ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto   a   seguito   della   nota   del   21 settembre  2005  (prot.
n. 2005/200001389/SG-CIV)  emessa  dalla  Commissione parlamentare di
inchiesta  sulla  morte  di  Ilaria  Alpi  e  Miran Hrovatin, nonche'
dell'atto  del  17 settembre 2005 (prot. n. 3490/ALPI) del Presidente
della  medesima  Commissione,  onorevole Carlo Taormina, promosso con
ricorso  della Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario
di  Roma  notificato  il  10 marzo 2006, depositato in cancelleria il
22 marzo  2006 ed iscritto al n. 37 del registro conflitti tra poteri
dello Stato 2005, fase di merito.
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
    Udito nell'udienza pubblica del 5 giugno 2007 il giudice relatore
Alfonso Quaranta;
    Uditi  il  dott.  Franco  Ionta  per  la Procura della Repubblica
presso  il  Tribunale  ordinario di Roma e l'avvocato Massimo Luciani
per la Camera dei deputati.

                          Ritenuto in fatto

    1. - La Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di
Roma  ha promosso, con ricorso depositato pressa la cancelleria della
Corte  il  5 ottobre 2005, conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato nei confronti della Commissione parlamentare di inchiesta sulla
morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
    1.1. - La ricorrente premette di aver appreso da organi di stampa
«dell'arrivo  in  Italia  della  vettura  Toyota a bordo della quale,
presumibilmente,  furono  uccisi  Ilaria  Alpi  e  Miran Hrovatin, il
20 marzo 1994», e di aver pertanto avviato - nel settembre del 2005 -
uno scambio di corrispondenza con la citata Commissione parlamentare,
segnalando   «l'opportunita'   dello   svolgimento   congiunto  degli
accertamenti  tecnici  sul  predetto  veicolo»,  necessari a ciascuna
delle  due autorita' per l'espletamento dell'attivita' di indagine di
rispettiva competenza.
    Deduce,  tuttavia, che il Presidente della predetta Commissione -
pur informata la Procura che l'organo parlamentare in questione aveva
«preso in carico, previo sequestro, l'autovettura», disponendo «anche
a  norma  dell'art. 360  c.p.p.» degli «accertamenti tecnici», taluni
dei  quali  «di  natura  irripetibile»  - comunicava, con nota (prot.
n. 2005/200001389/SG-CIV)   pervenuta   alla   medesima   Procura  il
21 settembre  2005, di non potere «aderire alla richiesta» formulata,
«significando  che,  tra  l'altro, l'atto deliberativo di istituzione
della Commissione», dal medesimo presieduta, «impone accertamenti non
solo   sul   fatto   e  sui  responsabili,  ma  anche  sulle  carenze
istituzionali,  comprese  quelle  attribuibili ai molteplici passaggi
giudiziari che hanno interessato la vicenda».
    Per  l'annullamento  di  tale  nota  -  e dell'atto, adottato dal
Presidente della citata Commissione parlamentare in data 17 settembre
2005  (prot. n. 3490/ALPI), con il quale e' stato conferito «incarico
peritale»   al   dott.  Alfredo  Luzi,  «volto  allo  svolgimento  di
accertamenti  tecnici, anche di natura irripetibile, sulla vettura in
questione»  -  ha  proposto  il presente conflitto di attribuzione la
Procura  della  Repubblica  presso  il  Tribunale  ordinario di Roma,
svolgendo le seguenti considerazioni.
    1.2.   -   La   ricorrente   evidenzia,   innanzitutto,  come  la
possibilita'  di  configurare un conflitto di attribuzione tra poteri
dello  Stato  postuli - ex art. 37, primo comma, della legge 11 marzo
1953,  n. 87  -  che  lo  stesso  insorga  «tra  organi  competenti a
dichiarare definitivamente la volonta' del potere cui appartengono».
    Tali organi sono identificati dalla giurisprudenza costituzionale
in  quelli  «i  cui  atti o comportamenti siano idonei a configurarsi
come  espressione ultima ed immodificabile dei rispettivi poteri: nel
senso  che  nessun  altro  organo, all'interno di ciascun potere, sia
abilitato ad intervenire d'ufficio o dietro sollecitazione del potere
controinteressato  rimuovendo  o  provocando la rimozione dell'atto o
del  comportamento  che si assumono lesivi» (sono citate le ordinanze
n. 229  e  n. 228  del  1975). Tra detti organi, pertanto, sono stati
inclusi  -  prosegue  la  ricorrente  -  tanto i «singoli giudici, in
considerazione  segnatamente del carattere «diffuso» che contrassegna
il potere giudiziario», quanto gli «organi requirenti», relativamente
«all'attribuzione,   costituzionalmente  individuata,  dell'esercizio
dell'azione penale» (vengono richiamate le sentenze n. 150 del 1981 e
n. 231 del 1975, nonche' l'ordinanza n. 132 del 1981).
    Egualmente  indubbia  -  secondo  la  Procura  ricorrente - e' la
legittimazione  passiva  della Commissione parlamentare di inchiesta,
avendo  precisato la Corte, «fin dal 1975», che «a norma dell'art. 82
Cost.,  la potesta' riconosciuta alle Camere di disporre inchieste su
materie  di  pubblico  interesse  non  e' esercitabile altrimenti che
attraverso  la  interposizione di Commissioni a cio' destinate, delle
quali  puo'  ben dirsi percio' che, nell'espletamento e per la durata
del   loro   mandato,  sostituiscono  ope  constitutionis  lo  stesso
Parlamento,  dichiarandone  percio'  e definitivamente la volonta' ai
sensi  del primo comma dell'art. 37» della legge n. 87 del 1953 (sono
richiamate la sentenza n. 231 del 1975 e le ordinanze n. 229 e n. 228
del 1975).
    Alla  stregua,  quindi,  delle  considerazioni  che precedono «e'
possibile  concludere» - si legge ancora nel ricorso - che la Procura
di  Roma  e  la  Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di
Ilaria   Alpi   e   Miran   Hrovatin   «sono   soggetti  legittimati,
rispettivamente  dal  lato attivo e dal lato passivo, ad essere parti
di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato».
    1.3.  -  «Quanto  ai  requisiti di ordine oggettivo», prosegue la
ricorrente,  deve rilevarsi come la Corte abbia «da tempo superato la
restrittiva  nozione  di  conflitto  di  attribuzione come vindicatio
potestatis,  riconoscendo  l'ammissibilita' del cosiddetto «conflitto
per  interferenza»  o «conflitto da menomazione»» (sono richiamate le
sentenze  n. 126  del 1994, n. 473 del 1992, n. 204 del 1991 e n. 731
del 1988), ipotizzabile «quando un organo, pur non rivendicando a se'
la  competenza  a  compiere un determinato atto, denuncia che un atto
oppure  un comportamento omissivo di un altro organo abbiano menomato
la sua competenza o ne abbiano impedito l'esercizio».
    Orbene, siffatta evenienza - nella prospettiva della ricorrente -
sussisterebbe proprio nel caso di specie.
    Se  e'  innegabile  -  osserva  sempre  la  ricorrente  -  che la
Commissione  parlamentare  suddetta ha «il potere di compiere atti di
indagine»  (ex  art. 82, secondo comma, Cost.), tuttavia la decisione
dalla  stessa assunta «di procedere autonomamente ad accertamenti sul
veicolo»,  con  esclusione  della  possibilita' di analogo intervento
dell'autorita'  giudiziaria,  «provoca  un  pregiudizio  alla Procura
perche'  le impedisce di esercitare le funzioni che le attribuisce la
Costituzione».  Essendo, difatti, paralizzato «il proseguimento delle
indagini»  -  tuttora in corso «presso la Procura della Repubblica di
Roma  (proc.  n. 6403/1998  R.G.)» - si impedisce alla ricorrente «di
raccogliere  tutti  gli  elementi  necessari  ai  fini  delle proprie
determinazioni  in  ordine  all'esercizio  dell'azione  penale»,  con
palese  violazione  del principio della obbligatorieta' della stessa,
«sancito  dall'art. 112  della Costituzione», oltre che di quelli «di
indipendenza  ed  autonomia  della magistratura» (ex artt. 101, 104 e
107 Cost.).
    Risulta,  in particolare, preclusa la possibilita' «di sottoporre
a sequestro l'autovettura a bordo della quale viaggiavano Ilaria Alpi
e  Miran  Hrovatin»,  e con essa quella «di effettuare rilevamenti ed
accertamenti  sul  veicolo  stesso  ai fini dell'esatta ricostruzione
della   dinamica   dei   fatti,  attivita'  queste  tutte  essenziali
nell'ambito  del  procedimento  penale  in  oggetto  e la cui mancata
effettuazione  ha  determinato  una  vera  e  propria  paralisi»  del
medesimo.
    In  tal  modo, oltretutto, si contravviene a quella «opportunita'
di  un  effettivo  coordinamento  tra  la  Commissione e le strutture
giudiziarie» presa in considerazione «all'atto dell'istituzione della
stessa  Commissione  con  Deliberazione della Camera dei Deputati del
31 luglio  2003  (art. 6,  comma 3)  nonche'  nel regolamento interno
approvato   dalla   Commissione  nella  seduta  del  4 febbraio  2004
(art. 22, comma 1)».
    1.4. - Su tali basi, pertanto, la Procura della Repubblica presso
il  Tribunale  ordinario di Roma ha proposto il presente conflitto di
attribuzione  tra poteri dello Stato, nei confronti della Commissione
parlamentare  di  inchiesta  sulla  morte  di  Ilaria  Alpi  e  Miran
Hrovatin,  chiedendo  -  previa  declaratoria  di non spettanza, alla
predetta  Commissione, del potere di adottarla - l'annullamento della
nota  del  21 settembre  2005 (prot. n. 2005/200001389/SG-CIV) emessa
dalla medesima Commissione (con la quale quest'ultima ha rifiutato di
aderire  alla  richiesta della ricorrente di valutare «l'opportunita'
dello   svolgimento  congiunto  di  accertamenti  tecnici»),  nonche'
l'annullamento,  per l'effetto, anche dell'atto del 17 settembre 2005
(prot.  n. 3490/ALPI)  con  cui  la  stessa  -  in  persona  del  suo
Presidente  on.  Carlo  Taormina  - ha conferito incarico peritale al
dott. Alfredo Luzi.
    2. - All'esito della camera di consiglio del 20 febbraio 2006, il
presente  conflitto  e' stato dichiarato ammissibile, con l'ordinanza
n. 73 del 24 febbraio 2006.
    In  data  10 marzo  2006,  il  ricorso introduttivo e la predetta
ordinanza   sono   stati   notificati   -   come   da  richiesta  del
giorno 1 marzo  della  Procura  della  Repubblica presso il Tribunale
ordinario  di  Roma  - alla Commissione parlamentare di inchiesta, in
persona del suo Presidente.
    3.  - Con memoria depositata presso la cancelleria della Corte il
29 marzo  2006  si  e'  costituita in giudizio la Camera dei deputati
dichiaratamente  allo  scopo di «far constatare l'avvenuta cessazione
della  Commissione  parlamentare  d'inchiesta»  suddetta, nonche' per
«fare  emergere  le circostanze in virtu' delle quali sembrano essere
ormai  venute  meno  le  ragioni stesse del conflitto», su tali basi,
dunque,   chiedendo   che   il  presente  conflitto  «sia  dichiarato
irricevibile, improcedibile ovvero inammissibile».
    3.1.   -   Premette  la  Camera  dei  deputati  -  nell'eccepire,
preliminarmente,  che  il  conflitto sarebbe «irricevibile e comunque
improcedibile   e   inammissibile   per   nullita'   assoluta   della
notificazione»  -  che,  con  deliberazione  del 22 dicembre 2005, la
conclusione  dei  lavori  della  predetta  Commissione  parlamentare,
inizialmente stabilita entro sei mesi dalla sua costituzione, ma gia'
piu'  volte  prorogata,  era  stata definitivamente fissata «entro la
data di scioglimento delle Camere e comunque non oltre il 28 febbraio
2006».
    Orbene, essendosi svolta in data 23 febbraio 2006 l'ultima seduta
della  Commissione  (nel  corso  della  quale  e'  stata approvata la
relazione  finale  e  sono state date disposizioni per gli incombenti
amministrativi del caso), da tale circostanza dovrebbe dedursi che la
stessa    -   gia'   al   momento   della   decisione   della   Corte
sull'ammissibilita'   del   conflitto,   depositata   il   successivo
24 febbraio  -  «non  esisteva  piu'  come  soggetto costituzionale»,
atteso  che  l'esercizio  della  funzione  di  inchiesta  verrebbe ad
esaurirsi  proprio  con  l'approvazione  della  relazione finale, non
potendo,  cosi',  la Commissione, successivamente all'espletamento di
tale attivita', «essere parte di alcun conflitto di attribuzione».
    Ne',  d'altra  parte,  potrebbe  addursi  la  circostanza  che la
suddetta  decisione  della  Corte  risulta  adottata  nella camera di
consiglio  del  20 febbraio  e  solo  depositata  in  cancelleria  il
successivo  giorno 24,  in quanto - sebbene l'art. 18, comma 1, delle
norme  integrative  per  i  giudizi davanti alla Corte costituzionale
stabilisca  che  la  data  delle pronunce della Corte e' quella della
deliberazione  in  camera  di  consiglio  - e' unicamente con la loro
pubblicazione  in  cancelleria  che  le stesse «possono determinare i
loro effetti», secondo quanto stabilito dagli artt. 19, 29 e 30 della
legge  11 marzo  1953,  n. 87,  oltre che dallo stesso art. 136 della
Costituzione.
    Tuttavia,  anche  a  volere  ritenere  il  contrario, e dunque ad
attribuire   rilievo   al  fatto  che  nella  seduta  conclusiva  del
23 febbraio  2006  la  predetta  Commissione abbia autorizzato il suo
Presidente  al  coordinamento  formale  e alla materiale trasmissione
della  relazione alla Camera dei deputati, cio' nondimeno il presente
conflitto  risulterebbe  «pur  sempre  proposto  nei  confronti di un
organo  non  piu' esistente». Difatti, la notificazione del ricorso e
dell'ordinanza  di  ammissibilita' del conflitto risulta essere stata
richiesta  solo il 1° marzo 2006, nonche' effettuata il successivo 10
marzo,  e  pertanto  «oltre il termine dei lavori della Commissione e
comunque oltre il termine finale, non piu' prorogato, del 28 febbraio
2006».
    Ad  una  diversa  conclusione,  inoltre,  non  sarebbe  possibile
pervenire rilevando che il conflitto risulta introdotto - mediante il
deposito  del  ricorso,  effettuato  il  5 ottobre  2005  - quando la
Commissione   era  ancora  in  vita,  giacche'  siffatta  conclusione
contrasterebbe  con  il riconoscimento della «struttura bifasica» del
giudizio  per  conflitto  di  attribuzione tra poteri dello Stato (e'
citata,   in   proposito,  quale  pronuncia  capofila  dell'indirizzo
giurisprudenziale  che ha enunciato tale principio, la sentenza della
Corte costituzionale n. 116 del 2003).
    In altri termini, il conflitto - secondo la Camera dei deputati -
«esiste  solo  con  il  superamento  della  fase dell'ammissibilita»,
nonche'  all'ulteriore  condizione  -  come  sarebbe  stato possibile
evincere   gia'   dalla  sentenza  n. 7  del  1996,  e  come  avrebbe
definitivamente   confermato  la  sentenza  n. 449  del  1997  (e  il
complessivo  indirizzo  giurisprudenziale  al quale tale decisione ha
dato  origine)  -  che  il  ricorrente  abbia  adempiuto  «l'onere di
introdurre  correttamente  la seconda fase». E' proprio la ricorrenza
di  tale  seconda  evenienza che deve, invece, escludersi nel caso di
specie, atteso che la notificazione «e' da intendersi come affetta da
nullita'   assoluta,   in  quanto  indirizzata  ad  organo  non  piu'
esistente».
    Del resto, che nell'ipotesi in esame il solo soggetto legittimato
ad  essere parte - dal lato passivo - dell'ipotizzato conflitto fosse
esclusivamente  la predetta Commissione di inchiesta e' quanto emerge
dall'esame della giurisprudenza costituzionale.
    Difatti,   con   la   sentenza  n. 231  del  1975,  la  Corte  ha
identificato  nelle  Commissioni  parlamentari  all'uopo costituite i
soli  soggetti  legittimati  ad  esercitare  i  poteri d'inchiesta ex
art. 82 Cost., ribadendo quanto gia' affermato nelle ordinanze n. 229
e  n. 228  del  1975,  ovvero  che  tali  organi - pur sempre, pero',
«nell'espletamento   e   per   la   durata   del   loro   mandato»  -
«sostituiscono,    ope    constitutionis,   lo   stesso   Parlamento,
dichiarandone percio' «definitivamente la volonta» ai sensi del primo
comma   dell'art. 37»   della   legge  n. 87  del  1953.  Conclusioni
confermate    -    si    sottolinea    -    anche    dalla   dottrina
costituzionalistica,   secondo   cui  ogni  Commissione  parlamentare
d'inchiesta  «e'  un potere a se' stante, che non puo' essere confuso
con  la  Camera  che  l'ha  istituita»,  di  talche', esaurito il suo
mandato,  i  poteri dei quali essa era munita «non sono concretamente
esercitabili in quanto non vi e' piu' l'organo che ne era titolare».
    Su  tali  basi,  dunque,  la Camera dei deputati reputa quello in
esame  «un vero e proprio «conflitto impossibile», in quanto e' stato
evocato  in  giudizio,  quale  contraddittore  (notificatario)  della
Procura  della  Repubblica  presso  il Tribunale ordinario di Roma un
soggetto  costituzionale  ormai non piu' esistente». Come, quindi, in
altri  casi  analoghi  - sono menzionate le sentenze n. 30 del 2002 e
n. 252  del  1999 - la Corte costituzionale non dovrebbe ammettere lo
scrutinio  nel  merito,  venendo  in  rilievo  «un  caso  di nullita'
assoluta», imputabile alla circostanza che «il ricorrente ha indicato
come potere al quale notificare il ricorso un soggetto che non poteva
essere  assunto  quale  idoneo  confliggente  (appunto  in quanto non
esisteva piu)».
    Ne'   si   potrebbe   ritenere   che,   estinta   la  Commissione
parlamentare, il giudizio debba proseguire nei confronti della Camera
dei  deputati  ai sensi degli artt. 110 e 299 del codice di procedura
civile.
    Premesso,  invero,  che  -  secondo quanto stabilito dall'art. 22
delle  gia'  richiamate  norme integrative per i giudizi davanti alla
Corte  costituzionale  - le «norme sulla sospensione, interruzione ed
estinzione  del processo non si applicano ai giudizi davanti la Corte
costituzionale»,  deve  escludersi  la possibilita' di ravvisare, nel
caso di specie, un fenomeno lato sensu successorio, e cio' sebbene «i
principi  generali  in  materia  di  diritto  di  difesa (di cui agli
artt. 24 e 111 Cost.)» siano comunque idonei, secondo la difesa della
Camera  dei  deputati,  a  legittimare la costituzione in giudizio di
quest'ultima, perche' di essa «la Commissione e' (stata) organo».
    Ad  escludere,  difatti, la successione della Camera dei deputati
nella  posizione  della  Commissione  d'inchiesta dovrebbero valere i
principi  enunciati  dalla  giurisprudenza di legittimita', secondo i
quali  l'applicabilita'  dell'art. 299 cod. proc. civ. presuppone che
via  sia  gia' stata la vocatio in ius, ai fini della validita' della
quale,  a  sua volta, e' necessaria «l'esistenza attuale delle parti»
(e'  citata,  in  particolare, la sentenza della Corte di cassazione,
sezione terza, 5 dicembre 1994, n. 10437).
    Inoltre,  dal momento che la circostanza dell'avvenuta cessazione
-   in   data   28 febbraio  2006  -  dell'attivita'  della  predetta
Commissione   parlamentare  risultava  pienamente  conoscibile  dalla
ricorrente,   neppure  potrebbe  trovare  applicazione  il  principio
enunciato  dalla  giurisprudenza  costituzionale,  secondo  il quale,
verificatasi la morte o l'estinzione di una delle parti del giudizio,
sarebbe  necessario  impedire «il verificarsi dell'effetto lesivo dei
diritti  della  parte  incorsa in errore incolpevole» (sentenza n. 27
del 2000). Si tratta, per contro, di «portare ad effetto il principio
di  diligenza del notificante», gia' ritenuto dalla Corte applicabile
-   sentenza   n. 247  del  2004  -  al  giudizio  per  conflitto  di
attribuzione.
    A  nulla,  poi,  varrebbe  invocare  la  previsione  - richiamata
dall'art. 22 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale  -  contenuta nell'art. 92 del regio decreto 17 agosto
1907,  n. 642  (Regolamento  per  la  procedura  dinanzi alle sezioni
giurisdizionali del Consiglio di Stato), secondo cui la «morte» o «il
cangiamento  di  stato di una delle parti non sospende la procedura»,
atteso  che,  ad  evitare  che una procedura sia sospesa, occorre pur
sempre che la stessa sia stata validamente introdotta.
    Su  tali  basi,  quindi,  la  Camera  dei  deputati chiede che il
presente   conflitto   venga   dichiarato  «irricevibile  e  comunque
improcedibile   e   inammissibile   per   nullita'   assoluta   della
notificazione».
    3.2.   -   In   subordine,   la   Camera  dei  deputati  ipotizza
«l'improcedibilita'   del   conflitto  per  sopravvenuta  carenza  di
interesse» (viene richiamata la sentenza n. 462 del 1993).
    Si  premette,  al  riguardo,  che  nel  giudizio per conflitto di
attribuzione,  non il solo thema decidendum, ma anche l'interesse del
ricorrente  risulta  definito  nei  termini  in  cui il contenuto del
ricorso  e'  ricostruito  dall'ordinanza  di ammissibilita' (sentenza
n. 7  del  1996;  ordinanza  n. 470  del  1995),  emessa  dalla Corte
nell'esercizio   del  suo  amplissimo  potere  di  conformazione  del
giudizio  (sentenza  n. 116 del 2003). Tanto premesso, poiche', nella
specie,  il  giudizio  e' configurato non come vindicatio potestatis,
bensi'   come   conflitto  da  menomazione,  la  circostanza  che  la
Commissione  parlamentare  non soltanto abbia concluso i suoi lavori,
ma  abbia messo a disposizione della ricorrente autorita' giudiziaria
«i verbali degli accertamenti gia' compiuti e anche - materialmente -
l'autovettura  sulla  quale  erano  stati effettuati», denoterebbe il
superamento  di  quella  situazione  di  «paralisi  del procedimento»
penale che ha indotto la Procura della Repubblica presso il Tribunale
ordinario di Roma a promuovere il presente conflitto.
    Orbene,  poiche'  quello per conflitto di attribuzione «non e' un
astratto   giudizio   sull'astratto   ordine   costituzionale   delle
attribuzioni,  ma un giudizio concreto su una concreta menomazione di
una ben determinata attribuzione», ne consegue che, una volta rimosso
il   pregiudizio   derivante   dalla  lamentata  menomazione,  ovvero
divenutane impossibile la rimozione, una pronuncia «accademica» della
Corte   si   presenterebbe  in  contrasto  con  lo  stesso  onere  di
formulazione  di  una  domanda  concreta  posto  dalla giurisprudenza
costituzionale (sentenze n. 31 e n. 15 del 2002) a carico della parte
ricorrente.
    Su  tali  basi  - e non senza rammentare due pronunce della Corte
che,  rispettivamente,  hanno  dichiarato  improcedibili  altrettanti
conflitti,  l'uno  promosso  dalla Procura della Repubblica presso il
Tribunale  di  Caltanissetta, essendo «venuto a cadere ogni ostacolo»
all'esercizio  delle  sue  attribuzioni  (sentenza  n. 464 del 1993),
l'altro  per  essere  cessato  ogni  interesse pratico dell'autorita'
giudiziaria  ricorrente  ad  ottenere  una  pronuncia  nel merito, in
ragione  dell'avvenuta  estinzione  del  reato  oggetto  del giudizio
pendente  innanzi  ad essa (sentenza n. 204 del 2005) - la Camera dei
deputati  conclude  affinche'  il  presente  conflitto sia dichiarato
irricevibile, improcedibile ovvero inammissibile.
    4. - La Camera dei deputati, nell'imminenza dell'udienza pubblica
di  discussione,  ha  depositato  un'ulteriore  memoria, ribadendo le
conclusioni gia' rassegnate.
    5.  -  All'udienza pubblica di discussione e' comparsa - ai sensi
dell'art. 37, ultimo comma, della legge 11 marzo del 1953, n. 87 - la
ricorrente  autorita' giudiziaria, in persona del dott. Franco Ionta,
all'uopo delegato dal Procuratore della Repubblica.
    Ribadite  le  ragioni  a  sostegno  dell'iniziativa  assunta,  la
ricorrente  ha  replicato  alle  eccezioni  preliminari  svolte dalla
Camera dei deputati.
    In  particolare,  quanto  all'ipotizzata  nullita'  assoluta  che
inficerebbe  la  notificazione  del  ricorso  e dell'ordinanza che ha
dichiarato ammissibile il conflitto, la Procura ricorrente ha dedotto
di   aver  espletato  tale  adempimento  nei  riguardi  del  soggetto
identificato,  quale  contraddittore,  nell'ordinanza  adottata dalla
Corte all'esito della fase preliminare del giudizio.
    Quanto,  poi,  alla  supposta  improcedibilita' del conflitto, la
ricorrente  ha  rilevato  che tale evenienza non puo' certo ritenersi
integrata dalla mera «messa a disposizione» dell'accertamento tecnico
non  ripetibile,  svolto  su  incarico della Commissione d'inchiesta.
Difatti,   la  determinazione  in  tal  senso  assunta  dal  predetto
organismo  parlamentare,  nella  sua assoluta atipicita' nel panorama
degli  istituti  contemplati  dal  codice  di procedura penale per la
collaborazione tra organi investigativi, non potrebbe consentire alla
ricorrente medesima di utilizzare le risultanze dell'indagine tecnica
aliunde   espletata,   cio'  che  conferma,  quindi,  il  persistente
interesse   a   conseguire  l'annullamento  degli  atti  oggetto  del
conflitto.

                       Considerato in diritto

    1. - La Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di
Roma ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei
confronti  della Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di
Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
    In  particolare, la ricorrente si duole del fatto che la predetta
Commissione,  conferito  -  con  atto  emesso  dal  suo Presidente il
17 settembre  2005  (prot.  n. 3490/ALPI)  -  incarico  peritale  per
l'espletamento   di   accertamenti   tecnici   anche  non  ripetibili
sull'autovettura   a  bordo  della  quale  la  Alpi  ed  il  Hrovatin
viaggiavano  in  occasione  dell'attentato nel quale persero la vita,
con  nota  pervenuta  alla  ricorrente  il  21 settembre  2005 (prot.
n. 2005/200001389/SG-CIV)   ha   rifiutato   di   acconsentire   allo
svolgimento   di   accertamenti   tecnici  congiunti  sulla  predetta
autovettura.
    Ritenendo  che la Commissione parlamentare, attraverso tali atti,
le  abbia  impedito  «di  raccogliere tutti gli elementi necessari ai
fini delle proprie determinazioni in ordine all'esercizio dell'azione
penale»,  con  palese  violazione del principio della obbligatorieta'
della  stessa,  «sancito dall'art. 112 della Costituzione», oltre che
di  quelli  «di  indipendenza  ed  autonomia  della magistratura» (ex
artt. 101,  104 e 107 Cost.), la ricorrente ha chiesto l'annullamento
di   tali   atti,  previa  declaratoria  della  non  spettanza,  alla
Commissione suddetta, del potere di adottarli.
    2. - Si e' costituita in giudizio la Camera dei deputati, al solo
scopo  di  chiedere  che  sia fatta «constatare l'avvenuta cessazione
della  Commissione parlamentare d'inchiesta», nonche' che siano fatte
«emergere  le circostanze in virtu' delle quali sembrano essere ormai
venute meno le ragioni stesse del conflitto», sicche' questo dovrebbe
essere «dichiarato irricevibile, improcedibile ovvero inammissibile».
    2.1.  - A giudizio della Camera, sotto un primo profilo, difatti,
dovrebbe  pervenirsi  a  tale  conclusione in ragione della «nullita'
assoluta   della  notificazione»,  per  essere  stata  effettuata  il
10 marzo  2006 nei confronti di un soggetto non piu' esistente a tale
data.
    In  realta',  secondo la deducente Camera dei deputati, la stessa
declaratoria  di  ammissibilita'  del  conflitto - adottata da questa
Corte  con  ordinanza depositata in cancelleria il 24 febbraio 2006 -
risulterebbe  intervenuta  quando  la  Commissione  parlamentare «non
esisteva  piu'  come soggetto costituzionale», atteso che l'esercizio
della  funzione  di  inchiesta si sarebbe esaurito con l'approvazione
della relazione finale, adempimento espletato il 23 febbraio 2006.
    In  ogni caso, poi, la notificazione del ricorso e dell'ordinanza
di   ammissibilita'  del  conflitto  dovrebbe  vieppiu'  considerarsi
affetta  da  nullita'  assoluta, giacche' avvenuta dopo il termine di
conclusione  dei  lavori della Commissione, definitivamente fissato -
dopo varie proroghe - con deliberazione della Camera dei deputati del
22 maggio  2005,  «entro  la  data  di  scioglimento  delle  Camere e
comunque non oltre il 28 febbraio 2006».
    2.2. - Sotto altro profilo, la Camera dei deputati ha eccepito la
improcedibilita'   del   conflitto   «per   sopravvenuta  carenza  di
interesse».
    La  circostanza  che  la  Commissione  parlamentare, non soltanto
abbia  concluso  i  suoi  lavori, ma abbia messo a disposizione della
ricorrente  autorita'  giudiziaria «i verbali degli accertamenti gia'
compiuti  e  anche  - materialmente - l'autovettura sulla quale erano
stati effettuati», denoterebbe il superamento di quella situazione di
«paralisi  del  procedimento»  penale  che  ha  indotto la ricorrente
Procura della Repubblica a promuovere il presente conflitto.
    3. - Le suindicate eccezioni preliminari non sono fondate.
    3.1.  -  Non  e'  fondata, innanzi tutto, l'eccezione di nullita'
della notificazione.
    3.1.1.  -  Non  assume  rilievo,  ai fini della instaurazione del
contraddittorio  nel  presente giudizio per conflitto, la circostanza
che,   alla   data   della  avvenuta  notificazione,  congiuntamente,
dell'ordinanza  di  ammissibilita'  e del ricorso della Procura della
Repubblica (10 marzo 2006), la Commissione di inchiesta non esistesse
piu', e cio' tanto ritenendo che essa avesse esaurito la sua funzione
il  23 febbraio  2006  (in  occasione  della sua ultima seduta, nella
quale  venne approvata la relazione del Presidente), quanto prendendo
in  considerazione  la  diversa  data  fissata  per l'ultimazione dei
lavori (28 febbraio 2006).
    Difatti,   la  notifica  alla  Commissione  in  persona  del  suo
Presidente  presso la Camera dei Deputati, puo' ritenersi validamente
effettuata  ai  fini della rituale instaurazione del contraddittorio,
con  conseguente prosecuzione del giudizio nei confronti della Camera
stessa,  della quale la Commissione costituisce diretta emanazione ai
sensi dell'art. 82 Cost.
    3.1.2.   -   Va,   al   riguardo,   ricordato   che,  secondo  la
giurisprudenza  di  questa  Corte  (sentenza  n. 231  del  1975),  le
Commissioni  d'inchiesta,  siano monocamerali o bicamerali, non hanno
il  compito  di  emettere  giudizi  in  senso  tecnico,  ma  solo  di
«raccogliere  notizie o dati necessari per l'esercizio delle funzioni
delle  Camere»,  sicche'  «esse  non  tendono a produrre, ne' le loro
relazioni  conclusive producono, alcuna modificazione giuridica (come
e' invece proprio degli atti giurisdizionali), ma hanno semplicemente
lo scopo di mettere a disposizione delle Assemblee tutti gli elementi
utili affinche' queste possano, con piena cognizione delle situazioni
di  fatto,  deliberare  la propria linea di condotta, sia promuovendo
misure  legislative, sia invitando il Governo ad adottare, per quanto
di  sua  competenza,  i  provvedimenti  del  caso». In altri termini,
l'attivita' di inchiesta delle Camere rientra nella piu' lata nozione
di  attivita'  ispettiva  di  competenza istituzionale di ciascuna di
esse,  volta  all'acquisizione di informazioni su materie di pubblico
interesse;  attivita'  ispettiva che e', dunque, propria della Camera
in  quanto  tale, la quale - in via strumentale - si avvale, sia pure
necessariamente,  di  una sua apposita articolazione interna, qual e'
(e resta) la Commissione di inchiesta, ferma rimanendo la titolarita'
del potere ispettivo in capo alla Camera parlamentare.
    Conclusione,  questa,  conforme  anche alla lettera dell'art. 82,
primo  comma,  Cost.,  secondo  cui  ciascuna  Camera  «puo' disporre
inchieste  su materie di pubblico interesse». Il potere di inchiesta,
pertanto,  rientra  tra le funzioni tipiche di ciascuna Camera e solo
per  il suo concreto esercizio e' previsto che «a tale scopo» vengano
nominate  Commissioni  di  inchiesta come articolazioni interne della
Camera che le istituisce.
    E  incisivamente,  con la citata sentenza n. 231 del 1975, questa
Corte  ha  affermato  «che  le  Commissioni parlamentari di inchiesta
(...)  sostituendo necessariamente a norma dell'art. 82, primo comma,
Cost.  il  plenum  delle  Camere, a buon diritto possono configurarsi
come le stesse Camere nell'atto di procedere all'inchiesta».
    Di  qui,  pertanto,  la  conclusione secondo cui, nell'ipotesi di
cessazione,  per qualsiasi causa, del funzionamento della Commissione
(quali,  ad  esempio,  la  scadenza  del  suo  termine  di  durata  o
l'esaurimento  della  sua funzione), la legittimazione processuale ad
agire o a resistere e' riassunta dalla Camera medesima. Ed e' proprio
quanto  e'  accaduto  nel caso di specie, per cui l'avvenuta notifica
del  ricorso  alla  Commissione  di  inchiesta  in  persona  del  suo
Presidente  presso la Camera di appartenenza, e' idonea alla corretta
instaurazione   del   contraddittorio  e  a  consentire  alla  Camera
medesima,  come e' di fatto accaduto, di costituirsi nel giudizio per
conflitto  che,  in definitiva, la coinvolge direttamente, essendo la
Commissione una sua emanazione.
    Ne',   in  senso  contrario,  potrebbe  addursi  la  riconosciuta
indipendenza    funzionale,   durante   munere,   delle   Commissioni
d'inchiesta  dalle  Camere  dalle quali esse promanano, giacche' tale
indipendenza  non  postula  affatto  una loro strutturale distinzione
dalle   Camere   stesse,   di   cui   rappresentano  pur  sempre  una
articolazione,  come  conferma la necessita' di una loro composizione
che rispecchi, sostanzialmente, quella della Camera di appartenenza.
    Pertanto,  l'affermazione  della  difesa della Camera, secondo la
quale  ogni  Commissione  d'inchiesta  rappresenta  un  «potere a se'
stante»,  che  non  puo'  essere  confuso  con  la  Camera  che  l'ha
istituita,  non  e'  condivisibile nella sua assolutezza; quanto meno
non  postula  affatto  che,  quando  la  Commissione abbia cessato di
esistere,  non  sia  possibile  elevare  o  proseguire  conflitto per
menomazione  nei confronti di alcun potere; non quello di cui sarebbe
espressione  la  Commissione,  ne'  quello  proprio  della  Camera di
appartenenza.  In realta', proprio perche' la Commissione costituisce
una articolazione della Camera, e' ben ammissibile che - nell'ipotesi
sopra  indicata  -  il conflitto si instauri o prosegua nei confronti
della Camera stessa.
    Ne',   a  tale  scopo,  e'  necessario  richiamare,  come  fa  la
concludente  Camera  dei  deputati, gli artt. 110 e 299 del codice di
procedura civile o l'art. 92 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642
(Regolamento  per  la  procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali
del  Consiglio  di  Stato),  ovvero  i principi a tali norme sottesi,
essendo  sufficiente  il  riferimento  all'assetto costituzionale dei
rapporti   tra  Commissioni  d'inchiesta  e  Camere  che  le  abbiano
istituite.
    3.2.  -  Del  pari  non  e'  fondata l'eccezione pregiudiziale di
improcedibilita'  per  sopravvenuta  carenza  di interesse, stante la
ininfluenza,   sulla   procedibilita'   del  presente  conflitto  per
menomazione,  anche  in  ragione  della  natura  non ripetibile degli
accertamenti tecnici che sarebbero stati preclusi alla ricorrente, di
vicende sopravvenute rispetto al momento della sua instaurazione.
    4.   -   Cio'   premesso   in   ordine  alle  suddette  eccezioni
pregiudiziali,  deve rilevarsi che la scelta operata dalla Camera dei
deputati,  in  relazione  alla  novita'  ed alla particolarita' della
vicenda,  di  non  svolgere  difese  di  merito  in  ordine  al thema
decidendum,   sul   presupposto  di  non  rivestire  la  qualita'  di
contraddittore  necessario  nel  presente  giudizio,  fa  emergere la
necessita'  di  limitare  la  presente  pronuncia  esclusivamente  ai
suindicati  profili  processuali e di assegnare, conseguentemente, ad
entrambe  le  parti  un congruo termine per assicurare la completezza
del contraddittorio anche per gli aspetti di merito del conflitto per
menomazione sollevato dalla ricorrente.