LA CORTE DEI CONTI

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  76/2007 nel giudizio di
pensione  civile  iscritto  al  n. 30899  del  registro di segreteria
promosso  ad  istanza  di  Giglio  Leopoldo,  rappresentato  e difeso
dall'avv. Giuseppe Gruppuso, nei confronti della Regione Siciliana.
    Visto  l'atto  introduttivo  del  giudizio depositato il 5 agosto
2003.
    Visti gli atti e documenti tutti del fascicolo processuale.
    Uditi  alla  pubblica udienza del 31 gennaio 2007 l'avv. Giuseppe
Gruppuso  per  il  ricorrente e l'avv. Vincenzo Farina per la Regione
Siciliana.

                                Fatto

    L'odierno  ricorrente,  dipendente  della  Regione Siciliana, con
istanza  prodotta nei termini di legge ha chiesto di essere collocato
a  riposo  anticipatamente ai sensi dell'art. 39 della L.R. 15 maggio
2000, n. 10.
    La  predetta  norma, contenuta nel Titolo VII della citata legge,
concernente  il  riordino  del  sistema  pensionistico  della Regione
Siciliana,  dopo  avere disposto, nelle more del riordino del sistema
pensionistico  regionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2003, la
sospensione   dell'applicazione   delle   norme  che  consentivano  i
pensionamenti  di  anzianita',  faceva,  pero',  salva l'applicazione
dell'art. 3  della  L.R. 23 febbraio 1962, n. 2, per i dipendenti che
avessero  maturato  l'anzianita' di servizio utile ivi prevista o che
tale   anzianita'   maturassero   entro  la  predetta  data,  nonche'
l'applicazione dell'art. 18 della L.R. 3 maggio 1979, n. 73.
    Pertanto,  al  fine  dichiarato  di  creare condizioni favorevoli
all'avvio  della  riforma  burocratica e al completo decentramento di
funzioni, veniva stabilito che, in deroga a quanto disposto dal comma
1  del  citato  art. 39,  i  dipendenti  regionali  in  possesso  dei
requisiti  di  cui  all'art. 2  della  L.R.  23  febbraio 1962, n. 2,
potessero  comunque  conseguire  l'anticipato  collocamento a riposo,
entro  il  limite  del  45  per  cento  dei dipendenti in servizio in
ciascuna qualifica, al 31 dicembre 1993.
    A  far data dal 1° gennaio 2004, inoltre, veniva stabilito che il
sistema  pensionistico  regionale  si  dovesse  adeguare  ai principi
fondamentali del sistema pensionistico vigente per i dipendenti dello
Stato, facendo salvi comunque i diritti quesiti.
    Il  collocamento  a  riposo di cui alla predetta normativa veniva
disposto,  infine,  a  partire  dalla data di entrata in vigore della
legge  per  contingenti  semestrali  pari  ad  un  sesto degli aventi
diritto.
    Con  circolare n. 29511 del 21 novembre 2000 sono state stabilite
le decorrenze dei sei contingenti in uscita, l'ultimo dei quali al 31
dicembre 2003.
    Con D.D.G. n. 2800 del 20 giugno 2001 la Presidenza della Regione
Siciliana  approvava  i contingenti di uscita del personale nei quali
risulta inserita l'attore della presente azione giudiziaria.
    Per  effetto  dell'art. 5,  comma  4,  della L.R. n. 2/2002, poi,
veniva  stabilito  che  i dipendenti inclusi nei contingenti previsti
dalla  predetta  legge  fossero  collocati  a riposo con periodicita'
annuale, anziche' semestrale, e con decorrenza dal 1° gennaio 2004.
    L'odierno  ricorrente  con  atto  depositato il 5 agosto 2003, ha
ritenuto  che  tale  ultima disposizione non fosse a lui applicabile,
avendo  maturato  il  diritto in data antecedente alla sua entrata in
vigore ed ha chiesto la dichiarazione del suo diritto ad essere posto
in  quiescenza secondo quanto previsto dalla L.R. n. 10/2000, essendo
stato   gia',   con  D.D.G.,  cancellato  dal  ruolo  dei  dipendenti
regionali.
    A  seguito,  poi,  dell'entrata in vigore dell'art. 29 della L.R.
n. 21/2003,  il  quale  ha  abrogato  i  commi  2,  3,  4,  5, 6 ed 8
dell'art. 39  della  L.R. n. 10/2000, la Regione Siciliana, comunque,
ha  ritenuto  di  non  potere  piu' dare corso al pensionamento ed ha
mantenuto in servizio l'interessato.
    Con  memoria  depositata  il  18  giugno  2004  il  ricorrente ha
ulteriormente  illustrato  e  confermato  la domanda introduttiva del
giudizio,   chiedendo,   in  via  subordinata,  che  fosse  sollevata
questione  di  legittimita'  costituzionale della normativa regionale
che aveva bloccato la procedura del loro pensionamento.
    Con  memoria  depositata  il  15 gennaio 2007 si e' costituita la
Regione  Siciliana,  eccependo  in  via  preliminare  il  difetto  di
giurisdizione di questa Corte e, nel merito, chiedendo il rigetto del
ricorso.
    Alla pubblica udienza del 31 gennaio 2007 le parti presenti hanno
insistito nelle rispettive richieste riportandosi agli atti scritti.

                               Diritto

    Occorre  preliminarmente  scrutinare  l'eccezione  di  difetto di
giurisdizione formulata dalla difesa della Regione Siciliana.
    L'eccezione e' infondata.
    Ai sensi dell'art. 62 del R.D. n. 1214/1934, alla Corte dei conti
sono  devoluti  anche  le istanze dirette ad ottenere la sentenza che
tenga  luogo  del  decreto  di  collocamento  a riposo o in riforma e
dichiari essersi verificate nell'impiegato le condizioni dalle quali,
secondo  le  leggi  vigenti,  sorge  il diritto a pensione, assegno o
indennita'  (cfr.  Corte dei conti Friuli-V. Giulia, sez. giurisdiz.,
20  gennaio  2004,  n. 17):  e tale e', con lapalissiana evidenza, la
fattispecie oggetto del presente giudizio.
    Cio'  anche  laddove  si  volesse  aderire ad un piu' restrittivo
indirizzo  giurisprudenziale (invero alquanto datato, sostanzialmente
privo  di  reale  motivazione  e,  comunque,  non condiviso da questo
giudicante) secondo il quale il potere della Corte dei conti, a norma
dell'art. 62,  R.D.  12 luglio 1934, n. 1214, di emanare una sentenza
che  tenga luogo, a fini pensionistici, del decreto di collocamento a
riposo  resterebbe  circoscritto  alla  diversa  ipotesi  in  cui  la
cessazione dal servizio sia conseguenza inopinabile ed obiettivamente
verificabile  di  previste  scadenze temporali (Cass. civ., 5 gennaio
1981,  n. 5),  evenienza  che,  per  l'appunto,  ricorre  nel caso di
specie.
    La  giurisdizione  della  Corte dei conti, peraltro, si configura
come  giurisdizione  piena  ed  esclusiva  sul  rapporto  (e non come
giurisdizione  di  mero  annullamento),  che  conosce  in  materia di
«diritti»,  interveniente  in un rapporto paritetico, ad instar di un
accertamento   costitutivo  del  diritto  a  pensione  che  funge  da
presupposto  meramente  processuale  ex  art. 62 del R.D. n. 1214 del
1934 affinche' il giudice, indipendentemente dai motivi d'impugnativa
del  ricorrente,  abbia  a  pronunciarsi  sull'an  e  sul quantum del
diritto  a pensione, conoscendo in siffatto modo dell'intero rapporto
controverso  (Corte  dei  conti Lombardia, sez. giurisdiz., 18 giugno
2002, n. 719).
    Sulla  domanda, pertanto, va affermata la giurisdizione di questa
Corte.
    Nel merito va osservato quanto segue.
    L'art. 39,  contenuto  nel  Titolo  VII  della  L.R.  n. 10/2000,
concernente  il  riordino  del  sistema  pensionistico  della Regione
Siciliana,  dopo  avere  disposto,  nelle  more del citato riordino e
comunque    non   oltre   il   31 dicembre   2003,   la   sospensione
dell'applicazione  delle  norme  che  consentivano i pensionamenti di
anzianita',  abbia  fatto,  pero',  salva  l'applicazione dell'art. 3
della  L.R.  23  febbraio  1962,  n. 2, per i dipendenti che avessero
maturato  l'anzianita'  di  servizio  utile  ivi  prevista o che tale
anzianita' maturassero entro la predetta data, nonche' l'applicazione
dell'art. 18 della L.R. 3 maggio 1979, n. 73.
    Il  ricorrente,  dipendente  della Regione Siciliana, con istanza
prodotta nei termini di legge ha chiesto di essere collocato a riposo
anticipatamente  ai  sensi  dell'art. 39  della  L.R. 15 maggio 2000,
n. 10  (con  riferimento  al  disposto  di  cui all'art. 2 della L.R.
n. 2/1962)  ed  in  esito a tale istanza, riconosciuta la sussistenza
dei  requisiti  di  legge,  e'  stato  collocato  nei  contingenti di
fuoriuscita.
    Su tali circostanze non sussiste contestazione tra le parti ed il
dato,  pertanto, puo' ritenersi non controverso nel presente giudizio
ed  acquisito  come necessario elemento presupposto di ogni ulteriore
argomentazione che sara' qui di seguito sviluppata.
    Il  legislatore  regionale,  nelle  more  della  definizione  dei
relativi  procedimenti, e', pero', intervenuto con l'art. 5, comma 5,
della  L.R.  n. 2/2002,  disponendo che, ferme le disposizioni di cui
all'art. 39  della  L.R.  15 maggio 2000, n. 10, i dipendenti inclusi
nei  contingenti  previsti  dal comma 8 del medesimo articolo fossero
collocati  a  riposo  con periodicita' annuale, anziche' semestrale e
con decorrenza dal 1° gennaio 2004.
    Si  e'  trattato,  in  sostanza,  di  un  intervento parzialmente
correttivo, ispirato da motivazioni di compatibilita' finanziaria con
il  bilancio  regionale  per  il  quale  erano  state  intraviste non
indifferenti  difficolta'  nell'affrontare  l'onere del pagamento dei
trattamenti  di  fine  rapporto  ad  un  cosi'  consistente numero di
dipendenti,  avente come risultato solo quello di determinare la data
di  decorrenza  della  pensione  al  1°  gennaio  2004,  per  tutti i
contingenti non ancora esitati.
    Tale intervento normativo non modificava, pero', i requisiti gia'
fissati   e   le  modalita'  per  l'accesso  alla  pensione  c.d.  di
anzianita'.
    Nelle  more di tale procedimento l'art. 20 della L.R. 30 dicembre
2003,  n. 21,  ha  stabilito,  pero', che a decorrere dal 31 dicembre
2003  fossero  abrogati i commi 2, 3, 4, 5, 6 ed 8 dell'art. 39 delle
citata  L.R.  n. 10/2000,  e  successive modifiche ed integrazioni ed
ogni  altra  norma  regionale  incompatibile,  e  che a decorrere dal
1° gennaio   2004   i   requisiti   per  l'accesso  alle  prestazioni
pensionistiche,  per  tutti  i  dipendenti  della  Regione Siciliana,
fossero  regolati  dalle  norme  relative agli impiegati civili dello
Stato.
    A  seguito  di  tali ultimi due interventi legislativi, pertanto,
mentre  l'art. 39  citato  dispone,  a  tutt'oggi, che nelle more del
riordino  del sistema pensionistico regionale e comunque non oltre il
31   dicembre   2003  sia  sospesa  l'applicazione  delle  norme  che
consentono  pensionamenti  di  anzianita'  ma  che  sia  fatta  salva
l'applicazione  dell'art. 3  della L.R. 23 febbraio 1962, n. 2, per i
dipendenti  che  abbiano  maturato l'anzianita' di servizio utile ivi
prevista  o  che  tale  anzianita'  maturino  entro la predetta data,
nonche'  l'applicazione dell'art. 18 della L.R. 3 maggio 1979, n. 73,
l'art. 20  della L.R. 30 dicembre 2003, n. 21, invece, stabilisce che
a  decorrere  dal  1° gennaio  2004  i  requisiti  per l'accesso alle
prestazioni  pensionistiche,  per  tutti  i  dipendenti della Regione
Siciliana,  siano regolati dalle norme relative agli impiegati civili
dello Stato.
    Tale  ultima  disposizione,  ancorche'  la  legge  sia entrata in
vigore  il  30 dicembre 2003, come tutte quelle contenute nella legge
n. 21/2003  si  applica  solo  a  decorrere  dal 1° gennaio 2004, per
espressa  volonta' del legislatore ai sensi dell'art. 32 della stessa
legge.
    Il  quadro  legislativo  al  31  dicembre  2003 - giorno in cui i
ricorrenti  avrebbero dovuto essere posti a riposo con trattamento di
quiescenza  dal  1°  gennaio  2004  - pertanto puo' sintetizzarsi nei
seguenti termini:
        1. - l'intero art. 39 della legge n. 10/2000 era in vigore ad
eccezione  dei  commi  2, 3, 4, 5, 6 e 8, abrogati il 1° gennaio 2004
con effetto retroattivo al 31 dicembre 2003;
        2.  - dal  1° gennaio 2004, sempre con effetto retroattivo al
31 dicembre  2003,  deve  ritenersi abrogato anche l'art. 5, comma 4,
L.R.    n. 2/2002,   funzionalmente   collegato   ai   citati   commi
espressamente abrogati;
        3. - l'art. 2 della L.R. n. 2/1962 deve ritenersi tacitamente
abrogato  per  incompatibilita' sistematica solo dal 1° gennaio 2004,
data dalla quale, ai sensi degli artt. 20 e 32 della L.R. 30 dicembre
2003,  n. 21,  ai  dipendenti  regionali  sono  state estese le norme
statali sulle pensioni di anzianita'.
    Sulla  base  di  tale  contesto normativo la domanda proposta dal
ricorrente  e'  stata gia' scrutinata in altri giudizi gia' decisi da
questa Corte con esiti, pero', contrastanti.
    Un  primo  orientamento  giurisprudenziale (cfr. Corte dei conti,
sez.  giur.  Sicilia 25-31 ottobre 2006, n. 3120) ha osservato come i
ricorrenti di tale fattispecie, al 31 dicembre 2003, fossero tutti in
possesso  (e  la  circostanza, in questo giudizio, e' pacifica tra le
parti,    essendo    stato    il    ricorrente    medesimo   inserito
dall'Amministrazione   regionale   negli   scaglioni  di  esodo)  dei
requisiti di accesso alla pensione di anzianita' ai sensi dell'art. 2
della L.R. n. 2/1962.
    La  predetta  giurisprudenza  ha  rilevato che la possibilita' di
accesso  a  tale  forma di pensionamento e' stata espressamente fatta
salva  dall'art. 39,  comma  1,  della L.R. n. 10/2000 per coloro che
maturavano  i  requisiti  al  31 dicembre  2003, data quest'ultima di
cessazione  del blocco temporaneo dei predetti pensionamenti, cio' in
quanto  l'art. 39,  comma  1,  della  citata  L.R.  n. 10/2000 faceva
espresso  richiamo  all'art. 3  della  L.R. n. 2/1962, e quest'ultima
norma non puo' che essere accolta nella sua globalita', e tale ultima
disposizione  recita che l'impiegato ha diritto di essere collocato a
riposo  su  domanda  al  compimento del 35° anno di servizio utile, e
negli  altri  casi previsti dalle vigenti disposizioni, e tra queste,
ovviamente,  anche  quelle  di  cui al precedente art. 2 della stessa
legge,  relativo  ai  pensionamenti di anzianita', con i requisiti di
anzianita' ivi previsti.
    Pertanto  avrebbero  diritto  all'applicazione  dell'art. 3 della
L.R.  n. 2/1962  tutti  i  dipendenti che al 31 dicembre 2003 abbiano
compiuto 35 anni di servizio utile e coloro i quali, alla stessa data
abbiano  raggiunto il sessantesimo anno di eta' con almeno 15 anni di
servizio  effettivo oppure qualunque eta' con almeno venticinque anni
di servizio effettivo.
    La  fattispecie  relativa  ai  35  anni  permarrebbe nell'attuale
sistema,  mentre  quelle ulteriori, solo sospese negli effetti (cosi'
dovendosi    interpretare    l'espressione    legislativa    «sospesa
l'applicazione   delle   norme   che   consentono   pensionamenti  di
anzianita»)  fino  al  31  dicembre 2003, sono invece definitivamente
espunte dall'ordinamento, per incompatibilita', dal 1° gennaio 2004.
    Difatti  la  L.R.  n. 21/2003  ha  disposto  l'estensione, dal 1°
gennaio  2004,  dei  meccanismi  di  accesso  alle  pensioni  c.d. di
anzianita'  previsti  dallo  Stato  a  tutti  i dipendenti regionali,
abrogando  contemporaneamente,  dal 31 dicembre 2003, gli altri commi
del  citato  art. 39  che  disciplinavano  l'uscita per scaglioni dei
relativi beneficiari.
    Osserva,   ancora,  tale  giurisprudenza,  che  gli  interessati,
quindi,  avrebbero visto abrogare il complesso sistema di fuoriuscita
per  scaglioni  previsto  dal  citato  art. 39, con decorrenza dal 31
dicembre  2003  (e  con  esso  la  norma  che ne aveva postergato gli
effetti al 1° gennaio 2004), con contestuale cessazione degli effetti
sospensivi  del  diritto  di  accesso al trattamento di quiescenza di
anzianita', ai sensi dell'art. 39, comma 1, della L.R. n. 10/2000, al
31  dicembre  2003  (con  collocamento  a riposo da tale data), e con
fruizione del relativo trattamento di quiescenza dal 1° gennaio 2004,
primo  giorno  utile  dopo  la  cessazione  del  predetto blocco, non
ostando  a  cio' la circostanza che il legislatore regionale, proprio
con  decorrenza  dal  1°  gennaio  2004 abbia disposto l'estensione a
tutti  i  dipendenti  regionali,  per  le pensioni di anzianita', dei
meccanismi statali.
    Quest'ultima  estensione  non potrebbe che riguardare, pero', che
solo  i  dipendenti  che  non avessero maturato il diritto (ancorche'
sospeso  nella  sua  fruizione)  al  31  dicembre 2003, essendo il 1°
gennaio  2004  solo  il  primo giorno di godimento del trattamento di
quiescenza,  cioe'  di  un  diritto  gia'  perfezionatosi  il  giorno
precedente,   e   la   circostanza  che  il  diritto  si  fosse  gia'
perfezionato  il  giorno  precedente  a  quello  dell'efficacia della
modifica  legislativa  sarebbe dirimente in ordine all'intangibilita'
del medesimo.
    A  cio'  e'  stato  aggiunto che l'effetto abrogativo degli altri
commi del citato art. 39 sarebbe stato introdotto nell'ordinamento il
1°  gennaio 2004, ma con effetto retroattivo al 31 dicembre 2003, con
cio' consolidando - per il venir meno del sistema dei blocchi e della
fuoriuscita  per  scaglioni  gia' prevista a decorrere dal 1° gennaio
2004  - il diritto a pensione di quanti al 31 dicembre aveva maturato
i requisiti di anzianita', circostanza che avrebbe dimostrato come il
legislatore  abbia  inteso  abrogare il meccanismo di fuoriuscita per
scaglioni,  intrinsecamente  connesso  al  blocco  delle  pensioni di
anzianita'  scadente  al  31  dicembre  2003 (la cui permanenza al 1°
gennaio  2004  avrebbe determinato l'applicabilita' del nuovo sistema
indistintamente  a  tutti i dipendenti regionali in servizio a quella
data),  ma  senza  incidere  sui diritti gia' maturati al 31 dicembre
2003  (e,  pertanto,  ne  ha  disposto  la  rimozione  da pari data),
disponendo  l'estensione delle regole statali ai dipendenti regionali
solo dal giorno successivo (1° gennaio 2004).
    Su   tale  modo  legislativo  di  procedere,  secondo  la  citata
giurisprudenza,  avrebbe  influito  la  consapevolezza che quello del
collocamento  a riposo e' un vero e proprio diritto (potestativo), in
quanto  cosi'  qualificato  dagli  stessi  artt. 2  e  3  della  L.R.
n. 2/1962,  ed  e' noto come un diritto potestativo si consuma con il
suo esercizio per cui, una volta che sia intervenuto il provvedimento
che  ad  esso  si  conforma e che siano prodotti gli effetti cui esso
tende  (nella fattispecie entrambi rappresentati dall'inserimento nei
contingenti  di  uscita),  gli  stessi  non possono essere rimessi in
discussione (Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 2002, n. 2596).
    E   mentre  nello  schema  privatistico  il  recesso  costituisce
esercizio  di  un diritto potestativo e non deve essere accettato, in
quanto  costituisce  atto non ricettizio che determina immediatamente
la  dismissione  del  diritto e quindi la conseguenza giuridica nella
sfera  del  datore  di lavoro, che non puo' se non subire l'esercizio
del  diritto potestativo, nello schema pubblicistico le dimissioni in
tanto inducono l'esaurirsi del rapporto in quanto siano accettate: in
altri  termini,  il  dipendente  propone  le  proprie  dimissioni che
producono   effetto   per   il   destinatario,   la  P.A.,  solo  con
l'accettazione (che nella fattispecie si identifica con l'inserimento
nei  contingenti di uscita), che, proprio per la sua stessa natura e'
l'atto  che  conclude  la  fattispecie  e  da  tale momento determina
l'efficacia  del  recesso  (Cons.  Stato,  sez.  VI,  18 giugno 2002,
n. 3316).
    E'  ovvio  che  un'eventuale  modifica che avesse inciso su di un
diritto  (e non di una semplice aspettativa) gia' conclamato, avrebbe
determinato  notevoli  problemi  esegetici di costituzionalita' della
norma,  specialmente  se si consideri che altri soggetti, in identica
posizione   degli   odierni  ricorrenti,  sol  perche'  collocati  in
scaglioni  antecedenti  -  ma  con  pari requisiti - erano gia' stati
posti da tempo in quiescenza.
    Tutto  cio'  determina,  secondo  tale  giurisprudenza,  che, non
essendo  mutato  il  quadro  normativo  di riferimento al 31 dicembre
2003,  per  quel  che  riguarda il diritto a fruire del pensionamento
anticipato  di  anzianita',  a  quella  data  gli interessati avevano
diritto  di  concludere il proprio rapporto di servizio con la P.A. e
di  godere,  attesa la cessazione a quella data dei pregressi effetti
sospensivi,   con  decorrenza  dal  1°  gennaio  2004,  del  relativo
trattamento di quiescenza maturato.
    A  tali  argomentazioni favorevoli alla domanda del ricorrente si
contrappongono,  pero',  quelle fatte proprie da altra giurisprudenza
(cfr. Corte dei conti, sez. giur. Sicilia 19 dicembre 2006-26 gennaio
2007, n. 223).
    Tale  giurisprudenza rammenta, anzitutto, che l'art. 20, comma 3,
della  L.R. n. 21/2003 ha stabilito, a decorrere dal 1° gennaio 2004,
che   i   requisiti   per  l'accesso  alle  prestazioni  relative  al
trattamento  di  quiescenza  del  personale  dipendente della Regione
Siciliana  siano  regolati dalle norme relative agli impiegati civili
dello  Stato,  e  ripercorre ed analizza, nel contempo, il previgente
ordinamento   che  disciplinava  il  trattamento  di  quiescenza  del
personale  della  Regione  (L.R. 23 febbraio 1962, n. 2, e successive
modifiche ed integrazioni).
    Ritiene   tale  giurisprudenza  che  il  diritto  al  trattamento
pensionistico anticipato, di cui si chiede il riconoscimento ai sensi
dell'art. 39,  comma  2,  della  L.R.  n. 10 del 2000, ricaduto, poi,
nell'abrogazione di cui alla L.R. n. 11/2003, non risulterebbe essere
stato  mai  concretamente  acquisito  in  applicazione dello speciale
procedimento  previsto dallo stesso art. 39 (commi 2, 3, 4, 5, 6 e 8)
della  L.R.  n. 10/2000  durante  la  sua  vigenza nella formulazione
originaria  non  essendo mai formalmente e definitivamente cessato il
rapporto  di  servizio  attivo dell'interessato con l'amministrazione
regionale.
    Secondo  tale  giurisprudenza  il  conseguimento  del trattamento
pensionistico  in  parola, per coloro che, come l'odierno ricorrente,
sebbene inseriti nei contingenti di uscita non sono mai stati, pero',
collocati  a riposo, sarebbe rimasto in fase potenziale non essendosi
verificate tutte le condizioni di legge, previste per la formazione e
la  piena  insorgenza  del  sottostante diritto a pensione, prima che
l'art. 5,  comma  5  della  legge  26  marzo  2002,  n. 2, nelle more
sopravvenuta,   stabilisse   la   nuova   decorrenza   giuridica  con
periodicita' annuale ad iniziare dal 1° gennaio 2004 dei collocamenti
a  riposo  anticipato del personale inserito nei contingenti d'uscita
predisposti a termini del comma 8 dell'art. 39 della L.R. n. 10/2000.
    Cio'   consentirebbe   di   affermare   che  le  norme  contenute
nell'art. 39  (commi  2,  3,  4,  5,  6  e 8) si riferissero nel loro
insieme a trattamenti pensionistici in divenire, che avrebbero potuto
realizzarsi  solo  al  momento  in  cui  fosse  avvenuto il formale e
definitivo   collocamento   a   riposo   a  domanda  con  conseguente
riconoscimento  del  diritto  alla  liquidazione  della  pensione  e,
comunque,  a  decorrere  dal 1° gennaio 2004 con periodicita' annuale
(vedi art. 5, comma 5, della legge 26 marzo 2002, n. 2).
    Prima  della  scadenza di questa ultima data con l'art. 20, comma
4,  della  L.R. 29 dicembre 2003, n. 21, e' stata, pero', disposta in
via  definitiva  l'abrogazione, a decorrere dal 31 dicembre 2003, dei
commi  2,  3,  4,  5,  6 ed 8 del ripetuto art. 39 sul collocamento a
riposo  anticipato  e delle sue successive modifiche ed integrazioni,
quali  contenute  nell'art. 5  della  L.R.  n. 2/2002  e  nella  L.R.
n. 11/2003   e  di  ogni  altra  norma  regionale  incompatibile  con
l'intervenuta   abrogazione.   In   tale   contesto,   secondo   tale
giurisprudenza,  sarebbe stata cancellata definitivamente, secondo il
senso  fatto  palese  dalla  legge  abrogativa,  la decorrenza dal 1°
gennaio 2004 e la connessa periodicita' annuale di tali pensionamenti
anticipati, gia' stabilita dall'art. 5 della L.R. n. 2/2002.
    Tanto  porterebbe  a  ritenere  che  il diritto alla liquidazione
della   pensione  anticipata,  che  la  ricorrente  richiede  le  sia
riconosciuto,   non   sia   stato   affatto   acquisito   e   percio'
immodificabile.  Si  tratterebbe,  in realta', come sostenuto da tale
orientamento    giurisprudenziale,    di    un   diritto   in   fieri
inevitabilmente   soggetto   agli  effetti  innovativi  di  mutamenti
legislativi, nella specie sopravvenuti, che, avendo abrogato le norme
che  avevano  istituito  lo speciale procedimento, ancora in atto, di
collocamento   a  riposo  anticipato,  hanno  fatto  venir  meno  una
condizione  di  legge  fondamentale  per  l'insorgenza  del diritto a
pensione,  ovverosia la sua decorrenza giuridica per ogni conseguente
effetto,  che e' stata soppressa definitivamente per abrogazione. Non
sarebbe  stato  sufficiente,  per  acquisire  il  diritto a pensione,
essere  in  possesso dei requisiti di anzianita' indicati nell'art. 2
della  regionale  n. 2/1962 che avevano consentito l'inclusione della
ricorrente  in  uno  dei contingenti di cui all'abrogato art. 8 della
L.R. n. 10/2000, ma sarebbe occorso, ancora, come condizione di legge
ineliminabile,  che  il  procedimento  per giungere al collocamento a
riposo  con  trattamento  di  pensione,  prescritto, dai poi abrogati
commi  2, 3, 4, 5, 6, 8 dell'art. 39 della L.R. n. 10/2000, andasse a
buon  fine  con il venire in essere della sua decorrenza giuridica ed
economica da cui sarebbe derivato poi ogni altro conseguente effetto.
    Secondo  tale giurisprudenza l'interpretazione logico-sistematica
dei   diversi   passaggi   legislativi  sfociati,  in  ultimo,  nella
abrogazione  disposta  con il menzionato art. 20, comma 4, della L.R.
n. 21/2003, con i conseguenti effetti che ne sono derivati, farebbero
emergere,  conclusivamente,  in modo abbastanza chiaro ed univoco che
non  si siano verificate nella fattispecie le condizioni di legge per
l'insorgenza  di  un  diritto  soggettivo  pieno  del  ricorrente  al
conseguimento  della  pensione anticipata, risultando abrogato dal 31
dicembre  2003  l'intero  sistema normativo che aveva dato origine al
procedimento  di collocamento a riposo che sarebbe dovuto avvenire in
modo  graduale  in  base  ai contingenti predisposti con periodicita'
annuale  ad  iniziare  dal 1° gennaio 2004 come disposto dall'art. 5,
comma 5, della L.R. n. 2/2002 pure abrogato.
    Tale orientamento, poi, espressamente contesta di potere accedere
all'interpretazione di segno opposto che avvalora la tesi secondo cui
il  diritto  al  trattamento  anticipato di pensione fosse pienamente
sorto  gia' al momento dell'inserimento dei dipendenti regionali, tra
cui  il  ricorrente  medesimo, nei contingenti previsti dall'art. 39,
comma  8,  della L.R. n. 10/2000, sostenendo che, in tale ottica, ove
l'assunto  fosse  fondato, la disposizione che ha abrogato i commi 2,
3, 4, 5, 6 ed 8 dell'art. 39 della L.R. n. 10/2000 non potrebbe avere
altra  sorte  che  quella  di  essere  considerata una norma di legge
inutiliter data e, nei fatti, superflua.
    Questa  e'  un'ipotesi  che si ritiene non verosimile e, al tempo
stesso non praticabile, poiche' si porrebbe in netto contrasto con la
chiara  voluntas  legis,  resa  palese nel comma 4 dell'art. 20 della
L.R.  n. 21/2003,  di  bloccare  in via definitiva il procedimento in
itinere  di  esodo  del personale secondo il meccanismo delineato nel
ripetuto  art. 39, commi 2, 3, 4, 5, 6 ed 8 e non avrebbe avuto alcun
senso  disporre  l'abrogazione  esplicita  di norme che gia' avessero
esaurito  tutta  la  loro efficacia per essere giunto a compimento il
procedimento  legislativamente previsto per l'attuazione di una forma
di  collocamento  anticipato  a  riposo  temporalmente  definita  con
periodicita' annuale.
    Ne',   tanto   meno,   secondo   quei   giudici,  il  diritto  al
conseguimento  del  collocamento  a  riposo  anticipato  nelle  forme
previste  da  tale  normativa potrebbe essere ricollegato al comma 1,
mai abrogato, dello stesso art. 39, nella parte in cui e' stata fatta
salva  l'applicazione  dell'art. 3 della L.R. 23 febbraio 1962, n. 2,
in  quanto  la riserva di applicazione di quest'ultima norma di legge
sarebbe  stata  inserita  nel comma 1 dell'art. 39 esclusivamente per
salvaguardare  il  diritto  al  collocamento  a  riposo a domanda con
trattamento  di  pensione  dei dipendenti che, senza alcun vincolo di
inserimento   in   contingenti,  avessero  maturato  l'anzianita'  di
servizio  utile  a pensione ivi prevista o che la maturassero in ogni
caso  entro  la  data  del  31  dicembre  2003.  Si  tratterebbe,  in
definitiva,  di  quei  dipendenti  che  avessero  raggiunto il limite
massimo  di  servizio  per  il  collocamento  a  riposo fissato per i
dipendenti  della  Regione Siciliana dall'art. 3 della L.R. n. 2/1962
al  compimento  del  35°  anno di servizio utile a pensione. In altri
termini  nel  comma 1 dell'art. 39 sarebbe stato fatto salvo, fino al
31  dicembre  2003,  il diritto di essere collocati a riposo soltanto
per  quei  dipendenti  regionali  che  lo  avessero  richiesto avendo
maturato 35 anni di servizio utile a pensione. Che cio' fosse il vero
ed  effettivo intendimento del legislatore regionale lo si dedurrebbe
dall'interpretazione  letterale  e  logica del comma 1, non abrogato,
dell'art. 39  della L.R. n. 10/2000 in cui, con concisa formulazione,
e'  sancito  testualmente: «E' fatta salva l'applicazione dell'art. 3
della  L.R.  23 febbraio  1962,  n. 2,  per  i dipendenti che abbiano
maturato  l'anzianita'  di  servizio  utile  ivi  prevista o che tale
anzianita' maturino entro la predetta data (31 dicembre 2003)».
    Il  non  verificato  perfezionamento del diritto al conseguimento
della  pensione  anticipata  del  personale  incluso  nei contingenti
previsti  dal comma 8 dell'art. 39 della legge n. 10/2000 emergerebbe
pure,   ad   avviso  di  tale  giurisprudenza,  anche  da  una  altra
disposizione  contenuta  nell'art. 20 della L.R. n. 21/2003 e, cioe',
quella  di  cui  al  comma  5,  ove  e'  statuito testualmente che «i
dipendenti  inseriti  nei contingenti ex art. 39, comma 8, della L.R.
15 maggio 2000, n. 10, possono rinunciare ai riscatti, riconoscimenti
o  ricongiunzioni  richiesti  dopo  l'entrata in vigore della L.R. 15
maggio   2000,   n. 10,   e   relativi   a  periodi  non  coperti  da
contribuzione,  con  possibilita' di chiedere il rimborso delle quote
eventualmente  versate.  Per  i  periodi coperti da contribuzione, la
rinuncia  ed  il  relativo  rimborso  sono subordinati all'assenso da
parte  delle  gestioni  previdenziali  al ripristino della precedente
posizione  assicurativa.  La  rinuncia  di cui al presente comma puo'
essere  esercitata entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della
presente   legge»,  statuizioni  che  si  riferirebbero  soltanto  ai
dipendenti  regionali  in  servizio che erano stati gia' inseriti nei
contingenti  ex  art. 39,  comma  8,  e  che  rivelerebbero  come  il
legislatore   regionale   abbia   inteso,  con  riferimento  a  detto
personale, come definitivamente accantonata, per abrogazione espressa
delle   norme   che   l'avevano  introdotta,  la  speciale  forma  di
pensionamento  anticipato  di  cui  all'art. 39,  comma 2 della legge
n. 10/2000.  In  conseguenza  sarebbero  state  individuate,  con  la
medesima   disposizione,   le   modalita'  esecutive  necessarie  per
consentire  agli  interessati di esercitare la facolta' di rinuncia a
riscatti, ricongiunzioni e riconoscimenti richiesti dopo l'entrata in
vigore  della  L.R. 15 maggio 2000, relativi a periodi non coperti da
contribuzione  con possibilita' di richiedere il rimborso delle quote
eventualmente versate.
    Nelle   more  e'  intervenuta  sulla  materia  anche  la  Sezione
d'appello di questa Corte per la Regione Siciliana, la quale, in sede
cautelare,  con  ordinanza  n. 80/A/2006/ORD  del 7 dicembre 2006, ha
manifestato  un  chiaro orientamento di adesione al secondo indirizzo
giurisprudenziale.
    Anche  questo  giudice, melius re perpensa, ritiene di dovere ora
aderire alle argomentazioni sopra esposte, che appaiono convincenti e
degne  di  condivisione,  le  quali  condurrebbero  ad un rigetto del
ricorso.
    Tale interpretazione, tuttavia, determina l'insorgere di dubbi di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 20,  comma 4,  della  L.R. 29
dicembre 2003, n. 21, con riferimento all'art. 3 della Costituzione.
    La  predetta norma, a decorrere dal 31 dicembre 2003, ha abrogato
i  commi  2,  3, 4, 5, 6 ed 8 dell'art. 39 della L.R. 15 maggio 2000,
n. 10,  e  successive  modifiche  ed  integrazioni, di cui all'art. 5
della L.R. 26 marzo 2002, n. 2, ed alla L.R. 8 agosto 2003, n. 11, ed
ogni   altra   norma   regionale   incompatibile   con   la  presente
disposizione;   da  tale  abrogazione  e'  scaturito  il  diniego  di
collocamento a riposo dell'odierno ricorrente.
    Tale  disposizione,  pero',  sembra  incidere  su quello che puo'
qualificarsi  come  un  diritto soggettivo perfetto al collocamento a
riposo gia' acquisito dall'interessata e che, pertanto, sarebbe stato
indebitamente  ed  irragionevolmente  compresso  con norma ad effetto
retroattivo.
    In  linea  generale,  l'affidamento del cittadino nella sicurezza
giuridica  -  essenziale  elemento  dello Stato di diritto - non puo'
essere   leso   da   disposizioni   retroattive,  che  trasmodino  in
regolamento  irrazionale  di  situazioni sostanziali fondate su leggi
anteriori (Corte costituzionale, sentenza n. 525 del 2000 e ordinanze
n. 319 e n. 327 del 2001; sentenze n. 416 del 1999, n. 211 del 1997 e
n. 390 del 1995).
    Da  tale  principio  discende  che  solo  in  questi  limiti - in
presenza  di  una  legge  avente, in settori estranei alla previsione
dell'art. 25,    secondo    comma,    della   Costituzione,   portata
ragionevolmente  retroattiva  -  l'affidamento sulla stabilita' della
normativa previgente e' coperto da garanzia costituzionale.
    In  materia  previdenziale  poi  deve  tenersi  anche  conto  del
principio,  parimenti  affermato  dalla Corte costituzionale, secondo
cui  il  legislatore  puo'  -  al  fine  (ricorrente nella specie) di
salvaguardare   equilibri   di   bilancio   e   contenere   la  spesa
previdenziale - ridurre trattamenti pensionistici gia' in atto (Corte
costituzionale,  sentenze  n. 417 e n. 361 del 1996, n. 240 del 1994,
n. 822 del 1988).
    Percio', il diritto ad una pensione legittimamente attribuita (in
concreto  e  non  potenzialmente)  - se non puo' essere eliminato del
tutto   da   una  regolamentazione  retroattiva  che  renda  indebita
l'erogazione della prestazione (Corte costituzionale, sentenze n. 211
del  1997  e  n. 419  del  1999)  -  ben  puo'  subire gli effetti di
discipline piu' restrittive introdotte non irragionevolmente da leggi
sopravvenute.
    In  sintesi,  come  ha affermato la Corte costituzionale, se - in
via   di   principio  -  deve  ritenersi  ammissibile  un  intervento
legislativo che modifichi l'ordinamento pubblicistico delle pensioni,
non  puo'  pero'  ammettersi  che  tale  intervento sia assolutamente
discrezionale.  In  particolare  non  potrebbe  dirsi  consentita una
modificazione  legislativa che, intervenendo in una fase avanzata del
rapporto  di lavoro, ovvero quando addirittura e' subentrato lo stato
di  quiescenza, peggiorasse senza un'inderogabile esigenza, in misura
notevole  e  in  maniera  definitiva  un trattamento pensionistico in
precedenza spettante, con la conseguente, irrimediabile vanificazione
delle  aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo
successivo   alla   cessazione   della   propria   attivita'.  (Corte
costituzionale, sentenza n. 349 del 1985).
    Orbene,  dalle  affermazioni sin qui richiamate del Giudice delle
leggi,  emerge  con  chiarezza che il discrimine tra l'ammissibilita'
(rectius:  costituzionalita)  e  l'inammissibilita'  di un intervento
legislativo  menomante il diritto a pensione deve parametrarsi per un
verso  sulla  possibilita'  di  qualificare  come  diritto quesito la
posizione  giuridica  incisa  dalla  norma  e, per altro verso, dalla
ragionevolezza  dell'intervento  che  deve  essere  sempre supportato
dall'esigenza  di  tutela  di  valori costituzionalmente rilevanti ed
ispirato a criteri di oggettiva eguaglianza.
    Nella fattispecie sussiste piu' di un dubbio sulla sussistenza di
tali requisiti.
    Il  ricorrente,  in forza dell'art. 39 della l.r. 15 maggio 2000,
n. 10, aveva chiesto di essere collocato a riposo.
    Con  circolare  n. 29511  del  21 novembre 2000 l'amministrazione
regionale  aveva  stabilito  le  decorrenze  dei  sei  contingenti in
uscita, l'ultimo dei quali al 31 dicembre 2003.
    Con d.d.g. n. 2800 del 20 giugno 2001 la Presidenza della Regione
Siciliana  approvava  i contingenti di uscita del personale nei quali
risulta inserito l'attore della presente azione giudiziaria il quale,
con  d.d.g.  e'  stato  pure  cancellato  dal  ruolo  dei  dipendenti
regionali.
    L'iter  procedurale  previsto  dalla  legge,  peraltro,  induce a
ritenere  che  nel  caso  di  specie  sia stato configurato un vero e
proprio  diritto  potestativo  assoluto  del  dipendente,  atteso che
all'amministrazione  non  residuava  alcun  margine  di apprezzamento
discrezionale  in  ordine  all'accoglimento  della domanda, al di la'
della  mera  verifica  della  sussistenza delle condizioni soggettive
richieste dalla legge.
    Infatti  l'art. 39  della l.r. n. 10/2000 qualifica espressamente
come   diritto  quello  dei  dipendenti  regionali  in  possesso  dei
requisiti  di  cui  all'art. 2  della  l.r. 23 febbraio 1962, n. 2, a
conseguire  l'anticipato collocamento a riposo entro il limite del 45
per  cento  dei  dipendenti in servizio, in ciascuna qualifica, al 31
dicembre   1993,   stabilendo   che   la   domanda  per  accedere  al
pensionamento dovesse essere presentata nel termine perentorio di sei
mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
    La  stessa  norma  prevedeva,  poi,  che il collocamento a riposo
fosse  disposto a partire dalla data di entrata in vigore della legge
per contingenti semestrali pari ad un sesto degli aventi diritto.
    Tale  diritto  si  e'  consolidato  in  termini  di  attualita' e
concretezza   non   solo   a   seguito   dell'opzione  legittimamente
manifestata  ma,  anche  e soprattutto, a seguito dell'emanazione del
provvedimento    di    cancellazione   dai   ruoli   dei   dipendenti
dell'amministrazione   regionale,  con  la  data  di  decorrenza  ivi
indicata, a prescindere dalla circostanza che il dipendente sia stato
temporaneamente   trattenuto   in   servizio   per   il  sopravvenire
dell'art. 5, comma 4, della l.r. n. 2/2002.
    E'  appena  il  caso  di  ricordare  come la giurisprudenza abbia
sempre  sottolineato che un diritto potestativo si consuma con il suo
esercizio per cui, una volta che sia intervenuto il provvedimento che
ad  esso  si conforma e che siano prodotti gli effetti cui esso tende
(nella   fattispecie   entrambi  rappresentati  dall'inserimento  nei
contingenti  di  uscita  e  dal  provvedimento  di  cancellazione dai
ruoli),  gli  stessi  non  possono essere piu' rimessi in discussione
(Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 2002, n. 2596).
    E   mentre  nello  schema  privatistico  il  recesso  costituisce
esercizio  di  un diritto potestativo e non deve essere accettato, in
quanto  costituisce  atto non ricettizio che determina immediatamente
la  dismissione  del  diritto e quindi la conseguenza giuridica nella
sfera  del  datore  di lavoro, che non puo' se non subire l'esercizio
del  diritto  potestativo,  nello  schema pubblicistico le dimissioni
intanto  inducono l'esaurirsi del rapporto in quanto siano accettate:
in  altri  termini,  il  dipendente propone le proprie dimissioni che
producono   effetto   per   il   destinatario,   la  p.a.,  solo  con
l'accettazione (che nella fattispecie si identifica con l'inserimento
nei  contingenti di uscita), che, proprio per la sua stessa natura e'
l'atto  che  conclude  la  fattispecie  e  da  tale momento determina
l'efficacia  del  recesso  (Cons.  Stato,  sez.  VI,  18 giugno 2002,
n. 3316).
    Nel  caso  di  specie, pero', non di dimissioni si trattava ma di
esercizio  di un diritto potestativo di collocamento a riposo che, in
quanto  tale,  non necessitava di alcuna accettazione e che, inoltre,
ha trovato formale cristallizzazione nei due provvedimenti della p.a.
di  inserimento  nei  contingenti  di  uscita  e di cancellazione dai
ruoli.
    Appare  evidente,  quindi,  che  la  norma  abrogativa  della cui
costituzionale qui si dubita, sia intervenuta con effetto retroattivo
elidendo  un  diritto  soggettivo  perfetto  che una precedente norma
aveva attribuito (2000) ed una ulteriore (2002) aveva confermato, sia
pure con diversa scansione temporale.
    Sostenere  che, in questo caso, si tratti di semplice aspettativa
o  di diritto potenziale o, ancora, teorico, appare eccessivamente (e
gratuitamente)  riduttivo  e  non  tiene  conto  della  reale  natura
(diritto  potestativo assoluto) della posizione giuridica acquisita e
fatta valere dall'interessato.
    A  cio'  si  aggiunga che la norma abrogativa ha creato una grave
disparita'   di   trattamento   tra   i  destinatari  dell'originaria
disposizione,   alcuni   dei  quali,  quelli  appartenenti  ai  primi
contingenti, sono stati effettivamente collocati a riposo.
    E  non  puo'  sostenersi  che le situazioni tra i primi collocati
realmente  a  riposo  e  gli  altri,  bloccati  dalla norma della cui
costituzionalita' qui si dubita, non fossero identiche o comparabili.
    Infatti  l'art. 39  gia'  citato non pone e non giustifica alcuna
differenziazione  tra tutti gli aventi diritto, dei quali si limita a
disporre solo un esodo graduale (peraltro senza indicare i criteri di
scaglionamento e, quindi, rimarcando la sostanziale eguaglianza delle
loro  posizioni)  per  evidenti  motivi  di  tutela  della  struttura
amministrativa  e  del bilancio regionale che doveva farsi carico dei
trattamenti di fine servizio.
    Pertanto, l'avere travolto - mediante l'abrogazione, con evidente
effetto  retroattivo, della norma che ne consentiva il collocamento a
riposo  -  il  diritto degli uni e non quello degli altri, giustifica
l'insorgere   di   fondati  dubbi  in  ordine  ad  una  irragionevole
disparita'  di trattamento che non puo' trovare legittimazione alcuna
nel  pur lodevole intendimento di tutela degli equilibri di bilancio,
atteso  che  un  analogo  risultato  lo si sarebbe potuto raggiungere
attraverso  l'attivazione  di  diversi meccanismi quale quello di una
maggiore - rispetto a quella prevista nel 2000 e, poi, rimodulata nel
2002   -  diluizione  nel  tempo  degli  scaglioni  di  uscita  o  di
riquantificazione  delle ritenute previdenziali a carico dei soggetti
che  intendevano  avvalersi di tale facolta', o, ancora, mediante una
diluizione nel tempo dell'erogazione dei trattamenti di fine rapporto
che,  come e' notorio dal dibattito pubblico seguito sulla stampa, ha
costituito   il   punto   critico   e   determinante  della  presunta
insostenibilita' per il bilancio regionale dell'esodo programmato.
    Resta  il  dato  incontrovertibile  che,  pur  nella  limitatezza
numerica  dei destinatari, la fattispecie qui osservata ha, di fatto,
arrecato un grave vulnus all'immagine della Regione come legislatore,
inducendo   una  percezione  di  inaffidabilita'  connessa  ad  modus
legiferandi  che  nell'arco  di  un  solo  quinquennio  ha  concesso,
modificato  e poi eliso un diritto, in termini palesemente incoerenti
e contraddittori.
    La  questione  sollevata  e'  rilevante,  in quanto solo alla sua
fondatezza potrebbe conseguire l'accoglimento dell'odierno ricorso.
    Il  processo deve, pertanto, essere sospeso ai sensi dell'art. 23
della  legge  11  marzo  1953,  n. 87  e  gli atti rimessi alla Corte
costituzionale per il giudizio di competenza.