LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza 50/2007 nel giudizio di pensione civile iscritto al n. 28748 del registro di segreteria promosso ad istanza di Galbo Antonino, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Gruppuso, nei confronti della Regione Siciliana. Visto l'atto introduttivo del giudizio depositato il 31 gennaio 2003. Visti gli atti e documenti tutti del fascicolo processuale. Uditi alla pubblica udienza del 31 gennaio 2007 l'avv. Giuseppe Gruppuso per la ricorrente e l'avv. Vincenzo Farina per la Regione Siciliana. F a t t o L'odierno ricorrente, dipendente della Regione Siciliana, con istanza prodotta nei termini di legge ha chiesto di essere collocato a riposo anticipatamente ai sensi dell'art. 39 della legge regionale 15 maggio 2000, n. 10. La predetta norma, contenuta nel Titolo VII della citata legge, concernente il riordino del sistema pensionistico della Regione Siciliana, dopo avere disposto, nelle more del riordino del sistema pensionistico regionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2003, la sospensione dell'applicazione delle norme che consentivano i pensionamenti di anzianita', faceva, pero', salva l'applicazione dell'art. 3 della legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2, per i dipendenti che avessero maturato l'anzianita' di servizio utile ivi prevista o che tale anzianita' maturassero entro la predetta data, nonche' l'applicazione dell'art. 18 della legge regionale 3 maggio 1979, n. 73. Pertanto, al fine dichiarato di creare condizioni favorevoli all'avvio della riforma burocratica e al completo decentramento di funzioni, veniva stabilito che, in deroga a quanto disposto dal comma 1 del citato art. 39, i dipendenti regionali in possesso dei requisiti di cui all'art. 2 della legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2, potessero comunque conseguire l'anticipato collocamento a riposo, entro il limite del 45 per cento dei dipendenti in servizio in ciascuna qualifica, al 31 dicembre 1993. A far data dal 1° gennaio 2004, inoltre, veniva stabilito che il sistema pensionistico regionale si dovesse adeguare ai principi fondamentali del sistema pensionistico vigente per i dipendenti dello Stato, facendo salvi comunque i diritti quesiti. Il collocamento a riposo di cui alla predetta normativa veniva disposto, infine, a partire dalla data di entrata in vigore della legge per contingenti semestrali pari ad un sesto degli aventi diritto. Con circolare n. 29511 del 21 novembre 2000 sono state stabilite le decorrenze dei sei contingenti in uscita, l'ultimo dei quali al 31 dicembre 2003. Con d.d.g. n. 2800 del 20 giugno 2001 la Presidenza della Regione Siciliana approvava i contingenti di uscita del personale nei quali risulta inserito l'attore della presente azione giudiziaria. Per effetto dell'art. 5, comma 4, della l.r. n. 2/2002, poi, veniva stabilito che i dipendenti inclusi nei contingenti previsti dalla predetta legge fossero collocati a riposo con periodicita' annuale, anziche' semestrale, e con decorrenza dal 1° gennaio 2004. L'odierno ricorrente con atto depositato il 31 gennaio 2003 ha ritenuto che tale ultima disposizione non fosse a lui applicabile, avendo maturato il diritto in data antecedente alla sua entrata in vigore ed ha chiesto la dichiarazione del suo diritto ad essere posto in quiescenza secondo quanto previsto dalla l.r. n. 10/2000, essendo stato gia', con d.d.g., cancellato dal ruolo dei dipendenti regionali. A seguito, poi, dell'entrata in vigore dell'art. 29 della l.r. n. 21/2003, il quale ha abrogato i commi 2, 3, 4, 5, 6 ed 8 dell'art. 39 della l.r. n. 10/2000, la Regione Siciliana, comunque, ha ritenuto di non potere piu' dare corso al pensionamento ed ha mantenuto in servizio l'interessato. Con memoria depositata il 18 giugno 2004 il ricorrente ha ulteriormente illustrato e confermato la domanda introduttiva del giudizio, chiedendo, in via subordinata, che fosse sollevata questione di legittimita' costituzionale della normativa regionale che aveva bloccato la procedura del loro pensionamento. Con memoria depositata il 15 gennaio 2007 si e' costituita la Regione Siciliana, eccependo in via preliminare il difetto di giurisdizione di questa Corte e, nel merito, chiedendo il rigetto del ricorso. Alla pubblica udienza del 31 gennaio 2007 le parti presenti hanno insistito nelle rispettive richieste riportandosi agli atti scritti. D i r i t t o Occorre preliminarmente scrutinare l'eccezione di difetto di giurisdizione formulata dalla difesa della Regione Siciliana. L'eccezione e' infondata. Ai sensi dell'art. 62 del r.d. n. 1214/1934, alla Corte dei conti sono devoluti anche le istanze dirette ad ottenere la sentenza che tenga luogo del decreto di collocamento a riposo o in riforma e dichiari essersi verificate nell'impiegato le condizioni dalle quali, secondo le leggi vigenti, sorge il diritto a pensione, assegno o indennita' (cfr. Corte dei conti Friuli-V. Giulia, sez. giurisdiz., 20 gennaio 2004, n. 17): e tale e', con lapalissiana evidenza, la fattispecie oggetto del presente giudizio. Cio' anche laddove si volesse aderire ad un piu' restrittivo indirizzo giurisprudenziale (invero alquanto datato, sostanzialmente privo di reale motivazione e, comunque, non condiviso da questo giudicante) secondo il quale il potere della Corte dei conti, a norma dell'art. 62, r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, di emanare una sentenza che tenga luogo, a fini pensionistici, del decreto di collocamento a riposo resterebbe circoscritto alla diversa ipotesi in cui la cessazione dal servizio sia conseguenza inopinabile ed obiettivamente verificabile di previste scadenze temporali (Cass. civ., 5 gennaio 1981, n. 5), evenienza che, per l'appunto, ricorre nel caso di specie. La giurisdizione della Corte dei conti, peraltro, si configura come giurisdizione piena ed esclusiva sul rapporto (e non come giurisdizione di mero annullamento), che conosce in materia di «diritti», interveniente in un rapporto paritetico, ad instar di un accertamento costitutivo del diritto a pensione che funge da presupposto meramente processuale ex art. 62 del r.d. n. 1214 del 1934 affinche' il giudice, indipendentemente dai motivi d'impugnativa del ricorrente, abbia a pronunciarsi sull'an e sul quantum del diritto a pensione, conoscendo in siffatto modo dell'intero rapporto controverso (Corte dei conti Lombardia, sez. giurisdiz., 18 giugno 2002, n. 719). Sulla domanda, pertanto, va affermata la giurisdizione di questa Corte. Nel merito va osservato quanto segue. L'art. 39, contenuto nel Titolo VII della l.r. n. 10/2000, concernente il riordino del sistema pensionistico della Regione Siciliana, dopo avere disposto, nelle more del citato riordino e comunque non oltre il 31 dicembre 2003, la sospensione dell'applicazione delle norme che consentivano i pensionamenti di anzianita', abbia fatto, pero', salva l'applicazione dell'art. 3 della legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2, per i dipendenti che avessero maturato l'anzianita' di servizio utile ivi prevista o che tale anzianita' maturassero entro la predetta data, nonche' l'applicazione dell'art. 18 della legge regionale 3 maggio 1979, n. 73. Il ricorrente, dipendente della Regione Siciliana, con istanza prodotta nei termini di legge ha chiesto di essere collocato a riposo anticipatamente ai sensi dell'art. 39 della legge regionale 15 maggio 2000, n. 10 (con riferimento al disposto di cui all'art. 2 della l.r. n. 2/1962) ed in esito a tale istanza, riconosciuta la sussistenza dei requisiti di legge, e' stato collocato nei contingenti di fuoriuscita. Su tali circostanze non sussiste contestazione tra le parti ed il dato, pertanto, puo' ritenersi non controverso nel presente giudizio ed acquisito come necessario elemento presupposto di ogni ulteriore argomentazione che sara' qui di seguito sviluppata. Il legislatore regionale, nelle more della definizione dei relativi procedimenti, e', pero', intervenuto con l'art. 5, comma 5, della l.r. n. 2/2002, disponendo che, ferme le disposizioni di cui all'art. 39 della legge regionale 15 maggio 2000, n. 10, i dipendenti inclusi nei contingenti previsti dal comma 8 del medesimo articolo fossero collocati a riposo con periodicita' annuale, anziche' semestrale e con decorrenza dal 1° gennaio 2004. Si e' trattato, in sostanza, di un intervento parzialmente correttivo, ispirato da motivazioni di compatibilita' finanziaria con il bilancio regionale per il quale erano state intraviste non indifferenti difficolta' nell'affrontare l'onere del pagamento dei trattamenti di fine rapporto ad un cosi' consistente numero di dipendenti, avente come risultato solo quello di determinare la data di decorrenza della pensione al 1° gennaio 2004, per tutti i contingenti non ancora esitati. Tale intervento normativo non modificava, pero', i requisiti gia' fissati e le modalita' per l'accesso alla pensione c.d. di anzianita'. Nelle more di tale procedimento l'art. 20 della legge regionale 30 dicembre 2003, n. 21, ha stabilito, pero', che a decorrere dal 31 dicembre 2003 fossero abrogati i commi 2, 3, 4, 5, 6 ed 8 dell'art. 39 delle citata l.r. n. 10/2000 e successive modifiche ed integrazioni ed ogni altra norma regionale incompatibile, e che a decorrere dal 1° gennaio 2004 i requisiti per l'accesso alle prestazioni pensionistiche, per tutti i dipendenti della Regione Siciliana, fossero regolati dalle norme relative agli impiegati civili dello Stato. A seguito di tali ultimi due interventi legislativi, pertanto, mentre l'art. 39 citato dispone, a tutt'oggi, che nelle more del riordino del sistema pensionistico regionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2003 sia sospesa l'applicazione delle norme che consentono pensionamenti di anzianita' ma che sia fatta salva l'applicazione dell'art. 3 della legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2, per i dipendenti che abbiano maturato l'anzianita' di servizio utile ivi prevista o che tale anzianita' maturino entro la predetta data, nonche' l'applicazione dell'art. 18 della legge regionale 3 maggio 1979, n. 73, l'art. 20 della legge regionale 30 dicembre 2003, n. 21, invece, stabilisce che a decorrere dal 1° gennaio 2004 i requisiti per l'accesso alle prestazioni pensionistiche, per tutti i dipendenti della Regione Siciliana, siano regolati dalle norme relative agli impiegati civili dello Stato. Tale ultima disposizione, ancorche' la legge sia entrata in vigore il 30 dicembre 2003, come tutte quelle contenute nella legge n. 21/2003 si applica solo a decorrere dal 1° gennaio 2004, per espressa volonta' del legislatore ai sensi dell'art. 32 della stessa legge. Il quadro legislativo al 31 dicembre 2003 - giorno in cui i ricorrenti avrebbero dovuto essere posti a riposo con trattamento di quiescenza dal 1° gennaio 2004 - pertanto puo' sintetizzarsi nei seguenti termini: 1. - l'intero art. 39 della legge n. 10/2000 era in vigore ad eccezione dei commi 2, 3, 4, 5, 6 e 8, abrogati il 1° gennaio 2004 con effetto retroattivo al 31 dicembre 2003. 2. - dal 1° gennaio 2004, sempre con effetto retroattivo al 31 dicembre 2003, deve ritenersi abrogato anche l'art. 5, comma 4, l.r. n. 2/2002, funzionalmente collegato ai citati commi espressamente abrogati. 3. - l'art. 2 delle l.r. n. 2/1962 deve ritenersi tacitamente abrogato per incompatibilita' sistematica solo dal 1° gennaio 2004, data dalla quale, ai sensi degli artt. 20 e 32 della legge regionale 30 dicembre 2003, n. 21, ai dipendenti regionali sono state estese le norme statali sulle pensioni di anzianita'. Sulla base di tale contesto normativo la domanda proposta dal ricorrente e' stata gia' scrutinata in altri giudizi gia' decisi da questa Corte con esiti, pero', contrastanti. Un primo orientamento giurisprudenziale (cfr. Corte dei conti, sez. giur. Sicilia 25-31 ottobre 2006, n. 3120) ha osservato come i ricorrenti di tale fattispecie, al 31 dicembre 2003, fossero tutti in possesso (e la circostanza, in questo giudizio, e' pacifica tra le parti, essendo stata la ricorrente medesima inserita dall'amministrazione regionale negli scaglioni di esodo) dei requisiti di accesso alla pensione di anzianita' ai sensi dell'art. 2 della l.r. n. 2/1962. La predetta giurisprudenza ha rilevato che la possibilita' di accesso a tale forma di pensionamento e' stata espressamente fatta salva dall'art. 39, comma 1, della l.r. n. 10/2000 per coloro che maturavano i requisiti al 31 dicembre 2003, data quest'ultima di cessazione del blocco temporaneo dei predetti pensionamenti, cio' in quanto l'art. 39, comma 1, della citata l.r. n. 10/2000 faceva espresso richiamo all'art. 3 della l.r. n. 2/1962, e quest'ultima norma non puo' che essere accolta nella sua globalita', e tale ultima disposizione recita che l'impiegato ha diritto di essere collocato a riposo su domanda al compimento del 35° anno di servizio utile, e negli altri casi previsti dalle vigenti disposizioni, e tra queste, ovviamente, anche quelle di cui al precedente art. 2 della stessa legge, relativo ai pensionamenti di anzianita', con i requisiti di anzianita' ivi previsti. Pertanto avrebbero diritto all'applicazione dell'art. 3 della l.r. n. 2/1962 tutti i dipendenti che al 31 dicembre 2003 abbiano compiuto 35 anni di servizio utile e coloro i quali, alla stessa data abbiano raggiunto il sessantesimo anno di eta' con almeno 15 anni di servizio effettivo oppure qualunque eta' con almeno venticinque anni di servizio effettivo. La fattispecie relativa ai 35 anni permarrebbe nell'attuale sistema, mentre quelle ulteriori, solo sospese negli effetti (cosi' dovendosi interpretare l'espressione legislativa «sospesa l'applicazione delle norme che consentono pensionamenti di anzianita») fino al 31 dicembre 2003, sono invece definitivamente espunte dall'ordinamento, per incompatibilita', dal 1° gennaio 2004. Difatti la l.r. n. 21/2003 ha disposto l'estensione, dal 1° gennaio 2004, dei meccanismi di accesso alle pensioni c.d. di anzianita' previsti dallo Stato a tutti i dipendenti regionali, abrogando contemporaneamente, dal 31 dicembre 2003, gli altri commi del citato art. 39 che disciplinavano l'uscita per scaglioni dei relativi beneficiari. Osserva, ancora, tale giurisprudenza, che gli interessati, quindi, avrebbero visto abrogare il complesso sistema di fuoriuscita per scaglioni previsto dal citato art. 39, con decorrenza dal 31 dicembre 2003 (e con esso la norma che ne aveva postergato gli effetti al 1° gennaio 2004), con contestuale cessazione degli effetti sospensivi del diritto di accesso al trattamento di quiescenza di anzianita', ai sensi dell'art. 39, comma 1, della l.r. n. 10/2000, al 31 dicembre 2003 (con collocamento a riposo da tale data), e con fruizione del relativo trattamento di quiescenza dal 1° gennaio 2004, primo giorno utile dopo la cessazione del predetto blocco, non ostando a cio' la circostanza che il legislatore regionale, proprio con decorrenza dal 1° gennaio 2004 abbia disposto l'estensione a tutti i dipendenti regionali, per le pensioni di anzianita', dei meccanismi statali. Quest'ultima estensione non potrebbe che riguardare, pero', che solo i dipendenti che non avessero maturato il diritto (ancorche' sospeso nella sua fruizione) al 31 dicembre 2003, essendo il 1° gennaio 2004 solo il primo giorno di godimento del trattamento di quiescenza, cioe' di un diritto gia' perfezionatosi il giorno precedente, e la circostanza che il diritto si fosse gia' perfezionato il giorno precedente a quello dell'efficacia della modifica legislativa sarebbe dirimente in ordine all'intangibilita' del medesimo. A cio' e' stato aggiunto che l'effetto abrogativo degli altri commi del citato art. 39 sarebbe stato introdotto nell'ordinamento il 1° gennaio 2004, ma con effetto retroattivo al 31 dicembre 2003, con cio' consolidando - per il venir meno del sistema dei blocchi e della fuoriuscita per scaglioni gia' prevista a decorrere dal 1° gennaio 2004 - il diritto a pensione di quanti al 31 dicembre aveva maturato i requisiti di anzianita', circostanza che avrebbe dimostrato come il legislatore abbia inteso abrogare il meccanismo di fuoriuscita per scaglioni, intrinsecamente connesso al blocco delle pensioni di anzianita' scadente al 31 dicembre 2003 (la cui permanenza al 1° gennaio 2004 avrebbe determinato l'applicabilita' del nuovo sistema indistintamente a tutti i dipendenti regionali in servizio a quella data), ma senza incidere sui diritti gia' maturati al 31 dicembre 2003 (e, pertanto, ne ha disposto la rimozione da pari data), disponendo l'estensione delle regole statali ai dipendenti regionali solo dal giorno successivo (1° gennaio 2004). Su tale modo legislativo di procedere, secondo la citata giurisprudenza, avrebbe influito la consapevolezza che quello del collocamento a riposo e' un vero e proprio diritto (potestativo), in quanto cosi' qualificato dagli stessi artt. 2 e 3 della l.r. n. 2/1962, ed e' noto come un diritto potestativo si consuma con il suo esercizio per cui, una volta che sia intervenuto il provvedimento che ad esso si conforma e che siano prodotti gli effetti cui esso tende (nella fattispecie entrambi rappresentati dall'inserimento nei contingenti di uscita), gli stessi non possono essere rimessi in discussione (Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 2002, n. 2596). E mentre nello schema privatistico il recesso costituisce esercizio di un diritto potestativo e non deve essere accettato, in quanto costituisce atto non ricettizio che determina immediatamente la dismissione del diritto e quindi la conseguenza giuridica nella sfera del datore di lavoro, che non puo' se non subire l'esercizio del diritto potestativo, nello schema pubblicistico le dimissioni in tanto inducono l'esaurirsi del rapporto in quanto siano accettate: in altri termini, il dipendente propone le proprie dimissioni che producono effetto per il destinatario, la p.a., solo con l'accettazione (che nella fattispecie si identifica con l'inserimento nei contingenti di uscita), che, proprio per la sua stessa natura e' l'atto che conclude la fattispecie e da tale momento determina l'efficacia del recesso (Cons. Stato, sez. VI, 18 giugno 2002, n. 3316). E' ovvio che un'eventuale modifica che avesse inciso su di un diritto (e non di una semplice aspettativa) gia' conclamato, avrebbe determinato notevoli problemi esegetici di costituzionalita' della norma, specialmente se si consideri che altri soggetti, in identica posizione degli odierni ricorrenti, sol perche' collocati in scaglioni antecedenti - ma con pari requisiti - erano gia' stati posti da tempo in quiescenza. Tutto cio' determina, secondo tale giurisprudenza, che, non essendo mutato il quadro normativo di riferimento al 31 dicembre 2003, per quel che riguarda il diritto a fruire del pensionamento anticipato di anzianita', a quella data gli interessati avevano diritto di concludere il proprio rapporto di servizio con la p.a. e di godere, attesa la cessazione a quella data dei pregressi effetti sospensivi, con decorrenza dal 1° gennaio 2004, del relativo trattamento di quiescenza maturato. A tali argomentazioni favorevoli alla domanda della ricorrente si contrappongono, pero', quelle fatte proprie da altra giurisprudenza (cfr. Corte dei conti, sez. giur. Sicilia 19 dicembre 2006-26 gennaio 2007, n. 223). Tale giurisprudenza rammenta, anzitutto, che l'art. 20, comma 3, della l.r. n. 21/2003 ha stabilito, a decorrere dal 1° gennaio 2004, che i requisiti per l'accesso alle prestazioni relative al trattamento di quiescenza del personale dipendente della Regione Siciliana siano regolati dalle norme relative agli impiegati civili dello Stato, e ripercorre ed analizza, nel contempo, il previgente ordinamento che disciplinava il trattamento di quiescenza del personale della regione (legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2 e successive modifiche ed integrazioni). Ritiene tale giurisprudenza che il diritto al trattamento pensionistico anticipato, di cui si chiede il riconoscimento ai sensi dell'art. 39, comma 2, della l.r. n. 10 del 2000, ricaduto, poi, nell'abrogazione di cui alla l.r. n. 11/2003, non risulterebbe essere stato mai concretamente acquisito in applicazione dello speciale procedimento previsto dallo stesso art. 39 (commi 2, 3, 4, 5, 6 e 8) della l.r. n. 10/2000 durante la sua vigenza nella formulazione originaria non essendo mai formalmente e definitivamente cessato il rapporto di servizio attivo dell'interessato con l'amministrazione regionale. Secondo tale giurisprudenza il conseguimento del trattamento pensionistico in parola, per coloro che, come l'odierna ricorrente, sebbene inseriti nei contingenti di uscita non sono mai stati, pero', collocati a riposo, sarebbe rimasto in fase potenziale non essendosi verificate tutte le condizioni di legge, previste per la formazione e la piena insorgenza del sottostante diritto a pensione, prima che l'art. 5, comma 5 della legge 26 marzo 2002, n. 2, nelle more sopravvenuta, stabilisse la nuova decorrenza giuridica con periodicita' annuale ad iniziare dal 1° gennaio 2004 dei collocamenti a riposo anticipato del personale inserito nei contingenti d'uscita predisposti a termini del comma 8 dell'art. 39 della l.r. n. 10/2000. Cio' consentirebbe di affermare che le norme contenute nell'art. 39 (commi 2, 3, 4, 5, 6 e 8) si riferissero nel loro insieme a trattamenti pensionistici in divenire, che avrebbero potuto realizzarsi solo al momento in cui fosse avvenuto il formale e definitivo collocamento a riposo a domanda con conseguente riconoscimento del diritto alla liquidazione della pensione e, comunque, a decorrere dal 1° gennaio 2004 con periodicita' annuale (vedi art. 5, comma 5, della legge 26 marzo 2002, n. 2). Prima della scadenza di questa ultima data con l'art. 20, comma 4, della legge regionale 29 dicembre 2003, n. 21, e' stata, pero', disposta in via definitiva l'abrogazione, a decorrere dal 31 dicembre 2003, dei commi 2, 3, 4, 5, 6 ed 8 del ripetuto art. 39 sul collocamento a riposo anticipato e delle sue successive modifiche ed integrazioni, quali contenute nell'art. 5 della l.r. n. 2/2002 e nella l.r. n. 11/2003 e di ogni altra norma regionale incompatibile con l'intervenuta abrogazione. In tale contesto, secondo tale giurisprudenza, sarebbe stata cancellata definitivamente, secondo il senso fatto palese dalla legge abrogativa, la decorrenza dal 1° gennaio 2004 e la connessa periodicita' annuale di tali pensionamenti anticipati, gia' stabilita dall'art. 5 della l.r. n. 2/2002. Tanto porterebbe a ritenere che il diritto alla liquidazione della pensione anticipata, che la ricorrente richiede le sia riconosciuto, non sia stato affatto acquisito e percio' immodificabile. Si tratterebbe, in realta', come sostenuto da tale orientamento giurisprudenziale, di un diritto in fieri inevitabilmente soggetto agli effetti innovativi di mutamenti legislativi, nella specie sopravvenuti, che, avendo abrogato le norme che avevano istituito lo speciale procedimento, ancora in atto, di collocamento a riposo anticipato, hanno fatto venir meno una condizione di legge fondamentale per l'insorgenza del diritto a pensione, ovverosia la sua decorrenza giuridica per ogni conseguente effetto, che e' stata soppressa definitivamente per abrogazione. Non sarebbe stato sufficiente, per acquisire il diritto a pensione, essere in possesso dei requisiti di anzianita' indicati nell'art. 2 della regionale n. 2/1962 che avevano consentito l'inclusione della ricorrente in uno dei contingenti di cui all'abrogato art. 8 della l.r. n. 10/2000, ma sarebbe occorso, ancora, come condizione di legge ineliminabile, che il procedimento per giungere al collocamento a riposo con trattamento di pensione, prescritto, dai poi abrogati commi 2, 3, 4, 5, 6, 8 dell'art. 39 della l.r. n. 10/2000, andasse a buon fine con il venire in essere della sua decorrenza giuridica ed economica da cui sarebbe derivato poi ogni altro conseguente effetto. Secondo tale giurisprudenza l'interpretazione logico-sistematica dei diversi passaggi legislativi sfociati, in ultimo, nella abrogazione disposta con il menzionato art. 20, comma 4, della l.r. n. 21/2003, con i conseguenti effetti che ne sono derivati, farebbero emergere, conclusivamente, in modo abbastanza chiaro ed univoco che non si siano verificate nella fattispecie le condizioni di legge per l'insorgenza di un diritto soggettivo pieno della ricorrente al conseguimento della pensione anticipata, risultando abrogato dal 31 dicembre 2003 l'intero sistema normativo che aveva dato origine al procedimento di collocamento a riposo che sarebbe dovuto avvenire in modo graduale in base ai contingenti predisposti con periodicita' annuale ad iniziare dal 1° gennaio 2004 come disposto dall'art. 5, comma 5, della l.r. n. 2/2002 pure abrogato. Tale orientamento, poi, espressamente contesta di potere accedere all'interpretazione di segno opposto che avvalora la tesi secondo cui il diritto al trattamento anticipato di pensione fosse pienamente sorto gia' al momento dell'inserimento dei dipendenti regionali, tra cui la ricorrente medesima, nei contingenti previsti dall'art. 39, comma 8, della l.r. n. 10/2000, sostenendo che, in tale ottica, ove l'assunto fosse fondato, la disposizione che ha abrogato i commi 2, 3, 4, 5, 6 ed 8 dell'art. 39 della l.r. n. 10/2000 non potrebbe avere altra sorte che quella di essere considerata una norma di legge inutiliter data e, nei fatti, superflua. Questa e' un'ipotesi che si ritiene non verosimile e, al tempo stesso non praticabile, poiche' si porrebbe in netto contrasto con la chiara voluntas legis, resa palese nel comma 4 dell'art. 20 della l.r. n. 21/2003, di bloccare in via definitiva il procedimento in itinere di esodo del personale secondo il meccanismo delineato nel ripetuto art. 39, commi 2, 3, 4, 5, 6 ed 8 e non avrebbe avuto alcun senso disporre l'abrogazione esplicita di norme che gia' avessero esaurito tutta la loro efficacia per essere giunto a compimento il procedimento legislativamente previsto per l'attuazione di una forma di collocamento anticipato a riposo temporalmente definita con periodicita' annuale. Ne', tanto meno, secondo quei giudici, il diritto al conseguimento del collocamento a riposo anticipato nelle forme previste da tale normativa potrebbe essere ricollegato al comma 1, mai abrogato, dello stesso art. 39, nella parte in cui e' stata fatta salva l'applicazione dell'art. 3 della legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2, in quanto la riserva di applicazione di quest'ultima norma di legge sarebbe stata inserita nel comma 1 dell'art. 39 esclusivamente per salvaguardare il diritto al collocamento a riposo a domanda con trattamento di pensione dei dipendenti che, senza alcun vincolo di inserimento in contingenti, avessero maturato l'anzianita' di servizio utile a pensione ivi prevista o che la maturassero in ogni caso entro la data del 31 dicembre 2003. Si tratterebbe, in definitiva, di quei dipendenti che avessero raggiunto il limite massimo di servizio per il collocamento a riposo fissato per i dipendenti della Regione Siciliana dall'art. 3 della l.r. n. 2/1962 al compimento del 35° anno di servizio utile a pensione. In altri termini nel comma 1 dell'art. 39 sarebbe stato fatto salvo, fino al 31 dicembre 2003, il diritto di essere collocati a riposo soltanto per quei dipendenti regionali che lo avessero richiesto avendo maturato 35 anni di servizio utile a pensione. Che cio' fosse il vero ed effettivo intendimento del legislatore regionale lo si dedurrebbe dall'interpretazione letterale e logica del comma 1, non abrogato, dell'art. 39 della l.r. n. 10/2000 in cui, con concisa formulazione, e' sancito testualmente: «E' fatta salva l'applicazione dell'art. 3 della legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2 per i dipendenti che abbiano maturato l'anzianita' di servizio utile ivi prevista o che tale anzianita' maturino entro la predetta data (31 dicembre 2003)». Il non verificato perfezionamento del diritto al conseguimento della pensione anticipata del personale incluso nei contingenti previsti dal comma 8 dell'art. 39 della legge n. 10/2000 emergerebbe pure, ad avviso di tale giurisprudenza, anche da una altra disposizione contenuta nell'art. 20 della l.r. n. 21/2003 e, cioe', quella di cui al comma 5, ove e' statuito testualmente che «i dipendenti inseriti nei contingenti ex art. 39, comma 8, della legge regionale 15 maggio 2000, n. 10, possono rinunciare ai riscatti, riconoscimenti o ricongiunzioni richiesti dopo l'entrata in vigore della legge regionale 15 maggio 2000, n. 10 e relativi a periodi non coperti da contribuzione, con possibilita' di chiedere il rimborso delle quote eventualmente versate. Per i periodi coperti da contribuzione, la rinuncia ed il relativo rimborso sono subordinati all'assenso da parte delle gestioni previdenziali al ripristino della precedente posizione assicurativa. La rinuncia di cui al presente comma puo' essere esercitata entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge», statuizioni che si riferirebbero soltanto ai dipendenti regionali in servizio che erano stati gia' inseriti nei contingenti ex art. 39, comma 8, e che rivelerebbero come il legislatore regionale abbia inteso, con riferimento a detto personale, come definitivamente accantonata, per abrogazione espressa delle norme che l'avevano introdotta, la speciale forma di pensionamento anticipato di cui all'art. 39, comma 2 della legge n. 10/2000. In conseguenza sarebbero state individuate, con la medesima disposizione, le modalita' esecutive necessarie per consentire agli interessati di esercitare la facolta' di rinuncia a riscatti, ricongiunzioni e riconoscimenti richiesti dopo l'entrata in vigore della legge regionale 15 maggio 2000, relativi a periodi non coperti da contribuzione con possibilita' di richiedere il rimborso delle quote eventualmente versate. Nelle more e' intervenuta sulla materia anche la sezione d'appello di questa Corte per la Regione Siciliana, la quale, in sede cautelare, con ordinanza n. 80/A/2006/ORD del 7 dicembre 2006, ha manifestato un chiaro orientamento di adesione al secondo indirizzo giurisprudenziale. Anche questo giudice, melius re perpensa, ritiene di dovere ora aderire alle argomentazioni sopra esposte, che appaiono convincenti e degne di condivisione, le quali condurrebbero ad un rigetto del ricorso. Tale interpretazione, tuttavia, determina l'insorgere di dubbi di legittimita' costituzionale dell'art. 20, comma 4, della legge regionale 29 dicembre 2003, n. 21, con riferimento all'art. 3 della Costituzione. La predetta norma, a decorrere dal 31 dicembre 2003, ha abrogato i commi 2, 3, 4, 5, 6 ed 8 dell'art. 39 della legge regionale 15 maggio 2000, n. 10 e successive modifiche ed integrazioni di cui all'art. 5 della legge regionale 26 marzo 2002, n. 2 ed alla legge regionale 8 agosto 2003, n. 11, ed ogni altra norma regionale incompatibile con la presente disposizione; da tale abrogazione e' scaturito il diniego di collocamento a riposo dell'odierna ricorrente. Tale disposizione, pero', sembra incidere su quello che puo' qualificarsi come un diritto soggettivo perfetto al collocamento a riposo gia' acquisito dall'interessata e che, pertanto, sarebbe stato indebitamente ed irragionevolmente compresso con norma ad effetto retroattivo. In linea generale, l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica - essenziale elemento dello Stato di diritto - non puo' essere leso da disposizioni retroattive, che trasmodino in regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi anteriori (Corte costituzionale, sentenza n. 525 del 2000 e ordinanze n. 319 e n. 327 del 2001; sentenze n. 416 del 1999, n. 211 del 1997 e n. 390 del 1995). Da tale principio discende che solo in questi limiti - in presenza di una legge avente, in settori estranei alla previsione dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione, portata ragionevolmente retroattiva - l'affidamento sulla stabilita' della normativa previgente e' coperto da garanzia costituzionale. In materia previdenziale poi deve tenersi anche conto del principio, parimenti affermato dalla Corte costituzionale, secondo cui il legislatore puo' - al fine (ricorrente nella specie) di salvaguardare equilibri di bilancio e contenere la spesa previdenziale - ridurre trattamenti pensionistici gia' in atto (Corte costituzionale, sentenze n. 417 e n. 361 del 1996, n. 240 del 1994, n. 822 del 1988). Percio', il diritto ad una pensione legittimamente attribuita (in concreto e non potenzialmente) - se non puo' essere eliminato del tutto da una regolamentazione retroattiva che renda indebita l'erogazione della prestazione (Corte costituzionale, sentenze n. 211 del 1997 e n. 419 del 1999) - ben puo' subire gli effetti di discipline piu' restrittive introdotte non irragionevolmente da leggi sopravvenute. In sintesi, come ha affermato la Corte costituzionale, se - in via di principio - deve ritenersi ammissibile un intervento legislativo che modifichi l'ordinamento pubblicistico delle pensioni, non puo' pero' ammettersi che tale intervento sia assolutamente discrezionale. In particolare non potrebbe dirsi consentita una modificazione legislativa che, intervenendo in una fase avanzata del rapporto di lavoro, ovvero quando addirittura e' subentrato lo stato di quiescenza, peggiorasse senza un'inderogabile esigenza, in misura notevole e in maniera definitiva un trattamento pensionistico in precedenza spettante, con la conseguente, irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attivita'. (Corte costituzionale, sentenza n. 349 del 1985). Orbene, dalle affermazioni sin qui richiamate del Giudice delle leggi, emerge con chiarezza che il discrimine tra l'ammissibilita' (rectius: costituzionalita) e l'inammissibilita' di un intervento legislativo menomante il diritto a pensione deve parametrarsi per un verso sulla possibilita' di qualificare come diritto quesito la posizione giuridica incisa dalla norma e, per altro verso, dalla ragionevolezza dell'intervento che deve essere sempre supportato dall'esigenza di tutela di valori costituzionalmente rilevanti ed ispirato a criteri di oggettiva eguaglianza. Nella fattispecie sussiste piu' di un dubbio sulla sussistenza di tali requisiti. Il ricorrente, in forza dell'art. 39 della legge regionale 15 maggio 2000, n. 10, aveva chiesto di essere collocato a riposo. Con circolare n. 29511 del 21 novembre 2000 l'amministrazione regionale aveva stabilito le decorrenze dei sei contingenti in uscita, l'ultimo dei quali al 31 dicembre 2003. Con d.d.g. n. 2800 del 20 giugno 2001 la Presidenza della Regione Siciliana approvava i contingenti di uscita del personale nei quali risulta inserito l'attore della presente azione giudiziaria il quale, con d.d.g. e' stato pure cancellato dal ruolo dei dipendenti regionali. L'iter procedurale previsto dalla legge, peraltro, induce a ritenere che nel caso di specie sia stato configurato un vero e proprio diritto potestativo assoluto del dipendente, atteso che all'amministrazione non residuava alcun margine di apprezzamento discrezionale in ordine all'accoglimento della domanda, al di la' della mera verifica della sussistenza delle condizioni soggettive richieste dalla legge. Infatti l'art. 39 della l.r. n. 10/2000 qualifica espressamente come diritto quello dei dipendenti regionali in possesso dei requisiti di cui all'art. 2 della legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2, a conseguire l'anticipato collocamento a riposo entro il limite del 45 per cento dei dipendenti in servizio, in ciascuna qualifica, al 31 dicembre 1993, stabilendo che la domanda per accedere al pensionamento dovesse essere presentata nel termine perentorio di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. La stessa norma prevedeva, poi, che il collocamento a riposo fosse disposto a partire dalla data di entrata in vigore della legge per contingenti semestrali pari ad un sesto degli aventi diritto. Tale diritto si e' consolidato in termini di attualita' e concretezza non solo a seguito dell'opzione legittimamente manifestata ma, anche e soprattutto, a seguito dell'emanazione del provvedimento di cancellazione dai ruoli dei dipendenti dell'amministrazione regionale, con la data di decorrenza ivi indicata, a prescindere dalla circostanza che il dipendente sia stato temporaneamente trattenuto in servizio per il sopravvenire dell'art. 5, comma 4, della l.r. n. 2/2002. E' appena il caso di ricordare come la giurisprudenza abbia sempre sottolineato che un diritto potestativo si consuma con il suo esercizio per cui, una volta che sia intervenuto il provvedimento che ad esso si conforma e che siano prodotti gli effetti cui esso tende (nella fattispecie entrambi rappresentati dall'inserimento nei contingenti di uscita e dal provvedimento di cancellazione dai ruoli), gli stessi non possono essere piu' rimessi in discussione (Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 2002, n. 2596). E mentre nello schema privatistico il recesso costituisce esercizio di un diritto potestativo e non deve essere accettato, in quanto costituisce atto non ricettizio che determina immediatamente la dismissione del diritto e quindi la conseguenza giuridica nella sfera del datore di lavoro, che non puo' se non subire l'esercizio del diritto potestativo, nello schema pubblicistico le dimissioni intanto inducono l'esaurirsi del rapporto in quanto siano accettate: in altri termini, il dipendente propone le proprie dimissioni che producono effetto per il destinatario, la p.a., solo con l'accettazione (che nella fattispecie si identifica con l'inserimento nei contingenti di uscita), che, proprio per la sua stessa natura e' l'atto che conclude la fattispecie e da tale momento determina l'efficacia del recesso (Cons. Stato, sez. VII, 18 giugno 2002, n. 3316). Nel caso di specie, pero', non di dimissioni si trattava ma di esercizio di un diritto potestativo di collocamento a riposo che, in quanto tale, non necessitava di alcuna accettazione e che, inoltre, ha trovato formale cristallizzazione nei due provvedimenti della p.a. di inserimento nei contingenti di uscita e di cancellazione dai ruoli. Appare evidente, quindi, che la norma abrogativa della cui costituzionalita' qui si dubita, sia intervenuta con effetto retroattivo elidendo un diritto soggettivo perfetto che una precedente norma aveva attribuito (2000) ed una ulteriore (2002) aveva confermato, sia pure con diversa scansione temporale. Sostenere che, in questo caso, si tratti di semplice aspettativa o di diritto potenziale o, ancora, teorico, appare eccessivamente (e gratuitamente) riduttivo e non tiene conto della reale natura (diritto potestativo assoluto) della posizione giuridica acquisita e fatta valere dall'interessato. A cio' si aggiunga che la norma abrogativa ha creato una grave disparita' di trattamento tra i destinatari dell'originaria disposizione, alcuni dei quali, quelli appartenenti ai primi contingenti, sono stati effettivamente collocati a riposo. E non puo' sostenersi che le situazioni tra i primi collocati realmente a riposo e gli altri, bloccati dalla norma della cui costituzionalita' qui si dubita, non fossero identiche o comparabili. Infatti l'art. 39 gia' citato non pone e non giustifica alcuna differenziazione tra tutti gli aventi diritto, dei quali si limita a disporre solo un esodo graduale (peraltro senza indicare i criteri di scaglionamento e, quindi, rimarcando la sostanziale eguaglianza delle loro posizioni) per evidenti motivi di tutela della struttura amministrativa e del bilancio regionale che doveva farsi carico dei trattamenti di fine servizio. Pertanto, l'avere travolto - mediante l'abrogazione, con evidente effetto retroattivo, della norma che ne consentiva il collocamento a riposo - il diritto degli uni e non quello degli altri, giustifica l'insorgere di fondati dubbi in ordine ad una irragionevole disparita' di trattamento che non puo' trovare legittimazione alcuna nel pur lodevole intendimento di tutela degli equilibri di bilancio, atteso che un analogo risultato lo si sarebbe potuto raggiungere attraverso l'attivazione di diversi meccanismi quale quello di una maggiore - rispetto a quella prevista nel 2000 e, poi, rimodulata nel 2002 - diluizione nel tempo degli scaglioni di uscita o di riquantificazione delle ritenute previdenziali a carico dei soggetti che intendevano avvalersi di tale facolta', o, ancora, mediante una diluizione nel tempo dell'erogazione dei trattamenti di fine rapporto che, come e' notorio dal dibattito pubblico seguito sulla stampa, ha costituito il punto critico e determinante della presunta insostenibilita' per il bilancio regionale dell'esodo programmato. Resta il dato incontrovertibile che, pur nella limitatezza numerica dei destinatari, la fattispecie qui osservata ha, di fatto, arrecato un grave vulnus all'immagine della Regione come legislatore, inducendo una percezione di inaffidabilita' connessa ad modus legiferandi che nell'arco di un solo quinquennio ha concesso, modificato e poi eliso un diritto, in termini palesemente incoerenti e contraddittori. La questione sollevata e' rilevante, in quanto solo alla sua fondatezza potrebbe conseguire l'accoglimento dell'odierno ricorso. Il processo deve, pertanto, essere sospeso ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e gli atti rimessi alla Corte costituzionale per il giudizio di competenza.