ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel   giudizio   di   legittimita'  costituzionale  dell'articolo 10,
comma 1,  n. 4,  della  legge della Regione Siciliana 24 giugno 1986,
n. 31  (Norme  per l'applicazione nella Regione Siciliana della legge
27 dicembre   1985,   n. 816,  concernente  aspettative,  permessi  e
indennita'  degli  amministratori locali. Determinazione delle misure
dei  compensi  per  i  componenti  delle  commissioni  provinciali di
controllo. Norme in materia di ineleggibilita' e incompatibilita' per
i  consiglieri  comunali,  provinciali  e di quartiere), promosso con
ordinanza   del   9 dicembre   2005  dal  Tribunale  di  Catania  nel
procedimento  civile  vertente  tra  Trovato Santo e il Comune di San
Giovanni  La  Punta  iscritta al n. 186 del registro ordinanze 2006 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, 1ª serie
speciale, dell'anno 2006;
    Visti  gli  atti di costituzione di Trovato Santo e del Comune di
San Giovanni La Punta;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  19  giugno 2007  il  giudice
relatore Ugo De Siervo;
    Uditi  gli  avvocati  Michele  Ali'  per  Trovato  Santo e Andrea
Scuderi per il Comune di San Giovanni La Punta.

                          Ritenuto in fatto

      1.  -  Il  Tribunale  civile  di  Catania,  con  ordinanza  del
9 dicembre  2005,  ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27 e 51
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 10,  comma 1,  n. 4, della legge della Regione Siciliana 24
giugno 1986,  n. 31 (Norme per l'applicazione nella Regione Siciliana
della   legge27 dicembre   1985,   n. 816,  concernente  aspettative,
permessi  e  indennita'  degli  amministratori locali. Determinazione
delle   misure  dei  compensi  per  i  componenti  delle  commissioni
provinciali  di  controllo.  Norme  in  materia  di ineleggibilita' e
incompatibilita'   per  i  consiglieri  comunali,  provinciali  e  di
quartiere),  nella  parte  in cui non si adegua all'art. 63, comma 1,
n. 4,  del  decreto  legislativo  18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico
delle  leggi sull'ordinamento degli enti locali), il quale, a seguito
delle   modifiche   introdotte   dall'art. 3-ter   del  decreto-legge
22 febbraio  2002,  n. 13, convertito, con modificazioni, nella legge
24 aprile  2002, n. 75, stabilisce che «la lite promossa a seguito di
o  conseguente  a  sentenza  di  condanna  determina incompatibilita'
soltanto  in  caso  di  affermazione  di responsabilita' con sentenza
passata  in  giudicato.  La costituzione di parte civile nel processo
penale non costituisce causa d'incompatibilita».
      2.  -  La  questione e' sollevata dal Tribunale nell'ambito del
procedimento  civile  promosso  da un consigliere comunale avverso la
delibera  in data 27 luglio 2005 con cui il Comune di San Giovanni La
Punta,  in  Provincia  di  Catania,  lo  ha dichiarato decaduto dalla
carica  per  l'esistenza di una lite pendente, ai sensi dell'art. 10,
comma 1,  n. 4,  della  legge della Regione Siciliana n. 31 del 1986,
dal  momento che il Comune si era costituito parte civile nell'ambito
di  un procedimento penale pendente a carico dello stesso consigliere
per vicende svoltesi in un periodo nel quale era sindaco del Comune.
    Riferisce  il  rimettente  che  il giudizio di primo grado si era
concluso  con  la  condanna  dell'imputato per il delitto di abuso di
ufficio  aggravato di cui all'art. 323 del codice penale alla pena di
un  anno  di reclusione e al pagamento di una provvisionale in favore
del  Comune  di  Euro 10.000,00 e che questo, dopo aver contestato al
consigliere  la  causa  di  incompatibilita', aveva sostenuto che, ai
fini  della  rimozione  della  stessa, egli avrebbe dovuto versare la
somma di e 500.000,00 per l'integrale risarcimento del danno. Dinanzi
al    diniego   dell'interessato,   questi   era   stato   dichiarato
definitivamente decaduto dalla carica di consigliere comunale.
    3. - Riferisce, ancora, il rimettente che nel giudizio instaurato
a  seguito  dell'impugnazione  della suddetta delibera consiliare, il
ricorrente  ha, tra l'altro, eccepito l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 10,  comma 1,  n. 4,  della  legge  della Regione Siciliana
n. 31  del  1986, per violazione degli artt. 3 e 51 Cost., sostenendo
che  il  legislatore  nazionale,  con la ricordata modifica del 2002,
avrebbe circoscritto il precedente ambito di operativita' della causa
d'incompatibilita'  derivante  da  «lite  pendente» in misura tale da
renderla  inapplicabile  al  caso che ha riguardato l'interessato. Ne
conseguirebbe  una ingiustificata disparita' di trattamento esistente
in  ordine  all'accesso  alla  carica  di consigliere comunale tra la
disciplina   vigente   in  Sicilia  e  quella  vigente  nel  restante
territorio nazionale, non motivata da alcuna peculiarita' regionale.
      4.  -  Il Tribunale civile di Catania ritiene rilevante ai fini
della decisione e non manifestamente infondata la suesposta questione
di costituzionalita'.
    In  ordine  alla  rilevanza,  il  giudice  a  quo  osserva che la
delibera   adottata   dal   Comune   resistente  appare  «corretta  e
legittimamente  emessa»,  alla  stregua  dell'impugnata  disposizione
legislativa regionale. Questa disposizione reca, infatti, a detta del
Tribunale  di  Catania, l'unica norma applicabile alla fattispecie in
esame,  dal  momento  che  la  competenza della Regione Siciliana, in
materia   di   requisiti  d'accesso  alle  cariche  elettorali  e  di
incompatibilita'  elettorali  dei consiglieri comunali e provinciali,
costituisce  espressione di una potesta' normativa primaria, ai sensi
dell'art. 15 dello statuto siciliano.
    Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza  della  questione,  il
Tribunale  osserva  che,  in seguito alla citata novella dell'art. 63
del  T.U.  degli  enti locali, la normativa nazionale dettata in tema
d'incompatibilita' per «lite pendente» con l'ente d'appartenenza, nel
caso   di   costituzione  di  parte  civile  dell'ente  pubblico  nel
procedimento  penale instaurato a carico dell'eletto, ovvero nel caso
di   azione   civile  esercitata  in  sede  civile  in  seguito  alla
commissione  di  un  fatto reato, «diverge radicalmente rispetto alla
disciplina   dettata   dal   legislatore  regionale».  Rispetto  alla
novellata  disciplina statale la norma regionale, oggetto di censura,
«continua  a prevedere la causa d'incompatibilita' per lite pendente,
anche  se  la  lite e' promossa a seguito di sentenza di condanna non
definitiva,  e  non  esclude  la  costituzione  di  parte  civile nel
processo penale dal novero delle cause d'incompatibilita».
    Sussistendo,   quindi,  una  evidente  diversita'  di  disciplina
normativa  tra  situazioni  che,  ad  avviso del Collegio giudicante,
appaiono  del  tutto  coincidenti, il giudice a quo ricorda che, alla
luce  della  consolidata  giurisprudenza di questa Corte, la potesta'
normativa primaria della Regione Siciliana in materia elettorale deve
essere  strettamente conforme ai principi della legislazione statale,
a   causa   dell'esigenza  di  uniformita'  in  tutto  il  territorio
nazionale.  Per  il  rimettente,  e'  proprio  il  principio  di  cui
all'art. 51  Cost.  a  svolgere  il  ruolo di garanzia generale di un
diritto  politico  fondamentale  riconosciuto ad ogni cittadino con i
caratteri  d'inviolabilita', e tale principio si pone come riserva di
legge rafforzata che obbliga il legislatore statale ad assicurarne il
godimento  in  condizioni  di  eguaglianza.  Non  si  degraderebbe la
potesta'  legislativa  regionale  esclusiva a competenza concorrente:
essa,  in  realta',  verrebbe  limitata  ed orientata al rispetto del
principio  costituzionale  che  esige l'uniforme garanzia per tutti i
cittadini,  in  ogni  parte  del  territorio  nazionale,  del diritto
(fondamentale  per  uno  Stato  democratico)  di  elettorato attivo e
passivo.
    Lo   stesso   Tribunale  ricorda  che  la  Corte  ha  piu'  volte
riconosciuto  alla  Regione  Siciliana  il  potere di stabilire cause
d'ineleggibilita'   o   di   incompatibilita'   non   previste  dalla
legislazione   statale,   ma  soltanto  allorquando  esse  riflettano
condizioni   locali  del  tutto  peculiari  o  eccezionali,  tali  da
giustificare  la  deroga  da parte del legislatore regionale rispetto
alla disciplina valevole nel restante territorio nazionale. Peraltro,
con   riguardo  alla  disciplina  della  lite  pendente,  la  diversa
regolamentazione   normativa  non  sarebbe  giustificata  da  nessuna
esigenza   peculiare   della   Regione   Siciliana,  con  conseguente
violazione  sia  del principio d'uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.,
sia   del   diritto   fondamentale   di  elettorato  passivo  sancito
dall'art. 51 Cost. D'ufficio, poi, il giudice rimettente eccepisce la
violazione  della presunzione d'innocenza sancita dall'art. 27 Cost.,
che il legislatore statale, modificando l'art. 63, comma 1, n. 4, del
d.lgs.  18 agosto  2000, n. 267, avrebbe ritenuto prevalente rispetto
alle   contrapposte  esigenze  di  pubblico  interesse  sottese  alla
incompatibilita' per lite pendente.
    5.  -  Si  e' costituito in giudizio il Comune di San Giovanni La
Punta,   che   ha   sostenuto  la  infondatezza  della  questione  di
costituzionalita',  dal momento che la Regione Siciliana, titolare in
materia  di  una  potesta'  legislativa  di  tipo  primario, dovrebbe
necessariamente   farsi   carico   della   tutela   della   legalita'
nell'amministrazione locale, oggetto di molteplici pressioni da parte
di diffuse forme di illegalita'.
    In     particolare,     una     eventuale     dichiarazione    di
incostituzionalita'  rischierebbe,  secondo la difesa del Comune, «di
vanificare  gli  sforzi fatti per tenere all'interno dei binari della
legalita'  l'attivita'  amministrativa  in Sicilia». La differenza di
disciplina,   rispetto   a  quanto  stabilito  a  livello  nazionale,
troverebbe   «ampia   e   razionale   giustificazione  nell'esigenza,
vivamente  avvertita  sul  territorio  siciliano  anche a causa della
diffusione   dei   fenomeni   di   delinquenza  organizzata  e  della
strutturale  debolezza e permeabilita' degli apparati amministrativi,
di  una  maggiore  e  piu'  rigorosa  tutela  degli organi consiliari
rispetto  a  quelle  ragioni  di confliggenza e contrasto che possono
derivare   dalla   pendenza  di  procedimenti  penali  nei  quali  le
amministrazioni    locali    si    costituiscano    parte    civile».
Sussisterebbero,  quindi,  i  «motivi  adeguati  e  ragionevoli» gia'
richiesti  dalla  Corte  costituzionale  per giustificare deroghe, da
parte  del legislatore siciliano, ai principi fissati dal legislatore
statale.
    6.  -  Si  e'  costituita la parte privata, il quale sostiene che
sarebbe  «evidente  come  nella specie non ricorra alcuna ragione che
possa  giustificare  il permanere nella Regione Siciliana della causa
di  incompatibilita'  in  esame in termini piu' restrittivi di quelli
rinvenibili per il resto del territorio nazionale».
    Altrettanto  ingiustificata  sarebbe la disparita' di trattamento
esistente  tra  i  consiglieri  comunali  eletti  in Sicilia e quelli
eletti  nel  resto  d'Italia anche in riferimento alla presunzione di
innocenza di cui all'art. 27 Cost. E cio' tanto piu' sarebbe evidente
dopo  la  sua intervenuta assoluzione «perche' il fatto non sussiste»
da  parte  della  Corte  di  appello  di  Catania  -  con  sentenza 5
luglio-28 settembre  2006  -  per  la vicenda processuale all'origine
della deliberazione di decadenza.
    7.  - In prossimita' dell'udienza, la parte privata ha presentato
una  ulteriore  memoria nella quale in via preliminare rende noto che
la  Corte  di  cassazione,  sez.  VI  penale  (con  dispositivo letto
all'udienza  del  26 marzo  2007), ha rigettato il ricorso avverso la
sentenza  di assoluzione della Corte di appello di Catania, la quale,
dunque, e' passata in giudicato.
    Peraltro,  la  parte  privata  afferma di essere consapevole che,
secondo   la   giurisprudenza   costituzionale,  il  requisito  della
rilevanza  riguarda il solo momento genetico in cui l'eccezione viene
sollevata,  e  non  anche il momento successivo alla rimessione della
questione e che, pertanto, la pronuncia della Corte di cassazione non
determina la sopravvenuta inammissibilita' della questione sollevata.
    Nel    merito,    la   difesa   privata   insiste   nell'invocare
l'accoglimento  della  questione  allo  scopo  di  «impedire  la  non
infrequente  strumentalizzazione  della  costituzione di parte civile
nel  processo  penale  ovvero  della  promozione dell'azione civile a
seguito  di  o  conseguente  a  sentenza di condanna»: una finalita',
questa, avvertita dal legislatore statale che ha, infatti, modificato
in  tal  senso  la  normativa  in  questione.  Quanto  alle  asserite
particolari   condizioni   del  contesto  siciliano,  che  potrebbero
giustificare  una  difforme  disciplina  legislativa  da  parte della
Regione,  la parte privata sostiene che cio' sarebbe ammissibile solo
se  venissero  in  rilievo  «tipi  di  reato  endemici del territorio
siciliano»,  come  ad  esempio  l'associazione a delinquere di stampo
mafioso,  ma  «non  certo  nel  caso  in  cui  si contesti l'abuso di
ufficio,  reato  che  -  lungi  dal  costituire fattispecie criminosa
tipica  di  un  particolare contesto - e' propriamente radicato nella
qualita'  di  pubblico  ufficiale  a  qualsiasi livello e, come tale,
generalizzato su tutto il territorio nazionale».

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  Tribunale  civile di Catania dubita della legittimita'
costituzionale dell'art. 10, comma 1, n. 4, della legge della Regione
Siciliana 24  giugno 1986,  n. 31  (Norme  per  l'applicazione  nella
Regione  Siciliana  della legge 27 dicembre 1985, n. 816, concernente
aspettative,  permessi  e  indennita'  degli  amministratori  locali.
Determinazione  delle  misure  dei  compensi  per  i componenti delle
commissioni   provinciali   di   controllo.   Norme   in  materia  di
ineleggibilita'   e  incompatibilita'  per  i  consiglieri  comunali,
provinciali  e  di quartiere), nella parte in cui non prevede che «la
lite  promossa  a  seguito  di  o  conseguente a sentenza di condanna
determina  incompatibilita'  soltanto  in  caso  di  affermazione  di
responsabilita' con sentenza passata in giudicato. La costituzione di
parte    civile   nel   processo   penale   non   costituisce   causa
d'incompatibilita».
    Tale  disposizione,  divergendo  dalla disciplina statale dettata
dall'art. 63,  comma 1, n. 4 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo
unico   delle   leggi   sull'ordinamento  degli  enti  locali),  come
modificato dall'art. 3-ter del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 13,
convertito  nella  legge  24 aprile  2002, n. 75, violerebbe l'art. 3
della  Costituzione,  in  quanto disciplinerebbe in modo diseguale la
posizione  di  cittadini  italiani  chiamati  a rivestire le medesime
funzioni  di consiglieri comunali, a seconda che essi siano eletti in
Sicilia  ovvero  nel  resto del territorio nazionale, senza che possa
venire in rilievo alcuna specifica ed eccezionale esigenza regionale.
Contrasterebbe,  inoltre, con l'art. 51 Cost., poiche' le limitazioni
al  diritto  di  elettorato  passivo  sarebbero legittime soltanto in
quanto  effettivamente  indispensabili  a  soddisfare le contrapposte
esigenze  di  pubblico  interesse  cui  sono preordinate in vista del
necessario   bilanciamento   tra   valori   aventi  eguale  copertura
costituzionale.   Violerebbe,   infine,  la  presunzione  d'innocenza
sancita  l'art. 27  Cost.,  che  il  legislatore statale, modificando
l'art. 63,  comma 1,  n. 4,  del  d.lgs.  n. 267  del  2000,  avrebbe
ritenuto  prevalente  rispetto alle contrapposte esigenze di pubblico
interesse sottese alla incompatibilita' per lite pendente.
    Il  rimettente  argomenta  le  proprie  censure  sostenendo  che,
benche'   la  Regione  Siciliana  disponga  in  materia  di  potesta'
legislativa  di  tipo  esclusivo, ai sensi dell'art. 15, comma 3, del
r.d.lgs.  15 maggio  1946,  n. 455  (Approvazione dello Statuto della
Regione  Siciliana)  convertito  dalla  legge cost. 26 febbraio 1948,
n. 2 (Conversione in legge costituzionale dello Statuto della Regione
Siciliana),  la giurisprudenza di questa Corte costituzionale avrebbe
costantemente   affermato   il   necessario   rispetto  dei  principi
fondamentali    della    legislazione   nazionale   in   materia   di
ineleggibilita' ed incompatibilita' a causa della necessaria uniforme
tutela del diritto politico fondamentale affermato dall'art. 51 Cost.
La  stessa  eccezione espressa dalla giurisprudenza costituzionale in
riferimento  alla  eventuale  esistenza  di  situazioni assolutamente
peculiari  nella Regione non sarebbe configurabile nel caso di specie
poiche' «non sembra sussistere nessuna specifica esigenza di pubblico
interesse,  che  sia  propria ed esclusiva della Regione Sicilia». Da
cio'  la  conseguente  violazione  del principio d'uguaglianza di cui
all'art. 3  Cost.,  del  diritto  fondamentale  di elettorato passivo
sancito  dall'art. 51  Cost., della presunzione d'innocenza affermata
dall'art. 27 Cost.
    2.  -  Non  spettando a questa Corte la valutazione, riservata al
giudice  a  quo,  degli  effetti  della sopravvenuta assoluzione, con
sentenza  definitiva,  del  consigliere  comunale  decaduto dal reato
ascrittogli,  la questione di legittimita' costituzionale deve essere
esaminata nel merito.
    Essa risulta non fondata.
    3.   -  Questa  Corte  in  specifico  riferimento  alla  potesta'
legislativa   esclusiva   della   Regione   Siciliana   in   tema  di
ineleggibilita' ed incompatibilita' dei consiglieri degli enti locali
(di  cui  agli artt. 14, lettera o, e 15, terzo comma, dello statuto)
ha   in  molte  occasioni  affermato  che  «la  disciplina  regionale
d'accesso  alle  cariche elettive dev'essere strettamente conforme ai
principi  della  legislazione  statale,  a  causa  della  esigenza di
uniformita'    in   tutto   il   territorio   nazionale   discendente
dall'identita'  di  interessi  che  Comuni  e  Province rappresentano
riguardo  alle  rispettive comunita' locali, quale che sia la Regione
di appartenenza (sentenze n. 235 del 1988, n. 20 del 1985, n. 171 del
1984,  n. 26  del  1965  e n. 105 del 1957). In realta' e' proprio il
principio  di  cui all'art. 51 della Costituzione a svolgere il ruolo
di   garanzia   generale   di   un   diritto  politico  fondamentale,
riconosciuto  ad  ogni  cittadino con i caratteri dell'inviolabilita'
(ex art. 2 della Costituzione)» (sentenza n. 539 del 1990). Su questa
base  sono  state  dichiarate  costituzionalmente  illegittime sia la
previsione  di  nuove  o  diverse  cause di ineleggibilita' (sentenze
n. 162 del 1995, n. 571 del 1989, n. 108 del 1969 e n. 105 del 1957),
sia  la  previsione  come  causa  di  ineleggibilita'  di  situazioni
previste  a  livello  nazionale  come  cause di incompatibilita' o di
anomale  discipline della incompatibilita' (sentenze n. 235 del 1988,
n. 432  del  1987  e  n. 162  del 1985), sia la mancata previsione di
cause   di   ineleggibilita'   presenti  nella  legislazione  statale
(sentenze n. 84 del 1994 e n. 463 del 1992).
    Al   tempo   stesso,  peraltro,  questa  Corte  ha  costantemente
riconosciuto  che discipline legislative differenziate possono essere
ammissibili  «in  presenza  di  situazioni  concernenti  categorie di
soggetti,   le  quali  siano  esclusive  per  la  Sicilia  ovvero  si
presentino diverse, messe a raffronto con quelle proprie delle stesse
categorie  di  soggetti  nel restante territorio nazionale ed in ogni
caso  per motivi adeguati e ragionevoli, e finalizzati alla tutela di
un  interesse generale» (sentenze n. 84 del 1994; ma analogamente fra
le  piu' recenti: n. 162 del 1995, n. 463 del 1992, n. 539 del 1990 e
n. 571 del 1989).
    Su  questa  base  sono state ritenute non fondate le questioni di
legittimita'  costituzionale  concernenti  talune norme della Regione
Siciliana  che  disciplinavano  cause di ineleggibilita' non previste
dal legislatore statale (sentenze n. 539 del 1990 e n. 130 del 1987).
    4.  -  Con particolare riguardo all'istituto della lite pendente,
questa  Corte  ha avuto occasione di affermare che esso si giustifica
pur  nella  «esigenza  di  dare  la massima espansione applicativa al
precetto   dell'art. 51,  primo  comma,  Cost.,  compatibilmente  con
l'altra  primaria  esigenza  della  autenticita'  della  competizione
elettorale»,  dal  momento che appare «evidente che la preoccupazione
del  legislatore  e'  rivolta  al  possibile  conflitto di interessi»
(sentenza  n. 45  del 1977). Proprio per assicurare la massima tutela
del  diritto  di tutti i cittadini ad accedere alle cariche elettive,
la  sentenza  n. 162  del  1985  di  questa  Corte  ha  dichiarato la
illegittimita'  costituzionale  di una norma della Regione Siciliana,
che  annoverava  la  lite  pendente  fra  le cause di ineleggibilita'
piuttosto che fra le cause di incompatibilita'.
    Conformandosi   alla   sentenza   appena   citata,  la  censurata
previsione  ha  definito  alcune ipotesi di incompatibilita' per lite
pendente  in  modo  identico a quanto stabilito dall'art. 3, comma 1,
n. 4,  della  legge  23 aprile  1981,  n. 154  (Norme  in  materia di
ineleggibilita'  ed  incompatibilita'  alle  cariche  di  consigliere
regionale,  provinciale,  comunale e circoscrizionale e in materia di
incompatibilita'  degli  addetti  al  Servizio  sanitario nazionale).
Questa  disciplina  e'  stata  successivamente  riprodotta in termini
sostanzialmente  identici nell'art. 63, comma 1, n. 4, del T.U. degli
enti   locali   ed  e'  stata  modificata  solo  dall'art. 3-ter  del
decreto-legge  n. 13  del  2002,  il  quale,  senza  far  venir  meno
l'istituto   dell'incompatibilita'   per   lite   pendente,   lo   ha
circoscritto  ad ipotesi piu' ristrette. In seguito a tali modifiche,
infatti,  la  lite promossa in esito a sentenza di condanna o ad essa
conseguente   determina   incompatibilita'   soltanto   in   caso  di
affermazione  di  responsabilita'  con sentenza passata in giudicato,
mentre   e'   espressamente  escluso  che  tale  incompatibilita'  si
verifichi  nel  caso  di  costituzione  di  parte civile nel processo
penale.
    Peraltro, se in generale la ratio delle cause di incompatibilita'
per  i  consiglieri  comunali  - tra le quali quella prevista per chi
abbia   lite   pendente  con  il  Comune  -  «consiste  evidentemente
nell'impedire che possano concorrere all'esercizio delle funzioni dei
consigli  comunali  soggetti  portatori di interessi confliggenti con
quelli  del Comune o i quali comunque si trovino in condizioni che ne
possano  compromettere  l'imparzialita»  (sentenza  n. 44  del 1997),
l'attualmente  piu'  severa  disciplina  legislativa regionale appare
ragionevolmente     giustificata     dalle    peculiari    condizioni
dell'amministrazione  locale  siciliana,  caratterizzata  da fenomeni
particolarmente  gravi  di  pressione  della criminalita' organizzata
sulle amministrazioni pubbliche e dal numero e gravita' di episodi di
illegalita'  amministrativa riscontrati in tale ambito. Cio' spiega e
giustifica,  anche alla luce della giurisprudenza di questa Corte, la
volonta'  del legislatore siciliano di predisporre strumenti idonei a
garantire  maggiormente il regolare ed imparziale funzionamento degli
organi consiliari.
    A  riprova della manifesta situazione di grave difficolta' in cui
versano  le  amministrazioni  locali  siciliane,  appare  sufficiente
riferirsi  in generale ai molti materiali informativi raccolti, anche
in    sede    parlamentare,    sulla   situazione   delle   pubbliche
amministrazioni siciliane.
    D'altra  parte,  proprio la situazione del Comune di San Giovanni
La  Punta  appare particolarmente espressiva di un accentuato degrado
dell'amministrazione   comunale   sul  piano  della  funzionalita'  e
legalita':  i  suoi  organi elettivi sono stati piu' volte dichiarati
decaduti  ed  il  Comune  e'  stato  varie  volte commissariato dalla
Regione  e dal Governo (si veda da ultimo il d.P.R. 9 maggio 2003, in
Gazzetta  Ufficiale  n. 119  del  24 maggio  2003,  dal quale risulta
l'esistenza  di  «collegamenti  diretti  ed indiretti tra parte degli
organi   rappresentativi   del   Comune   [...]   e  la  criminalita'
organizzata»,  nonche' la «permeabilita' dell'ente ai condizionamenti
esterni» della medesima criminalita).
    Ne'  puo'  essere  condivisa la opinione della difesa della parte
privata  secondo  la  quale,  al  fine  di  giustificare  una diversa
disciplina delle cause di incompatibilita', potrebbe semmai venire in
considerazione  solo l'eventuale esistenza «di tipi di reato endemici
del   territorio  siciliano»,  come,  ad  esempio,  l'associazione  a
delinquere di stampo mafioso, mentre non rileverebbero i reati comuni
contro  la  pubblica  amministrazione,  che  possono  essere compiuti
ovunque.  Al  contrario,  si  deve  affermare  che non e' soltanto la
tipologia  o  la  natura  dei  reati  cio'  che  puo' legittimare una
disciplina   legislativa   piu'  severa  sul  piano  delle  cause  di
incompatibilita',   ma  anche  la  complessiva  considerazione  della
particolare  situazione  in  cui  versa  l'amministrazione  locale in
questa  Regione,  nella  quale  anche la diffusa commissione di reati
comuni  assume  una  rilevanza tale da giustificare l'adozione di una
disciplina diversa e piu' severa a tutela del primario interesse alla
legalita'.
    5.  -  Restano  assorbiti  gli  altri  profili della questione di
legittimita' costituzionale prospettata nell'ordinanza di rimessione.