ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 218,
della  legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione
del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - legge finanziaria
2006)  promossi,  in riferimento, nel complesso, agli articoli 3, 24,
36,  42,  97,  101,  102,  103,  104  e  113  della Costituzione, con
ordinanze del 7 aprile 2006 dal Tribunale di Roma, del 15 maggio 2006
dal  Tribunale di Milano, del 15 giugno 2006 dal Tribunale di Lamezia
Terme,  del 23 maggio 2006 dal Tribunale di Ancona, del 24 marzo 2006
dal  Tribunale  di  Taranto,  del  5 maggio  2006  dal  Tribunale  di
Oristano, del 13 aprile 2006 dalla Corte di Appello di L'Aquila e del
5  giugno 2006  dal  Tribunale di Ancona, rispettivamente iscritte ai
numeri 236, 461, 505, 532, 574, 617, 669 e 701 del registro ordinanze
del  2006  e  pubblicate  nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica
numeri  29,  44,  46,  48  e  50, 1ª serie speciale, dell'anno 2006 e
numeri 3 e 7, 1ª serie speciale, dell'anno 2007.
    Visti  gli  atti di costituzione di Laura Bux e Diego Portaluppi,
di Rosalia Presti, di Maria Lobozzo e Francesco Sauro, di Maria Piera
Masciadri,  di  Carolina  Di Guida (fuori termine), nonche' l'atto di
intervento  di Paola Giordani e gli atti di intervento del Presidente
del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza pubblica dell'8 maggio 2007 e nella Camera di
consiglio   del  successivo  9 maggio  il  giudice  relatore  Alfonso
Quaranta;
    Uditi  gli  avvocati  Luisa  Torchia  per  Maria Piera Masciadri,
Isacco  Sullam  e  Arturo Salerni per Rosalia Presti, Alberto Guariso
per  Maria  Lobozzo e Francesco Sauro, Stefano Nespor per Laura Bux e
Diego  Portaluppi  e  l'avvocato  dello  Stato Giuseppe Fiengo per il
Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.-  Il  Tribunale  di  Milano,  con ordinanza del 15 maggio 2006
(r.o.  n. 461  del 2006), ha sollevato - in riferimento agli artt. 3,
24,  101,  102, 104, 113 e 42 della Costituzione, nonche' ai principi
di  ragionevolezza, di tutela del legittimo affidamento e di certezza
delle    situazioni    giuridiche   -   questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art. 1, comma 218, della legge 23 dicembre 2005,
n. 266  (Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale  dello Stato - legge finanziaria 2006), il quale, facendo
salva  l'esecuzione  dei  giudicati formatisi alla data di entrata in
vigore  della  legge  medesima,  ha  stabilito,  tra  l'altro, che il
comma 2   dell'articolo 8   della   legge   3 maggio   1999,   n. 124
(Disposizioni   urgenti  in  materia  di  personale  scolastico),  si
interpreta  nel  senso  che il personale degli enti locali trasferito
nei  ruoli  del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA)
statale  e'  inquadrato,  nelle  qualifiche  funzionali e nei profili
professionali  dei  corrispondenti  ruoli  statali,  sulla  base  del
trattamento   economico   complessivo   in   godimento  all'atto  del
trasferimento.
    L'ordinanza  di rimessione e' stata emessa nel giudizio avente ad
oggetto  la  controversia  tra  la signora Vita Giacone, il Ministero
dell'istruzione,  dell'universita' e della ricerca, ed altro, nonche'
quindici    cause,    alla    medesima    riunite,   tutte   vertenti
sull'applicazione  del  suddetto  art. 8, comma 2, della legge n. 124
del 1999.
    Tale norma, a sua volta, nel prevedere che il personale ATA degli
istituti  e  scuole  statali di ogni ordine e grado, dipendente dagli
enti locali, in servizio nelle istituzioni scolastiche statali, fosse
trasferito  nei  ruoli del personale ATA statale, ed inquadrato nelle
qualifiche  funzionali e nei profili professionali corrispondenti per
lo  svolgimento  dei  compiti  propri  dei  predetti  profili - ferma
restando l'opzione per l'ente di appartenenza qualora le qualifiche e
i  profili non avessero trovato corrispondenza - aveva stabilito, tra
l'altro,   che  a  detto  personale  venisse  riconosciuta,  ai  fini
giuridici ed economici, l'anzianita' maturata presso l'ente locale di
provenienza.
    2.  -  In  primo  luogo, il rimettente, che non ritiene possibile
accedere  ad  un'interpretazione  costituzionalmente  orientata della
disposizione  in  esame,  delinea  il  quadro  normativo  in  cui  si
inserisce la norma censurata.
    In  particolare,  il Tribunale fa riferimento all'accordo in data
20 luglio  2000  siglato dall'Agenzia per la rappresentanza negoziale
delle  pubbliche  amministrazioni  (ARAN)  e dai rappresentanti delle
organizzazioni  e confederazioni sindacali e recepito con decreto del
Ministro  della  pubblica  istruzione,  di  concerto  con  i Ministri
dell'interno,   del  tesoro,  del  bilancio  e  della  programmazione
economica  e per la funzione pubblica, del 5 aprile 2001 (Recepimento
dell'accordo   ARAN   -   Rappresentanti   delle   organizzazioni   e
confederazioni  sindacali  in  data  20 luglio  2000,  sui criteri di
inquadramento  del  personale  gia'  dipendente  degli  enti locali e
transitato nel comparto scuola), e rileva come l'ARAN - pronunciatasi
ai  sensi  dell'art. 64 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165
(Norme  generali  sull'ordinamento  del  lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni  pubbliche)  -  abbia  chiarito  che detto atto trova
fondamento  nell'art. 3  del  decreto  del  Ministro  della  pubblica
istruzione  di  concerto con i Ministri dell'interno, del tesoro, del
bilancio e della programmazione economica e per la funzione pubblica,
del 23 luglio 1999 (Trasferimento del personale ATA dagli enti locali
allo Stato, ai sensi dell'art. 8 della legge 3 maggio 1999, n. 124) e
non, invece, nella contrattazione collettiva.
    3.-  Il  rimettente,  quindi, nel prospettare che la disposizione
censurata  innoverebbe, con carattere retroattivo, il contenuto della
norma  che  pretende  di  interpretare, rileva come, salvo che per la
materia  penale, il legislatore ben possa emanare norme con efficacia
retroattiva  -  interpretative  o  innovative  che siano - purche' la
retroattivita'   trovi   adeguata  giustificazione  sul  piano  della
ragionevolezza  e  non  si  ponga  in  contrasto  con  altri valori e
interessi costituzionalmente protetti.
    Nella  fattispecie in esame, invece, si paleserebbe un insanabile
conflitto con l'art. 3 della Costituzione.
    Ed   infatti,   l'art. 8   della  legge  n. 124  del  1999,  come
interpretato   dalla   Corte   di  cassazione  (sono  richiamate,  in
particolare,  le sentenze numeri 3224, 3225, 3356, 4722, 7747, 10576,
18653,   18829  del  2005),  nello  stabilire  il  trasferimento  del
personale  ATA,  dipendente  dagli  enti  locali, all'amministrazione
statale,  avrebbe  sancito  il  principio per cui lo stesso personale
avrebbe  dovuto essere considerato uguale al corrispondente personale
ATA  dello  Stato  attraverso il riconoscimento, ai fini giuridici ed
economici,   dell'anzianita'   maturata   presso   l'ente  locale  di
provenienza.
    Diversamente,   la   disposizione   censurata  determinerebbe  la
coesistenza, pure in presenza di parita' di mansioni e di anzianita',
di  regimi  giuridici  diversi  dando  luogo,  in  tale  modo, ad una
illegittima disparita' di trattamento.
    3.1.  -  Il  carattere  retroattivo della norma in esame, insieme
alla    natura    innovativa   della   stessa,   si   contrapporrebbe
all'interpretazione ormai consolidata offerta dalla giurisprudenza di
legittimita' e verrebbe ad incidere sui giudizi in corso, «ponendosi,
cosi',  in  violazione dei principi costituzionali di ragionevolezza,
di  tutela  del  legittimo affidamento e di certezza delle situazioni
giuridiche  e  (...)  risultando  invasiva  della  sfera riservata al
potere giudiziario, con violazione dei principi costituzionali di cui
agli artt. 24, 101, 102, 104 e 113 della Costituzione».
    4.  - La disposizione in esame, tuttavia, ad avviso del Tribunale
di  Milano, non sarebbe esente da vizi, anche qualora si riconoscesse
alla stessa natura interpretativa.
    In  primo  luogo,  la  scelta  imposta  da  tale disposizione non
rientrerebbe   tra   le  possibili  varianti  di  lettura  del  testo
originario; in secondo luogo, in ordine all'applicazione dell'art. 8,
comma 2,  della  legge n. 124 del 1999, si sarebbe formato un diritto
vivente,  in  ragione  della  giurisprudenza  univoca  della Corte di
cassazione;   infine,   la   non   prevedibilita'   della   soluzione
interpretativa  offerta dal legislatore rispetto a quella affermatasi
nella  prassi,  «oltre  che  in  relazione  ai  principi  generali di
ragionevolezza  e  di  uguaglianza», indurrebbe a ritenere violato il
principio    dell'affidamento    dei    consociati   nella   certezza
dell'ordinamento giuridico.
    Pertanto,  il  comma 218 dell'art. 1 della legge n. 266 del 2005,
anche  se  inteso  quale norma interpretativa, confliggerebbe con gli
artt. 3, 24, 101, 102, 104 e 113 della Costituzione.
    5.  -  Infine,  ad  avviso  del  rimettente,  la norma denunciata
violerebbe anche l'art. 42 della Costituzione, in quanto i diritti di
carattere   economico,   derivanti   dall'applicazione   dell'art. 8,
comma 2,  della  legge  n. 124  del  1999, al momento dell'entrata in
vigore  della norma impugnata sarebbero gia' entrati a fare parte del
patrimonio  dei  dipendenti  trasferiti negli organici dello Stato, i
quali,  pertanto,  sarebbero  stati  «espropriati  in  ragione  della
novella di cui alla legge n. 266 del 2005».
    Nella  specie,  inoltre, non sussisterebbero ragioni di interesse
generale   tali  da  legittimare  l'espropriazione  della  proprieta'
privata.
    6.  -  Si sono costituite nel giudizio alcune delle parti private
ricorrenti  nel  giudizio  a  quo, svolgendo argomentazioni difensive
che,  sostanzialmente, riprendono quelle prospettate dal Tribunale di
Milano, alle cui conclusioni le parti stesse aderiscono.
    Con  atto  depositato  il  9 novembre  2006 si sono costituiti in
giudizio i signori Laura Bux e Diego Portaluppi, chiedendo anche essi
la   declaratoria   di   illegittimita'  costituzionale  della  norma
censurata.
    Il  successivo  16 novembre ha depositato atto di costituzione la
signora    Rosalia    Presti,   che   ha   dedotto   l'illegittimita'
costituzionale  della norma in questione anche ai sensi dell'artt. 97
della Costituzione.
    Il 23 novembre 2006 si sono costituiti, altresi', i signori Maria
Lobozzo  e  Francesco  Sauro,  i  quali  hanno  anch'essi prospettato
l'illegittimita'  della  disposizione  denunciata  per  contrasto con
l'art. 97 della Costituzione.
    In data 28 novembre 2006 ha depositato memoria di costituzione la
signora  Maria  Piera  Masciadri,  la  quale  ha  chiesto  che  venga
dichiarata la illegittimita' costituzionale della norma denunciata.
    Infine, in data 7 marzo 2007, si e' costituita, fuori termine, la
signora Carolina Di Guida.
    7.  -  Il  Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto nel
giudizio  con atto depositato il 22 novembre 2006 e ha chiesto che la
questione sia dichiarata inammissibile o non fondata.
    7.1. - La difesa dello Stato rileva, in particolare, che la norma
censurata  avrebbe tenuto conto del diverso criterio di calcolo della
retribuzione  previsto,  da  un  lato,  dal  contratto collettivo del
comparto scuola, dall'altro, da quello del comparto enti locali.
    Deduce,   quindi,   che   quest'ultimo   criterio  individuerebbe
un'articolazione  della  retribuzione  correlata, precipuamente, alle
funzioni svolte.
    La    disposizione    in   esame,   inoltre,   consentirebbe   di
salvaguardare,  da un lato, i diritti quesiti dei singoli dipendenti,
dall'altro,  il  vincolo finanziario connesso alla mancata previsione
di  maggiori  oneri  per  il  bilancio  statale,  anche  con riguardo
all'art. 81 della Costituzione.
    7.2.  -  Il Presidente del Consiglio dei ministri, in ordine alle
censure  formulate  in  relazione  agli artt. 24, 101, 102, 104 e 113
della  Costituzione,  osserva,  quindi,  come non assuma rilievo, nel
giudizio   di   costituzionalita',   il  carattere  interpretativo  o
innovativo  con  efficacia  retroattiva,  della  norma denunciata, in
quanto  questa, in ogni caso, e' soggetta al controllo di conformita'
al canone di ragionevolezza, che nella specie non sarebbe leso.
    Ne' sarebbe configurabile la dedotta violazione dell'art. 3 della
Costituzione,  in  quanto,  da un lato, il reinquadramento operato ha
lasciato   sostanzialmente  inalterate  le  qualifiche  professionali
acquisite  dal personale transitato nei ruoli statali; d'altro canto,
il  criterio  del  maturato economico ha consentito il riconoscimento
dell'anzianita',  previsto dalla legge n. 124 del 1999, sul piano del
trattamento retributivo.
    7.3.  -  Infine, la difesa dello Stato deduce l'inammissibilita',
oltre  che  la non fondatezza, della censura formulata in riferimento
all'art. 42  della Costituzione, in quanto tale parametro sarebbe del
tutto inconferente.
    8.  -  In  prossimita'  dell'udienza  pubblica, in data 23 aprile
2007,  la signora Maria Piera Masciadri ha depositato memoria, con la
quale, nel confermare le conclusioni gia' formulate, a sostegno delle
medesime ha dedotto, in particolare, che la sostituzione del criterio
dell'anzianita'  con quello del maturato economico avrebbe dato luogo
ad  una  reformatio in peius per il personale ATA gia' inquadrato nei
ruoli  degli  enti  locali,  e  che,  in  ogni  caso,  la mancanza di
copertura  finanziaria non potrebbe comportare la lesione dei diritti
azionati ed esistenti.
    Anche  la signora Rosalia Presti ha depositato, in data 24 aprile
2007,  una memoria. La parte privata ha richiamato, in particolare, a
sostegno  delle  proprie argomentazioni, il parere n. 4142/2003 reso,
in   data   6 luglio   2005,  dal  Consiglio  di  Stato  sul  ricorso
straordinario  al Capo dello Stato relativo all'accordo collettivo di
lavoro  del  comparto  scuola  ed  enti locali stipulato il 20 luglio
2000.
    Una   memoria,   ad   ulteriore   sostegno   della  richiesta  di
declaratoria  di illegittimita' costituzionale della norma censurata,
e'  stata  depositata  anche  dai  signori  Francesco  Sauro  e Maria
Lobozzo.
    9.   -   Analoghe   questioni   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 1,  comma 218,  della  legge  n. 266  del  2005  sono state
sollevate  da  altri  giudici  ordinari  con le ordinanze iscritte ai
numeri  236, 505, 532, 574, 617, 669 e 701 del registro ordinanze del
2006,  per  la trattazione delle quali la Corte e' stata convocata in
Camera di consiglio.
    10. - Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 7 aprile 2006 (r.o.
n. 236  del  2006),  sospetta  di  illegittimita'  costituzionale  la
suddetta  norma  in riferimento agli articoli 3, 102, 103 e 104 della
Costituzione.
    Anche   da  parte  del  suddetto  Tribunale  la  disposizione  e'
sottoposta  al  vaglio  della  Corte  in quanto, nell'interpretare il
comma 2  dell'art. 8 della legge n. 124 del 1999, attribuisce rilievo
-   ai  fini  dell'inquadramento  del  personale  degli  enti  locali
trasferito  nei ruoli del personale ATA statale, comparto scuola - al
solo  criterio  del  trattamento  economico in godimento all'atto del
trasferimento.
    In  tal  modo,  sarebbe  vanificato  il  riconoscimento,  ai fini
giuridici ed economici, dell'anzianita' maturata presso l'ente locale
di  provenienza,  come,  invece, sarebbe sancito dal sopra richiamato
art. 8, comma 2.
    10.1.  -  Il giudice a quo prospetta, innanzitutto, la violazione
dei  principi  di  uguaglianza  e di ragionevolezza di cui all'art. 3
della Costituzione.
    La norma denunciata, infatti, con particolare riguardo al tertium
comparationis  costituito  «dagli  intangibili  principi  del diritto
comune  del  lavoro»,  in  forza  dei quali i diritti e i trattamenti
retributivi   riconosciuti   al   lavoratore   dalla  legge  o  dalla
contrattazione collettiva devono essere valutati nella loro interezza
temporale e sostanziale, determinerebbe una irrazionale disparita' di
trattamento  nell'ambito  del  personale  ATA,  nonche' rispetto alla
generalita'  dei  lavoratori,  sia del settore pubblico che di quello
privato,  che  beneficiano  della disciplina di cui all'art. 2112 del
codice civile e all'art. 31 del d.lgs. n. 165 del 2001.
    Un  ulteriore  profilo  di  censura viene individuato nel diverso
trattamento  stabilito  per  coloro  che  all'entrata in vigore della
norma  censurata  abbiano  gia'  ottenuto un giudicato favorevole. In
proposito,  il  remittente ricorda come la Corte costituzionale abbia
piu'  volte affermato che l'affidamento del cittadino nella sicurezza
giuridica  non puo' essere leso da disposizioni retroattive, le quali
trasmodino  in  un  regolamento irrazionale di situazioni sostanziali
fondate su leggi anteriori.
    Il Tribunale sospetta, altresi', di illegittimita' costituzionale
la  disposizione  in  esame  in  quanto  la  stessa avrebbe carattere
innovativo  retroattivo e non interpretativo, o addirittura contraria
alla norma interpretata.
    Peraltro,  il  rimettente rileva che nessun dubbio interpretativo
in ordine all'art. 8 della legge n. 124 del 1999 si e' palesato nella
giurisprudenza di merito e di legittimita'.
    Infine,   il   Tribunale  sottolinea  come  la  norma  denunciata
violerebbe  gli  articoli 102,  103  e  104 della Costituzione, dando
luogo  ad  una  indebita  invasione  della  sfera riservata al potere
giudiziario,  poiche'  la scelta ermeneutica compiuta non rientra tra
le possibili varianti di lettura del testo interpretato.
    11.  -  E'  intervenuta, con atto depositato il 3 agosto 2006, la
signora  Paola  Giordani,  ricorrente in una causa distinta da quelle
riunite  nel  giudizio  a  quo,  ed  ha  chiesto che venga dichiarata
l'illegittimita' costituzionale della norma censurata.
    La  signora  Giordani  ha  depositato, successivamente, ulteriore
memoria.
    12.  -  Con  atto  depositato  l'8 agosto  2006 il Presidente del
Consiglio  dei  ministri  e'  intervenuto  in  giudizio e ha chiesto,
prospettando  argomentazioni  difensive  analoghe a quelle svolte con
riguardo  all'ordinanza di rimessione del Tribunale di Milano, che la
questione sia dichiarata inammissibile o infondata.
    13.  - Il Tribunale di Lamezia Terme, con ordinanza depositata il
15  giugno 2006  (r.o. n. 505 del 2006), ha sollevato, in riferimento
agli   artt. 3   e   36  della  Costituzione,  nonche'  al  principio
dell'affidamento dei cittadini nella certezza dei rapporti giuridici,
questione   di   legittimita'  costituzionale  dello  stesso  art. 1,
comma 218, della legge n. 266 del 2005.
    Il  rimettente  rileva che la norma denunciata avrebbe modificato
radicalmente  i termini giuridici della vicenda relativa al passaggio
del personale ATA dal ruolo degli enti locali a quello dello Stato.
    Tale norma, infatti, pur facendo salva l'esecuzione dei giudicati
formatisi  alla  data  della  sua  entrata  in vigore, avrebbe natura
innovativa  con  efficacia  retroattiva e, quindi, trova applicazione
nei giudizi in corso.
    La norma stessa e' sospettata di illegittimita' costituzionale in
relazione,  altresi', alla violazione del diritto ad una retribuzione
proporzionata  alla  qualita' e quantita' del lavoro prestato, di cui
all'art. 36 Cost.
    Ed  infatti, il legislatore avrebbe modificato retroattivamente e
in modo peggiorativo, per il personale ATA gia' alle dipendenze degli
enti  locali,  il  diritto  al trattamento retributivo parametrato al
contratto collettivo del comparto Stato.
    14.  -  Con  ordinanza del 23 maggio 2006 (r.o. n. 532 del 2006),
anche  il Tribunale di Ancona ha censurato la stessa disposizione, in
riferimento  agli  artt. 3  (ragionevolezza ed uguaglianza), 36, 101,
102  e  104  della  Costituzione,  nonche'  ai  principi della tutela
dell'affidamento   e   della  coerenza  e  certezza  dell'ordinamento
giuridico.
    Ad  avviso del giudice a quo, la norma in esame avrebbe carattere
innovativo  con efficacia retroattiva e sarebbe lesiva dei richiamati
parametri costituzionali.
    Ed  infatti, in ragione del contenuto precettivo della stessa, si
determinerebbe   una  disparita'  di  trattamento  che  violerebbe  i
principi  della  ragionevolezza  e dell'uguaglianza tra gli operatori
scolastici, tutti dipendenti statali.
    L'effetto   retroattivo  e  peggiorativo  della  norma,  inoltre,
rileverebbe  sul  piano  del  legittimo  affidamento, con conseguente
ulteriore    violazione   dei   gia'   richiamati   parametri   della
ragionevolezza e dell'uguaglianza, di cui all'art. 3 Cost.
    La  norma  lederebbe,  altresi', l'art. 36 della Costituzione, in
quanto  inciderebbe  sul diritto alla retribuzione proporzionata alla
quantita'  e  qualita'  del  lavoro  svolto  e  invaderebbe  la sfera
riservata al potere giudiziario.
    15.  -  Il  Tribunale  di  Taranto,  con  ordinanza depositata il
24 marzo  2006 (r.o. n. 574 del 2006), ha sollevato analoga questione
di  costituzionalita', in riferimento agli artt. 3, primo comma, 101,
102 e 104 della Costituzione.
    La  norma  censurata,  ad  avviso  del  rimettente, introdurrebbe
un'interpretazione  contrastante  con  i principi di uguaglianza e di
ragionevolezza  e,  comunque,  non necessaria, in quanto, da un lato,
non  interverrebbe  su alcun contrasto giurisprudenziale, dall'altro,
interpreterebbe  l'art. 8,  comma 2,  della  legge  n. 124  del 1999,
chiaro nel suo contenuto precettivo.
    Essa, infatti, determinerebbe un'interpretazione dell'art. 31 del
d.lgs.  n. 165  del  2001 differente da quella valevole per gli altri
dipendenti    pubblici,    con   parziale   deroga   all'applicazione
dell'art. 2112   cod.   civ.,   in  contrasto  con  il  principio  di
uguaglianza, per l'assenza di ragioni giustificative tali da palesare
la ragionevolezza della scelta legislativa.
    16.  -  Il  Tribunale  di  Oristano,  con ordinanza depositata il
5 maggio  2006  (r.o.  n. 617  del  2006),  ha denunciato la medesima
disposizione,  in  riferimento  agli  artt. 3,  101,  102 e 104 della
Costituzione,  nonche'  ai principi del legittimo affidamento e delle
certezza  dei  rapporti  preteriti, della stabilita' e della coerenza
nella disciplina generale dei rapporti di lavoro.
    In   relazione   all'art. 3   Cost.,  il  rimettente  deduce,  in
particolare,  che  l'efficacia  retroattiva  della norma lederebbe il
principio  del  legittimo  affidamento,  senza  che siano rinvenibili
ragioni atte a giustificare la diversita' della disciplina giuridica,
che  non  possono ravvisarsi con riguardo alle esigenze della finanza
pubblica,  dal momento che la disposizione censurata riguarda solo il
personale ATA e non la fiscalita' generale.
    L'art. 1,   comma 218,  della  legge  finanziaria  per  il  2006,
inciderebbe,  altresi',  sulle  attribuzioni  del potere giudiziario,
cosi'  violando  gli  artt. 101,  102 e 104 della Costituzione. Esso,
infatti,  sarebbe  destinato ad essere applicato ai giudizi in corso,
venendo a determinarne l'esito.
    17.  -  La  Corte  di  Appello  di  L'Aquila,  con  ordinanza del
13 aprile  2006  (r.o.  n. 669  del  2006),  ha  sollevato  anch'essa
questione   di   legittimita'   costituzionale   del  citato  art. 1,
comma 218, in riferimento all'art. 3 Cost.
    Ad  avviso della rimettente, l'applicazione della norma censurata
darebbe  luogo ad una inevitabile e non riassorbibile, neppure con il
decorso  del  tempo,  disparita'  di  trattamento  tra lavoratori con
mansioni del tutto analoghe e vicende lavorative pregresse simili.
    Tale  discriminazione non appare neppure giustificata da esigenze
economiche  del  pubblico erario, dal momento che non sussisterebbero
motivi  per i quali vantaggi e svantaggi non debbano essere equamente
ripartiti tra tutti i soggetti che si trovino in condizioni simili.
    18.  -  Infine,  il  Tribunale  di  Ancona,  con  ordinanza del 5
giugno 2006  (r.o.  n. 701  del  2006), ha censurato, a sua volta, la
medesima disposizione, in riferimento agli artt. 3, 36 e 97 Cost.
    Ad  avviso  del rimettente, detta disposizione determinerebbe una
non  ragionevole  disparita' di trattamento nell'ambito del personale
ATA,  che  contrasta  con  la scelta legislativa operata dall'art. 8,
comma 2,  della  legge  n. 124  del  1999, in osservanza dei principi
costituzionali  di  uguaglianza  (art. 3 Cost.), di pari dignita' dei
lavoratori   (art. 36   Cost.),   di   imparzialita'  della  pubblica
amministrazione (art. 97 Cost.).
    19.  -  Nei  giudizi  di  costituzionalita' di cui alle ordinanze
iscritte ai numeri 617, 669 e 701 del registro ordinanze del 2006, e'
intervenuto   il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  con  il
patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, depositando autonome
memorie che richiamano le difese gia' svolte in merito alle ordinanze
del   Tribunale   di   Milano  e  del  Tribunale  di  Roma  iscritte,
rispettivamente, ai numeri 461 e 236 del registro ordinanze del 2006.

                       Considerato in diritto

    1. - Vengono all'esame della Corte piu' ordinanze di rimessione -
la prima trattata nell'udienza pubblica dell'8 maggio 2007 e le altre
nella  Camera  di consiglio del successivo 9 maggio - con le quali il
Tribunale  di  Milano  (r.o.  n. 461  del 2006), il Tribunale di Roma
(r.o.  n. 236  del  2006), il Tribunale di Lamezia Terme (r.o. n. 505
del  2006),  il Tribunale di Ancona (r.o. numeri 532 e 701 del 2006),
il  Tribunale  di  Taranto  (r.o.  n. 574  del 2006), il Tribunale di
Oristano  (r.o.  n. 617  del  2006),  la Corte di Appello di L'Aquila
(r.o.  n. 669  del  2006)  hanno  sollevato questioni di legittimita'
costituzionale  dell'art. 1, comma 218, della legge 23 dicembre 2005,
n. 266  (Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale  dello  Stato  -  legge  finanziaria  2006), prospettando
diverse censure.
    1.1.  -  In ragione della analogia delle questioni sollevate deve
essere  disposta  la  riunione  dei  giudizi,  ai  fini  di  un'unica
trattazione e di un'unica pronuncia.
    2.  - La disposizione sottoposta al vaglio della Corte stabilisce
che «il comma 2 dell'articolo 8 della legge 3 maggio 1999, n. 124, si
interpreta  nel  senso  che il personale degli enti locali trasferito
nei  ruoli  del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA)
statale  e'  inquadrato,  nelle  qualifiche  funzionali e nei profili
professionali  dei  corrispondenti  ruoli  statali,  sulla  base  del
trattamento   economico   complessivo   in   godimento  all'atto  del
trasferimento,  con  l'attribuzione  della  posizione  stipendiale di
importo  pari  o  immediatamente  inferiore  al  trattamento annuo in
godimento  al  31 dicembre  1999  costituito  dallo  stipendio, dalla
retribuzione   individuale   di   anzianita'   nonche'  da  eventuali
indennita',   ove   spettanti,   previste  dai  contratti  collettivi
nazionali di lavoro del comparto degli enti locali, vigenti alla data
dell'inquadramento.   L'eventuale   differenza  tra  l'importo  della
posizione  stipendiale  di  inquadramento  e  il trattamento annuo in
godimento al 31 dicembre 1999, come sopra indicato, viene corrisposta
ad  personam e considerata utile, previa temporizzazione, ai fini del
conseguimento  della successiva posizione stipendiale. E' fatta salva
l'esecuzione  dei  giudicati formatisi alla data di entrata in vigore
della presente legge».
    3.  -  I  rimettenti  sospettano di illegittimita' costituzionale
tale  disposizione,  in  quanto  essa  lederebbe,  nel complesso, gli
articoli 3,  24,  36,  42,  97,  101,  102,  103,  104  e  113  della
Costituzione. Deducono, altresi', il suo contrasto con i principi del
diritto comune del lavoro e della disciplina generale dei rapporti di
lavoro,  di  ragionevolezza, di tutela del legittimo affidamento e di
certezza  delle situazioni giuridiche, e l'impossibilita' di accedere
ad una lettura conforme a Costituzione della disposizione medesima.
    4.  -  Le  censure prospettate nelle diverse ordinanze, formulate
con  argomentazioni  che,  pur  non  coincidendo,  sostanzialmente si
sovrappongono, possono essere ricondotte ai profili di illegittimita'
costituzionale di seguito esposti.
    I  rimettenti dubitano, innanzitutto, della natura interpretativa
della  norma  in esame e sottolineano, a questo riguardo, come, salvo
che  per  la  materia  penale, il legislatore possa emanare norme con
efficacia  retroattiva  -  interpretative  o  innovative  che siano -
purche' la retroattivita', da un lato, trovi adeguata giustificazione
sul piano della ragionevolezza, dall'altro, non si ponga in contrasto
con altri valori costituzionalmente protetti.
    Ricordano,   quindi,   come   la   legge  3 maggio  1999,  n. 124
(Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico), disponendo
il  trasferimento  del  personale  ATA  dipendente  dagli enti locali
all'amministrazione  statale,  avrebbe stabilito il principio per cui
lo  stesso  personale  doveva  essere assimilato - tenuto conto anche
dell'identita'  delle mansioni svolte nei vari profili - al personale
ATA  statale,  attraverso  il  riconoscimento,  ai  fini giuridici ed
economici, dell'anzianita' maturata presso l'ente di provenienza.
    In  contrasto  con  tale  principio  la  disposizione  censurata,
innovando   con  efficacia  retroattiva  la  disciplina  di  settore,
determinerebbe,  nella  categoria  del personale ATA, la coesistenza,
pur  a  parita'  di  mansioni  e di anzianita', di tre diversi regimi
giuridici,  dando  luogo, in tale modo, ad una illegittima disparita'
di trattamento.
    In  ogni  caso, la disposizione stessa, sarebbe viziata pur se le
si  riconoscesse  carattere interpretativo, dal momento che essa, fin
dall'origine,  non  avrebbe  dato  luogo a dubbi di interpretazione e
introdurrebbe una irragionevole disparita' di trattamento, lesiva del
principio di uguaglianza.
    4.1.   -   La   norma  in  esame  si  contrapporrebbe,  altresi',
all'interpretazione,  ormai  consolidata, tanto da costituire diritto
vivente,  offerta  dalla  giurisprudenza  formatasi  in  materia,  si
riverbererebbe  sui  giudizi  in  corso,  incidendo  sui  principi di
ragionevolezza,  di  tutela  del  legittimo affidamento e di certezza
delle   situazioni   giuridiche,   nonche'   (come   prospettato,  in
particolare,  dal  Tribunale di Roma e dal Tribunale di Oristano) sui
principi  del  diritto  comune  del  lavoro  e  della  disciplina dei
rapporti  di  lavoro,  e  invaderebbe  la  sfera  riservata al potere
giudiziario,    con    la   conseguente   violazione   dei   principi
costituzionali  di  cui agli artt. 24, 101, 102, 103, 104 e 113 della
Costituzione.
    5.  -  Sotto  altro  aspetto,  la  disposizione impugnata sarebbe
lesiva degli artt. 36, 42 e 97 della Costituzione.
    In  particolare,  il Tribunale di Milano, nell'invocare l'art. 42
Cost.,   deduce  che  i  diritti  di  carattere  economico  derivanti
dall'applicazione  dell'art. 8, comma 2, della legge n. 124 del 1999,
al  momento  dell'entrata  in  vigore  della norma di interpretazione
autentica,  sarebbero  gia'  acquisiti  al  patrimonio dei dipendenti
trasferiti  negli  organici dello Stato, i quali, pertanto, sarebbero
stati  «espropriati in ragione della novella di cui alla legge n. 266
del 2005».
    A  loro  volta,  il  Tribunale di Lamezia Terme e il Tribunale di
Ancona  lamentano  la  violazione  dell'art. 36  Cost.,  in quanto la
disposizione  in  esame lederebbe il diritto degli interessati ad una
retribuzione  proporzionata  alla  qualita'  e  quantita'  del lavoro
prestato e, quindi, la pari dignita' dei lavoratori.
    Sempre  il  Tribunale di Ancona deduce, infine, la violazione del
principio  di  imparzialita'  della  pubblica  amministrazione di cui
all'art. 97 della Costituzione.
    6.  -  Si sono costituite, tempestivamente, nel presente giudizio
alcune   delle  parti  private,  ricorrenti  nei  giudizi  a  quibus,
svolgendo  argomentazioni  difensive  che  sostanzialmente richiamano
quelle  prospettate  dai  giudici rimettenti, alle cui conclusioni le
stesse  aderiscono,  e invocando anch'esse, quale ulteriore parametro
per il vaglio di costituzionalita', l'art. 97 della Costituzione.
    In  data  7 marzo  2007  si  e'  costituita  in giudizio anche la
signora   Carolina  Di  Guida,  parte  nel  giudizio  a  quo  di  cui
all'ordinanza  n. 461  del  2006,  che ha concluso negli stessi sensi
sopra indicati.
    Nel  giudizio  relativo all'ordinanza del Tribunale di Roma (r.o.
n. 236 del 2006) e' intervenuta la signora Paola Giordani.
    7.  -  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri, ritualmente
intervenuto  nei giudizi di costituzionalita' relativi alle questioni
sollevate  con le ordinanze numeri 236, 461, 617, 669 e 701 del 2006,
ha  chiesto  che  le  stesse  siano  dichiarate  inammissibili  o non
fondate.
    8.  - In via preliminare, deve essere dichiarata inammissibile la
prospettazione,  ad  opera di alcune delle parti private costituitesi
nel giudizio relativo all'ordinanza n. 461 del 2006, della violazione
di  parametri  costituzionali diversi da quelli evocati dal Tribunale
rimettente;  cio',  in  particolare,  con  riferimento  alla  dedotta
violazione  dell'art. 97 Cost., non richiamato affatto nell'ordinanza
emessa dal Tribunale di Milano.
    Tale  norma  costituzionale  costituisce,  comunque, parametro di
scrutinio  della  legittimita'  della  disposizione ora sottoposta al
vaglio  di  questa  Corte,  in quanto evocata dal Tribunale di Ancona
(r.o. n. 701 del 2006).
    8.1. - Del pari, deve essere dichiarata la inammissibilita' della
costituzione  della signora Carolina Di Guida, che, pur essendo parte
nel  giudizio  a  quo,  si  e'  costituita oltre il termine stabilito
dall'art. 25  della  legge  11 marzo  1953,  n. 87, computato secondo
quanto  previsto  dall'art. 3  delle  norme integrative per i giudizi
davanti   a   questa   Corte,  essendo  tale  termine,  per  costante
giurisprudenza,  perentorio  (si  vedano,  ex  plurimis,  le sentenze
numeri 108 e 190 del 2006).
    8.2.  -  E',  altresi',  inammissibile l'intervento della signora
Paola  Giordani,  in quanto estranea al giudizio a quo, nel quale non
riveste   la  qualita'  di  parte.  Costituisce,  infatti,  principio
costantemente affermato da questa Corte, la necessaria corrispondenza
tra  le  parti del giudizio principale e del giudizio incidentale (si
vedano,  tra  le  molte,  la  sentenza  n. 190 del 2006 e l'ordinanza
n. 352 del 2006).
    9. - Nel merito, la questione non e' fondata.
    I  rimettenti, sostanzialmente, si dolgono del fatto che la norma
censurata  non  avrebbe,  in  realta',  natura  interpretativa  della
disposizione  contenuta  nell'art. 8, comma 2, della legge n. 124 del
1999,  ma  carattere innovativo con efficacia retroattiva; di qui, la
violazione  dei  canoni  di  uguaglianza  e  di ragionevolezza di cui
all'art. 3 della Costituzione.
    In  proposito,  occorre ricordare, innanzitutto, che questa Corte
(per  tutte,  si  veda  la  sentenza  n. 274  del 2006) ha piu' volte
ribadito  che «non e' decisivo verificare se la norma censurata abbia
carattere  effettivamente  interpretativo (e sia percio' retroattiva)
ovvero  sia innovativa con efficacia retroattiva. Infatti, il divieto
di  retroattivita'  della legge - pur costituendo fondamentale valore
di  civilta'  giuridica e principio generale dell'ordinamento, cui il
legislatore  ordinario  deve  in  principio  attenersi - non e' stato
elevato  a  dignita'  costituzionale,  salva per la materia penale la
previsione  dell'art. 25  della Costituzione». Con la stessa sentenza
la Corte ha, altresi', affermato che «il legislatore, nel rispetto di
tale  previsione,  puo'  emanare sia disposizioni di "interpretazione
autentica",  che  determinano  -  chiarendola - la portata precettiva
della  norma  interpretata  fissandola in un contenuto plausibilmente
gia'  espresso  dalla  stessa,  sia  norme  innovative  con efficacia
retroattiva, purche' la retroattivita' trovi adeguata giustificazione
sul  piano  della  ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed
interessi  costituzionalmente  protetti. Ed e', quindi, proprio sotto
l'aspetto    del    controllo   di   ragionevolezza   che   rilevano,
simmetricamente,  la  funzione  di interpretazione autentica, che una
disposizione  sia  in ipotesi chiamata a svolgere, ovvero l'idoneita'
di   una   disposizione   innovativa  a  disciplinare  con  efficacia
retroattiva anche situazioni pregresse in deroga al principio per cui
la legge non dispone che per l'avvenire».
    E'  poi  anche  da  sottolineare, in particolare, che e' costante
l'affermazione  di  questa  Corte  (sentenze numeri 39, 135 e 274 del
2006) nel senso che la norma contenuta nella legge di interpretazione
autentica non puo' ritenersi irragionevole ove si limiti ad assegnare
alla disposizione interpretata un significato gia' in essa contenuto,
riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario.
    10.   -   Cio'   chiarito,   va   osservato  che,  nella  specie,
l'inquadramento  stipendiale  nei  ruoli statali del personale ATA in
ragione  del  cosiddetto  maturato  economico  e  non della effettiva
anzianita'  complessiva  di servizio conseguita presso l'ente locale,
ha  costituito  una  delle  possibili varianti di lettura della norma
(avallata,  tra l'altro, in sede di accordo siglato in data 20 luglio
2000  tra  l'Agenzia  per la rappresentanza negoziale delle pubbliche
amministrazioni  (ARAN)  e  i  rappresentanti  delle organizzazioni e
confederazioni dei dipendenti), contenuta nei decreti ministeriali di
attuazione  dell'art. 8  della  legge  n. 124  del  1999 (decreti del
Ministro  della  pubblica  istruzione,  di  concerto  con  i ministri
dell'interno,   del  tesoro,  del  bilancio  e  della  programmazione
economica  e  per  la funzione pubblica, del 23 luglio 1999, che reca
«Trasferimento  del  personale  ATA  dagli enti locali allo Stato, ai
sensi  dell'art. 8 della legge 3 maggio 1999, n. 124», e del 5 aprile
2001,  che reca «Recepimento dell'accordo ARAN - Rappresentanti delle
organizzazioni e confederazioni sindacali in data 20 luglio 2000, sui
criteri  di  inquadramento  del  personale gia' dipendente degli enti
locali  e transitato nel comparto scuola»). Cio', in particolare, ove
si  consideri  che  il  principio  del  maturato  economico era stato
introdotto,  con  valenza  generale,  fin dalla legge 11 luglio 1980,
n. 312,  recante  «Nuovo assetto retributivo-funzionale del personale
civile e militare dello Stato».
    I  giudici  a  quibus  argomentano,  a sostegno della mancanza di
dubbi  interpretativi,  che,  in  ragione di un indirizzo ermeneutico
univoco  e  costante, i principi affermati dalla Corte di cassazione,
in  primo luogo con la sentenza n. 3224 del 2005, seguita da analoghe
pronunce,    costituirebbero    diritto   vivente   sull'applicazione
dell'art. 8  della  legge  n. 124 del 1999, con la conseguenza che la
norma  ora  censurata  rivelerebbe  il  solo  intento di incidere sui
giudizi  in  corso,  in  tal  modo  violando,  da  un  lato, i canoni
costituzionali di ragionevolezza, di tutela del legittimo affidamento
e  di certezza delle situazioni giuridiche, e risultando, dall'altro,
invasiva  della  sfera  riservata al potere giudiziario, con lesione,
pertanto, degli artt. 24, 101, 102, 103, 104 e 113 Cost.
    Tuttavia,  diversamente  da  quanto  emerge  dalle  ordinanze  di
rimessione,  il  contenuto  fondamentale  delle citate pronunce della
Corte  di  cassazione  si sostanzia, in definitiva, nell'affermazione
che  l'accordo  del  20 luglio 2000 - recepito nel successivo decreto
del  5 aprile 2001 - non puo' derogare a quanto stabilito dalla legge
n. 124 del 1999, in quanto atto privo di efficacia normativa.
    Consegue  che  la  tesi  prospettata  dai  rimettenti si presenta
viziata  da  una  inesatta  ricognizione del diritto vivente, sicche'
essa   risulta   basata  su  un  erroneo  presupposto  interpretativo
(ordinanza n. 332 del 2005).
    Ne',  come  si  e'  gia'  osservato,  puo'  negarsi  che si fosse
determinata   una   situazione   di  oggettiva  incertezza  del  dato
normativo,  in ragione delle diverse interpretazioni possibili, circa
il  riconoscimento  della anzianita' pregressa maturata dal personale
ed  in  assenza, appunto, di un diritto vivente sulla inderogabilita'
dei  criteri  enunciati  dall'art. 8  della legge n. 124 del 1999. Di
conseguenza,  deve  ritenersi  ragionevole  il  ricorso  da parte del
legislatore  alla  interpretazione autentica effettuata con l'art. 1,
comma 218,  della legge n. 266 del 2005, la cui efficacia retroattiva
deve  essere  comunque  valutata alla stregua delle ulteriori censure
sollevate dai rimettenti.
    A cio' e' da aggiungere che, anche a voler escludere il carattere
interpretativo  della  disposizione  censurata  e a volerne ammettere
quello   innovativo,  ma  con  efficacia  retroattiva,  non  potrebbe
giungersi a conclusioni diverse sotto il profilo della ragionevolezza
della disposizione stessa.
    11.   -  Al  riguardo,  occorre  verificare  se  possa  ritenersi
sussistente la denunciata lesione dell'art. 3 Cost., sotto il profilo
del  contrasto  tra  la  norma denunciata ed il tertium comparationis
costituito  dai principi del diritto comune del lavoro, nonche' della
disciplina  dei  rapporti di lavoro, in forza dei quali i diritti e i
trattamenti  retributivi  riconosciuti  al  lavoratore  dalla legge o
dalla  contrattazione  collettiva  devono  essere valutati nella loro
interezza temporale e sostanziale.
    Secondo la prospettazione dei rimettenti, si sarebbe in presenza,
infatti,   di   una  irrazionale  disparita'  di  trattamento  fra  i
lavoratori  ATA,  provenienti  dagli  enti locali, e i lavoratori ATA
inseriti  fin  dall'origine  del  loro  rapporto di impiego nei ruoli
dell'amministrazione  dello  Stato, nonche' tra i lavoratori inseriti
nell'ambito dello stesso comparto di contrattazione collettiva.
    Tale  impostazione,  da un lato, non tiene conto del fatto che il
fluire  del  tempo  -  il  quale  costituisce  di per se' un elemento
diversificatore  che  consente  di  trattare in modo differenziato le
stesse  categorie  di  soggetti, atteso che la demarcazione temporale
consegue  come  effetto  naturale  alla generalita' delle leggi - non
comporta,  di  per  se',  una  lesione  del  principio  di parita' di
trattamento  sancito  dall'art. 3  della  Costituzione  e, dall'altro
lato,   non   considera  la  specificita'  propria  della  disciplina
normativa    dei    due   comparti   di   contrattazione   collettiva
rappresentati,  rispettivamente,  da  quello della scuola e da quello
degli  enti locali (si vedano, ex multis, la sentenza n. 276 del 2005
e  l'ordinanza  n. 190  del  2003).  Sotto questo secondo aspetto, in
particolare,   occorre  tenere  presente  la  strutturale  diversita'
esistente  tra  i sistemi di determinazione del trattamento economico
fatti   propri  dalla  contrattazione  collettiva  nei  due  distinti
comparti  e,  quindi,  del  diverso  ruolo  svolto dall'anzianita' di
servizio maturata da ciascun dipendente.
    Ne'  e'  senza  significato  che  la norma oggetto di censura, la
quale  si ricollega, interpretandola, ad una disposizione a carattere
transitorio,  preserva  il  trattamento  economico  conseguito  dagli
interessati  alla  data del loro trasferimento di ruolo, anche grazie
al  meccanismo  della  eventuale  corresponsione  di  un  assegno  ad
personam,  che debba tener conto della differenza tra l'importo della
posizione  stipendiale  di  inquadramento  e  il trattamento annuo in
godimento   al  31 dicembre  1999.  Detta  differenza  e',  altresi',
considerata  utile, previa temporizzazione, ai fini del conseguimento
della successiva posizione stipendiale.
    In  realta',  la  disciplina  dettata dall'art. 8, comma 2, della
legge  n. 124  del  1999,  come  interpretata  dal  censurato art. 1,
comma 218,  della  legge  n. 266  del  2005,  nasce  dall'esigenza di
armonizzare, con una normativa transitoria di primo inquadramento, il
passaggio  del  personale  in  questione  da  un  sistema retributivo
disciplinato  a  regime  ad  un  altro sistema retributivo ugualmente
disciplinato  a regime, salvaguardando, proprio per quanto attiene al
profilo  economico, i livelli retributivi maturati e attribuendo agli
interessati,   a   partire   dal   nuovo   inquadramento,  i  diritti
riconosciuti  al  personale  ATA  statale.  Tutto  cio' allo scopo di
rendere,  almeno  tendenzialmente, omogeneo il sistema retributivo di
tutti  i  dipendenti  ATA,  al di la' delle rispettive provenienze e,
comunque,   salvaguardando  il  diritto  di  opzione  per  l'ente  di
appartenenza  nel  caso  di  mancata  corrispondenza  di qualifiche e
profili.
    12.  -  Sotto  altro  non  meno  rilevante  aspetto,  non si puo'
omettere di osservare che l'operazione di trasferimento del personale
ATA  proveniente  dagli  enti  locali nei ruoli del personale ATA fin
dall'origine  statale, e' stata configurata dalla stessa legge n. 124
del  1999 sulla base del principio della invarianza della spesa; e di
cio'  si  ha la conferma considerando che in detta legge non e' stata
prevista  - a questo scopo - alcuna copertura finanziaria di maggiori
oneri,  come  sarebbe  stato doveroso, in relazione a quanto disposto
dall'art. 81,   quarto  comma,  Cost.,  se  si  fosse  ipotizzata  la
possibilita'  di  trattamenti  retributivi  piu' favorevoli di quelli
posseduti dal personale interessato alla data del trasferimento da un
ruolo  ad  un  altro.  Assume decisivo rilievo, a questo riguardo, la
circostanza che il comma 5 del medesimo art. 8 della citata legge, in
immediata  prosecuzione di quanto disposto dal comma 2 (oggetto della
contestata  interpretazione  autentica), ha previsto che «a decorrere
dall'anno in cui hanno effetto le disposizioni di cui ai commi 2, 3 e
4  si  procede alla progressiva riduzione dei trasferimenti statali a
favore degli enti locali in misura pari alle spese comunque sostenute
dagli   stessi   enti   nell'anno  finanziario  precedente  a  quello
dell'effettivo   trasferimento  del  personale».  Ed  e'  proprio  in
funzione   del   contenuto   della   riportata   disposizione   circa
l'invarianza  della  spesa  che  si  comprende  perche'  in  sede  di
contrattazione   collettiva   sindacale   (citato  accordo  ARAN  del
20 luglio  2000)  sia  stata  prevista l'adozione di un meccanismo di
valutazione delle anzianita' pregresse fondato sul maturato economico
e che la suindicata disciplina contrattuale sia stata fatta propria e
sia  stata  ribadita  dall'art. 1,  comma 218, della legge n. 266 del
2005, ora censurato dai rimettenti.
    13. - Ne' e' senza significato che dalla applicazione della norma
contenuta  nel  comma 2  dell'art. 8  della  legge  n. 124  del 1999,
secondo   quanto   prospettato   dalla  difesa  delle  parti  private
costituitesi  nel presente giudizio, deriverebbero oneri aggiuntivi a
carico  del  bilancio  dello  Stato,  in  netto  contrasto con quanto
disposto dal comma 5 del medesimo art. 8.
    14.  -  Neppure puo' ritenersi che si sia determinata, sulla base
della norma contenuta nel comma 2 del suddetto art. 8, una situazione
di  legittimo  affidamento con riferimento al trattamento retributivo
derivante   dalla   valutazione,  ai  fini  giuridici  ed  economici,
dell'intera  anzianita' maturata presso gli enti di provenienza; cio'
anche  in  considerazione,  da  un  lato, del tipo di interpretazione
adottata    in   sede   di   contrattazione   collettiva   pressoche'
contestualmente   all'entrata   in  vigore  della  citata  legge,  e,
dall'altro,  del richiamo, espresso nel medesimo art. 8, al principio
sopra   indicato   dell'invarianza  della  spesa  in  sede  di  primo
inquadramento del personale proveniente dagli enti locali.
    15. - L'art. 3 della Costituzione e' ritenuto, altresi', leso dai
giudici  rimettenti  in  ragione  della disparita' di trattamento, in
materia di riconoscimento delle anzianita' pregresse, nell'ipotesi di
passaggio  da  un  settore lavorativo ad un altro, tra la generalita'
dei lavoratori, sia del settore pubblico che del settore privato, e i
lavoratori  ATA  trasferiti  nei  ruoli statali, ai sensi dell'art. 8
della  legge  n. 124 del 1999, in base all'applicazione dell'istituto
del maturato economico.
    La  questione  investe  direttamente la legittimita' del suddetto
istituto,  sul  quale  questa  Corte, sia pure con riguardo a diverse
discipline  normative adottate sia dal legislatore regionale, che dal
legislatore  statale  (si  vedano le sentenze n. 296 del 1984, n. 618
del  1987,  n. 624  del  1988, n. 219 del 1998 e n. 430 del 2004), ha
gia' avuto modo di pronunciarsi.
    15.1.  -  Come  si  e'  sopra  accennato,  esso e' stato previsto
nell'ordinamento  statale,  in  modo  generalizzato,  fin dalla legge
11 luglio  1980,  n. 312  (Nuovo  assetto  retributivo-funzionale del
personale  civile  e  militare  dello  Stato),  che  ha  istituito le
qualifiche   funzionali  e  ha  corrispondentemente  disciplinato  il
passaggio  dei  dipendenti  dello  Stato dal preesistente ordinamento
gerarchico   delle  carriere  a  quello,  appunto,  delle  qualifiche
funzionali.
    La  Corte,  con  orientamento  costante,  ha ritenuto, in tema di
utilizzazione  da  parte  del legislatore dell'istituto in questione,
che  il passaggio da un sistema ad un altro di progressione economica
del  pubblico impiego, in quanto importa una riduzione ad omogeneita'
di  elementi  per  se  stessi  non  omogenei,  implica  una scelta di
coefficienti  da  operare  sulla  base  di  numerose  variabili,  ivi
comprese   le   disponibilita'   finanziarie,   e  quindi  con  ampia
discrezionalita'  (sentenza  n. 219 del 1998). E si e' anche chiarito
che   non   si   puo'   postulare   l'illegittimita'   di   qualsiasi
regolamentazione  transitoria  che  non si limiti «alla conservazione
del  trattamento  precedente  "ad esaurimento" o alla pura e semplice
applicazione   illimitatamente  retroattiva  del  trattamento  nuovo:
soluzioni,   certo,   possibili,   ma   non   imposte   dal  precetto
costituzionale  in  argomento»,  cioe' dall'art. 3 della Costituzione
(sentenze  numeri  618  del  1987  e 296 del 1984). In definitiva, la
disposizione  dell'art. 8,  comma 2,  della  legge  n. 124  del 1999,
rappresentava  una  deroga  al  principio  generale vigente all'epoca
della  sua  entrata  in  vigore,  rispetto  alla  quale  la norma ora
censurata si presenta come ripristino della regola generale.
    15.2.  - Non assumono rilievo, altresi', quali modelli opponibili
al  criterio del maturato economico, la cui lesione si riverbererebbe
sulla   ragionevolezza   della  norma  sospettata  di  illegittimita'
costituzionale,  le  disposizioni  di  cui  all'art. 31  del  decreto
legislativo  30 marzo  2001,  n. 165 (Norme generali sull'ordinamento
del  lavoro  alle  dipendenze  delle  amministrazioni  pubbliche),  e
dell'art. 2112 del codice civile, dal primo richiamato.
    16.  - E', infine, da escludere che la disposizione censurata dia
luogo  ad  una  ulteriore disparita' di trattamento, sotto il profilo
che  prevederebbe  una diversa disciplina per coloro che, all'entrata
in  vigore  della  norma  stessa,  abbiano gia' ottenuto un giudicato
favorevole  rispetto  alla  disciplina  applicabile  per  coloro che,
all'epoca,  fossero soltanto in attesa della formazione del giudicato
sulla  loro  pretesa.  In  proposito,  si  deve osservare come questa
Corte,  in  piu'  occasioni,  abbia  avuto  modo  di  chiarire che e'
soltanto  l'intangibilita'  del giudicato a costituire uno dei limiti
che  il  legislatore  incontra nell'emanazione di leggi con efficacia
retroattiva.  Al  legislatore  e' precluso - di regola - intervenire,
con  norme  aventi portata retroattiva, per annullare l'efficacia del
giudicato e non gia' a salvaguardarne gli effetti. D'altronde, «se vi
fosse   un'incidenza  sul  giudicato,  la  legge  di  interpretazione
autentica  non  si limiterebbe a muovere, come ad essa e' consentito,
sul  piano  delle  fonti  normative, attraverso la precisazione della
regola  e  del modello di decisione cui l'esercizio della potesta' di
giudicare  deve  attenersi,  ma  lederebbe  i  principi  relativi  ai
rapporti  tra  potere  legislativo  e  potere  giurisdizionale  e  le
disposizioni relative alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli
interessi legittimi» (cosi', la sentenza n. 282 del 2005).
    Nella  specie,  la  norma  censurata  si limita, in modo che deve
ritenersi  legittimo, a far salve le posizioni, e soltanto queste, di
coloro  che  -  al momento della sua entrata in vigore - fossero gia'
titolari di un giudicato favorevole.
    17.   -   Quanto,  ancora,  agli  ulteriori  profili  di  censura
prospettati  dai  rimettenti,  in  particolare  con  riferimento agli
artt. 24,  36, 42, 97, 101, 102, 103, 104 e 113 della Costituzione, a
prescindere dalla circostanza della inconferenza dei parametri di cui
agli  artt. 36 e 42 Cost., atteso che la norma censurata - per il suo
contenuto -  e'  estranea  alla  operativita'  di  entrambi,  non  si
ravvisa,  per  effetto  della norma contestata, alcuna compromissione
dell'imparzialita' della pubblica amministrazione, ne' dell'esercizio
della  funzione  giurisdizionale,  la quale opera su un piano diverso
rispetto a quello del potere legislativo di interpretazione autentica
(si vedano le sentenze numeri 341 e 26 del 2003).
    Non  e'  configurabile,  infatti,  a  favore del giudice, pur nel
rispetto  delle  proprie prerogative, una esclusivita' dell'esercizio
dell'attivita'  ermeneutica  che possa precludere quella spettante al
legislatore,  in  quanto  l'attribuzione per legge ad una norma di un
determinato  significato non lede la potestas iudicandi, ma definisce
e  delimita  la  fattispecie  normativa che e' oggetto della potestas
medesima.
    18.  -  In  conclusione,  poiche'  l'efficacia  retroattiva della
disposizione  censurata  dai  rimettenti deve ritenersi ragionevole e
non  lesiva degli altri principi costituzionali evocati, le questioni
di  legittimita'  costituzionale prospettate nelle ordinanze in esame
devono  essere  dichiarate  non  fondate,  in  riferimento  a tutti i
parametri nelle stesse dedotti.