  4  dell'art. 41 della legge n. 448 del 2001 si escluse infatti
l'applicazione  della norma per i debiti contratti prima dell'entrata
in   vigore   della   riforma  costituzionale),  numerosi  interventi
legislativi  che  hanno  contribuito  a dare concreta attuazione alla
regola generale (altresi' nota come «golden rule»).
    Gia'  nella  legge  finanziaria  per  il  2003  si  provvedeva ad
introdurre  una  disposizione  sanzionatoria  delle condotte poste in
essere  in violazione dell'art. 119, sesto comma, Cost., affidando la
cognizione  dei  relativi  giudizi alla giurisdizione della Corte dei
conti (art. 30, comma 15, legge 27 dicembre 2002, n. 289). Le manovre
finanziarie   successive   hanno   esteso   l'ambito   soggettivo  di
applicazione  del  divieto  di  indebitamento  per  finanziare  spese
diverse  dagli  investimenti e ne hanno delimitato l'ambito oggettivo
(attraverso  la  determinazione  delle  nozioni  di investimento e di
indebitamento:  legge  n. 350 del 2003 in particolare l'art. 1, commi
16  e  21).  La  legge  finanziaria  2006  ha  altresi'  ampliato gli
strumenti  di  verifica  della  gestione delle forme d'indebitamento,
riconoscendo  un  ruolo  preminente  alle  sezioni di controllo della
Corte  dei  conti  nella  verifica  e nella concreta attuazione delle
pratiche  amministrative  in  materia (legge n. 266 del 2005, art. 1,
commi 166 e 167).
    Ne deriva un quadro normativo complessivo in cui non e' improprio
affermare  che  il  divieto  per  i  comuni,  le  province, le citta'
metropolitane  e  le regioni di ricorrere all'indebitamento per spese
diverse  da  quelle  relative  ad  investimenti  assume  il  ruolo di
pilastro  portante dell'unita' economica della Repubblica (assieme ad
altri  fondamentali  criteri  quali  il  coordinamento  della finanza
pubblica  e  il  rispetto  dei  limiti  posti dal patto di stabilita'
interno).
    Il  quadro  generale  sin  qui  tracciato  ha  trovato autorevole
conferma   nella  giurisprudenza  di  codesta  ecc.ma  Corte  che  ha
dichiarato  l'applicabilita'  del  principio  previsto dall'art. 119,
sesto  comma  Cost.  anche  nei  confronti delle regioni ad autonomia
speciale,  «senza  che sia necessario all'uopo ricorrere a meccanismi
concertati   di   attuazione   statutaria»;   la  Corte  ha  altresi'
riconosciuto   la   legittimita'   dell'estensione   della  normativa
attuativa  operata da legge statale nei confronti di tutte le regioni
(sent. n. 425 del 2004).
    Disattendendo  un quadro normativo chiaro e univoco il d.l. n. 23
del 2007 autorizza l'indebitamento di talune regioni per la copertura
dei   disavanzi   sanitari   pregressi   per  il  periodo  2001-2005,
autorizzando,  a  tal  fine  una  spesa  ancora  non  determinata, ma
sicuramente  rilevante  (ricavabile  dalla  sommatoria  dei  piani di
rientro)  a  carico  dello Stato, a titolo di «regolazione debitoria»
(comma  3 dell'art. 1 del d.l. n. 23). Non vi e' traccia di norme che
finalizzino  l'indebitamento  al quale vengono ammesse talune regioni
alla   realizzazione   di   investimenti,   ma  solo  un'asciutta  (e
incostituzionale)    autorizzazione   di   spesa,   assistita   dalla
indicazione   dei  capitoli  di  bilancio  sui  quali  effettuare  la
corrispondente   riduzione,  ai  fini  della  copertura  delle  somme
stanziate.
    6.  Illegittimita'  costituzionale  del  d.l.  n. 23 del 2007 per
violazione  dell'art.  3, sotto il profilo della ragione-volezza, per
la  genericita'  e  l'inadeguatezza dei criteri recati dal decreto ai
fini della quantificazione del finanziamento attribuito alle regioni.
    Deve  poi essere sottolineato come il d.l. n. 23 del 2007 risulti
caratterizzato  da  una  formulazione  testuale che, dietro reiterati
rinvii  ad altre norme - che compromettono fortemente la leggibilita'
e  la  comprensibilita'  del  testo -, nasconde in realta' previsioni
generiche  che, di fatto, non consentono di individuare con chiarezza
il  senso  e la portata delle disposizioni stesse. A riprova di cio',
si  sottolinea  come  ai  fini dell'individuazione dei criteri per la
ripartizione  tra  le  regioni  interessate delle somme stanziate, il
comma  3  dell'art. 1 indica «i debiti accumulati fino al 31 dicembre
2005,  la  capacita'  fiscale  regionale  e  la  partecipazione delle
regioni  al  finanziamento  del  fabbisogno  sanitario»: si tratta di
criteri in realta' fortemente generici, la cui applicazione contabile
(peraltro   problematica,   senza   nessuna   altra  precisazione  ed
esplicazione)  e'  assolutamente  inidonea  alla  quantificazione del
finanziamento a cui le regioni avranno accesso.
    D'altra  parte,  le  sole lacunose indicazioni contenute nel d.l.
non  consentirebbero  di  compiere  in maniera precisa ed esatta tale
operazione   che,   peraltro  lo  stesso  provvedimento  indica  come
demandata  ad un «decreto del Ministro dell'economia e delle finanze,
di concerto con il Ministro della salute, sentito il Ministro per gli
affari regionali e le autonomie locali» (art. 1, comma 3) e dunque ad
una  operazione  futura.  Ma  vi e' di piu': tale operazione e' stata
sostanzialmente   gia'   definita   tra  Governo  e  alcuni  soggetti
regionali,  in  modo non privo di opacita', dal momento che nei Piani
di  rientro gia' approvati da talune regioni (approvazione in realta'
richiesta  per  l'accesso  al  Fondo transitorio previsto dalla legge
finanziaria  2007  al  comma  796,  lett. b) dell'art. 1) il concorso
statale  al  ripiano  dei disavanzi 2005 appare gia' quantificato con
precisione e la somma dei relativi importi ammonta alla somma di 3000
milioni  stanziata dal decreto (senza che pero' la ripartizione delle
somme  tra  le  regioni  beneficiarie  appaia  congrua  con i criteri
indicati dal d.l.).
    7.  Illegittimita'  costituzionale  del  d.l.  n. 23 del 2007 per
violazione  degli  artt. 97 e 119 Cost. anche in relazione agli artt.
23, 53 e 32.
    Il  d.l.  n. 23  del 2007, alterando irragionevolmente il riparto
costituzionale  di competenze fra Stato e regioni e violando altresi'
i  principi  di  autonomia  finanziaria  di  entrata e di spesa delle
regioni,   pone   un   grave  ostacolo  al  conseguimento  di  prassi
amministrative  ordinate,  in  grado di fronteggiare con efficacia la
complessita'  delle  richieste  che i cittadini, in materia di tutela
della  salute,  devono  vedere  soddisfatte.  Le norme, nonostante le
asserite  esigenze di urgenza e il carattere radicalmente derogatorio
rispetto  alla  normativa  vigente,  non  appaiono  affatto  idonee a
incidere  sulle effettive disfunzioni del sistema ne' sulle patologie
che  hanno  posto  fuori  controllo  la  spesa  pubblica  nel settore
sanitario.   Esse  pertanto  costituiscono  un'evidente  lesione  del
generale   principio  costituzionale  relativo  al  «buon  andamento»
dell'amministrazione  pubblica,  consacrato nell'art. 97 Cost. Con il
d.l.  n. 23 viene inoltre frustrato l'affidamento della maggior parte
delle  regioni  ad  operare  sulla  base  delle  condizioni normative
presenti  nell'ordinamento  e  in  un  dato  periodo  storico e viene
altresi'  violato  il  principio  per  il quale l'onere relativo alle
spese pubbliche e' finanziato in ragione della capacita' contributiva
di ciascuno, secondo quanto previsto dall'art. 53 Cost.
    Di fatto, nelle regioni che avranno accesso al fondo previsto dal
d.l. n. 23, il finanziamento del sistema sanitario regionale avverra'
in   larga   misura   sulla   base  della  elargizione  prevista  dal
provvedimento  impugnato.  Il  pur richiesto requisito del preventivo
innalzamento  della  leva  fiscale  appare  in  realta' sprovvisto di
effettivita',  dal  momento che il decreto stesso, irragionevolmente,
non  determina la percentuale minima delle risorse supplementari che,
ai  sensi  del  comma  1, lett. b) dell'art. 1 del d.l. n. 23, devono
essere  destinate  al  settore  sanita', in aggiunta all'innalzamento
massimo  consentito  delle  addizionali  IRPEF  e delle maggiorazioni
delle  aliquote  IRAP.  Si tratta di una scelta che di fatto consente
l'accesso  allo stanziamento statale anche a regioni che innalzano in
maniera  minima (e ininfluente) il prelievo fiscale e che, di contro,
espone  al  rischio  di  un  iniquo aumento della pressione fiscale i
cittadini  di  quelle  regioni  che dovranno continuare a mantenere i
propri  livelli  di  efficienza  e  di  corretta  amministrazione del
servizio  sanitario,  senza  godere  delle  somme  stanziate dal d.l.
n. 23.
    Cosi'  facendo  inoltre il d.l. si espone ad un'ulteriore profilo
di  incostituzionalita',  poiche',  non  precisando  l'entita'  delle
misure   fiscali   da   attivare,   non   definisce  l'entita'  della
compartecipazione fiscale che verra' richiesta ai cittadini, violando
la  riserva di legge che, secondo quanto previsto dall'art. 23 Cost.,
garantisce ogni tipo di prestazione patrimoniale o personale.
    8.  Illegittimita'  costituzionale  del  d.l.  n. 23 del 2007 per
violazione  degli artt. 97 e 119 Cost. sotto il profilo della mancata
previsione   di  ogni  e  qualsiasi  strumento  di  monitoraggio,  di
controllo   e   delle   relative  sanzioni  sull'uso  delle  risorse,
sull'aumento  del prelievo fiscale, sulla regolare restituzione delle
somme  dalle  regioni  beneficiarie  allo  Stato,  anche in relazione
all'art. 32.
    La  possibilita'  di dare piena ed effettiva garanzia al «diritto
alla  salute»,  quel  diritto  che  la  nostra  Costituzione assume a
«fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettivita»,
e   che   deve   essere   difeso   e   presidiato   anche  attraverso
l'organizzazione   di  servizi  efficienti  e  orientati  secondo  il
criterio  costituzionale  del  «buon andamento» dell'amministrazione,
appare   fortemente   compromessa  dalle  gravi  carenze,  ridondanti
nell'incostituzionalita', del provvedimento qui impugnato.
    Il  d.l.  n. 23 appare infatti fortemente lesivo degli artt. 97 e
119   Cost.  in  quanto,  a  fronte  dell'oggettiva  rilevanza  dello
stanziamento che dispone, le modalita' di monitoraggio e di riscontro
dell'estinzione  dei  debiti,  per  espressa  previsione  del comma 3
dell'art. 1 del decreto, sono disciplinate semplicemente «nell'ambito
dei piani di rientro»!
    Gli  indispensabili  strumenti  di  monitoraggio  e  di controllo
sull'uso delle risorse, le pur necessarie sanzioni in caso di mancato
conseguimento  degli  obiettivi,  la quantificazione dell'aumento del
prelievo  fiscale, l'eventuale riduzione del finanziamento in caso di
mancato  rientro  dalle situazioni deficitarie, nonche' le necessarie
prescrizioni  sulle modalita' di restituzione del finanziamento dalle
regioni allo Stato sono stati del tutto omessi dal testo del d.l.
    Tali  strumenti,  -  di  importanza  cruciale  per  accertare  la
correttezza  dell'operato delle amministrazioni a fronte dell'ingente
dazione  di  denaro  pubblico  - sono cosi', ad opera del decreto qui
impugnato,  sottratti  all'egida  della  legge, e quindi sviati dalle
appropriate sedi di verifica parlamentare, in spregio di una garanzia
di trasparenza a vantaggio della collettivita' e quindi, della stessa
«tutela della salute», l'autentico bene giuridico qui in questione.
    Il rilievo che tali questioni assumono avrebbe dovuto imporre che
esse   fossero  trattate  nell'atto  legislativo,  a  garanzia  della
collettivita'  nazionale  e  di  quella  lombarda.  D'altra parte, e'
difficile non nutrire perplessita' sulla capacita' vincolante di atti
di  natura  pattizia,  quali  sono  i  piani  di  rientro,  ai  quali
paradossalmente la risoluzione di tali questioni e' rinviata. Ammesso
e  non  concesso  che sia costituzionalmente legittimo per le ragioni
sin   qui  individuate,  un  intervento  straordinario  e  fortemente
derogatorio  del  quadro  normativo  che  governa  la materia avrebbe
dovuto  fissare,  con  la  dovuta  severita' ed accuratezza, tutte le
condizioni  e  le  garanzie per la restituzione delle somme prestate,
determinando altresi' le relative sanzioni.
    9.  Illegittimita'  costituzionale  del  d.l.  n. 23 del 2007 per
violazione  dell'art. 120 Cost., nella parte in cui, predisponendo un
intervento che ha natura di intervento sostitutivo ex art. 120 Cost.,
non  pone  per  legge  criteri  oggettivi  per  il  monitoraggio  del
finanziamento  e per l'estinzione del debito contratto dalle regioni,
individuandone altresi' condizioni, garanzie e relative sanzioni.
    Alla   luce  del  complesso  quadro  normativo  vigente  e  delle
relazioni  intercorse  fra  Stato  e regioni relative al contenimento
della  spesa  sanitaria  e agli oneri a carico del Servizio sanitario
nazionale, in una situazione di problematica attuazione dell'art. 119
Cost., sembra in realta' che l'intervento previsto dal d.l. n. 23 del
2007  aspiri ad assumere le sembianze di un intervento sostitutivo da
parte  del  Governo,  determinato  dal  mancato  rispetto di numerosi
obblighi  di  legge  posti  alle  regioni,  o anche dalla esigenza di
garantire,   in   modo  uniforme  e  non  condizionato  da  variabili
territoriali,  la  tutela dei livelli essenziali delle prestazioni in
materia di tutela della salute.
    Al  riguardo, tuttavia, la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte
ha  chiarito che «perche' possa ritenersi legittima la previsione del
potere  di  sostituzione  dello  Stato alle regioni e' necessario che
l'esercizio  dei poteri sostitutivi sia previsto e disciplinato dalla
legge,  la  quale deve altresi' definirne i presupposti sostanziali e
procedurali  che  la  sostituzione  riguardi  il compimento di atti o
attivita'   prive   di   discrezionalita'   nell'an;  che  il  potere
sostitutivo  sia  esercitato  da un organo di Governo o sulla base di
una  decisione  di  questo; che la legge predisponga congrue garanzie
procedimentali,  in conformita' al principio di leale collaborazione»
(cfr. ex multis sentenza n. 240 del 2004).
    Il provvedimento impugnato e' invece, anche sotto questo profilo,
del   tutto  carente,  non  presentando  nessuno  di  quei  requisiti
evidenziati  dalla  giurisprudenza  costituzionale  e  necessari  per
ritenere  legittima  la  sostituzione  dello  Stato alle regioni. Dal
momento  che, come codesta ecc.ma Corte ha riconosciuto, in realta' i
poteri  sostitutivi  previsti  dal secondo comma dell'art. 120 Cost.,
concorrono  a  limitare l'autonomia dell'ente nei cui confronti opera
la  sostituzione  (sent.  n. 43  del  2004),  e'  evidente  che  tale
compressione  di  autonomia  debba  sottostare  da  un lato a forme e
procedure  certe  e,  sotto  altro  profilo,  debba svolgersi secondo
modalita'  congrue  alle  finalita'  per le quali e' posto in essere,
secondo criteri che adottino ogni possibile e dovuta cautela idonea a
scongiurare  il  perpetuarsi  di  quegli  effetti negativi, di quelle
inefficienze  e  inappropriatezze  che  in  realta'  hanno  originato
l'intervento stesso.
    Criteri  dei quali, nel testo del provvedimento impugnato, non e'
dato di rinvenire traccia.