ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito
dell'ordinanza  del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale
di  Monza  del 17 febbraio 2006; della richiesta di rinvio a giudizio
del  pubblico  ministero presso il Tribunale di Monza del 24 febbraio
2006;  del  decreto  del  Giudice  per  le  indagini  preliminari del
Tribunale  di  Monza  del  31 maggio  2006  e dei verbali del Giudice
monocratico  del Tribunale di Monza, sezione distaccata di Desio, del
31 gennaio  2007  e del 27 febbraio 2007, concernenti il procedimento
penale  a  carico  del  consigliere  della  Regione  Piemonte  Matteo
Brigandi',  promosso con ricorso della Regione Piemonte depositato in
cancelleria  il  16 marzo  2007  ed  iscritto  al  n. 2  del registro
conflitti tra enti 2007.
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  19  giugno 2007  il  giudice
relatore Maria Rita Saulle;
    Udito l'avvocato Gabriele Pafundi per la Regione Piemonte.

                          Ritenuto in fatto

    1.   -  La  Regione  Piemonte,  con  ricorso  del  13 marzo  2007
depositato   il   16 marzo   successivo,  ha  proposto  conflitto  di
attribuzione nei confronti dello Stato in relazione all'ordinanza del
Giudice  per  le  indagini  preliminari  del  Tribunale  di Monza del
17 febbraio  2006,  alla  richiesta di rinvio a giudizio del pubblico
ministero  presso  il  Tribunale  di  Monza  del 24 febbraio 2006, al
decreto  del  Giudice  per  le  indagini preliminari del Tribunale di
Monza  del  31 maggio  2006,  ai  verbali del Giudice monocratico del
Tribunale  di Monza, sezione distaccata di Desio, del 31 gennaio 2007
e  del  27 febbraio  2007,  concernenti  il  procedimento  penale nei
confronti  del  consigliere  della Regione Piemonte Matteo Brigandi',
per  violazione  dell'art. 122,  quarto  comma,  della Costituzione e
della  legge della Regione Piemonte 19 novembre 2001, n. 32 (Norme in
materia di valutazione di insindacabilita' dei consiglieri regionali,
ai sensi dell'art. 122, comma 4, della Costituzione).
    1.1. - Espone la Regione ricorrente che l'imputato, allora membro
del  Consiglio  regionale  del  Piemonte e Presidente del Gruppo Lega
Nord,  Piemonte,  Padania, aveva rilasciato un'intervista, pubblicata
dal  quotidiano  "La  Padania" il 18 marzo 2002, avente ad oggetto un
ordine  del  giorno,  presentato dal medesimo al Consiglio regionale,
con  il  quale  si  invitava la Giunta a richiedere al Ministro della
giustizia  di  avviare  «l'azione  disciplinare»  ed  al Consiglio di
denunciare al Consiglio superiore della magistratura ed al Presidente
della  Repubblica  il comportamento del magistrato Giancarlo Caselli,
il  quale  aveva  partecipato  ad  una  manifestazione  di propaganda
politica  nel  gazebo  dell'Ulivo  a Rivoli «in posizione di assoluto
rilievo   e  preminenza  pur  essendo  in  forza  della  magistratura
italiana»,  delegittimando,  in  questo  modo,  l'impegno dello Stato
nella  lotta alla mafia, «facendola apparire come una lotta politica»
e  violando  le  norme che impongono ai magistrati in servizio di non
appartenere a partiti politici.
    A  seguito  di  questa intervista, il magistrato aveva presentato
una  denuncia-querela  per  diffamazione aggravata e la Procura della
Repubblica  presso  il  Tribunale di Monza, al termine delle indagini
preliminari,   aveva   ritenuto   l'imputabilita'   del   consigliere
regionale.
    La   Regione   Piemonte  riferisce,  inoltre,  che  il  Consiglio
regionale,   con   delibera   del   5 agosto   2005,   ha  dichiarato
l'insindacabilita'  delle opinioni espresse dal consigliere regionale
ai  sensi  dell'art. 122,  quarto comma, della Costituzione e che, in
considerazione  di detta delibera, il Procuratore della Repubblica ha
chiesto  al  Giudice  per le indagini preliminari l'archiviazione del
procedimento penale.
    Il  Giudice  per  le indagini preliminari del Tribunale di Monza,
precisa  ancora  la ricorrente, con ordinanza del 17 febbraio 2006 ha
invece  disposto  la  formulazione  dell'imputazione,  escludendo  la
propria  legittimazione  a  sollevare  conflitto  di attribuzioni nei
confronti   della   Regione   Piemonte,   e,   dopo   aver  accertato
«autonomamente»     la     sussistenza     dei     presupposti    per
l'insindacabilita',  ha  negato  l'immunita' al consigliere regionale
«con  argomenti  [...]  a senso unico [...] nonostante la "tipicita'"
degli atti incriminati».
    La Regione - costituendo siffatto comportamento «un'inammissibile
usurpazione» delle competenze del Consiglio regionale - chiede che la
Corte  annulli  la  succitata ordinanza, nonche' gli atti processuali
successivi  posti  in  essere  dal  pubblico  ministero, dallo stesso
Giudice  per  le  indagini  preliminari e dal Giudice monocratico del
Tribunale di Monza.
    1.2.   -   In  via  preliminare,  la  ricorrente  sottolinea  che
l'ordinanza  del  Giudice per le indagini preliminari del 17 febbraio
2006  e'  stata  conosciuta dal Consiglio regionale del Piemonte, che
non  era  parte  in  causa,  solo  in  data  8 febbraio 2007, poiche'
comunicata dal consigliere con lettera datata 2 febbraio 2007.
    Quanto alle ragioni del conflitto, la Regione Piemonte, dopo aver
osservato   che   «la   decisione  dell'organo  legislativo  relativa
all'esistenza  dei  presupposti  dell'immunita'  dei  propri  membri,
costituisce   espressione   dell'autonomia   che  allo  stesso  viene
costituzionalmente  garantita»,  precisa che, in caso di delibera del
Consiglio   regionale   con  la  quale  si  affermi  l'immunita'  del
consigliere  ai  sensi  del  citato  art. 122,  quarto  comma,  della
Costituzione,  il  giudice «non puo' proseguire il processo» dovendo,
piuttosto,    «affermarne    l'improcedibilita',   oppure,   convinto
dell'eccesso  commesso  dall'organo  legislativo, sollevare conflitto
davanti a questa Corte».
    In  proposito,  la  ricorrente richiama l'art. 18, comma 3, dello
Statuto  della  Regione  Piemonte,  nonche' l'art. 3 della menzionata
legge regionale n. 32 del 2001, con i quali si sancisce il divieto di
chiamare  a  rispondere  i  consiglieri regionali per opinioni e voti
espressi nell'esercizio delle loro funzioni.
    Ad  avviso della Regione Piemonte, il presupposto dal quale muove
il   giudice,  nel  negare  la  propria  legittimazione  a  sollevare
conflitto davanti alla Corte nei confronti della Regione, non sarebbe
condivisibile.  In  particolare,  la  ricorrente  contesta  l'assunto
secondo cui «sarebbe inammissibile il conflitto sollevato dal giudice
nei  confronti  delle  Regioni»,  non  potendosi attribuire, a parere
della  ricorrente,  all'art. 39  della legge n. 87 del 1953 carattere
«preclusivo»,  nella  parte  in  cui  dispone  che,  per lo Stato, il
ricorso  e'  proposto  dal  Presidente  del  Consiglio  dei ministri.
Secondo  la Regione Piemonte, «tale prescrizione bloccherebbe solo la
legittimazione   processuale   del   singolo  `potere'  e  quindi  la
proponibilita' diretta del ricorso da parte del giudice».
    Cio'  premesso,  la Regione osserva che il giudice, nel procedere
«direttamente»  alla  valutazione dell'esistenza delle condizioni per
il riconoscimento dell'immunita' del consigliere, avrebbe «escluso la
riserva  al  Consiglio  regionale della decisione sulla immunita' dei
propri  componenti»,  negando,  erroneamente,  la  sussistenza  di un
«parallelismo»  tra le immunita' dei parlamentari, di cui all'art. 68
Cost.,   e   le   immunita'   dei  consiglieri  regionali,  ai  sensi
dell'art. 122, quarto comma, Cost., sul presupposto che «solo i primi
apparterrebbero  ad  un  organo  sovrano,  mentre gli altri farebbero
parte di un organo soltanto "autonomo"».
    Secondo  la  ricorrente  tale  affermazione  sarebbe «apodittica»
nella   parte   in  cui  «fa  capo alla  sovranita'  come  titolo  di
legittimazione  dell'immunita'  e non anche alla funzione legislativa
e/o  politica  svolta dall'organo rappresentativo della collettivita'
e,  nel  contempo,  contradditoria,  giacche'  se  l'immunita' spetta
soltanto agli organi sovrani, ai consigli regionali, in quanto organi
soltanto "autonomi", non dovrebbe essere mai riconosciuta», e cio' in
contrasto  con  quanto  previsto  dall'art. 122,  quarto comma, della
Costituzione.
    Ad  avviso  della  Regione,  il  giudice  avrebbe,  da  un  lato,
sottovalutato  «la  pari dignita' costituzionale» che dovrebbe essere
riconosciuta   a   tutti   i  soggetti  della  Repubblica,  ai  sensi
dell'art. 114  della  Costituzione, e, dall'altro, ignorato il citato
art. 3  della  legge regionale n. 32 del 2001 che regola le immunita'
dei  consiglieri  regionali,  rilevando,  inoltre,  con riferimento a
quest'ultima   norma,   che   ove   il   giudice   l'avesse  ritenuta
incostituzionale,  per  illegittimo  ampliamento  delle immunita' dei
consiglieri   regionali,   avrebbe   potuto  sollevare  questione  di
legittimita' costituzionale dinanzi alla Corte.
    2.  - In relazione alla sussistenza, in concreto, dei presupposti
della  insindacabilita'  delle  opinioni espresse dal consigliere, la
ricorrente  non  condivide  l'orientamento  del  giudice  che nega la
qualificazione dell'ordine del giorno come atto consiliare tipico. Al
riguardo,  la  Regione  sostiene  che  la «presentazione di o.d.g. e'
attivita'  "tipica"  di  natura  "politica"  dei Consigli regionali»,
richiamando,  al  riguardo,  l'art. 92  del  Regolamento  interno del
Consiglio regionale.
    2.1.  -  In particolare, la ricorrente osserva che il consigliere
aveva  presentato tre ordini del giorno con i quali il Consiglio e la
Giunta  venivano  invitati  a  pronunciarsi in merito alla «questione
politico-giuridica» della propaganda politica per l'Ulivo cui avrebbe
partecipato anche il dott. Caselli. In particolare, cita l'ordine del
giorno  n. 278 del 26 aprile 2001 - calendarizzato nella convocazione
del  Consiglio  regionale  del  21 marzo 2002 e sul quale sarebbe poi
stato  intervistato l'on. Brigandi' dal Giornale "La Padania", che ne
avrebbe  pubblicato  il  testo  il  18 marzo  2002 - e gli ordini del
giorno  n. 517  e  567  rispettivamente  del  9 aprile  2002  (recte:
15 aprile 2002) e del 24 maggio 2002.
    A  parere  della  Regione, «l'incriminazione diretta di un o.d.g.
(quello  del  9 aprile  2002)»,  nonche'  di un atto «legato da nesso
funzionale  con  un  altro  o.d.g.  (del  26 aprile 2001), oggetto di
intervista  su un giornale», costituirebbero «inequivocabilmente atti
coperti  dall'immunita»  di  cui  all'art. 122,  quarto  comma, della
Costituzione e alla citata legge regionale n. 32 del 2001.
    2.2.  -  In  secondo  luogo,  sarebbe parimenti non condivisibile
l'interpretazione  dell'art. 122,  quarto  comma,  della Costituzione
operata  dal  giudice,  secondo la quale «non tutti gli atti "tipici"
sarebbero  coperti  da  immunita', ma soltanto quelli che coinvolgono
materie  di  competenza  regionale». Tale lettura, secondo la Regione
Piemonte, si baserebbe, invero, sull'estrapolazione solo di una frase
della sentenza n. 379 del 2003 di questa Corte che risulterebbe «piu'
favorevole  alla  tesi  che si vuole sostenere», cosi' manipolando il
«significato effettivo» della sentenza medesima.
    In  particolare, la difesa regionale precisa che, «contrariamente
a  quanto  il  G.I.P. vuole fare apparire», nella citata sentenza «si
afferma  che  il giudizio di inammissibilita' di un'interrogazione da
parte  del  Presidente  della Camera non e' di per se' sufficiente ad
escludere la riconducibilita' dello scritto all'esercizio di funzioni
parlamentari»,  con  la  conseguenza che, caso per caso, occorrerebbe
valutare    il   contenuto   dell'atto   e   le   cause   della   sua
inammissibilita'.  Solo  «la  non  riconducibilita'  "assoluta" dello
scritto  presentato  all'esercizio di funzioni parlamentari», afferma
ancora la Regione, «fa venire meno l'insindacabilita» che, secondo la
sentenza  n. 379  del  2003,  «tende a proteggere al massimo grado la
liberta' di espressione di ogni singolo membro delle Camere».
    La  sentenza  in  parola,  pertanto,  ad avviso della ricorrente,
conterrebbe   «argomentazioni   contrarie  sia  alla  tesi  che  alla
soluzione   in   concreto»  adottate  dal  Giudice  per  le  indagini
preliminari  del  Tribunale  di  Monza, considerando che, nel caso di
specie, non «vi e' stata alcuna pronunzia d'inammissibilita' da parte
del  Consiglio  regionale  degli  o.d.g. incriminati, nonostante tale
condizione   rappresenti,   alla  luce  della  sentenza  evocata,  la
condizione   necessaria   affinche'   il   giudice  possa  verificare
direttamente  la  carenza  di  potere  nel  comportamento del singolo
consigliere».
    In  ogni  caso, proprio alla luce della sentenza n. 379 del 2003,
anche  l'eventuale  giudizio  consiliare negativo sull'ammissibilita'
dell'atto  tipico,  non  abiliterebbe  il  giudice  a «sostituirsi al
diverso sindacato sulla immunita' spettante al Consiglio».

                       Considerato in diritto

    1.  -  La  Regione Piemonte ha proposto conflitto di attribuzione
nei  confronti  dello  Stato, in relazione ad una serie di atti delle
autorita'  giudiziarie  procedenti  del  Tribunale  di Monza adottati
nell'ambito   del   procedimento  penale  a  carico  del  consigliere
regionale  Matteo  Brigandi',  per  violazione  dell'art. 122, quarto
comma,  della  Costituzione  e  della  legge  della  Regione Piemonte
19 novembre   2001,   n. 32  (Norme  in  materia  di  valutazione  di
insindacabilita'  dei  Consiglieri regionali, ai sensi dell'art. 122,
quarto comma, della Costituzione).
    La   ricorrente,   in  particolare,  chiede  a  questa  Corte  di
dichiarare  che  non  spettava allo Stato e, per esso al Tribunale di
Monza, «disattendere la delibera del Consiglio regionale del 5 agosto
2005  che  sanciva  l'insindacabilita'  delle  opinioni  espresse dal
consigliere on. Matteo Brigandi».
    2.  -  Secondo  la  ricorrente,  il  giudice  sarebbe  «tenuto  a
rispettare»  la  delibera  d'insindacabilita',  essendo  quest'ultima
espressione  dell'autonomia  riconosciuta  al Consiglio regionale, di
talche',  nel caso in cui intervenga una delibera d'insindacabilita',
il giudice non potrebbe «proseguire il processo» ma solo sollevare il
conflitto di attribuzione dinanzi a questa Corte. Nel caso di specie,
«invece  di ritenersi obbligato a rispettare la delibera d'immunita»,
il  giudice  procedente  avrebbe ritenuto di non essere legittimato a
sollevare  il  conflitto e avrebbe dunque proseguito il giudizio, con
conseguente  esclusione  della  «riserva al Consiglio regionale della
decisione  sulla  immunita'  dei  propri componenti». In tal modo, il
Giudice  per  le  indagini preliminari del Tribunale di Monza avrebbe
erroneamente  negato  la  sussistenza  di  un  «parallelismo»  tra le
immunita'  dei parlamentari, di cui all'art. 68 Cost., e le immunita'
dei consiglieri regionali di cui all'art. 122, quarto comma, Cost.
    3. - Il ricorso non e' fondato.
    3.1.    -   Come   questa   Corte   ha   piu'   volte   chiarito,
l'insindacabilita'   dei   consiglieri  regionali,  per  le  opinioni
espresse  e  i  voti  dati  nell'esercizio delle loro funzioni, trova
diretto  ed  esclusivo  fondamento nell'art. 122, quarto comma, Cost.
(tra  le  altre, sentenze nn. 221 del 2006, 276, 163 e 76 del 2001, e
382  del  1998). Analogamente alla guarentigia prevista dall'art. 68,
primo   comma,   Cost.,   l'insindacabilita'   in   oggetto  presidia
l'autonomia costituzionalmente garantita ai Consigli regionali, quali
organi   politicamente  rappresentativi  delle  rispettive  comunita'
territoriali   e  legittimati  democraticamente  all'assolvimento  di
funzioni  preordinate  alla cura dei relativi interessi, a cominciare
dalla potesta' legislativa.
    L'identita'  formale  degli  enunciati  di  cui agli articoli 68,
primo  comma,  e 122, quarto comma, Cost. non riflette, tuttavia, una
compiuta  assimilazione  tra  le  Assemblee parlamentari e i Consigli
regionali.   Questa  Corte  ha  gia'  avuto  modo  di  statuire  che,
diversamente  dalle  funzioni assegnate alle Camere, «le attribuzioni
dei  Consigli  regionali  si inquadrano, invece, nell'esplicazione di
autonomie costituzionalmente garantite, ma non si esprimono a livello
di sovranita» (sent. n. 306 del 2002; sent. n. 81 del 1975).
    La  diversa  posizione  dei  Consigli regionali e delle Assemblee
parlamentari  nel  sistema  costituzionale  e'  tale  da escludere la
sussistenza  del  "parallelismo"  invocato  dalla  ricorrente,  quale
fondamento   della   asserita   portata   inibitoria  della  delibera
consiliare.
    Ed infatti questa Corte ha, anche di recente (sentenza n. 195 del
2007), escluso che l'efficacia inibitoria delle delibere parlamentari
di  insindacabilita' dei membri delle camere per le opinioni espresse
e per i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni (affermata dalla
sentenza n. 1150 del 1988, e oggi disciplinata dalla legge n. 140 del
2003) possa estendersi alle regioni.
    Non  e'  quindi  condivisibile  la  tesi  della  Regione Piemonte
secondo  cui  il  giudice che proceda nei confronti di un consigliere
regionale,  di fronte all'asserito effetto inibitorio di una delibera
consiliare di insindacabilita', non potrebbe proseguire il giudizio e
disporrebbe  soltanto  della  possibilita'  di  proporre conflitto di
attribuzione  dinanzi  a  questa  Corte,  analogamente al giudice che
proceda nei confronti di un parlamentare.