ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  della  deliberazione della Camera dei deputati del
17 marzo  2004  (Doc. IV-ter, n. 4-A) relativa alla insindacabilita',
ai   sensi  dell'art. 68,  primo  comma,  della  Costituzione,  delle
opinioni  espresse  dall'onorevole  Vittorio Sgarbi nei confronti del
dottor   Piercamillo   Davigo,   promosso  con  ricorso  del  giudice
dell'udienza  preliminare  del  Tribunale  di  Brescia, notificato il
23 marzo 2003, depositato in cancelleria il 2 aprile 2005 ed iscritto
al n. 18 del registro conflitti 2005.
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
    Udito nell'udienza pubblica del 3 luglio 2007 il giudice relatore
Alfonso Quaranta;
    Udito l'avvocato Roberto Nania per la Camera dei deputati.

                          Ritenuto in fatto

    1.-  Il giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Brescia
ha promosso, con ricorso depositato pressa la cancelleria della Corte
il  26 ottobre 2004, conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
nei  confronti  della  Camera  dei deputati, per l'annullamento della
deliberazione  da  quest'ultima  adottata  «nella seduta del 17 marzo
2004» (Doc. IV-ter, n. 4-A).
    1.1.  -  Premette  il  ricorrente  di essere chiamato a giudicare
della   responsabilita'   penale   dell'onorevole   Vittorio  Sgarbi,
«imputato   del  delitto  di  diffamazione  aggravata  in  danno  del
magistrato   dott.  Piercamillo  Davigo»,  in  ragione  delle  «frasi
pronunciate» e delle «condotte tenute» nel corso della puntata del 26
giugno 1998   della   trasmissione  televisiva  «Sgarbi  quotidiani»,
diffusa dall'emittente «Canale 5».
    Il  parlamentare,  difatti,  «conduttore del programma televisivo
suddetto»,   avrebbe   esposto   «durante  la  sigla  iniziale  della
trasmissione un disegno raffigurante due maiali vestiti da magistrati
con  tocco,  toga,  un  coltello  e  un  grembiule sporco di sangue»,
rivolgendosi  inoltre al disegnatore Martinez con le seguenti parole:
«E' tua la copertina? Ti volevi riferire ai magistrati di Venezia? Di
qualunque  altra  citta'  d'Italia? .... non c'e' nessun collegamento
tra  la  copertina  di  Martinez  e la musica che fa siam tre piccoli
porcellini  e quello che diro' io ... i porci miei sono porci miei, i
porci tuoi sono porci tuoi ...».
    Il  deputato  Sgarbi,  poi,  avrebbe  dichiarato  nel corso della
trasmissione «in relazione alla recensione di un libro pubblicato dal
dott.  Davigo  "io  vi  suggerisco,  se  avete intenzione di scrivere
libri, di fare prima i magistrati: se voi volete avere una recensione
sul  Corriere  in terza pagina, voi dovete non fare il libro e basta,
ma fare il magistrato, magari del pool di Milano, perche' se lo fai a
Forli'  o  Ravenna  o  anche  a  Venezia,  non  ti  danno  neanche la
quindicesima; allora dovete fare i magistrati a Milano per pubblicare
un  libro  di cui spero godrete i diritti di autore e allora soltanto
avrete una recensione in terza pagina"».
    Il   parlamentare,   inoltre,  «mostrando  la  terza  pagina  del
quotidiano  "Corriere  della Sera", suggeriva agli ascoltatori: "Come
la  chiamereste  voi questa pagina? Io la chiamerei leccata di c. ...
(bip).  Trattasi  del  c.  ...  (bip) del dott. Davigo"», aggiungendo
«frasi  sarcastiche  sulla circostanza che la recensione occupasse lo
spazio di sette colonne».
    Infine l'on. Sgarbi, conclude sul punto il ricorrente, durante un
dialogo   con   l'ospite  della  trasmissione  avv.  Carlo  Taormina,
«accreditava  la  tesi  che  il  dott.  Davigo  avesse  "mandato"  il
Maresciallo  della  Guardia  di  Finanza  Scaletta Salvatore (...) ad
interrogare  il  finanziere  Francesco  Pacini  Battaglia al precipuo
scopo  di «fargli dire» che Taormina era legato a clan camorristici e
dunque  al fine di "incastrarlo" e provocare un'indagine per reati di
mafia a carico di quest'ultimo».
    1.2.  -  Tanto  premesso  sul  contenuto  dell'addebito elevato a
carico   del   parlamentare,  il  ricorrente  informa  la  Corte  che
all'udienza  preliminare, celebrata il 16 dicembre 2003, il difensore
dell'imputato   «chiedeva  al  giudice  di  pronunciare  sentenza  di
proscioglimento  ex  art. 129  del  codice di procedura penale per la
insindacabilita'  delle  opinioni  espresse  dal  proprio  assistito,
ritenute scriminate ai sensi dell'art. 68 della Costituzione».
    Il  predetto  giudice  dell'udienza  preliminare,  tuttavia,  con
ordinanza  del 23 dicembre 2003, «investiva della questione la Camera
dei  deputati»,  provvedendo cosi' ai sensi dell'articolo 3, comma 4,
della  legge  20  giugno 2003,  n. 140 (Disposizioni per l'attuazione
dell'articolo 68  della  Costituzione  nonche' in materia di processi
penali  nei  confronti  delle  alte  cariche  dello  Stato),  in base
all'assunto  che  le  condotte poste in essere dal deputato Sgarbi (e
sopra  meglio descritte) non sarebbero «ricomprese tra quelle oggetto
del  disposto dell'art. 68 Cost., siccome non espresse nell'esercizio
di funzioni parlamentari, ne' a queste funzionalmente connesse».
    Essendo,  tuttavia,  pervenuta  all'odierno  ricorrente - in data
22 marzo  2004  - la nota con la quale il Presidente della Camera dei
deputati  comunicava  che,  con  delibera  adottata il 17 marzo 2004,
l'assemblea   aveva   dichiarato  l'insindacabilita'  delle  opinioni
espresse  dal  parlamentare, respingendo la proposta della Giunta per
le  autorizzazioni (di segno contrario), il ricorrente ha promosso il
presente conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato.
    1.3.   -   A  sostegno  dell'iniziativa  assunta,  sono  dedotti,
innanzitutto,  «i  principi delineati dalla sentenza 29 dicembre 1988
n. 1150 della Corte costituzionale».
    In  base ad essi - espone il giudice dell'udienza preliminare del
Tribunale  di  Brescia - «le prerogative parlamentari non possono non
implicare un corrispettivo potere valutativo dell'organo a tutela del
quale   sono   disposte»,   potere  che  «puo'  dirsi  legittimamente
esercitato   solo   entro  i  limiti  della  fattispecie  contemplata
dall'art. 68,  primo comma, Cost.». Esso, difatti, «lungi dall'essere
arbitrario  o  vincolato  a sole regole interne di self-restraint, e'
soggetto   al   controllo   di   legittimita'   affidato   all'organo
giurisdizionale di garanzia costituzionale, mediante lo strumento del
conflitto  di  attribuzione».  Quest'ultimo, a propria volta, «non si
configura  nei  termini  di  una  vindicatio potestatis (il potere di
valutazione  del  Parlamento non e' in astratto contestabile), bensi'
come  contestazione  dell'altrui  potere  in  concreto,  per vizi del
procedimento  oppure per omessa o erronea valutazione dei presupposti
di volta in volta richiesti per il valido esercizio di esso».
    Alla  stregua,  dunque, di tale indirizzo (che il ricorrente pone
in  luce  essere  stato  confermato  dalle sentenze n. 129 del 1996 e
n. 443  del  1993),  sarebbe  evidente  che il giudizio devoluto alla
Corte  in  sede  di  conflitto  di  attribuzione  «non si limita alla
verifica  della validita' e congruita' della motivazione con la quale
la   Camera   di   appartenenza  del  parlamentare  abbia  dichiarato
insindacabile  l'opinione  espressa».  Sebbene  esso, difatti, non si
atteggi  «a  giudizio  sindacatorio  (...)  su  di una determinazione
discrezionale  dell'assemblea  politica»,  e'  pur vero che la Corte,
«chiamata  a  svolgere,  in  posizione  di terzieta', una funzione di
garanzia,  da un lato dell'autonomia della Camera di appartenenza del
parlamentare,  dall'altro  della sfera di attribuzione dell'autorita'
giurisdizionale,  non  puo'  verificare  la  correttezza,  sul  piano
costituzionale, di una pronuncia di insindacabilita' senza verificare
se, nella specie, l'insindacabilita' sussista, cioe' se l'opinione di
cui  si  discute  sia  stata  espressa  nell'esercizio delle funzioni
parlamentari, alla luce della nozione di tale esercizio che si desume
dalla Costituzione» (e' richiamata testualmente la sentenza n. 10 del
2000).
    Orbene,  prosegue  il  ricorrente, poiche' la deliberazione della
Camera   dei   deputati  del  17 marzo  2004  (oggetto  del  presente
conflitto)  risulterebbe  adottata  in  difetto  dei  presupposti per
l'applicazione  della garanzia di cui all'art. 68, primo comma, della
Carta costituzionale, la stessa si paleserebbe lesiva della «sfera di
attribuzione dell'ordine giudiziario».
    1.4.  -  Ne'  in  senso contrario potrebbe addursi - evidenzia il
summenzionato   giudice   dell'udienza   preliminare   -  la  recente
previsione  normativa introdotta dall'articolo 3, comma 1, della gia'
citata legge n. 140 del 2003, secondo cui e' pure insindacabile «ogni
altra  attivita'  di  ispezione,  di  divulgazione,  di  critica e di
denuncia  politica  connessa alla funzione di parlamentare, espletata
anche al di fuori del Parlamento».
    La  stessa Corte, difatti, ha chiarito (sentenza n. 120 del 2004)
come,  attraverso  tale  previsione  normativa,  «il  legislatore non
innovi  affatto alla predetta disposizione costituzionale», essendosi
limitato  a  renderne  «esplicito il contenuto (...) specificando gli
atti  di funzione tipici, nonche' quelli che, pur non tipici, debbono
comunque essere connessi alla funzione parlamentare, a prescindere da
ogni   criterio  di  localizzazione»,  e  cio'  -  oltretutto  -  «in
concordanza   con   le   indicazioni  ricavabili  al  riguardo  dalla
giurisprudenza costituzionale in materia».
    Cio'  che,  dunque,  continua  a  rilevare,  sottolinea ancora il
ricorrente,  e'  «il  collegamento  necessario  con  le  funzioni del
Parlamento,  cioe'  l'ambito  funzionale  in cui l'atto si iscrive, a
prescindere  dal  suo  contenuto comunicativo che puo' essere il piu'
vario,  ma  che in ogni caso deve rappresentare esercizio in concreto
delle  funzioni  proprie dei membri delle Camere», di talche', in se'
considerate,  «le  attivita'  di  ispezione,  divulgazione, critica e
denuncia  politica»  (alle  quali  si  riferisce  il  gia' menzionato
art. 3,  comma,  1 della legge n. 140 del 2003) non rappresentano «un
indebito   allargamento   dell'insindacabilita',   se   risultano  in
connessione  con l'esercizio di funzioni parlamentari» (si richiamano
le  sentenze n. 219 del 2003, n. 509 del 2002, n. 320, n. 56, n. 11 e
n. 10  del  2000). Diversamente, invece, «l'attivita' di propaganda e
critica  politica  svolta  in  assenza  di  un  nesso  funzionale con
l'attivita'  parlamentare  propria  e' soggetta ai medesimi limiti di
espressione  di ogni altro cittadino che voglia partecipare alla vita
politica nazionale».
    1.5.  -  E', pertanto, sulla scorta di tali principi, che secondo
il  ricorrente  - il quale, peraltro, non manca di porre in luce come
soltanto  la  loro  rigorosa  applicazione consenta «di non incorrere
nelle  sanzioni  della  Corte  Europea dei diritti dell'uomo» (avendo
essa  affermato  che «condizione per la compatibilita' del meccanismo
di  tutela  dell'art. 68  Cost. con l'ordinamento comunitario e con i
diritti  individuali  alla tutela dell'onore dei privati cittadini e'
la  proporzione tra l'ambito delle condotte ritenute insindacabili ed
il  fine  per  il  quale  l'insindacabilita'  e' prevista») - occorre
«valutare  se  le  condotte oggetto del presente procedimento siano o
meno tra quelle garantite dall'art. 68» Cost.
    Atteso,  dunque,  che  «le  condotte  delle  quali si contesta la
legittimita'  sono state tenute "fuori del Parlamento", e fuori delle
attivita'  parlamentari tipiche» (l'interessato ebbe a pronunciare le
frasi  oggetto di giudizio nel corso di una trasmissione televisiva),
appare  evidente - ad avviso del giudice dell'udienza preliminare del
Tribunale di Brescia - che «l'aspetto da verificare e' proprio quello
della  riconducibilita'  delle  condotte  denunciate  alle  attivita'
"atipiche"»,  e  cio'  «sotto  il  profilo  della connessione di tali
condotte con la funzione, ovvero attivita' parlamentare».
    In  tale  prospettiva,  pero',  il  ricorrente  evidenzia come il
deputato  non  abbia  «mai  azionato  alcuna iniziativa parlamentare,
tipica  o atipica, relativamente alla questione (...) del Maresciallo
Scaletta», non parendo, inoltre, «che le interrogazioni autonomamente
presentate  (...)  da  due  diversi  deputati su alcuni aspetti della
vicenda»  possano  giustificare  l'applicazione  della prerogativa ex
art. 68, primo comma, della Costituzione.
    Si  sottolinea,  inoltre,  nel  presente ricorso come oggetto del
procedimento  penale (e quindi della delibera contestata) siano, «non
solo    le    affermazioni   relative   alla   supposta   distorsione
dell'attivita'   investigativa   diretta  dal  dott.  Davigo  a  fini
personali,  in  danno  dell'avv.  Taormina, ma tutte le condotte e le
frasi riportate nell'imputazione, a partire dalla presentazione della
puntata»,  sia  mediante  l'esibizione  di un disegno che riproduceva
«due  maiali vestiti con toga e tocco, con grembiule sporco di sangue
ed  un  coltello  in  mano», sia attraverso «l'accompagnamento di una
colonna  sonora  che  cantava  «siam tre piccoli porcellin ...» ed il
riferimento  formalmente  ad  escludendum  ai  pubblici  ministeri di
Milano».
    Ne  consegue,  sottolinea il ricorrente, che tali condotte - come
del  resto  «le  frasi sulla recensione del volume di Davigo» - per i
loro  «modi  ed argomenti» appaiono «difficilmente ricollegabili alla
funzione  pubblica  parlamentare».  Non  casualmente,  del  resto, la
Giunta  per  le  autorizzazioni  della  Camera  dei  deputati - e' la
conclusione  del  giudice  dell'udienza  preliminare  summenzionato -
aveva  «proposto  di  deliberare  nel  senso  della estraneita' delle
condotte  e  delle  opinioni  espresse  alla  funzione parlamentare»,
ritenendo  insufficiente,  ai  fini del riconoscimento della garanzia
della   insindacabilita',   «la   mera   coloritura   politica  delle
affermazioni  contestate»,  ovvero «la sola comunanza d'argomento con
tematiche trattate in Parlamento».
    Avendo,  per  contro, l'Assemblea parlamentare deliberato in data
17 marzo  2004 (Doc. IV-ter, n. 4-A) in senso difforme, il ricorrente
-  visti  gli artt. 68 e 134 Cost. e 37 legge costituzionale 11 marzo
1953,  n. 87  - chiede alla Corte di dichiarare che non spettava alla
Camera   dei   deputati   deliberare   che   le   opinioni   espresse
dall'onorevole Vittorio Sgarbi in data 26 giugno 1998 nel corso della
trasmissione televisiva «Sgarbi quotidiani», in relazione ai quali e'
pendente procedimento penale per il delitto di diffamazione aggravata
in  danno  del  sostituto  procuratore  della  Repubblica  presso  il
Tribunale  di  Milano  dott.  Piercamillo Davigo, concernono opinioni
espresse   dall'on.   Sgarbi   nell'esercizio   delle  sue  funzioni,
disponendo   l'annullamento  della  delibera  relativa,  adottata  il
17 marzo  2004 dalla Camera dei deputati, per violazione dell'art. 68
della Costituzione.
    2.  -  Il  presente conflitto e' stato dichiarato ammissibile con
ordinanza n. 105 del 2005.
    3.  -  Si  e'  costituita in giudizio la Camera dei deputati, per
chiedere  che  il  presente conflitto sia dichiarato inammissibile e,
comunque, non fondato.
    3.1.  -  In  via  preliminare,  difatti,  essa  eccepisce che «il
ricorso  e'  da  ritenersi inammissibile e comunque improcedibile, in
quanto  non  risultano riportate in modo congruo ed adeguato le frasi
che dovrebbero costituire oggetto del conflitto», cio' che renderebbe
carente,   secondo   costante   giurisprudenza   costituzionale,   la
«prospettazione  del  thema  decidendum»  (sono  citate,  oltre  alle
sentenze  n. 79  del 2005, n. 87 del 2002 e n. 274 del 2001, anche le
ordinanze n. 129 del 2005, n. 264 del 2000, n. 318 del 1999).
    3.1.1.  -  In  particolare,  la  difesa della Camera dei deputati
evidenzia  che  alcune  delle  dichiarazioni oggetto del procedimento
penale  pendente  innanzi  alla  ricorrente  autorita' giudiziaria, e
segnatamente  quelle  riguardanti  la  condotta  che  il dott. Davigo
avrebbe  tenuto  in danno dell'on. Taormina, non formerebbero oggetto
di  puntuale  indicazione  nell'atto  che ha dato origine al presente
conflitto,  giacche'  le  stesse  sarebbero  state  «sostituite dalla
libera  e soggettiva rielaborazione da parte del giudice ricorrente»,
tanto  che  non sarebbe «dato neppure comprendere se siano state rese
dall'on.  Sgarbi  oppure  dall'ospite della trasmissione» (e cioe' il
predetto on. Taormina).
    «Tale personale e soggettiva rielaborazione» - prosegue la Camera
dei deputati - non risulterebbe idonea «a prospettare correttamente i
termini  della controversia», con conseguente violazione dell'art. 26
delle   norme   integrative   per   i   giudizi   davanti   la  Corte
costituzionale.   Difatti,   diversamente   opinando,   la  Corte  si
ritroverebbe  a dover valutare la sussistenza di un nesso funzionale,
«non gia' tra le dichiarazioni extra moenia e quelle intra moenia del
parlamentare,  ma  tra  queste ultime e quelle immaginate dal giudice
ricorrente»,  con  conseguente lesione, oltretutto, del principio del
contraddittorio,  «tanto  piu'  rilevante  quando,  come nel presente
giudizio,  si  controverta  in  materia  di attribuzioni spettanti ai
poteri dello Stato».
    La  Camera  dei  deputati, inoltre, sottolinea come l'esito della
declaratoria  di  inammissibilita'  del  ricorso  sembrerebbe imporsi
anche  alla  luce  di  una  «recente  decisione  di  inammissibilita»
adottata  dalla  Corte costituzionale. Difatti, con la sentenza n. 79
del  2005  e'  stata  censurata  la  scelta  operata della ricorrente
autorita' giudiziaria - in un giudizio per conflitto - di sostituire,
alla  puntuale  indicazione  delle  dichiarazioni  rese  extra moenia
proprio dall'odierno dichiarante, una loro «libera rielaborazione», e
cio'  sul  presupposto  che  in  tal  modo si determina «un'impropria
sovrapposizione tra l'oggettiva rilevanza delle opinioni espresse dal
deputato  Sgarbi e l'interpretazione soggettiva che ne e' stata data,
che interferisce con l'accertamento del nesso funzionale tra le frasi
pronunciate  nel  corso della trasmissione televisiva e gli eventuali
atti  parlamentari tipici di cui le frasi stesse potrebbero essere la
divulgazione esterna».
    Ne',   d'altra   parte,   in   senso   contrario   alla  eccepita
inammissibilita' del ricorso, potrebbe addursi la circostanza che «la
denunziata  insufficienza  non si riverbererebbe comunque sugli altri
punti  relativi  alla  descrizione  del  fatto», giacche', in ragione
della  «sostanziale  unitarieta' del contesto argomentativo» di tutte
le dichiarazioni per le quali e' giudizio (confermata anche dal fatto
che  le  stesse  hanno  formato  oggetto  di una medesima delibera di
insindacabilita),  «la  parziale riproduzione delle frasi incriminate
non puo' non comportare, al pari della loro completa rielaborazione o
totale   omissione,  l'inammissibilita'  dell'intero  ricorso»  (sono
citate,  a  sostegno  di  tale  conclusione,  le sentenze della Corte
costituzionale n. 206 del 2002 e n. 363 del 2001, nonche' l'ordinanza
n. 264 del 2000).
    3.1.2.  -  Sempre in punto ammissibilita', la difesa della Camera
dei deputati eccepisce anche che dal ricorso non risulterebbe affatto
chiaro  «quale  sia - e, prima ancora, se vi sia - la rilevanza della
«copertina»  del  programma  televisivo  condotto  dal parlamentare»,
visto che in relazione ad essa, non solo il ricorrente parrebbe avere
omesso di formulare censure, ma sembrerebbe persino ipotizzare che la
stessa   non  sia  «neppure  riconducibile  al  parlamentare,  quanto
piuttosto   all'altro   autore  della  trasmissione,  coimputato  nel
giudizio a quo».
    3.2.  -  Nel  merito la Camera dei deputati reputa il ricorso non
fondato.
    3.2.1.  -  Sottolinea,  difatti,  che le dichiarazioni oggetto di
giudizio si presentano divulgative di attivita' parlamentari dell'on.
Sgarbi,  giacche'  «una  parte  preponderante  di  siffatta attivita»
risulta   essersi   incentrata   «proprio  sul  tema  della  corretta
amministrazione della giustizia e delle sue (ritenute) disfunzioni ed
anomalie»,  nonche',  segnatamente, sull'operato dei magistrati degli
uffici   giudiziari   milanesi,  ed  in  particolare  «dei  sostituti
procuratori (tra cui il menzionato dott. Davigo)».
    Deporrebbero  in  tal senso numerosi atti ispettivi, dei quali il
predetto  deputato risulta firmatario o cofirmatario (ed esattamente:
le  interrogazioni  a risposta orale n. 3/2001254 del 20 luglio 1993,
n. 3/2000190  del  1° agosto  1994, n. 3/2000853 del 9 gennaio 1996 e
n. 3/2002476  dell'8  giugno 1998),  nonche'  la  proposta  di  legge
n. 2296,  presentata  alla  Camera  dei Deputati in data 24 settembre
1996  (XIII  legislatura), ed infine gli interventi alla sedute della
Camera dei deputati del 18 e 25 giugno 1998.
    Rileverebbe,  in  particolare, l'interrogazione n. 3/2000190, con
la  quale  il  suddetto parlamentare - osserva la difesa della Camera
dei  deputati  - «censurava l'utilizzo, a suo giudizio arbitrario, di
membri  della Guardia di Finanza nella conduzione delle inchieste, da
parte   dei   componenti   del   «pool   Mani   pulite»».  Del  pari,
particolarmente  rilevante  sarebbe anche l'interrogazione 3/2002476,
nella quale - proprio riferendosi ai «dottori Antonio Di Pietro, Pier
Camillo  Davigo,  Gherardo  Colombo  e Francesco Greco» - il suddetto
deputato  si  doleva  del  fatto che nessun procedimento disciplinare
fosse  stato  avviato nei loro confronti, «nonostante la gravita' dei
reati  commessi ai danni del Governo e del Parlamento». Analogamente,
in  occasione della presentazione della proposta di legge n. 2296, il
medesimo  parlamentare  sottolineava - nella relazione introduttiva -
la  intollerabilita'  del  fatto  che  «sotto  la  toga si nascondano
interessi   di   parte,   discriminazioni   colpevoli  o  faziosita»,
stigmatizzando,   inoltre,  «l'enorme  impatto  che  ha  avuto  e  ha
nell'opinione   pubblica   il   persistente   e  diuturno  intervento
attraverso  i mass-media di magistrati famosi per la pubblicita' data
alle loro inchieste giudiziarie».
    Alla  luce,  pertanto,  di  tali elementi, la Camera dei deputati
reputa   che,  «ragionando  in  una  prospettiva  di  carattere  piu'
generale», dagli atti di funzione suddetti potrebbero evincersi delle
ripetute  critiche  mosse  - dall'on. Sgarbi - ai magistrati milanesi
per  il  ruolo  «anomalo» dagli stessi rivestito, proprio «in ragione
della notorieta' e visibilita' assunta», critiche alle quali, quindi,
ben  potrebbero  essere  «correlate  le  opinioni  esterne in tema di
attenzione offerta dai mezzi di stampa alle iniziative editoriali dei
medesimi magistrati».
    Ne',  d'altra  parte,  ad  escludere l'applicazione dell'art. 68,
primo   comma,   Cost.   potrebbe   addursi  l'assenza  «di  puntuali
corrispondenze  testuali  con le dichiarazioni esterne», giacche', ai
fini    della    «legittima    attivazione   della   garanzia   della
insindacabilita»,  sarebbe  sufficiente  -  come nel caso di specie -
l'esistenza,  tra  le dichiarazioni esterne e quelle interne, di «una
sostanziale   identita'   di  contenuto  polemico»  (sono  citate,  a
riguardo,  le sentenze della Corte costituzionale n. 347 e n. 298 del
2004).
    3.2.2.  -  Rileva,  infine, la Camera dei deputati - ad ulteriore
conferma dell'esistenza, nella specie, del nesso funzionale - che «la
specifica  vicenda  di  cui  alle dichiarazioni incriminate era stata
oggetto   anche   di   molteplici   atti   ispettivi  resi  da  altri
parlamentari,  alcuni  dei  quali di contenuto identico, finanche dal
punto di vista testuale», alle dichiarazioni suddette.
    Il riferimento e', in particolare, alle interrogazioni a risposta
orale  n. 3/2000448 dell'11 novembre 1996, presentata dagli onorevoli
Parenti e Bruno, n. 3/2002549 del 24 giugno 1998, presentata dall'on.
Saponara,   n. 3/2002558  del  24  giugno 1998,  presentata  dall'on.
Maiolo,  e  n. 3/2000814  del  17 ottobre  1996,  presentata dall'on.
Mantovano ed altri.
    La   Camera   si   dice   consapevole  del  fatto  che  la  Corte
costituzionale  «ha ritenuto di escludere che possano utilizzarsi, al
fine  di  vagliare  la sussistenza del nesso funzionale, gli atti che
siano  riconducibili  ad  altri  parlamentari» (e' citata la sentenza
n. 347  del  2004), cio' nondimeno essa reputa che «laddove, come nel
caso  di  specie,  si riscontri una cosi' puntuale coincidenza con le
dichiarazioni  esterne  cio'  dovrebbe comunque indurre a ritenere di
per se' superato il test di parlamentarita' di cui all'art. 68, comma
primo,   Cost.,   indipendentemente   dalla   provenienza  soggettiva
dell'atto parlamentare di riferimento».
    4.  -  In  prossimita'  dell'udienza  pubblica  di discussione la
Camera  dei deputati ha depositato un'ulteriore memoria, ribadendo le
considerazioni e conclusioni gia' svolte.

                       Considerato in diritto

    1. - Il giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Brescia
ha promosso, con ricorso depositato pressa la cancelleria della Corte
il  26 ottobre 2004, conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
nei  confronti  della  Camera  dei deputati, per l'annullamento della
deliberazione  da  quest'ultima  adottata  «nella seduta del 17 marzo
2004» (Doc. IV-ter, n. 4-A).
    1.1.  -  Il ricorrente ha premesso di essere chiamato a giudicare
della   responsabilita'   penale   dell'onorevole   Vittorio  Sgarbi,
«imputato   del  delitto  di  diffamazione  aggravata  in  danno  del
magistrato   dott.  Piercamillo  Davigo»,  in  ragione  delle  «frasi
pronunciate» e delle «condotte tenute» nel corso della puntata del 26
giugno 1998   della   trasmissione  televisiva  «Sgarbi  quotidiani»,
diffusa dall'emittente «Canale 5».
    Il  parlamentare,  difatti,  «conduttore del programma televisivo
suddetto»,   avrebbe   esposto   «durante  la  sigla  iniziale  della
trasmissione un disegno raffigurante due maiali vestiti da magistrati
con  tocco,  toga,  un  coltello  e  un  grembiule sporco di sangue»,
rivolgendosi  inoltre al disegnatore Martinez con le seguenti parole:
«E' tua la copertina? Ti volevi riferire ai magistrati di Venezia? Di
qualunque  altra  citta'  d'Italia? .... non c'e' nessun collegamento
tra  la  copertina  di  Martinez  e la musica che fa siam tre piccoli
porcellini  e quello che diro' io ... i porci miei sono porci miei, i
porci tuoi sono porci tuoi ...».
    Il  medesimo  deputato,  poi, avrebbe dichiarato, nel corso della
stessa  trasmissione,  in  relazione  alla  recensione  di  un  libro
pubblicato  dal  dott. Davigo, «io vi suggerisco, se avete intenzione
di  scrivere  libri,  di fare prima i magistrati: se voi volete avere
una  recensione  sul Corriere in terza pagina, voi dovete non fare il
libro  e  basta,  ma  fare  il magistrato, magari del pool di Milano,
perche'  se lo fai a Forli' o Ravenna o anche a Venezia, non ti danno
neanche la quindicesima; allora dovete fare i magistrati a Milano per
pubblicare un libro di cui spero godrete i diritti di autore e allora
soltanto  avrete  una  recensione  in terza pagina». Il parlamentare,
inoltre,  «mostrando  la  terza pagina del quotidiano "Corriere della
Sera",  suggeriva  agli  ascoltatori: "come la chiamereste voi questa
pagina?  Io la chiamerei leccata di c. ... (bip). Trattasi del c. ...
(bip)  del  dott.  Davigo"»,  aggiungendo  «frasi  sarcastiche  sulla
circostanza che la recensione occupasse lo spazio di sette colonne».
    Infine il parlamentare, conclude sul punto il ricorrente, durante
un  dialogo  con  l'ospite  della  trasmissione  avv. Carlo Taormina,
«accreditava  la  tesi  che  il  dott.  Davigo  avesse  «mandato»  il
maresciallo  della  Guardia  di  Finanza  Scaletta Salvatore (...) ad
interrogare  il  finanziere  Francesco  Pacini  Battaglia al precipuo
scopo  di «fargli dire» che Taormina era legato a clan camorristici e
dunque  al fine di "incastrarlo" e provocare un'indagine per reati di
mafia a carico di quest'ultimo».
    1.2.  -  Cio'  premesso,  ritenendo  illegittima la deliberazione
adottata  dalla  Camera  dei  deputati nella seduta del 17 marzo 2004
(Doc.  IV-ter,  n. 4-A),  con  la quale i predetti comportamenti e le
dichiarazioni  del  deputato  sono  stati  ritenuti insindacabili, il
ricorrente   ne   ha   chiesto  l'annullamento,  giacche'  la  stessa
risulterebbe  adottata  in difetto dei presupposti per l'applicazione
della   garanzia   di  cui  all'art  68,  primo  comma,  della  Carta
Costituzionale,  presentandosi,  pertanto,  lesiva  della  «sfera  di
attribuzione dell'ordine giudiziario».
    2.  -  Il  presente  conflitto e' stato dichiarato ammissibile da
questa  Corte con ordinanza n. 105 del 2005, ritualmente notificata -
unitamente  all'atto  introduttivo  del  giudizio  -  alla Camera dei
deputati e tempestivamente depositata.
    3.  -  La  Camera  dei  deputati  si  e'  costituita in giudizio,
eccependo  che  «il  ricorso e' da ritenersi inammissibile e comunque
improcedibile,  in  quanto non risultano riportate in modo congruo ed
adeguato  le  frasi che dovrebbero costituire oggetto del conflitto»,
cio' che renderebbe carente la «prospettazione del thema decidendum».
    In particolare, secondo la Camera dei deputati, «il ricorrente ha
inteso  sottoporre  al  giudizio  della  Corte tre gruppi di opinioni
facenti  parte  di  un unico contesto argomentativo», ed esattamente,
«il primo riguardante la "copertina" della trasmissione (elaborata da
tale  sig.  Martinez,  coautore  della  trasmissione  e  imputato nel
medesimo   procedimento   penale)»;   il   secondo   concernente   le
dichiarazioni  rese  dal  parlamentare  e  «rivolte  a  censurare  il
trattamento   ingiustificatamente   favorevole  che,  ad  avviso  del
medesimo  deputato,  avrebbe ricevuto in sede giornalistica un saggio
redatto   dal  dott.  Davigo»;  il  terzo,  infine,  consistente  nel
rimprovero  al magistrato «di aver tenuto una determinata condotta ai
danni dell'avv. Taormina, ospite della trasmissione».
    Orbene, secondo la difesa della resistente, poiche' il ricorrente
non  ha provveduto - per ciascuno di tali gruppi di opinioni - ad una
puntuale indicazione delle dichiarazioni extraparlamentari addebitate
al  predetto deputato, essendo state alcune di esse «sostituite dalla
libera  e soggettiva rielaborazione da parte del giudice ricorrente»,
l'atto  introduttivo  del  presente  giudizio  non  sarebbe idoneo «a
prospettare   correttamente   i   termini  della  controversia»,  con
conseguente  violazione  dell'art. 26  delle  norme integrative per i
giudizi davanti la Corte costituzionale.
    4. - Tale eccezione e' fondata, nei limiti di seguito precisati.
    4.1.   -   Secondo  la  costante  giurisprudenza  costituzionale,
affinche'  questa Corte «possa accertare la sostanziale identita» tra
le  dichiarazioni  rese extra moenia da un parlamentare e gli atti di
funzione  dallo  stesso posti in essere, «il ricorrente ha l'onere di
riportare nell'atto introduttivo del giudizio le espressioni ritenute
offensive» (cosi', testualmente, la sentenza n. 52 del 2007; in senso
conforme,  tra le altre, le sentenze n. 236 del 2007, n. 383 e n. 336
del  2006),  essendosi  anche  precisato  -  tra  l'altro proprio con
riferimento    ad    una   fattispecie   relativa   a   dichiarazioni
extraparlamentari rese nel corso di una trasmissione televisiva - che
non  e'  consentita  la  sostituzione  di quelle espressioni «con una
libera    rielaborazione    ad   opera   dell'autorita'   giudiziaria
ricorrente»,  in  quanto,  cosi' operando, si realizza una «impropria
sovrapposizione tra l'oggettiva rilevanza delle opinioni espresse dal
deputato  (...)  e l'interpretazione soggettiva che ne e' stata data,
che interferisce con l'accertamento del nesso funzionale tra le frasi
pronunciate  (...) e gli eventuali atti parlamentari tipici di cui le
frasi  stesse  potrebbero  essere  la  divulgazione  esterna» (cosi',
testualmente, la sentenza n. 79 del 2005; in senso conforme, anche la
sentenza n. 383 del 2006).
    4.2.  - Orbene, l'evenienza teste' descritta ricorre per il primo
e  per  il  terzo  gruppo di opinioni espresse dal deputato nel corso
della trasmissione televisiva del 26 giugno 1998.
    Ed  invero,  quanto  al  primo,  dalla  lettura  del ricorso - in
ragione  anche  della mancata riproduzione, al suo interno, del testo
integrale  del  capo di  imputazione  elevato  a  carico del predetto
deputato  -  non  e'  dato esattamente comprendere se il parlamentare
risponda  del  reato  ex  art. 595  del  codice penale in qualita' di
responsabile   della   trasmissione   (e  quale  concorrente  con  il
vignettista),  per  aver «esposto» il disegno, oppure soltanto per le
frasi  con  le  quali  lo  ha  commentato,  ovvero  per entrambe tali
condotte.
    Tale  incertezza  si  traduce  in  un profilo di inammissibilita'
della  censura,  in  ragione  dell'impossibilita'  di  distinguere le
condotte  integranti l'ipotesi di diffamazione addebitabili all'uno o
all'altro  dei due coimputati, e cioe' il deputato ed il disegnatore,
rendendo  cosi'  impossibile, per il primo, la verifica - da parte di
questa  Corte  - circa l'esistenza di un qualche nesso funzionale con
sue  attivita' parlamentari (si veda, in tal senso, la sentenza n. 87
del 2002).
    Analogamente, deve ritenersi inammissibile la censura concernente
il  terzo  episodio,  quello  relativo all'incarico che sarebbe stato
dato  al  sottufficiale della Guardia di Finanza, dal momento che non
viene  riprodotta  alcuna  affermazione  o dichiarazione direttamente
riferibile  al  deputato,  mentre il ricorrente si e' limitato ad una
soggettiva rielaborazione dell'episodio.
    4.3.  -  Cio' premesso, deve tuttavia chiarirsi come i vizi sopra
precisati  non  siano destinati a riverberarsi - come invece ipotizza
la Camera dei deputati, in ragione della «sostanziale unitarieta' del
contesto  argomentativo»  che connoterebbe tutte le dichiarazioni per
le  quali  e' giudizio - «sugli altri punti relativi alla descrizione
del fatto» che ha dato luogo al conflitto.
    In tali condizioni, pertanto, la declaratoria di inammissibilita'
dell'intero   ricorso   si  presenterebbe  come  soluzione  eccessiva
rispetto  allo scopo cui mira la gia' ricordata previsione normativa,
che  impone  al ricorrente nel giudizio per conflitto di attribuzione
tra  poteri  dello  Stato  «l'esposizione  sommaria  delle ragioni di
conflitto», scopo che resta, difatti, pur sempre quello di permettere
alla   Corte  «l'accertamento  del  nesso  funzionale  tra  le  frasi
pronunciate  (...) e gli eventuali atti parlamentari tipici di cui le
frasi  stesse  potrebbero  essere la divulgazione esterna « (cosi' la
sentenza n. 79 del 2005).
    Orbene,  siffatto  accertamento,  nella specie, risulta possibile
per  la  seconda  delle  tre  condotte  del parlamentare (la sola che
risulti compiutamente e chiaramente descritta nel ricorso).
    5.  -  Cosi'  ridefinito  il  thema  decidendum del conflitto, il
ricorso   deve   ritenersi   fondato  limitatamente  a  quanto  sopra
precisato.
    Anche   a  voler  prescindere  dal  rilievo  che  «i  regolamenti
parlamentari  negano  ingresso nei lavori delle Camere agli scritti o
alle espressioni «sconvenienti», sicche' e' evidente, a fortiori, che
«le  stesse  espressioni  non possono essere ritenute esercizio della
funzione  parlamentare  quando usate al di fuori delle Camere stesse»
(v.  sentenza  n. 249  del  2006),  resta il fatto che, nella specie,
alcun  nesso  funzionale  puo'  essere ravvisato tra le dichiarazioni
rese  extra  moenia  dal  deputato  e  gli  atti  parlamentari  a lui
direttamente riferibili.
    Infatti,  non  si  puo' sostenere - ponendo a confronto tali atti
parlamentari, nei quali pure l'interessato ha censurato l'esposizione
mediatica  di  taluni magistrati (e segnatamente quelli della Procura
milanese),  con le dichiarazioni che la Camera dei deputati definisce
come   «rivolte   a   censurare  il  trattamento  ingiustificatamente
favorevole  che, ad avviso del medesimo deputato, avrebbe ricevuto in
sede  giornalistica  un  saggio  redatto  dal  dott. Davigo» - che la
sequela   di  espressioni  indirizzate  nei  confronti  del  predetto
magistrato  costituisca  «sostanziale  riproduzione  delle specifiche
opinioni  manifestate  dal  parlamentare nell'esercizio delle proprie
attribuzioni»  (cosi' come esige, invece, la giurisprudenza di questa
Corte;  si  vedano,  da  ultimo, le sentenze n. 166, n. 152, n. 151 e
n. 97 del 2007).
    6.   -  All'accoglimento  parziale  del  ricorso  segue,  dunque,
l'annullamento  -  negli  stessi  limiti  dianzi  precisati  -  della
deliberazione  adottata  dalla  Camera  dei deputati nella seduta del
17 marzo 2004 (Doc. IV-ter, n. 4-A).