ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito
della sentenza del Tribunale di Venezia, III Sezione civile 30 aprile
-  8 agosto  2005, n. 1715, di condanna al risarcimento del danno del
Presidente-consigliere  della  Regione  Veneto  Giancarlo  Galan,  in
relazione  alle  dichiarazioni  da  questo  rese  nei  confronti  dei
giornalisti Giuseppe Casagrande e Roberto Reale, promosso con ricorso
della  Regione Veneto, notificato il 4 novembre 2005 e il 20 febbraio
2007,  depositato in cancelleria il 10 novembre 2005 e il 23 febbraio
2007, iscritto al n. 29 del registro conflitti tra enti 2005.
    Visto   l'atto   di   intervento  di  Roberto  Reale  e  Giuseppe
Casagrande;
    Udito nell'udienza pubblica del 20 marzo 2007 il giudice relatore
Paolo Maria Napolitano;
    Uditi gli avvocati Mario Bertolissi per la Regione Veneto e Carlo
Cester per Roberto Reale e Giuseppe Casagrande;
    Udito   nuovamente   nell'udienza  pubblica  del  5  giugno 2007,
rifissata  in  ragione  della intervenuta modifica della composizione
del collegio, il giudice relatore Paolo Maria Napolitano;
    Uditi  nuovamente  nell'udienza  pubblica  del  5 giugno 2007 gli
avvocati  Mario  Bertolissi  e  Andrea  Manzi per la Regione Veneto e
l'avvocato Bruno Cossu per Roberto Reale e Giuseppe Casagrande.

                          Ritenuto in fatto

    1. - La Regione Veneto, con ricorso notificato il 4 novembre 2005
e  depositato  il  successivo  10 novembre  ha sollevato conflitto di
attribuzione nei confronti dello Stato in relazione alla sentenza del
Tribunale  civile  di Venezia 30 aprile - 8 agosto 2005, n. 1715, per
violazione   degli   artt.  121,  122,  quarto  comma,  e  123  della
Costituzione.
    1.1.  - Espone la Regione ricorrente che Roberto Reale e Giuseppe
Casagrande,  giornalisti  della  sede  della  Rai di Venezia, avevano
convenuto  avanti  al  locale  Tribunale  il Presidente della Regione
Veneto Giancarlo Galan.
    Gli  attori  si ritenevano ingiustamente danneggiati da una serie
di  interviste rilasciate dal Presidente della Regione sul tema della
Rai  e del servizio pubblico televisivo. La prima di tali interviste,
dal  titolo «Qui in Veneto dove la Rai e' come un soviet», pubblicata
dal  quotidiano  «Libero»  il  7 febbraio 2002, conteneva le seguenti
affermazioni  ritenute  lesive:  «La  Rai? In Veneto e' gestita da un
soviet  [...]  A  me  basterebbe  che  nella sede veneta della Rai ci
fossero  semplicemente  dei  giornalisti  che facessero informazione.
Invece  li'  c'e' un soviet. Fanno riunioni del comitato di redazione
per decidere come tagliare fuori Galan dalle immagini e dai servizi».
    Successivamente,  queste prime dichiarazioni venivano precisate e
integrate  dal  Presidente  della Regione mediante due interviste, la
prima  rilasciata  al  quotidiano  «Libero», in data 8 febbraio 2002,
dove,  tra  l'altro,  affermava:  «Adesso quei signori non si rendano
ridicoli  con  la  storia  di  rendere  note le percentuali delle mie
presenze  nei  telegiornali, lo sappiamo tutti che ci sono mille modi
per far apparire una persona in televisione dando un effetto negativo
alla  sua  presenza  [...]»; la seconda, rilasciata al quotidiano «La
Nuova  Venezia»,  in  data  9 febbraio 2002, nella quale dichiarava :
«Tutto  questo  chiasso  per  cose che ho sempre detto ... Sono stato
anche  troppo  signore,  cosa  ho  detto  in  fin  dei  conti? Che mi
[basterebbe]  avere  di  fronte  dei  giornalisti».  Seguivano,  poi,
numerose   altre  dichiarazioni,  tutte  nel  senso  sopra  indicato,
rilasciate  ai  seguenti  quotidiani:  «Il  Gazzettino»,  «Il  Secolo
d'Italia»,  «il  Giornale di Vicenza», «L'Unita», «Il Manifesto», «La
Repubblica».
    A   seguito  di  tali  dichiarazioni  Roberto  Reale  e  Giuseppe
Casagrande  citavano  in  giudizio dinanzi al Tribunale di Venezia il
Presidente  della Regione chiedendone la condanna al risarcimento dei
danni  patrimoniali  e non patrimoniali da essi subiti. Quest'ultimo,
costituitosi  in  giudizio, eccepiva l'improponibilita' della domanda
ai   sensi   dell'art. 122,  quarto  comma,  della  Costituzione.  Il
Tribunale  adito,  con  sentenza n. 1715 del 30 aprile-8 agosto 2005,
rigettata  l'eccezione,  lo  condannava  al  pagamento,  in favore di
ciascuno  degli  attori, di euro 120.000,00, a titolo di risarcimento
del   danno  non  patrimoniale,  oltre  agli  interessi,  e  di  euro
10.000,00,  a  titolo di riparazione pecuniaria ai sensi dell'art. 12
della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa).
    La  Regione  Veneto,  con delibera della Giunta regionale n. 2490
del  13 settembre 2005, decideva di proporre ricorso per conflitto di
attribuzione  sulla  base  della seguente motivazione: «L'attivazione
del  procedimento  civile  e la pronuncia emessa in primo grado hanno
inciso in via diretta sulla autonomia del Presidente della Regione ed
in  via  mediata  sulla  autonomia  costituzionalmente garantita alla
Regione,  in  violazione degli artt. 121-122 e 123 della Costituzione
[...]  Piu'  in  generale risulta compromesso il principio secondo il
quale  l'esercizio  delle  funzioni di Presidente della Regione [...]
non puo' essere sindacato da organi giurisdizionali».
    La difesa della ricorrente, dopo aver esposto i fatti, compie una
ricostruzione di quelli che, a suo giudizio, sono i punti fermi della
giurisprudenza  costituzionale  in  tema  di  immunita' e afferma che
ormai  possono  considerarsi  ius receptum i seguenti principi: a) e'
funzionale  alla  tutela dei piu' elevati incarichi di rappresentanza
politica  l'esonero  da  responsabilita' dei componenti del Consiglio
regionale  (sentenza  n. 69 del 1985); b) attraverso la lesione delle
prerogative   stabilite  dall'artt. 122,  quarto  comma,  Cost.  sono
violati  anche  gli  artt. 121  e  123 Cost., in quanto l'alterazione
delle  attribuzioni accordate dalla legge fondamentale al consigliere
regionale  che  esprime  opinioni e da' voti si riverbera sull'intera
organizzazione  dell'ente  e  sull'esercizio delle relative funzioni,
entrambi  costituzionalmente  protetti;  c)  le  guarentigie  di  cui
all'art. 122,  quarto comma, Cost., pur non esprimendosi a livello di
sovranita'  come  quelle  previste  dall'art. 68 Cost., costituiscono
esplicazione  di  autonomie  costituzionalmente  garantite  (sentenze
n. 385  del  1998 e n. 81 del 1975); d) le prerogative previste dagli
artt. 68,  primo  comma,  e  122,  quarto  comma, Cost. si ispirano a
principi  analoghi,  a fronte dell'identico tenore delle disposizioni
che, rispettivamente, le regolano; e) la pretesa di esercitare lo ius
dicere   in   presenza  dell'immunita'  parlamentare  si  traduce  in
un'alterazione dell'ordine costituzionale delle competenze, in quanto
comporta  l'invasione  della  sfera  di  autonomia costituzionalmente
riservata  alla Regione, alla quale esclusivamente spetta l'esercizio
delle  funzioni  che  i  magistrati  hanno  inteso  condizionare;  f)
l'immunita'   dei   consiglieri   regionali  riguarda  ogni  tipo  di
responsabilita',  civile,  penale, amministrativa, contabile-erariale
(sentenza n. 100 del 1986); g) per orientamento costante, nulla vieta
che   un   conflitto  di  attribuzione  tragga  origine  da  un  atto
giurisdizionale,  se  ed  in  quanto  ne  derivi  una invasione della
competenza  costituzionalmente garantita alla Regione (sentenza n. 70
del 1985).
    Fatta questa premessa, la Regione, da un lato, precisa che la sua
contestazione  concerne  l'illegittimo uso del potere giurisdizionale
da  parte  del  Tribunale  di  Venezia  e non un vizio relativo ad un
errore  in  iudicando,  dall'altro,  afferma  che  il  caso di specie
presenta caratteristiche del tutto singolari, in relazione alle quali
i  precedenti  della  Corte  in tema di condizioni per l'applicazione
dell'art. 122,  quarto  comma,  della Costituzione non sono del tutto
pertinenti.
    1.2. - In primo luogo, secondo la ricorrente, rileva la posizione
peculiare  del  consigliere-Presidente  di  Regione, figura del tutto
diversa  da  quella del semplice consigliere, in quanto solo il primo
ha  la  funzione  di  rappresentanza  della  Regione  e  di direzione
politica  della Giunta, alla quale si accompagna istituzionalmente la
possibilita'  di «esternazione politica», potere che, tanto piu' oggi
che  l'elezione  del  Presidente  avviene  a  suffragio  universale e
diretto,  va  al di la' delle puntuali competenze previste per legge.
Il  Presidente della Regione, ad avviso della ricorrente, avrebbe una
sorta  di  diritto  di  rendere  pubblici il significato e la ragione
degli  atti  propri  e  del  proprio  governo  dato  che  ne risponde
politicamente.  In  altri  termini,  l'esternazione  di valutazioni e
orientamenti   sui  temi  dell'attualita'  politica  sarebbe  diretta
espressione del munus publicum di cui egli e' titolare.
    Su  tale  base  dovrebbero considerarsi coperte dall'immunita' le
dichiarazioni  presidenziali,  anche  se  non  ascrivibili a funzioni
tipizzate,  per  il  solo  fatto di essere riferibili o genericamente
connesse   alla   carica   rappresentativa   e   alla   realizzazione
dell'indirizzo  politico  che il corpo elettorale ha scelto quando ha
espresso la sua preferenza.
    Inoltre,  aggiunge  la  ricorrente,  nella prima intervista del 7
febbraio,  rilasciata  al  quotidiano  «Libero»,  il Presidente della
Regione  non  aveva parlato solo della Rai, ma anche di buoni scuola,
sanita',  grandi  opere,  statuto  regionale, tutti obiettivi del suo
programma  di governo realizzati e da realizzare. Quanto alla Rai, il
tono  sferzante  era funzionale ad ottenere per la sede regionale, in
vista  del  rinnovo  del  consiglio  di amministrazione, una maggiore
rappresentanza politica.
    Si  trattava, dunque, di dichiarazioni strumentali alla posizione
pubblica  e istituzionale del Presidente di indubbia valenza politica
e  percio'  non  sindacabili,  a meno di non voler compromettere alla
radice   le  garanzie  necessarie  a  rendere  effettiva  l'autonomia
regionale,  anche perche' la critica aveva ad oggetto uno dei cardini
del  sistema del potere politico locale, vale a dire la gestione e la
riforma del servizio radiotelevisivo regionale.
    Per   questi   motivi,   conclude   sul   punto  la  Regione,  le
dichiarazioni del Presidente, connesse al suo ruolo di rappresentante
e  di  guida politica, devono ritenersi coperte dall'immunita' di cui
all'art. 122, quarto comma, Cost.
    1.3.  - La ricorrente, inoltre, sostiene che l'art. 3 della legge
20     giugno 2003,    n. 140    (Disposizioni    per    l'attuazione
dell'articolo 68  della  Costituzione  nonche' in materia di processi
penali  nei  confronti  delle  alte  cariche  dello Stato), ha esteso
l'applicazione sia dell'art. 68, primo comma, Cost. sia, con i dovuti
aggiustamenti,  dell'art. 122,  quarto  comma,  della Costituzione ad
ogni  attivita'  di  ispezione,  di  divulgazione,  di  critica  e di
denuncia  politica  connessa  alla  funzione  parlamentare,  anche se
espletata   fuori   dal   Parlamento.   Ne   consegue  che,  ai  fini
dell'applicazione  della  guarentigia, per il legislatore non ha piu'
rilievo  il  fatto  che si discorra di atti tipici ovvero di atti non
tipici  e  che, quanto a questi ultimi, e' sufficiente che essi siano
contrassegnati da una semplice connessione (non piu' da uno specifico
nesso funzionale) con la funzione pubblica esercitata.
    La legge n. 140 del 2003, continua la Regione, nell'introdurre la
cosiddetta «pregiudizialita' parlamentare», ha previsto l'obbligo per
il,  qualora  nel  giudizio  sia  sollevata la relativa eccezione, di
investire, previa sospensione del processo, la Camera di appartenenza
del parlamentare della decisione circa l'applicabilita' dell'art. 68,
primo  comma,  Cost.  Del  resto,  la  stessa Corte costituzionale ha
affermato  che «le prerogative parlamentari non possono non implicare
un  potere  dell'organo  a tutela del quale sono disposte», facendone
derivare  che «la prerogativa in questione attribuisce alla Camera di
appartenenza  il  potere  di  valutare  la  condotta addebitata ad un
proprio membro, con l'effetto, qualora sia qualificata come esercizio
delle  funzioni  parlamentari,  di  inibire  in  ordine  ad  essa una
difforme pronuncia giudiziale di responsabilita» (sentenze n. 265 del
1997; n. 443 del 1993; n. 1150 del 1988).
    A  parere  della  ricorrente,  sulla  base  di  siffatto impianto
normativo-giurisprudenziale, si potrebbe concludere che, analogamente
alla  delibera  della  Camera, l'atto con cui la Regione interviene a
tutela  del  consigliere  regionale abbia un'efficacia inibitoria del
procedimento giurisdizionale in corso.
    Tale   ultima  soluzione  sarebbe  necessitata  perche':  a)  gli
artt. 122,  quarto  comma, e 68, primo comma, Cost. hanno il medesimo
tenore  letterale;  b)  il principio affermato dalla Corte secondo il
quale  «le  prerogative  parlamentari  non  possono  non implicare un
potere  dell'organo  a  tutela  del  quale  sono disposte» ha portata
generale  applicabile tanto all'assemblea legislativa nazionale che a
quella  regionale; c) attualmente, tutti i soggetti istituzionali che
vengono   a   costituire   la  Repubblica  godono  di  pari  dignita'
costituzionale (art. 114 della Costituzione).
    1.4.  -  In  ogni  caso, sostiene la Regione, le dichiarazioni in
oggetto,   anche   a   voler   superare   tali  argomentazioni,  sono
funzionalmente  connesse con l'esercizio della funzione legislativa e
di indirizzo e controllo politico.
    La  Corte costituzionale piu' volte ha affermato che l'esonero da
responsabilita',   previsto   dall'art. 122,   quarto   comma,  della
Costituzione  per  la  salvaguardia dell'autonomia costituzionalmente
riservata  al Consiglio regionale, ricomprende tutte quelle attivita'
che costituiscono esplicazione di una funzione affidata a tale organo
dalla  stessa  Costituzione  o  da  altre  fonti normative cui questa
rinvia.  Ha  altresi'  precisato,  in  via  generale, che le funzioni
legislative e di indirizzo politico, nonche' quelle di controllo e di
organizzazione,  connotano  il  livello costituzionale dell'autonomia
garantita  alle  Regioni  e  che  l'esercizio  di  esse, riservato al
Consiglio  regionale,  non puo' essere sindacato da organi giudiziari
al   fine  di  accertare  l'eventuale  responsabilita'  dei  soggetti
deputati ad adempierle.
    Non  puo'  ritenersi  estraneo alle funzioni del Presidente della
Regione,  secondo  la  ricorrente,  vigilare  sul  corretto esercizio
dell'informazione televisiva, non solo per il ruolo istituzionale che
egli  riveste,  ma  anche e soprattutto perche' non si puo' sostenere
che  la  materia  del  servizio  radiotelevisivo  sia  estranea  alle
competenze   delle   Regioni,   avendo  queste  potesta'  legislativa
concorrente in materia di ordinamento della comunicazione. Del resto,
gli stessi attori hanno riconosciuto il ruolo istituzionale rivestito
dal  convenuto,  tanto  da  aver  provveduto  a  notificare l'atto di
citazione  non  gia',  come  prevede  il  codice  di  rito, nella sua
residenza,  bensi'  «al  dott. Giancarlo Galan» nella sua qualita' di
«Presidente pro tempore della giunta regionale palazzo Balbi».
    2.  -  Sono  intervenuti  nel  giudizio  Roberto Reale e Giuseppe
Casagrande,  eccependo  l'inammissibilita'  del ricorso e chiedendone
comunque il rigetto.
    I  due  intervenienti  premettono,  in  fatto,  che  nel  ricorso
introduttivo  del  giudizio  la Regione ha omesso di riportare alcune
delle  frasi  pronunciate dal convenuto e, in particolare, quelle con
le quali ha sfidato apertamente i due giornalisti a querelarlo: «e mi
querelino  pure,  vediamo  cosa  succede»;  «mi  querelino pure, sono
pronto  a  dimostrarlo  ovunque».  Secondo gli intervenienti, da tali
espressioni  si  desume  che  lo  stesso Presidente della Regione era
convinto  che  la  questione  con i giornalisti dovesse risolversi in
base  al  consueto  confronto  tra  liberta'  di  manifestazione  del
pensiero  e  tutela  della  altrui reputazione. Impostazione seguita,
infatti,  anche  nell'atto  di  costituzione  dinanzi al Tribunale di
Venezia,  dove l'eccezione di improponibilita' della domanda ai sensi
dell'art. 122,  quarto  comma,  Cost.  e' svolta solo genericamente e
apoditticamente, mentre tutta la difesa e' incentrata sui limiti alla
liberta' di critica politica.
    Di  qui  l'eccezione  preliminare di inammissibilita' del ricorso
della  Regione  Veneto,  non essendo consentito contestare dinanzi la
Corte  costituzionale  presunti  errori  in  iudicando del giudice di
Venezia,  strumentalizzando  in tal modo il processo costituzionale a
fini sostanzialmente impugnatori del giudizio ordinario.
    Nel  merito,  viene  dedotta  l'infondatezza  del  ricorso  della
Regione  in  ordine ad ognuno dei tre punti principali: 1) la pretesa
posizione  particolare  del  Presidente  della Regione; 2) la pretesa
applicabilita' della legge n. 140 del 2003; 3) la pretesa sussistenza
del nesso funzionale fra esternazioni e carica pubblica.
    Quanto  al  primo  punto, si afferma che le modalita' di elezione
del  Presidente della Regione non possono avere alcun rilievo ai fini
della  disciplina  dell'immunita'.  Del  resto,  lo  stesso art. 122,
quarto  comma,  Cost.  si  riferisce  esclusivamente  ai  consiglieri
regionali   e  non  e'  possibile  immaginare  un'immunita'  di  tipo
soggettivo   in   capo al  Presidente  della  Regione  per  ogni  sua
esternazione   o  per  l'espressione  di  opinioni  che  abbiano  una
connessione  generica  con  la sua carica. La Corte costituzionale ha
sempre  evitato  di  trasformare l'immunita' di cui agli articoli 68,
primo  comma,  e  122,  quarto  comma, Cost. in un privilegio di tipo
personale (sentenza n. 289 del 1998).
    Sul  secondo  punto,  gli  intervenienti  sostengono che l'art. 3
della  legge  n. 140  del  2003  non  trova  applicazione nel caso di
specie, trattandosi di una norma di tipo processuale, sostanzialmente
confermativa    o    esplicativa    dei    consolidati   orientamenti
giurisprudenziali  della  Corte  costituzionale in materia. La stessa
Corte  costituzionale, nel far sua questa interpretazione, ha escluso
che  l'art. 3  della legge n. 140 del 2003 abbia ampliato l'immunita'
di cui all'art. 68 Cost., e ha ribadito la necessita' che le opinioni
espresse  dal  membro  del  Parlamento  costituiscano  divulgazione e
riproduzione  di  attivita'  parlamentare  anche  sulla  base  di una
sostanziale  identita'  di  contenuti  (sentenze  n. 298 e n. 246 del
2004).
    Sulla  sussistenza del nesso funzionale fra esternazioni e carica
pubblica, gli intervenienti evidenziano che nel ricorso «non e' stata
dedotta  alcuna  attivita' istituzionale del Presidente della Regione
rispetto  alla  quale  le  diverse  interviste  incriminate potessero
configurarsi come divulgative o esplicative e dunque espressione, sia
pur atipica, delle prerogative connesse alla carica».
    Secondo   gli   intervenienti,   la  Regione  invoca  l'immunita'
semplicemente  in  virtu'  della rilevanza politica del tema trattato
nelle  interviste, non considerando che lo scrutinio sul limite della
critica politica svincolata dall'attivita' istituzionale e' riservato
all'autorita'  giurisdizionale,  senza  che  vi  possa  essere alcuna
lesione delle prerogative costituzionali della Regione.
    Di  nessun  pregio,  infine,  sarebbero  le argomentazioni con le
quali  la Regione sostiene che la materia oggetto delle dichiarazioni
del   Presidente  della  Regione  non  e'  estranea  alle  competenze
regionali  in  relazione all'art. 117, terzo comma, Cost. Infatti, la
competenza  legislativa in materia di ordinamento della comunicazione
non   legittimerebbe   il   Presidente  della  Regione  a  rilasciare
dichiarazioni  circa un presunto comportamento scorretto da parte dei
giornalisti   e,   soprattutto,   a   dubitare  delle  loro  qualita'
professionali.
    3.  -  In data 20 febbraio 2007 il ricorso e' stato notificato al
Tribunale  di  Venezia  ai  sensi  dell'art. 27, comma 2, delle norme
integrative.
    3.1.   -  Con  memoria  illustrativa  depositata  in  prossimita'
dell'udienza,  la  Regione  Veneto  insiste  per  l'accoglimento  del
ricorso  e,  in  linea  con  le  considerazioni  svolte  nell'atto di
promovimento  del  giudizio,  precisa: a) di contestare, in relazione
all'eccezione  di inammissibilita' sollevata nell'atto di intervento,
l'esercizio  stesso  della  funzione giurisdizionale nei confronti di
atti  ad essa sottratti in virtu' dell'art. 122, quarto comma, Cost.,
e  non  di  censurare,  in sede di conflitto, i molteplici errores in
iudicando   dell'organo   giudicante,   per  i  quali  ha  provveduto
diversamente  attivando  il  grado  di  appello;  b) di ritenere, con
riferimento  alla  legge n. 140 del 2003, che la prerogativa prevista
dagli artt. 68, primo comma, e 122, quarto comma, Cost., «per come e'
stata   attuata  dal  legislatore  ordinario»  oggi  copre  anche  la
divulgazione,   la  critica  e  la  denuncia  politica  espresse  «in
connessione  con i compiti istituzionali anche all'infuori delle mura
del  Palazzo,  senza che (piu) abbia rilievo il fatto che si discorra
di  atti  tipici  ovvero  di  atti  non  tipici  purche'  vi  sia una
connessione (non piu' uno specifico nesso funzionale) con la funzione
pubblica  esercitata»; c) di ritenere, comunque, sussistente il nesso
funzionale,  in  quanto le dichiarazioni del Presidente della Regione
sono strettamente connesse al controllo e alla vigilanza sul corretto
esercizio  dell'informazione  televisiva,  compito  non estraneo alle
funzioni  e  al  campo di azione politica del Presidente medesimo sia
per  la  natura «sensibile» del mezzo televisivo, sia per l'influenza
che  questo  ha  nell'orientare  politicamente  gli  spettatori, sia,
infine, in ragione della potesta' legislativa regionale in materia di
«ordinamento   della   comunicazione»  e  della  relativa  competenza
amministrativa.

                       Considerato in diritto

    1. - La Regione Veneto ha sollevato conflitto di attribuzione nei
confronti  dello  Stato  per  violazione degli artt. 121, 122, quarto
comma,  e  123  della  Costituzione,  in  relazione alla sentenza del
Tribunale civile di Venezia 30 aprile- 8 agosto 2005, n. 1715, con la
quale  il  Presidente della Regione Veneto, Giancarlo Galan, e' stato
condannato   al  risarcimento  del  danno  derivante  da  talune  sue
dichiarazioni  rese  ai  mezzi  di  informazione  nei  confronti  dei
giornalisti Rai Giuseppe Casagrande e Roberto Reale.
    Ritiene   la  ricorrente  che  tale  sentenza  sia  lesiva  della
prerogativa di insindacabilita' garantita ai componenti del Consiglio
regionale  dall'art. 122,  quarto comma, della Costituzione, nonche',
in   via   mediata,   delle  attribuzioni  regionali  in  materia  di
organizzazione e di funzioni degli organi della Regione, riconosciute
dagli artt. 121 e 123 della Costituzione.
    Cio', in sintesi, sulla base di tre motivi:
        a) perche'  il  Presidente-consigliere della Regione non puo'
essere  sottoposto  a  giudizio  per  dichiarazioni,  rilasciate alla
stampa,    costituenti    valutazioni   e   orientamenti   sui   temi
dell'attualita'  politica,  in  quanto  tali  attivita'  sono diretta
espressione  del  munus  publicum  di cui lo stesso e' titolare, e in
quanto  la  partecipazione  alla  discussione  su  un  tema  politico
all'ordine  del giorno, nella quale viene esternato il punto di vista
del  Governatore,  consigliere  del  gruppo  politico di maggioranza,
rientra     nelle     modalita'     di    esercizio    dell'attivita'
politico-istituzionale  relativa alla funzione di indirizzo politico,
riconducibile  alla  garanzia  sancita  dall'art. 122,  quarto comma,
della  Costituzione,  anche  in  relazione agli artt. 121 e 123 della
Costituzione;
        b) perche'   l'art. 3  della  legge  20  giugno 2003,  n. 140
(Disposizioni  per  l'attuazione  dell'articolo 68 della Costituzione
nonche'  in  materia  di  processi  penali  nei  confronti delle alte
cariche  dello Stato), al comma 1, ha esteso l'ambito di applicazione
dell'art. 68,  primo  comma,  Cost.  e,  per analogia, dell'art. 122,
quarto  comma  Cost.,  ad  ogni  attivita'  di  critica e di denuncia
politica   attinente  ai  compiti  istituzionali,  anche  se  non  in
connessione  con  l'attivita'  consiliare  tipica,  e, al comma 8, ha
previsto  il  cosiddetto  «effetto inibitorio» come conseguenza della
delibera parlamentare;
        c) perche',  in  ogni  caso,  le dichiarazioni del Presidente
della  Regione  sono,  nella  specie,  inscindibilmente  connesse con
l'esercizio  della  funzione  legislativa  e di indirizzo e controllo
politico,  non  essendo  estranea  ad  esse la vigilanza sul corretto
esercizio  dell'informazione  televisiva: cio' in quanto, da un lato,
la   materia   del   servizio   radiotelevisivo   rientra  in  quella
dell'«ordinamento  della  comunicazione» che l'art. 117, terzo comma,
Cost.  attribuisce  alle  Regioni in via concorrente e, dall'altro, i
giudizi  espressi  nei  confronti  di coloro che informano l'opinione
pubblica  circa  l'operato  degli  esponenti  delle  forze politiche,
riguardando   i  rapporti  tra  politica  e  informazione,  rientrano
automaticamente  nell'ambito  della  garanzia prevista dall'art. 122,
quarto comma, Cost.
    2.  -  Preliminarmente,  come  gia' deciso con l'ordinanza emessa
nell'udienza  pubblica  del  20 marzo  2007,  deve  essere dichiarato
ammissibile  l'intervento  spiegato nel presente giudizio da Giuseppe
Casagrande  e  Roberto  Reale,  entrambi  parti  del  giudizio che ha
originato il presente conflitto.
    Anche se di regola, nei giudizi per conflitto di attribuzione non
e'  ammesso  l'intervento di soggetti diversi da quelli legittimati a
promuovere il conflitto o a resistervi, tuttavia puo' verificarsi che
l'oggetto  del conflitto sia tale da coinvolgere, in modo immediato e
diretto,  situazioni  soggettive di terzi il cui pregiudizio o la cui
salvaguardia  dipendono imprescindibilmente dall'esito del conflitto.
In  tali  casi  questa  Corte  ritiene  ammissibile  l'intervento  di
soggetti  che, quali parti nel giudizio ordinario la cui decisione e'
oggetto  del  conflitto,  sarebbero incisi, senza possibilita' di far
valere le loro ragioni, dall'esito del giudizio relativo al conflitto
(sentenze n. 386 del 2005; n. 154 del 2004 e n. 76 del 2001).
    E'  questa  la situazione che si riscontra nel presente giudizio,
in  quanto  il  suo  oggetto  incide  sulla definitiva affermazione o
negazione dello stesso diritto delle parti intervenienti di agire nel
giudizio comune.
    2.1.  -  Va  esaminata, sempre in via preliminare, l'eccezione di
inammissibilita'  del  conflitto  sollevata  dagli  intervenienti sul
presupposto  che  la  Regione si limita a contestare un mero error in
iudicando  del  Tribunale civile di Venezia, strumentalizzando in tal
modo  il  processo  costituzionale a fini sostanzialmente impugnatori
della sentenza dallo stesso emessa.
    L'eccezione e' infondata.
    La  Corte  ha piu' volte ammesso che il conflitto intersoggettivo
possa  riguardare  anche  atti di natura giurisdizionale, con l'unico
limite  che  esso non si risolva in un mezzo improprio di censura del
modo di esercizio della funzione giurisdizionale, valendo, contro gli
errori in iudicando, di diritto sostanziale o processuale, i consueti
rimedi   previsti   dagli   ordinamenti   processuali  delle  diverse
giurisdizioni  (si  vedano,  tra le altre, le sentenze n. 2 del 2007,
n. 276  e  n. 29  del  2003).  Dunque,  perche'  sia  ammissibile  un
conflitto  di  attribuzione  quando  a base di esso sia posto un atto
giurisdizionale,  e' necessario che da parte del potere o dell'ente -
che  da  quell'atto pretende di aver subito una lesione della propria
sfera  di  attribuzioni costituzionali - «sia contestata radicalmente
la   riconducibilita'  dell'atto  che  determina  il  conflitto  alla
funzione   giurisdizionale   [...]  ovvero  sia  messa  in  questione
l'esistenza  stessa  del  potere  giurisdizionale  nei  confronti del
soggetto  ricorrente»  (sentenza  n. 276 del 2003). E' stato altresi'
precisato  che  «la  figura  dei  conflitti  di  attribuzione  non si
restringe alla sola ipotesi di contestazione circa l'appartenenza del
medesimo potere, che ciascuno dei soggetti contendenti rivendichi per
se', ma si estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall'illegittimo
esercizio di un potere altrui consegua la menomazione di una sfera di
attribuzioni    costituzionalmente   assegnate   all'atro   soggetto»
(sentenza n. 110 del 1970; si vedano anche le sentenze n. 99 del 1991
e n. 285 del 1990).
    Nel   caso  in  esame  emerge  con  chiarezza  che  le  doglianze
prospettate dalla Regione Veneto integrano i suddetti presupposti. La
ricorrente,  infatti,  lamentando la violazione dell'art. 122, quarto
comma,  della  Costituzione  da  parte  della  sentenza del Tribunale
civile  di  Venezia,  intende innanzitutto contestare radicalmente la
stessa  sussistenza  in  capo all'autorita' giudiziaria del potere di
accertare la responsabilita' civile derivante dalle dichiarazioni del
Presidente  e  consigliere regionale e, comunque, in via subordinata,
censurarne il cattivo uso.
    3. - Nel merito, il ricorso e' infondato.
    3.1.  -  La  Regione, come si e' detto, ritiene che la figura del
consigliere-Presidente   sia  profondamente  diversa  da  quella  del
semplice  consigliere,  in quanto il primo soltanto ha le funzioni di
rappresentanza  della  Regione  e  di  direzione della politica della
Giunta, alle quali si accompagna istituzionalmente la possibilita' di
«esternazione  politica».  Per  tale  motivo,  tanto  piu'  oggi  che
l'elezione  del  Presidente della Giunta avviene a suffragio diretto,
dovrebbero   considerarsi  coperte  dall'immunita'  le  dichiarazioni
presidenziali,  ascrivibili  o meno a funzioni tipizzate; cio' per il
solo  fatto di essere riferibili o genericamente connesse alla carica
rappresentativa  e  alla realizzazione dell'indirizzo politico che il
corpo elettorale ha scelto quando ha espresso le sue preferenze.
    Al  contrario,  va  rilevato  che  questa  Corte  ha  piu'  volte
affermato  che  i membri della Giunta regionale godono dell'immunita'
prevista   dall'art. 122,   quarto   comma,   Cost.  solo  in  quanto
consiglieri  regionali  ed  esclusivamente in relazione all'attivita'
svolta  in  ambito  consiliare.  In altri termini, la guarentigia dei
consiglieri  non  si estende a coprire le funzioni della Giunta o del
suo  Presidente  perche'  «non lo consentono la lettera dell'art. 122
Cost.  e  la  ragion  d'essere di tale immunita» (sentenze n. 183 del
1981  e  n. 81  del  1975).  Tale affermazione, precedente la riforma
costituzionale del 1999 (legge costituzionale 22 novembre 1999 n. 1),
e' ora ulteriormente rafforzata dalla accentuazione della distinzione
tra  le  funzioni  del  Consiglio e quelle della Giunta, quale organo
esecutivo  della  Regione,  operata  dal  legislatore costituzionale.
Priva  di fondamento e', pertanto, non solo la tesi che il Presidente
della  Giunta regionale goda di una forma di immunita' rafforzata, ma
anche  quella  che  lo stesso, in quanto tale, sia destinatario della
guarentigia  che il piu' volte citato quarto comma dell'art.122 Cost.
attribuisce   invece   esclusivamente  ai  consiglieri  regionali  in
relazione  alle opinioni espresse e ai voti dati nell'esercizio delle
loro funzioni.
    Parimenti  infondate sono le ulteriori argomentazioni del ricorso
relative alla pretesa applicabilita' della legge n. 140 del 2003, ivi
compreso  l'effetto inibitorio in essa previsto, anche ai consiglieri
regionali,  nonche'  alla  pretesa  estensione,  da parte dell'art. 3
della  suddetta  legge, dell'applicabilita' dell'art. 68, primo comma
e,  per  analogia,  dell'art. 122,  quarto comma Cost. «ad ogni altra
attivita'  [...]  di  critica  e di denuncia politica, connessa con i
compiti  istituzionali  anche  se  non in connessione con l'attivita'
consiliare tipica».
    La  tesi della Regione si fonda su molteplici erronei presupposti
interpretativi.
    Il    primo    riguarda    l'impossibilita'    di   accedere   ad
un'interpretazione estensiva o analogica della legge n. 140 del 2003,
nel  senso  di  ritenerla applicabile anche ai consiglieri regionali.
L'interpretazione  di tipo estensivo e' preclusa dal tenore letterale
dell'intero   testo   legislativo,   che   fa  esclusivo  riferimento
all'art. 68  della  Costituzione  e  alla  carica di parlamentare. La
legge citata, inoltre, ha carattere eccezionale, in quanto limitativa
dell'esercizio  della  funzione  giurisdizionale,  il  che  la  rende
insuscettibile di applicazione analogica.
    Il  secondo  errore  nella  ricostruzione  operata  dalla Regione
riguarda  il  presunto  effetto  inibitorio dell'esercizio del potere
giurisdizionale,  che  deriverebbe  dalla  pretesa  equivalenza della
delibera  della  Giunta, con la quale quest'ultima decide di proporre
il  conflitto  di attribuzione, e di quella con la quale il Consiglio
regionale decide che le opinioni espresse sono relative all'esercizio
delle  funzioni  consiliari e, quindi, sono insindacabili. A parte la
necessita' di immaginare, in questo caso, che in un atto avente altra
natura,  quale  quello relativo alla decisione di sollevare conflitto
dinanzi   alla  Corte  costituzionale,  confluisca  una  delibera  di
insindacabilita'  quantomeno  implicita, quel che maggiormente rileva
e'  la  difficolta'  di  ipotizzare  che  il  potere  di  valutare se
un'opinione   espressa   da  un  componente  dell'organo  legislativo
regionale  sia  riconducibile all'esercizio delle funzioni consiliari
si trasferisca dall'assemblea legislativa di appartenenza alla Giunta
regionale.
    Occorre, al riguardo, far presente che, secondo la giurisprudenza
costante  di  questa  Corte,  l'esonero  da responsabilita' di cui al
quarto  comma dell'art. 122 Cost., analogamente a quello disciplinato
dal   primo  comma  dell'art. 68  Cost.,  «e'  posto  a  salvaguardia
dell'autonomia  e  dell'indipendenza  costituzionalmente riservata al
Consiglio  regionale»  (ex plurimis, sentenze n. 391 del 1999, n. 289
del  1997,  n. 274  del  1995,  n 81 e n. 70 del 1985) e, solo in via
mediata, per la realizzazione della suddetta tutela dell'Organo e «al
fine  di  garantire  da  qualsiasi  interferenza la libera formazione
della  volonta' politica» (sentenza n. 382 del 1998), si indirizza al
componente del Consiglio.
    Del resto, la stessa ricorrente, nell'atto introduttivo, ha fatto
riferimento  alle  molteplici  sentenze  di  questa Corte (n. 265 del
1997,  n. 443  del  1993, n. 1150 del 1988) in cui si afferma che «le
prerogative   parlamentari   non  possono  non  implicare  un  potere
dell'Organo a tutela del quale sono disposte».
    Quindi,  se  gia'  appare  arduo immaginare un trasferimento alla
Giunta  regionale  del  potere  valutativo  che, con riferimento alle
pronunce  di  insindacabilita'  che  si  fondano su quanto prevede il
primo    comma   dell'art. 68   Cost.,   e'   attribuito   all'Organo
parlamentare,  e'  erroneo ipotizzare che alla decisione della Giunta
di  sollevare  conflitto  di attribuzione possa conseguire un effetto
inibitorio che paralizzi l'esercizio della funzione giurisdizionale.
    Questa  Corte  ha  piu' volte precisato che l'effetto inibitorio,
rimovibile  solo  tramite  conflitto,  e'  diretta  conseguenza della
delibera  di  insindacabilita' di cui all'art. 68, primo comma, Cost.
assunta dalle assemblee parlamentari. In particolare ha affermato che
«Qualora  il  giudice di una causa [...] promossa da una persona lesa
da dichiarazioni diffamatorie fatte da un deputato o senatore in sede
extraparlamentare,   reputi   che   la   delibera   della  Camera  di
appartenenza,   affermante  l'irresponsabilita'  del  proprio  membro
convenuto  in  giudizio, sia il risultato di un esercizio illegittimo
(o,   come  altri  si  esprime,  di  «cattivo  uso»)  del  potere  di
valutazione,  puo'  provocare il controllo della Corte costituzionale
sollevando  davanti  a  questa  conflitto  di attribuzione» (sentenza
n. 1150 del 1988).
    Ma  detto  effetto  deriva  dalla  circostanza  che «il potere di
valutazione  del Parlamento non e' in astratto contestabile» e quindi
«il conflitto [sollevato dal potere giurisdizionale] non si configura
nei   termini   di   una  vindicatio  potestatis  [...]  bensi'  come
contestazione   dell'altrui   potere   in   concreto,  per  vizi  del
procedimento  oppure per omessa o erronea valutazione dei presupposti
di  volta  in  volta  richiesti  per  il  valido  esercizio  di esso»
(sentenza n. 1150 del 1988).
    Nel  caso  in  questione,  vi  e' da considerare non soltanto che
«solo  il  Parlamento  puo'  esprimere  la funzione di rappresentanza
nazionale»  (secondo  quanto  precisano le sentenze nn. 306 e 106 del
2002,  che  hanno tradotto in termini aggiornati alle modifiche della
Costituzione  avvenute  con le leggi costituzionali 22 novembre 1999,
n. 1  e  18 ottobre 2001 n. 3, il contenuto della precedente sentenza
n. 81  del  1975)  ma, soprattutto, che nei conflitti di attribuzione
tra  enti la posizione dei due soggetti che confliggono e' rovesciata
rispetto  a  quanto  si  verifica  nei  conflitti di attribuzione tra
poteri  sollevati per contestare le deliberazioni di insindacabilita'
pronunciate   da   uno   dei  rami  del  Parlamento.  Giova,  quindi,
soffermarsi  su quali siano le parti del conflitto tra enti e sul suo
oggetto.
    Attualmente   lo   strumento  di  tutela  per  le  lesioni  delle
prerogative del Consiglio regionale e' ravvisato nella proponibilita'
del conflitto di attribuzione tra enti. La legittimazione a sollevare
tale  tipo  di  conflitto  spetta, quindi, esclusivamente alla Giunta
regionale  che,  come  si  e'  detto, e' un organo diverso rispetto a
quello  tutelato  dall'art. 122, quarto comma, della Costituzione. Il
che  pone  anche un problema di garanzia, essendo la Giunta l'organo,
espressione  della  maggioranza  politica  della Regione, in cui sono
assenti  forme  di rappresentativita' dei consiglieri di minoranza, i
quali  potrebbero  non  trovare  adeguata tutela. Tale equivocita' si
sposta  anche  sul versante della legittimazione passiva in quanto la
parte  principale chiamata in giudizio e' il Presidente del Consiglio
dei  ministri  e  non  l'autorita' giudiziaria, soggetto direttamente
coinvolto nel conflitto.
    In   altri  termini,  il  conflitto  tra  Consiglio  regionale  e
autorita' giudiziaria, che verte sulla delimitazione delle rispettive
sfere  costituzionali di attribuzioni in rapporto alla sindacabilita'
o  meno  della  condotta  del Consigliere regionale, si svolge con la
presenza  solo  eventuale  dell'organo  titolare  del  potere del cui
legittimo   uso  si  dubita  e  nella  totale  assenza  dal  giudizio
dell'organo titolare della funzione.
    In   questo   caso  non  puo',  quindi,  il  Consiglio  regionale
rivendicare  il  potere  di giudicare in ordine all'insindacabilita',
dato  che non e' neppure parte del conflitto. Ma anche la Regione non
ha  titolo,  essendo soggetto diverso da quello che e' tutelato dalla
disposizione  costituzionale, per la vindicatio del potere valutativo
in  ordine  al  verificarsi della fattispecie prevista dall'art. 122,
quarto  comma,  Cost..  E', quindi, evidente che non puo' ipotizzarsi
alcun effetto inibitorio come conseguenza della delibera della Giunta
regionale che solleva il conflitto, dato che essa puo' solo censurare
il  «cattivo  uso»  del  potere  valutativo  da  parte di chi, in via
ordinaria,  svolge  la  funzione  giurisdizionale,  ritenendo  che la
pronuncia  sia  in contrasto con la previsione contenuta nella citata
disposizione  costituzionale.  E'  opportuno,  al riguardo, ricordare
che,   come   si   e'   gia'   detto   affrontando   l'eccezione   di
insindacabilita', questa Corte ha piu' volte precisato che «la figura
dei  conflitti  di attribuzione non si restringe alla sola ipotesi di
contestazione  circa l'appartenenza del medesimo potere, che ciascuno
dei  soggetti  contendenti  rivendichi  per  se',  ma  si  estende  a
comprendere  ogni  ipotesi  in  cui  dall'illegittimo esercizio di un
potere  altrui  consegua  la menomazione di una sfera di attribuzioni
costituzionalmente assegnate all'altro soggetto» (sentenza n. 110 del
1970; si vedano anche le sentenze n. 99 del 1991, n. 285 del 1990).
    Tornando  al  secondo  motivo  di  ricorso, va evidenziato che la
Regione    Veneto    muove    dall'ulteriore    erroneo   presupposto
interpretativo   -   peraltro  con  la  affermata  consapevolezza  di
sostenere  una  tesi  assolutamente  minoritaria  -  secondo il quale
l'art. 3  della  legge  n. 140  del  2003  avrebbe esteso l'immunita'
prevista  dall'art. 68 Cost. anche agli atti di critica e di denuncia
politica,  latamente  connessi  con i compiti istituzionali, anche se
espletati  fuori  del  Parlamento  (o,  per  analogia,  del Consiglio
regionale).
    Premesso  che  la  gia'  affermata  impossibilita'  di  estendere
l'applicazione  della  legge  n. 140  del  2003  anche ai consiglieri
regionali rende superfluo ogni ulteriore approfondimento, va comunque
ribadita  l'ormai consolidata interpretazione restrittiva dell'art. 3
di  tale  legge, che questa Corte ha operato a partire dalla sentenza
n. 120  del  2004,  secondo  cui esso non amplia l'immunita' prevista
dall'art. 68 Cost.
    La  Corte,  a  tale proposito, ha affermato che «si tratta di una
disposizione legislativa che [...] puo' considerarsi di attuazione, e
cioe'  finalizzata  a rendere immediatamente e direttamente operativo
sul  piano  processuale  il  disposto  dell'art. 68,  primo comma. Ed
invero  le  attivita'  analiticamente  indicate  possono  non  essere
esaustive  del  concetto  di  funzione parlamentare, ma costituiscono
comunque  un'ulteriore forma di specificazione, rispetto a quella dei
citati  decreti-legge del 1996, ai fini della loro riconduzione nella
sfera  di  applicabilita'  processuale  dell'art. 68,  primo comma, e
comunque  esse  non  fuoriescono  dal  campo  materiale  dello stesso
articolo, dal momento che il legislatore stabilisce espressamente che
tutte  le  attivita'  indicate  debbono  comunque, anche se espletate
fuori  del Parlamento, essere connesse con l'esercizio della funzione
propria  dei  membri  del  Parlamento,  in conformita' appunto con il
primo  comma  dell'art. 68.  Proprio in base a questa formulazione si
puo'  ritenere  che  con  la norma in esame il legislatore non innovi
affatto  alla  predetta  disposizione  costituzionale,  ampliandone o
restringendone  arbitrariamente  la  portata,  ma  si limiti invece a
rendere   esplicito   il   contenuto   della   disposizione   stessa,
specificando,  ai  fini  della  immediata  applicazione dell'art. 68,
primo  comma,  gli «atti di funzione» tipici, nonche' quelli che, pur
non   tipici,   debbono   comunque   essere  connessi  alla  funzione
parlamentare,  a prescindere da ogni criterio di «localizzazione», in
concordanza,  del  resto,  con  le indicazioni ricavabili al riguardo
dalla giurisprudenza costituzionale in materia».
    Quanto  all'ultimo  motivo  di ricorso, relativo alla sussistenza
del  nesso  funzionale  tra  le  dichiarazioni  del  Presidente della
Regione   oggetto  del  giudizio  risarcitorio  e  la  sua  attivita'
istituzionale,  va  innanzitutto  ribadito  che  il  Presidente della
Regione  gode  della  prerogativa  di cui all'art. 122, quarto comma,
della  Costituzione  solo  in  quanto  sia  componente  del Consiglio
Regionale   e  solo  in  relazione  all'attivita'  svolta  in  ambito
consiliare.  Cio' posto, si deve considerare che, dopo l'approvazione
della  legge  costituzionale  22 novembre  1999,  n. 1  (Disposizioni
concernenti  l'elezione diretta del Presidente della Giunta regionale
e l'autonomia statutaria delle Regioni), le due cariche non sono piu'
necessariamente  coincidenti.  Nel  caso  in  esame,  tuttavia,  tale
presupposto ricorre in quanto, non avendo la Regione Veneto approvato
un  nuovo  statuto  che disciplini diversamente la fattispecie, trova
applicazione  il  regime transitorio disposto dall'art. 5 della sopra
indicata  legge  costituzionale il quale prevede espressamente che il
Presidente della Giunta regionale faccia parte del Consiglio.
    Fatta  questa  premessa,  deve  evidenziarsi  che la difesa della
Regione  non indica alcun atto tipico dell'attivita' consiliare posto
in essere dal Presidente che sia connesso con le dichiarazioni per le
quali quest'ultimo e' stato condannato al risarcimento del danno.
    La   ricorrente   si   limita   ad   affermare  che,  poiche'  le
dichiarazioni  in  oggetto si riferivano alla situazione del servizio
pubblico  radiotelevisivo  a  livello locale, esse sarebbero connesse
con  le funzioni del Presidente della Regione relative alla vigilanza
e  al  controllo sul corretto esercizio dell'informazione televisiva,
anche  perche'  la  materia  del  servizio radiotelevisivo rientra in
quella   dell'«ordinamento   della   comunicazione»   -  disciplinata
dall'art. 117, terzo comma, Cost. - che e' attribuita alla competenza
legislativa delle Regioni in via concorrente.
    Sul  punto, e' utile richiamare la giurisprudenza di questa Corte
relativa  all'art. 68,  ma  certamente applicabile anche all'art.122,
quarto comma, Cost., dove si e' affermato che «il «contesto politico»
o  comunque  l'inerenza  a  temi  di  rilievo  generale  dibattuti in
Parlamento,  entro  cui  tali dichiarazioni si possano collocare, non
vale  in  se' a connotarle quali espressive della funzione, ove esse,
mancando  di  costituire la sostanziale riproduzione delle specifiche
opinioni  manifestate  dal  parlamentare nell'esercizio delle proprie
attribuzioni, siano non gia' il riflesso del peculiare contributo che
ciascun  deputato  e  ciascun senatore apporta alla vita parlamentare
mediante  le  proprie  opinioni e i propri voti (come tale coperto, a
garanzia  delle  prerogative  delle Camere, dall'insindacabilita), ma
una   ulteriore  e  diversa  articolazione  di  siffatto  contributo,
elaborata  ed  offerta  alla  pubblica  opinione nell'esercizio della
libera   manifestazione   del   pensiero  assicurata  a  tutti  dalla
Costituzione» (sentenze n. 392 del 2006 e n. 51 del 2002).
    Pertanto,  il  ricorso  della  Regione  Veneto  non  puo'  essere
accolto.