ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 3, comma 3,
del  decreto-legge  22 febbraio 2002, n. 12 (Disposizioni urgenti per
il  completamento delle operazioni di emersione di attivita' detenute
all'estero  e  di lavoro irregolare), convertito con modificazioni in
legge   23 aprile   2002,   n. 73,   (Conversione   in   legge,   con
modificazioni, del d.l. 22 febbraio 2002, n. 12, recante disposizioni
urgenti  per  il  completamento  delle  operazioni  di  emersione  di
attivita'  detenute  all'estero e di lavoro irregolare), in relazione
all'art. 7   del   decreto   legislativo   31 dicembre  1992,  n. 546
(Disposizioni  sul  processo tributario in attuazione della delega al
Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413),
promosso   con   ordinanza   del  22  giugno 2006  dalla  Commissione
tributaria   provinciale   di  Teramo,  nel  procedimento  tributario
vertente  tra  Mincarelli Claudia e l'Agenzia delle entrate - Ufficio
di   Teramo,  iscritta  al  n. 511  del  registro  ordinanze  2006  e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, 1ª serie
speciale, dell'anno 2006.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 4 giugno 2007 il giudice
relatore Ugo De Siervo.
    Ritenuto  che,  con  ordinanza del 22 giugno 2006, la Commissione
tributaria provinciale di Teramo, nel corso di un giudizio instaurato
a seguito del ricorso avverso una sanzione comminata dalla competente
Agenzia   delle  entrate,  ha  sollevato  questioni  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 3,  comma 3,  del decreto-legge 22 febbraio
2002,   n. 12   (Disposizioni  urgenti  per  il  completamento  delle
operazioni  di emersione di attivita' detenute all'estero e di lavoro
irregolare),  convertito  con  modificazioni  dall'art. 1 della legge
23 aprile 2002, n. 73, e, in via subordinata, dell'art. 7 del decreto
legislativo  31 dicembre  1992,  n. 546  (Disposizioni  sul  processo
tributario   in   attuazione   della   delega  al  Governo  contenuta
nell'art. 30  della  legge  30 dicembre 1991, n. 413), in riferimento
agli artt. 3 e 24 della Costituzione;
        che  il  giudice  a  quo  premette che la ricorrente si duole
della  circostanza  che  la  sanzione  comminata  dalla Agenzia delle
entrate  e'  stata  «calcolata  dal  primo gennaio del 2004 al giorno
dell'ispezione,  benche' il dipendente, non ancora iscritto nel libro
matricola,  avesse  iniziato  il  lavoro  il giorno 10 maggio 2004, 4
giorni prima della verifica»;
        che,  quanto  alla non manifesta infondatezza della sollevata
questione  il rimettente afferma che, sebbene la Corte costituzionale
con   la   sentenza  n. 144  del  2005,  abbia  ammesso  il  presunto
contravventore  a  provare  che  il  rapporto di lavoro irregolare ha
avuto  inizio  successivamente  al  primo gennaio dell'anno in cui e'
stata  constatata  la violazione, cio' tuttavia non avrebbe eliminato
le  disparita'  di  trattamento  relative non solo al «dies a quo, ma
anche  al  dies  ad quem fissato dal legislatore per il calcolo della
sanzione»;
        che, sostiene il rimettente, il termine finale per il calcolo
della  sanzione  (data di constatazione della violazione) non avrebbe
nulla  a  che  fare  con  la  gravita' dell'illecito, ma dipenderebbe
soltanto   da   scelte   organizzative   discrezionali   dell'ufficio
ispettivo, con la conseguenza che, ove il datore di lavoro non sia in
grado  di  provare  che  il  rapporto  irregolare ha avuto una durata
minore  rispetto  a  quella  accertata,  sarebbe soggetto «all'iniquo
meccanismo» previsto dalla disposizione censurata;
        che  il  rimettente  chiede  che,  nel  caso  in  cui  «venga
rigettata  la  prima eccezione», sia «accertata la legittimita' della
norma in esame e dell'art. 7 del decreto legislativo n. 546/1992» dal
momento  che  il  regime  probatorio  avente ad oggetto la durata del
rapporto  di lavoro irregolare sarebbe quello del rito tributario che
non consente il ricorso alla prova testimoniale;
        che,  conseguentemente,  la  Commissione  tributaria pone «il
quesito  se  tale  limitazione  sia  compatibile  con l'art. 24 della
Costituzione»,   dal   momento   che   l'accertamento   dell'illecito
amministrativo renderebbe necessaria la ricostruzione del rapporto di
lavoro  irregolare  e  dunque implicherebbe «la necessita' del quadro
probatorio piu' ampio possibile»;
        che  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha   innanzitutto  rilevato,  che  successivamente  all'ordinanza  di
rimessione,  l'art. 36-bis,  comma 7  lettera a),  del  decreto-legge
4 luglio   2006,   n. 223,  (Disposizioni  urgenti  per  il  rilancio
economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della
spesa  pubblica,  nonche'  interventi  in  materia  di  entrate  e di
contrasto  all'evasione  fiscale),  inserito  dalla relativa legge di
conversione 4 agosto   2006,  n. 248,  che  ha  sostituito  l'art. 3,
comma 3, del decreto-legge n. 12 del 2002;
        che, in particolare, l'Avvocatura dello Stato sostiene che la
modificazione  operata  dal  legislatore relativamente al criterio di
calcolo  della  sanzione derivante dall'illecito e l'attribuzione del
potere di comminare la sanzione alla Direzione provinciale del lavoro
competente per territorio inciderebbero sulle questioni prospettate e
che  pertanto sarebbe opportuna la restituzione degli atti al giudice
a  quo  per  ius  superveniens,  affinche'  il  rimettente  valuti la
perdurante rilevanza della questione sottoposta al suo esame;
        che  peraltro l'Avvocatura ritiene le questioni inammissibile
in  quanto  la  Corte costituzionale con la sentenza n. 144 del 2005,
avrebbe  gia'  valutato  la  problematica  ravvisandone per implicito
l'infondatezza;
        che  inammissibile  sarebbe  anche  la  questione relativa al
regime  probatorio  di cui all'art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, sia
perche'  non  risulterebbe  se  nel  corso  del  giudizio  sia  stata
richiesta  la  prova  testimoniale,  sia  perche'  il  rimettente non
avrebbe   svolto   la  necessaria  attivita'  per  risolvere  in  via
interpretativa  la questione, tenuto conto anche dell'esistenza di un
consolidato  orientamento  della Corte di cassazione secondo il quale
le  dichiarazioni  rese  dal  dipendente  all'ispettore  ben  possono
trovare ingresso nel processo.
    Considerato  che  la Commissione tributaria provinciale di Teramo
dubita  della  legittimita'  costituzionale  dell'art. 3 comma 3, del
decreto-legge  22 febbraio  2002,  n. 12 (Disposizioni urgenti per il
completamento  delle  operazioni  di  emersione di attivita' detenute
all'estero   e  di  lavoro  irregolare),  convertito  in  legge,  con
modificazioni,  dall'art. 1  della  legge 23 aprile 2002, n. 73 e, in
via  subordinata,  dell'art. 7  del  decreto  legislativo 31 dicembre
1992,  n. 546  (Disposizioni  sul  processo  tributario in attuazione
della   delega   al   Governo   contenuta  nell'art. 30  della  legge
30 dicembre  1991,  n. 413)  in  riferimento  agli artt. 3 e 24 della
Costituzione;
        che,   successivamente   all'ordinanza   di   rimessione,  e'
intervenuto  il  decreto  legge  4 luglio  2006, n. 223 (Disposizioni
urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di entrate e di contrasto all'evasione fiscale), convertito in legge,
con  modificazioni, dall'art. 1 della legge 4 agosto 2006, n. 248, il
quale  ha  modificato l'art. 3 del d.l. n. 12 del 2002, sostituendo i
commi 3 e 5 del medesimo (art. 36-bis, comma 7, lettere a) e b);
        che  il nuovo testo della disposizione censurata commina, per
l'impiego  di  lavoratori  non  risultanti dalle scritture o da altra
documentazione obbligatoria, la sanzione amministrativa da euro 1.500
a  euro  12.000  per  ciascun  lavoratore, maggiorata di euro 150 per
ciascuna  giornata  di  lavoro  effettivo,  stabilendo  altresi'  che
«l'importo  delle  sanzioni civili connesse all'omesso versamento dei
contributi  e  premi  riferiti a ciascun lavoratore di cui al periodo
precedente  non puo' essere inferiore a Euro 3.000, indipendentemente
dalla durata della prestazione lavorativa accertata»;
        che,  inoltre,  il  comma 5  dello  stesso art. 3, cosi' come
sostituito  dal  d.l.  223  del  2006,  attribuisce  la competenza ad
irrogare  la  suddetta sanzione alla direzione provinciale del lavoro
territorialmente competente;
        che,   in   conseguenza   delle  modifiche  sopravvenute,  il
meccanismo  di  determinazione della sanzione prevista dall'art. 3 e'
sostanzialmente   diverso   rispetto   a   quello  precedente  ed  e'
caratterizzato  dall'assenza  di qualunque meccanismo presuntivo, dal
momento  che la sanzione base e' stabilita tra un minimo e un massimo
fissato  dal  legislatore,  mentre  la  durata del rapporto di lavoro
incide  sulla  maggiorazione  della  sanzione  stessa, dovendo questa
essere  aumentata  di  150  euro  per  ciascuna  giornata  di  lavoro
effettivo;
        che,  inoltre,  diverso e' l'organo competente a comminare la
sanzione,  dovendo  provvedervi  non  piu'  l'Agenzia  delle entrate,
bensi' la Direzione provinciale del lavoro;
        che,  pertanto,  la sostanziale modifica, sotto piu' profili,
dell'art. 3 del d.l. n. 12 del 2002 impone la restituzione degli atti
al   giudice   rimettente,  affinche'  questa  valuti  la  perdurante
rilevanza  delle  questioni  sollevate,  e cio' a prescindere da ogni
rilievo  circa le lacune dell'ordinanza di rimessione, avuto riguardo
alla insufficiente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio
a  quo,  alla  mancanza  di  ogni  motivazione  sulla rilevanza della
questione,  alla  indeterminatezza  del  tipo  di  intervento  che il
rimettente  richiede  a  questa  Corte  per  eliminare  la disparita'
denunciata.