IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale ai sensi dell'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87, nel procedimento iscritto al n. 1411/07 R.N.R. e n. 409/07 R.G. Trib. nei confronti di Lucca Roberta, nata a Cagliari il 6 ottobre 1966, imputata: a) del reato previsto e punito dall'art. 628, comma 2, c.p. perche', al fine di trarne ingiusto profitto per se', dopo essersi impossessata di un paio di occhiali, che sottraeva dal negozio Salmoiraghi e Vigano' - Cagliari 100, sito nel centro commerciale Citta' Mercato di Cagliari-Pirri, adoperava violenza nei confronti del responsabile dell'esercizio commerciale Steri Natascia, spintonandola e stringendole forte le mani, causandole delle escoriazioni, allo scopo di procurarsi l'impunita'; b) del reato di cui agli artt. 61 n. 2, 582, 585 c.p. perche', per eseguire il reato di cui al capo a), con la condotta descritta nel medesimo capo, cagionava alla Steri Natascia un'abrasione alla mano sinistra giudicata guaribile in giorni 3. In Cagliari il 6 giugno 2007. Con la recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale. Con decreto del 7 febbraio 2007 e' stata disposta la presentazione dell'imputata Lucca Roberta davanti a questo Tribunale per la convalida dell'arresto ed il contestuale giudizio direttissimo, per rispondere del reato di cui al capo a) della rubrica. Nel corso dell'udienza di convalida dell'arresto, tenutasi in data odierna, il p.m. contestava l'ulteriore reato di cui al capo b). L'arresto della predetta veniva convalidato con l'applicazione alla Lucca della misura cautelare della custodia in carcere (non potendo, tra l'altro, essere disposti gli arresti domiciliari per il divieto di cui all'art. 284, comma 5-bis, c.p.p.), ritenuta la sussistenza dell'esigenza cautelare di cui all'art. 274 lett. c) c.p.p. L'imputata, anche tramite i rispettivi difensori di fiducia, chiedeva quindi di essere giudicata con rito abbreviato. ll pubblico ministero chiedeva la condanna dell'imputata per i reati contestati alla pena finale di anni due e mesi otto di reclusione ed euro 600 di multa, mentre il difensore ne ha chiesto la condanna al minimo della pena, previa riqualificazione del reato di cui al capo a) come furto. Dall'esame degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero ed in particolare dai verbali di arresto e di ricezione di denuncia e dalla documentazione medica in atti, emerge che in data 6 febbraio 2007 Lucca Roberta, dopo essersi impossessata di un paio di occhiali, sottratti dall'esercizio commerciale indicato in imputazione, mentre si allontanava, al tentativo della persona offesa Steri Natascia di fermarla, le assestava uno spintone, afferrandola anche alle mani e procurandole (come attestato dal certificato medico rilasciato dall'Ospedale SS. Trinita' di Cagliari), un'abrasione alla mano sinistra giudicata guaribile in tre giorni. Solo allora l'imputata restituiva gli occhiali alla Steri, dicendole di lasciarla andare via; interveniva, quindi, personale del Commissariato di P.S. di Cagliari-S. Avendrace, che procedeva all'arresto in flagranza di reato, rinvenendo nella borsetta della Lucca anche un altro paio di occhiali, sottratti nello stesso negozio il giorno precedente. Dalle complessive emergenze processuali si ricava una chiara convergenza degli elementi probatori raccolti a sostegno della responsabilita' dell'imputata per i fatti contestati. Tuttavia, la valutazione delle modalita' del fatto, e in particolare della limitata gravita' delle lesioni riportate dalla persona offesa e del valore non elevato degli oggetti sottratti, oltre che delle condizioni di vita e dello stato di tossicodipendenza dell'imputata, inducono a ritenere ravvisabili, nel caso di specie, le attenuanti di cui agli artt. 62, n. 4, e 62-bis, c.p. Cio' detto, non puo', peraltro, non rilevarsi, a questo punto che il giudizio di comparazione tra le predette circostanze attenuanti e la contestata recidiva reiterata deve limitarsi alla sola equivalenza delle circostanze (ovvero alla subvalenza delle attenuanti rispetto alle aggravanti) a mente della previsione contenuta all'art. 69, comma 4, c.p., come novellato dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, mentre nel caso concreto le attenuanti suddette sarebbero da considerare prevalenti, operazione oggi impedita dal disposto dell'art. 69 comma 4 c.p. La norma in riferimento, ad avviso del giudicante, appare seriamente sospetta di incostituzionalita' per violazione degli artt. 3, 25, comma 2 e 27 commi 1 e 3 della Costituzione. Questo giudice non ignora che la Corte costituzionale ha piu' volte affermato che rientra nella discrezionalita' del legislatore la determinazione della quantita' e qualita' della sanzione penale; tuttavia, in numerose pronunce (cfr. ordinanze n. 438 del 2001, n. 207 del 1999, n. 435 del 1998), la stessa Corte ha precisato che l'esercizio di tale discrezionalita' puo' essere sindacato quando non venga rispettato il limite della ragionevolezza e si dia quindi luogo ad una disparita' di trattamento palesemente irragionevole. Ora, la disposizione di cui all'art. 69, comma 4, c.p., che fa divieto al giudice di valutare le attenuanti suddette prevalenti sulla recidiva reiterata, appare irragionevole sotto molteplici profili. In primo luogo, finisce per punire allo stesso modo violazioni della medesima norma incriminatrice di gravita' e portata offensiva concrete differenti; in secondo luogo, determina la conseguenza di punire differentemente fatti identici diversificati solo dal fatto che l'autore sia o no recidivo reiterato. In entrambe le ipotesi, la recidiva reiterata configura una condizione di pericolosita' presunta che giustifica, di per se' solo, il piu' grave trattamento sanzionatorio, e cio' a prescindere dalla valutazione delle circostanze che connotano il caso concreto, in violazione del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. Peraltro, la stessa giurisprudenza costituzionale ha avuto modo di precisare che la presunzione di pericolosita' contrasta con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost. quando non abbia fondamento nell'id quod plerumque accidit ed a cio' consegua l'indiscriminata applicazione di misure identiche in situazioni differenti (sent. Corte cost. n. 1 del 1971, n. 106 del 1972 e 139 del 1982). E' di tutta evidenza il fatto che l'introduzione, ad opera della norma censurata, di un meccanismo di automatismo sanzionatorio comporta il contrasto con i principi sopra riportati giacche' legittima l'omologazione dei recidivi reiterati sul presupposto di una pericolosita' presunta in via assoluta, qualunque sia il titolo dei delitti oggetto delle precedenti condanne e di quello cui si riferisce l'attuale condanna, nonche' qualunque sia l'epoca dei delitti gia' giudicati. L'aggravamento sanzionatorio collegato alla mera contestazione della recidiva reiterata (ed alla presunzione di pericolosita' ad essa collegata) impone, inoltre, l'irrogazione di pene elevate, a prescindere dalla graduazione delle stesse alla effettiva gravita' dei fatti. Sotto questo profilo il divieto introdotto dalla norma censurata collide altresi' con i principi ricavabili dagli artt. 25, comma 2, e 27, commi 1 e 3, della Costituzione. La finalita' del giudizio di comparazione previsto dall'art. 69 c.p., laddove attribuisce al giudice la valutazione della prevalenza od equivalenza in caso di concorso di circostanze aggravanti ed attenuanti, e' quella di giudicare il fatto delittuoso nella sua interezza e complessita', tenuti presenti anche le circostanze inerenti alla persona del colpevole e gli elementi, positivi o negativi, che qualificano il reato ed il suo autore laddove significativi e decisivi; cio' al fine di conseguire il perfetto adeguamento della pena al caso concreto. ll principio di legalita' garantito dall'art. 25, comma 2, Cost., sancisce un legame indissolubile tra la sanzione penale e la commissione di un «fatto», senza consentire la punizione della mera pericolosita' del reo o il suo atteggiamento interiore. Alla ineliminabile funzione retributiva della pena deve, inoltre, essere associata quella rieducativa, in termini di necessaria coesistenza, senza possibilita' di obliterazione dell'una a vantaggio dell'altra. Pertanto, solo l'adeguamento della risposta punitiva al caso concreto, attraverso l'individualizzazione di una pena che tenga conto dell'effettiva entita' e delle caratteristiche del singolo caso contribuisce a rendere operativo il principio della responsabilita' penale «personale», finalizzando la pena nella prospettiva indicata dall'art. 27, comma 3, Cost. e garantendo l'attuazione dell'eguaglianza del cittadino di fronte alle pene, intesa come proporzione rispetto alle «personali» responsabilita'. Al contrario, la norma introdotta dalla legge n. 251/2005 nel testo dell'art. 69, comma 4, c.p., escludendo per il caso del recidivo reiterato il giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti, impedisce al giudice di adeguare la pena al caso concreto, imponendo l'irrogazione di pene sproporzionate rispetto alla effettiva gravita' del fatto e vanificando la funzione rieducativa della sanzione penale e le sue finalita' di prevenzione generale e speciale. Analoghe considerazioni possono svolgersi in relazione al vincolo imposto dall'art. 81, comma 4 c.p. in relazione alla misura dell'aumento di pena previsto per i recidivi nel caso di cui al comma 4 dell'art. 99 c.p., non inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato piu' grave e, nel caso di specie, anche con determinazione nel minimo edittale della pena base, non inferiore, per la pena detentiva, ad otto mesi di reclusione, a fronte di lesioni, seppure aggravate, di limitata gravita' (abrasione giudicata guaribile in tre giorni). La questione rilevata d'ufficio appare, dunque, rilevante nel giudizio de quo (dovendo il giudice emettere sentenza di condanna a pena non rapportata alla effettiva gravita' del fatto, come sopra descritta) e non manifestamente infondata alla luce delle argomentazioni sopra riportate.