ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 8, comma 2,
lettera c),   del   decreto   legislativo   17 gennaio   2003,   n. 5
(Definizione  dei  procedimenti in materia di diritto societario e di
intermediazione   finanziaria,   nonche'   in   materia   bancaria  e
creditizia,  in  attuazione  dell'articolo 12  della  legge 3 ottobre
2001,  n. 366), promossi dai Tribunale di Alba, di Verbania, di Monza
e di Avellino con ordinanze del 9 dicembre 2005, del 24 gennaio 2006,
del  4 gennaio 2006 e del 26 aprile 2006, rispettivamente iscritte ai
nn. 39,  136  e  298  del  registro  ordinanze  2006  ed al n. 32 del
registro  ordinanze  2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica  nn. 8, 19 e 37, 1ª serie speciale, dell'anno 2006 e n. 8,
1ª serie speciale, dell'anno 2007.
    Visti  gli  atti di costituzione di P. G. e M. G. G., della Cassa
di  risparmio  di  Bra  S.p.a.  nonche'  gli  atti  di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza pubblica dell'8 maggio 2007 e nella Camera di
consiglio del 9 maggio 2007 il giudice relatore Francesco Amirante;
    Uditi  gli avvocati Giuseppe De Naro Papa e Luigi Giuliano per P.
G. e M. G. G., Ugo Petronio per la Cassa di risparmio di Bra S.p.a. e
l'avvocato   dello  Stato  Giuseppe  Fiengo  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.1. - Nel corso di un giudizio civile promosso da alcuni privati
nei  confronti  della  Cassa  di  risparmio  di  Bra  S.p.a.,  per la
dichiarazione  di nullita' di due contratti inerenti la negoziazione,
la  sottoscrizione  e il collocamento di alcuni strumenti finanziari,
il   giudice   relatore  del  Tribunale  di  Alba  ha  sollevato,  in
riferimento  agli artt. 3, 24, 76 e 111 della Costituzione, questione
di   legittimita'   dell'art. 8,  comma 2,  lettera c),  del  decreto
legislativo  17 gennaio  2003,  n. 5 (Definizione dei procedimenti in
materia  di  diritto  societario  e  di  intermediazione finanziaria,
nonche'   in   materia   bancaria   e   creditizia,   in   attuazione
dell'articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366).
    Rileva  il giudice a quo che la Cassa di risparmio convenuta, nel
costituirsi in giudizio, ha depositato una comparsa di risposta nella
quale,  pur  non  svolgendo  domande riconvenzionali e non sollevando
eccezioni  non  rilevabili d'ufficio, ha introdotto nuove circostanze
di  fatto, producendo documenti ed articolando richieste istruttorie,
anche di prove orali. La stessa convenuta, che non aveva fissato agli
attori  il termine per la memoria di replica nella suddetta comparsa,
con   atto   notificato   ai   medesimi   ha  chiesto  la  fissazione
dell'udienza,   ai   sensi  dell'art. 8  del  decreto  impugnato.  Il
Presidente  del Tribunale ha nominato il giudice relatore, davanti al
quale  gli  attori  hanno  lamentato  l'illegittima  preclusione  del
proprio  diritto di replica, mentre la parte convenuta ha eccepito la
tardivita' e l'inammissibilita' di tutte le istanze istruttorie degli
avversari.
    Cio'  posto,  il  remittente  precisa,  sotto  il  profilo  della
rilevanza, di essere chiamato a decidere in ordine all'ammissibilita'
dei  mezzi  di  prova  e  di  dovere, quindi, fare applicazione degli
artt. 8  e  10  del d.lgs. n. 5 del 2003, aggiungendo anche di essere
legittimato  a sollevare la presente questione ancorche' la causa sia
di  competenza  del  tribunale  in  composizione collegiale. Poiche',
infatti,   e'   compito  del  giudice  relatore  decidere  in  ordine
all'ammissibilita'  delle  prove,  non assume rilievo il fatto che il
collegio  sia  successivamente  chiamato,  ai  sensi dell'art. 16 del
decreto  in  esame,  a  confermare  o revocare il decreto del giudice
delegato,  perche'  questi deve applicare «in prima battuta» le norme
processuali sulle preclusioni istruttorie.
    Il  giudice a quo, poste queste premesse, osserva, quindi, che la
disposizione  censurata  consente al convenuto che non abbia proposto
domande   riconvenzionali   e   non  abbia  sollevato  eccezioni  non
rilevabili  d'ufficio di presentare istanza di fissazione di udienza,
a  seguito  della quale si determinano, in base all'art. 10, comma 2,
del  d.lgs.  n. 5 del 2003, la decadenza dal potere di proporre nuove
eccezioni,   di  modificare  la  domanda  e  di  formulare  richieste
istruttorie. In tal modo, a suo avviso, si maturano gravi preclusioni
a   carico   dell'attore  «per  scelta  unilaterale  del  convenuto»,
riguardanti  in  particolare  le  facolta'  riconosciute  dall'art. 6
dell'impugnato decreto.
    Il  remittente  sostiene,  per  quel che riguarda il merito della
questione,  che la disposizione censurata si pone, in primo luogo, in
contrasto con l'art. 3 Cost. in quanto, del tutto irragionevolmente e
contraddittoriamente,    consente    al    convenuto   -   attraverso
l'utilizzabilita',   senza   alcuna   limitazione,   dello  strumento
processuale della presentazione dell'istanza di fissazione di udienza
-  di ostacolare l'effettivo esercizio del diritto di difesa da parte
dell'attore, con conseguente disparita' di trattamento fra le parti e
concessione  di  un  favor  non  giustificato  a vantaggio di uno dei
contendenti.  La  disposizione  stessa  violerebbe, in modo evidente,
anche  il diritto di difesa di cui all'art. 24, secondo comma, Cost.,
perche'  attribuisce  ad  una  delle  parti «la possibilita' [...] di
incidere  sulle  facolta'  di allegazione ordinariamente riconosciute
alla  controparte»,  permettendole cosi' di stabilire unilateralmente
il   thema   decidendum   e   il  thema  probandum,  «con  arbitraria
neutralizzazione  del  diritto  di  replica  della  controparte».  Il
suddetto  meccanismo,  antitetico  rispetto alla disciplina del nuovo
rito  civile  introdotta  dalla  legge  26 novembre 1990, n. 353 - la
quale,  pur  essendo  ispirata  al  principio  di  preclusione  o  di
eventualita',   ne  condiziona  l'operativita'  alla  concessione  di
termini  perentori  per  le repliche, al fine di garantire la parita'
delle  armi  tra le parti riconosciuta dallo stesso art. 24 Cost. (si
vedano  soprattutto  gli  artt. 183  e  184  cod.  proc.  civ.)  - si
porrebbe,  altresi',  in  contrasto  con  l'art. 111,  secondo comma,
Cost.,  perche', compromettendo gravemente detta parita', attribuisce
al  convenuto  la  facolta'  di  anticipare il momento di maturazione
delle  singole  preclusioni  a  carico  dell'attore,  cosi' negando a
quest'ultimo  il  diritto  di replica rispetto alle conclusioni della
comparsa  di  costituzione e risposta e impedendo la piena attuazione
del  contraddittorio.  Infine,  la  disposizione censurata sarebbe in
contrasto con l'art. 76 Cost. in quanto, oltrepassando i limiti della
delega  di  cui  all'art. 12,  comma 2,  della  legge 3 ottobre 2001,
n. 366,  «si  discosta  nettamente,  nella definizione delle scadenze
processuali, dalla disciplina del processo ordinario di cognizione».
    Tuttavia,  precisa  il  giudice  piemontese,  la  disposizione da
censurare  e'  l'art. 8,  comma 2, lettera c), del decreto n. 5 e non
l'art. 10  del  medesimo decreto, a suo tempo impugnato dal Tribunale
di   Lamezia   Terme  (cosi'  intendendosi  riferire  alla  questione
esaminata  da  questa  Corte nella sentenza n. 415 del 2006). Poiche'
pertanto,   a   suo   dire,   la   norma   non   e'  suscettibile  di
un'interpretazione   adeguatrice,   non   resta   che   chiedere   la
declaratoria di illegittimita' costituzionale della medesima.
    1.2.  -  Si  sono  costituiti  in giudizio, con un unico atto, le
parti  private  attrici  nel  giudizio a quo, chiedendo, anche in una
memoria  depositata in prossimita' dell'udienza, l'accoglimento della
prospettata questione.
    Dopo  aver sinteticamente ricapitolato le vicende del giudizio in
corso,  le  parti ricordano che l'esatta portata della norma in esame
e'   stata   oggetto  di  numerose  controversie  interpretative:  se
interpretata  alla lettera, infatti, essa «porterebbe inevitabilmente
ad  un'indebita  compressione  del  diritto  di  difesa  dell'attore,
concretando  una  palese  violazione  degli artt. 24 e 111 Cost.». In
casi  come  quello  in  esame, invero, pur non essendo state proposte
domande   riconvenzionali   o  eccezioni  non  rilevabili  d'ufficio,
tuttavia  il convenuto ha introdotto fatti nuovi, producendo numerosi
documenti  ed  articolando  capitoli di prova, sicche' l'accoglimento
dell'istanza  di  fissazione di udienza determina la preclusione, per
l'attore, di ogni attivita' difensiva di replica.
    Cio'  posto,  le  parti  private richiamano alcune delle numerose
pronunce  con  le  quali  vari  giudici  di  merito  hanno dichiarato
inammissibile  l'istanza di fissazione di udienza nell'ipotesi in cui
il convenuto aveva ampliato il thema decidendum ed il thema probandum
o,  comunque,  aveva  svolto difese «diverse dalla semplice negazione
dei  fatti  affermati  dall'attore», a differenza di quanto e' invece
accaduto  nel caso di specie. L'interpretazione letterale della norma
accolta  dal  Tribunale  di  Alba  farebbe si' che il convenuto possa
avvalersi «di una facolta' assolutamente illegittima che gli permette
di  comprimere  il diritto di difesa dell'attore», non consentendogli
di  replicare  ad attivita' difensive che pure ampliano i termini del
dibattito   processuale.   Nel  caso  specifico,  infatti,  la  parte
convenuta  ha  notificato un'ampia comparsa di risposta, ha formulato
molteplici   istanze   istruttorie,   riservandosi   di   produrre  e
specificare   ulteriormente   nel   prosieguo  del  giudizio,  ed  ha
effettuato  una  dettagliata  articolazione  di  capitoli  di  prova,
allargando  il tema del giudizio e, di fatto, impedendo all'attore di
esprimersi su tali deduzioni.
    Secondo  le  parti,  la  novella  normativa  che ha introdotto il
cosiddetto  rito  societario e' animata da altre finalita', prima fra
tutte   quella  della  disponibilita'  della  rinuncia  alle  proprie
facolta'  di  replica:  in altre parole, la parte che ha il potere di
replicare  puo'  rinunziarvi,  chiedendo immediatamente la fissazione
dell'udienza,  ma  se  intende  avvalersi di tale potere, allora deve
anche  concedere  quello di controreplica all'avversario. La facolta'
di  replica  costituirebbe, in pratica, «un'esplicazione dei principi
costituzionali»,  mentre  la  disposizione  in  esame, consentendo di
proporre un'immediata istanza di fissazione di udienza, finirebbe col
creare  una  disparita'  tra  attore  e convenuto. Simile disparita',
inoltre,   verrebbe   ad   essere   oggettivamente   aggravata  dalla
disposizione  dell'art. 10, comma 2-bis, del d.lgs. n. 5 del 2003, in
base  al  quale  i  fatti  allegati  dalle parti e non specificamente
contestati vengono dati per pacifici; in tal modo l'attore verrebbe a
trovarsi,  in  caso  di  comparsa di risposta «corposa ed estesa, con
affermazione  di  fatti  nuovi»,  nella sostanziale impossibilita' di
contestarli,  sicche'  tali  elementi verrebbero acquisiti e ritenuti
pacifici  nel  processo.  L'istanza  di  fissazione  di  udienza,  in
conclusione,  sarebbe  compatibile  solo con una comparsa di risposta
snella,  che  non  amplii  il thema decidendum ed il thema probandum,
ossia che non dia adito alla necessita' di replicare.
    1.3.  -  Si  e'  altresi'  costituita  in  giudizio  la  Cassa di
risparmio  di  Bra  S.p.a., chiedendo, anche in una memoria aggiunta,
che   la  prospettata  questione  venga  dichiarata  inammissibile  o
infondata.
    In  primo luogo, la Cassa sostiene che il giudice relatore non e'
legittimato,   nell'ambito   del  processo  societario,  a  sollevare
questioni  incidentali  di  legittimita' costituzionale, in quanto la
sua posizione e' affatto diversa da quella del giudice istruttore nel
processo  civile  ordinario. Nel processo societario, infatti, ad una
fase  di  litis contestatio che si svolge tra le parti segue una fase
giudiziale  vera  e  propria,  affidata  alla competenza del collegio
(art. 16  del  d.lgs. n. 5 del 2003). E' vero che al giudice delegato
spettano  una  serie  di  poteri relativi all'ammissione dei mezzi di
prova,  ma e' anche vero che i provvedimenti da lui emessi sono privi
dei   connotati   della   definitivita',  poiche'  il  collegio  puo'
confermarli  o  revocarli.  Ne  dovrebbe conseguire, pertanto, che il
potere di sollevare questioni di legittimita' costituzionale dovrebbe
spettare al solo collegio.
    Quanto  alla  rilevanza della questione, la parte osserva che nel
caso  in  esame  il  determinarsi  delle preclusioni conseguenti alla
domanda  di  fissazione  di  udienza  non  e'  stato il frutto di una
«scelta  unilaterale  del convenuto», quanto piuttosto la conseguenza
di  un  comportamento  della  parte  attrice la quale, non formulando
richieste istruttorie nell'atto di citazione, ha accettato il rischio
di  consentire alla controparte l'immediata definizione della materia
del giudizio.
    Secondo  l'istituto  bancario la questione appare non fondata nel
merito,  poiche' il rito societario si basa su esigenze di speditezza
e di attenuazione del rigore formale, con la conseguenza che le parti
sono   tenute   alla   massima   completezza   possibile  degli  atti
introduttivi,  insorgendo il diritto di replica soltanto nell'ipotesi
di allargamento del thema decidendum da parte del convenuto. In altre
parole,   il   sistema   e'  costruito  nel  senso  che  «un  ritardo
nell'inserzione  delle proprie allegazioni potrebbe costare caro», in
quanto   l'avversario   ha   la  possibilita'  di  cristallizzare  il
contraddittorio, evitando che vengano azionate manovre dilatorie.
    Infondate   risulterebbero,  quindi,  tutte  le  censure  di  cui
all'ordinanza  di rimessione, sia in riferimento all'art. 3 Cost. che
all'art. 24  Cost.; quanto alla censura di eccesso di delega, infine,
dovrebbero  valere  le  argomentazioni della giurisprudenza di questa
Corte  circa la necessita' di tenere conto del complessivo contesto e
delle finalita' che hanno ispirato la legge delega.
    2.  -  Nel corso di un giudizio civile, proposto nei confronti di
Banca  intesa  S.p.a.,  il  Presidente  del  Tribunale di Verbania ha
sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3,  primo comma, 24, secondo
comma,  e  111,  secondo  comma,  Cost.,  questione  di  legittimita'
costituzionale  del  medesimo art. 8, comma 2, lettera c), del d.lgs.
n. 5  del  2003,  nonche'  «del  richiamo  di tale norma nell'art. 4,
comma 2», del medesimo decreto.
    Premette il giudice a quo che il giudizio in corso ha per oggetto
la  nullita' e l'annullamento di un contratto di mandato all'acquisto
di obbligazioni e che la Banca convenuta, nel costituirsi, ha chiesto
il rigetto delle domande e, nel contempo, ha replicato alle richieste
istruttorie  di  parte  attrice,  producendo  copiosa documentazione,
formulando  capitoli  per  un'ampia  prova testimoniale ed avanzando,
infine,  istanza di fissazione di udienza. La parte attrice, a questo
punto, ha notificato alla banca una memoria di replica, sostenendo di
averne diritto nonostante la gia' avanzata richiesta di fissazione di
udienza  da  parte della convenuta e, con separata domanda depositata
in  pari  data,  ha chiesto al Presidente del Tribunale di dichiarare
l'inammissibilita'  dell'istanza  di fissazione di udienza ovvero, in
subordine,  di  sollevare  questione  di  legittimita' costituzionale
dell'art. 8, comma 2, lettera c), del d.lgs. n. 5 del 2003.
    Cio'  posto  in punto di fatto, il giudice a quo precisa di dover
vagliare,  nella  sua  qualita'  di Presidente del collegio civile su
delega  del  Presidente  del  Tribunale, tutte le questioni attinenti
alla ritualita' dell'istanza di fissazione di udienza, il che darebbe
conto  della rilevanza della questione di legittimita' costituzionale
posta  dalla  parte  attrice,  siccome  «riguardante  la norma che il
Presidente  e'  chiamato  ad applicare prima di procedere alla nomina
del  giudice  relatore  e,  quindi,  prima  di  dare inizio al vero e
proprio  giudizio».  Detta  questione  si  palesa,  a suo parere, non
manifestamente  infondata  in  riferimento  ai  richiamati  parametri
costituzionali.
    La  disposizione  censurata,  infatti,  consente  senza dubbio al
convenuto   -  che  non  abbia  sollevato  eccezioni  non  rilevabili
d'ufficio  o  avanzato  domande  riconvenzionali  o chiamato in causa
altre  parti  -  di  proporre  istanza di fissazione di udienza anche
nella  comparsa  di  risposta.  In tal modo, pero', il convenuto puo'
optare  per  l'immediato inizio del giudizio (ossia della fase che si
svolge  davanti  al  giudice)  senza dar modo all'attore di replicare
alle   altrui   difese   e  richieste  istruttorie,  con  conseguente
inammissibilita' del deposito, da parte dell'attore, della memoria di
replica  di  cui  all'art. 6  del  decreto  n. 5 del 2003. Poiche' il
successivo  art. 10 del medesimo decreto prevede espressamente che, a
seguito  dell'istanza  di  fissazione  di  udienza,  e' preclusa ogni
modificazione  delle  istanze  istruttorie  e  delle conclusioni gia'
proposte,  con  conseguente  decadenza  delle  parti  dal  potere  di
esercitare tali facolta', e' irrilevante, a detta del remittente, che
siffatta  decadenza non sia rilevabile d'ufficio, cosi' come non puo'
valere il fatto che le parti possano depositare, fino a cinque giorni
prima  dell'udienza  collegiale,  le proprie «memorie conclusionali»,
poiche'   queste   non  potrebbero,  comunque,  contenere  altro  che
argomentazioni difensive di confutazione di quelle della controparte.
A  parere del giudice a quo, invece, le repliche istruttorie previste
nel  rito  ordinario  sono  finalizzate  proprio  «ad  assicurare che
entrambe  le  parti  siano messe in grado di difendersi utilizzando i
mezzi  istruttori  previsti  dalla  legge processuale (artt. 3, primo
comma,  e 24, secondo comma, Cost.)»; ed anche nel rito del lavoro e'
previsto  (art. 420,  quinto e settimo comma, cod. proc. civ.) che il
giudice ammetta richieste istruttorie che la parte adduca di non aver
potuto  proporre  prima,  con contestuale concessione di termine alla
controparte per avanzare analoga richiesta.
    Osserva  inoltre  il  Presidente del Tribunale di Verbania che le
finalita'  di  concentrazione e speditezza che dovrebbero essere alla
base del rito societario sono in realta' contraddette dall'art. 7 del
d.lgs.  n. 5  del  2003,  che di fatto consente lo scambio «di almeno
altre  tre  memorie per ciascuna delle parti in causa»; cio' comporta
che   vietare  all'attore  la  formulazione  di  qualsiasi  ulteriore
richiesta  istruttoria  nel caso in questione contrasta col principio
della  parita'  processuale  delle parti «che si attua per il tramite
del  diritto  al contraddittorio» di cui all'art. 111, secondo comma,
della Costituzione.
    3. - Nel corso di un giudizio civile, proposto per l'annullamento
di  una  delibera di una societa' a responsabilita' limitata ai sensi
dell'art. 2377  cod.  civ., il Tribunale di Avellino, in composizione
collegiale,  ha  sollevato,  in  riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.,
questione   di   legittimita'  costituzionale  del  medesimo  art. 8,
comma 2,  lettera c),  del  d.lgs.  n. 5 del 2003 «nella parte in cui
preclude  la  possibilita'  all'attore  di  depositare una memoria di
replica  a seguito dell'istanza di fissazione di udienza da parte del
convenuto».
    Rileva  il  Tribunale  che  la  societa'  convenuta ha chiesto il
rigetto   della   domanda  attrice  e,  con  successiva  istanza,  la
fissazione   dell'udienza  ai  sensi  della  disposizione  censurata.
L'attore,  successivamente  a tale istanza, ha depositato una memoria
di  replica  deducendo l'illegittimita' costituzionale della norma in
esame,  sollecitando  la declaratoria di ammissibilita' della propria
memoria  e, in subordine, la rimessione in termini al fine di esibire
nuovi  documenti  e svolgere nuove deduzioni. Il giudice relatore nel
frattempo designato ha dichiarato l'inammissibilita' della memoria di
replica  e  ha disposto la rimessione in termini della parte attrice,
fissando l'udienza collegiale.
    All'esito  della  discussione  avvenuta  in quest'ultima sede, il
Tribunale   di  Avellino  dichiara  di  ritenere  non  manifestamente
infondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata dalla
parte attrice nei propri scritti difensivi.
    La  disposizione  censurata,  infatti,  prevede  che, qualora sia
notificata  l'istanza  di fissazione di udienza, nessun nuovo termine
possa  essere  assegnato  all'attore  per  il  deposito di memorie di
replica;  la possibilita' che la legge offre in tal modo al convenuto
di  impedire la presentazione della memoria di replica appare tale da
ledere  la parita' delle rispettive posizioni tra attore e convenuto,
perche'  le  domande  dell'attore restano cristallizzate «nel modo in
cui  questi  le  aveva  formulate  prima di conoscere le eccezioni di
controparte». Tale disparita' risulta aggravata, a parere del giudice
a  quo,  dalla  previsione dell'art. 10, comma 2-bis, del d.lgs. n. 5
del  2003,  in  base  al  quale  i  fatti  allegati dalle parti e non
specificamente  contestati  vengono dati per pacifici; in questo modo
una  comparsa di risposta che contenga l'introduzione di fatti nuovi,
accompagnata  dalla  richiesta di immediata fissazione di udienza, fa
si'  che  l'attore  si  trovi,  in  sostanza,  costretto  a  prestare
acquiescenza alle nuove deduzioni del convenuto, senza poter in alcun
modo replicare.
    Ad  avviso  del  Tribunale,  la  possibilita'  per  la  parte  di
replicare   «appare   espressione   dei  principi  costituzionali  di
eguaglianza  di  cui  all'art. 3  Cost., di difesa di cui all'art. 24
Cost. e del contraddittorio», mentre la norma impugnata consentirebbe
al   convenuto  di  precludere  all'attore  l'esercizio  di  siffatti
diritti.
    La  questione,  infine,  si  palesa  rilevante  in quanto dal suo
accoglimento  deriverebbe  la possibilita' di ritenere ammissibile la
memoria di replica depositata dall'attore.
    4.  -  Nel corso di un giudizio civile promosso da alcuni privati
nei  confronti di Banca Intesa S.p.a., il Presidente del Tribunale di
Monza  ha  sollevato,  in riferimento all'art. 24 della Costituzione,
questione  di  legittimita'  dell'art. 8,  comma 2,  lettera a),  del
d.lgs. n. 5 del 2003.
    Rileva in punto di fatto il giudice a quo che la Banca convenuta,
dopo  aver  notificato  la  propria  comparsa  di  risposta in data 6
giugno 2005,  ha  notificato,  il  successivo  9 giugno, l'istanza di
fissazione  di  udienza,  alla  quale  gli  attori  si  sono opposti,
deducendone  l'inammissibilita'. A sostegno di tale opposizione, essi
hanno  affermato  che  le  difese  della  banca  conterrebbero  delle
eccezioni non rilevabili d'ufficio, il che comporta la sussistenza di
un  loro diritto di replica prima che i convenuti possano chiedere la
fissazione  dell'udienza.  Cio'  in  quanto,  dopo l'introduzione del
comma 2-bis  nell'art. 10  del  d.lgs.  n. 5 del 2003, le circostanze
dedotte  dalla  convenuta  potrebbero  essere  ritenute  pacifiche in
seguito   alla   mancata   contestazione   da   parte  degli  attori,
contestazione  che  questi  non  sono  stati  messi  in condizione di
effettuare.
    Precisa  il giudice a quo di non condividere l'impostazione degli
attori,  poiche'  la banca convenuta non ha, in realta', proposto ne'
domande  riconvenzionali  ne'  eccezioni  non  rilevabili  d'ufficio,
sicche'  deve  riconoscersi  che  alla  medesima spetta il diritto di
chiedere   immediatamente  la  fissazione  dell'udienza,  secondo  il
disposto  dell'impugnato art. 8. Siffatta scelta del legislatore, che
corrisponde   all'esigenza   «di  assicurare  la  concentrazione  del
procedimento e la riduzione dei termini processuali», non consente al
giudice  alcuna  interpretazione diversa da quella letterale; proprio
da  tale  preclusione  della  possibilita'  di sviluppare un adeguato
contraddittorio,  tuttavia,  deriverebbe,  secondo  il remittente, un
grave  pregiudizio  dei  principi  costituzionali  in  tema di giusto
processo  e  di  diritto  di  difesa. Nel caso di specie, infatti, la
convenuta  ha  dedotto  elementi  di  fatto  ed  ha  articolato fatti
estintivi  delle  pretese  degli  attori,  senza  che a costoro venga
permesso  di  prendere  posizione  sui  tali  fatti  nuovi o diversi,
oggetto  di mezzi istruttori all'uopo indicati; in una situazione del
genere  consentire  al  convenuto  di chiudere immediatamente la fase
della  litis  contestatio,  senza  ammettere l'attore ad un effettivo
contraddittorio,  si  risolve in una lesione del diritto di difesa di
quest'ultimo.
    Il  Presidente  del Tribunale di Monza, quindi, solleva questione
di  legittimita'  costituzionale  della  disposizione censurata nella
parte  in cui non prevede che tra le ipotesi preclusive all'immediata
fissazione  di  udienza  da  parte  del  convenuto  «vi  siano  anche
deduzione di fatti modificativi, impeditivi o estintivi della domanda
attrice  o l'articolazione di prova contraria "indiretta"»; questione
rilevante  nel  giudizio  poiche' la norma da scrutinare non consente
all'attore, allo stato, di esercitare alcuna facolta' istruttoria, il
che  imporrebbe  di  accogliere l'istanza di fissazione di udienza da
parte della banca convenuta.
    5.  -  In  tutti  e  quattro i giudizi in esame e' intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, con atti di contenuto identico,
concludendo  per l'inammissibilita' o la manifesta infondatezza delle
questioni.
    Osserva  l'Avvocatura  dello  Stato  che il nuovo rito societario
puo'  essere  distinto  in  tre  fasi:  la fase preparatoria, volta a
fissare  in via definitiva il thema decidendum ed il thema probandum;
la  fase  che  va dalla designazione del giudice relatore al deposito
del  decreto  di  fissazione  di  udienza;  la  fase  dell'udienza di
discussione  davanti  al  collegio,  comprensiva  della  trattazione,
eventuale istruzione e decisione della controversia. La prima fase si
svolge  esclusivamente  tra  le  parti,  senza  la partecipazione del
giudice,  con  lo  scambio  dei  reciproci  atti  difensivi.  Essa si
caratterizza  perche'  ognuno  puo'  rinunciare alla propria replica,
chiedendo   la  fissazione  dell'udienza,  nella  consapevolezza  che
l'avversario  puo' fare altrettanto; ciascuna parte, cioe', sa che la
controparte  e'  in  condizioni  di  far scattare il meccanismo delle
preclusioni (tramite la richiesta di fissazione dell'udienza) ove non
proponga domande, eccezioni o prove nuove. Tale meccanismo stimola le
parti  alla  completezza degli atti e, nello stesso tempo, consente a
chi  e' interessato, rinunciando alla propria facolta' di replica, di
accelerare i tempi del processo.
    Fin  dalla  proposizione  degli  atti  introduttivi,  percio', «a
ciascun ampliamento del thema decidendum e/o delle offerte probatorie
formulate  da  una parte deve conseguire la possibilita' di ulteriore
risposta  dell'altra»,  sicche'  solo  in assenza di tale adempimento
ciascuna  parte  puo'  decidere  di  chiudere la fase preparatoria ed
aprire  quella  successiva.  Qualora  la  comparsa  di  risposta  del
convenuto non determini alcun allargamento dell'oggetto del processo,
questi  ha  la  possibilita' di chiedere immediatamente la fissazione
dell'udienza,    cui    segue    la    tendenziale    definizione   e
cristallizzazione  del thema decidendum, delle produzioni documentali
e delle richieste istruttorie, con il maturarsi di decadenze che sono
comunque soggette ad eccezione di parte.
    Ne  consegue,  ad  avviso dell'Avvocatura, che il rito societario
non  comprime  in  alcun  modo  il  diritto  di difesa, ne' altera il
principio   della   «parita'   delle  armi»,  poiche'  la  fissazione
definitiva  dell'oggetto  del  processo non e' rimessa all'iniziativa
unilaterale  di  una parte. Nel caso in cui, quindi, la necessita' di
replicare  sia  sorta  per  l'attore  in  conseguenza  dell'attivita'
difensiva del convenuto - il quale, evidentemente, non si e' limitato
ad  una mera negazione delle ragioni dell'avversario - potrebbe darsi
che  al  convenuto  non  sia  consentito  chiedere  immediatamente la
fissazione  dell'udienza,  in  quanto all'attore dovrebbe essere data
facolta'  di  controdedurre,  di  precisare  o modificare le domande,
depositando  documenti  e formulando ulteriori richieste istruttorie.
Qualora,  invece,  «le  nuove esigenze difensive dell'attore derivino
dalle  mere  difese  e dalle allegazioni contenute in una comparsa di
risposta   in   cui  formalmente  manchino  domande  riconvenzionali,
eccezioni  non rilevabili d'ufficio o chiamate in causa di terzi», vi
e'  sempre  la possibilita' di avvalersi della rimessione in termini,
appositamente  prevista  dall'art. 13,  comma 5,  del d.lgs. n. 5 del
2003.  Questa  norma  consente  comunque al giudice di conferire alla
parte  il  potere  di  riequilibrare  quella  parita'  che  sia stata
eventualmente lesa.
    Da tanto discenderebbe, pertanto, l'infondatezza della questione.

                       Considerato in diritto

    1.   -   Sono   state   sollevate   questioni   di   legittimita'
costituzionale   di   alcune  disposizioni  del  decreto  legislativo
17 gennaio  2003,  n. 5  (Definizione  dei procedimenti in materia di
diritto  societario  e  di  intermediazione  finanziaria,  nonche' in
materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'art. 12 della legge
3 ottobre 2001, n. 366).
    In  particolare,  il  giudice  relatore  del Tribunale di Alba in
riferimento  agli  artt. 3,  24,  111  e  76  della  Costituzione, il
Presidente  del  Tribunale  di  Verbania,  evocando i primi tre degli
articoli  suindicati,  il  Tribunale  di  Avellino,  in  composizione
collegiale,  in  riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., hanno censurato
l'art. 8,   comma 2,   lettera c),  del  d.lgs.  n. 5  del  2003;  il
Presidente  del  Tribunale  di  Verbania  anche  il  richiamo fattone
nell'art. 4,   comma 2,  dello  stesso  decreto;  il  Presidente  del
Tribunale  di  Monza,  in  riferimento  al  solo  art. 24  Cost.,  ha
censurato   l'art. 8,   comma 2,  lettera a),  del  suddetto  decreto
legislativo.
    Tutti   i   remittenti   lamentano  che  dal  combinato  disposto
dell'art. 8, comma 2, lettera c) - il quale da' facolta' al convenuto
di  presentare  istanza di fissazione dell'udienza entro venti giorni
dalla   propria  costituzione  qualora  non  abbia  proposto  domande
riconvenzionali,  ne'  sollevato eccezioni non rilevabili di ufficio,
ne'  chiesto di chiamare in causa un terzo - e dell'art. 10, comma 2,
del  d.lgs. n. 5 del 2003 - che, nella ipotesi suindicata, commina la
decadenza  dell'attore  dal  diritto  di  modificare  la domanda o di
proporne  di  nuove,  di  dedurre  prove ed esibire documenti, quindi
globalmente  di  replicare  - deriva una grave lesione del diritto di
difesa   dell'attore   qualora   il  convenuto  abbia  dedotto  fatti
dall'attore   stesso   non   allegati   e   abbia  formulato  istanze
istruttorie.  Tutto  cio' avendo anche riguardo alla disposizione del
comma 2-bis del medesimo art. 10, introdotto con l'art. 4 del decreto
legislativo   28 dicembre  2004,  n. 310,  il  quale  stabilisce  che
l'istanza  di fissazione dell'udienza rende pacifici i fatti allegati
dalle parti e in precedenza non specificamente contestati.
    Le  eccezioni  sono  state  sollevate  in  controversie aventi ad
oggetto   rapporti  di  intermediazione  finanziaria  tra  privati  e
istituti  bancari,  ad eccezione di quella del Tribunale di Avellino,
proposta in una causa d'impugnazione di una delibera sociale.
    Secondo  i  remittenti  Tribunali  di  Alba,  di  Verbania  e  di
Avellino,    la    Corte    dovrebbe    dichiarare   l'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 8, comma 2, lettera c), del d.lgs. n. 5 del
2003  (recte:  della  sua  prima  parte,  e cioe' dalle parole «al di
fuori» alla parola «ovvero») e secondo il Tribunale di Verbania anche
del  richiamo  fattone  nell'art. 4,  comma 2,  dello stesso decreto;
secondo   il   Tribunale  di  Monza  occorrerebbe,  invece,  incidere
sull'art. 8, comma 2, lettera a), «nella parte in cui non prevede che
tra  le  ipotesi  preclusive  alla immediata fissazione di udienza da
parte  del  convenuto (proposizione di domanda riconvenzionale ovvero
sollevamento di eccezioni non rilevabili d'ufficio) vi siano anche le
deduzioni di fatti modificativi, impeditivi o estintivi della domanda
attrice».
    2.  -  I giudizi, aventi ad oggetto questioni in parte identiche,
in  parte  strettamente  connesse,  devono  essere riuniti per essere
decisi con unica sentenza.
    3.  - La questione proposta dal giudice relatore del Tribunale di
Alba e' inammissibile.
    Questa  Corte, riguardo alla legittimazione a sollevare questioni
di legittimita' costituzionale di un singolo magistrato facente parte
di  un  organo collegiale, ha sempre ritenuto che essa esista qualora
il  dubbio  di  costituzionalita'  concerna  norme che egli nella sua
specifica  qualita' (di istruttore, di relatore, di giudice delegato,
di  presidente)  debba  applicare,  ancorche'  il  suo  giudizio  sia
suscettibile  di  essere  eventualmente  modificato  in prosieguo del
processo  (ex  plurimis,  sentenze  n. 125 del 1980, n. 157 del 1989,
n. 415 del 2006, ordinanze n. 552 del 2000, n. 391 del 2002).
    L'art. 8,  comma 5,  del  d.lgs.  n. 5  del  2003, stabilisce che
«l'istanza  di  fissazione  presentata  fuori  dei  casi del presente
articolo  e'  dichiarata  inammissibile,  su  richiesta  della  parte
interessata depositata in cancelleria nel termine perentorio di dieci
giorni  dalla  notifica  dell'istanza, dal presidente che, sentite le
parti, provvede con ordinanza non impugnabile...».
    Dalle  premesse di fatto dell'ordinanza di rimessione risulta che
la  parte  attrice  aveva  presentato istanza «per la declaratoria di
inammissibilita' della richiesta di fissazione dell'udienza» e che il
presidente  aveva  ritenuto  che l'istanza di fissazione dell'udienza
fosse  conforme al disposto dell'art. 8, comma 2, lettera c), nonche'
al  disposto  dell'art. 4, comma 2, nominando, quindi, il relatore. A
quest'ultimo,  quindi,  competeva  emettere  il decreto di fissazione
dell'udienza  (nel  cui  ambito  rientrava  l'ammissione dei mezzi di
prova)  sul  presupposto della legittimita' della suindicata istanza,
sulla  quale gia' si era espresso positivamente il presidente, il cui
giudizio avrebbe potuto essere eventualmente riesaminato dal collegio
ai sensi dell'art. 16, comma 4. Il giudice relatore remittente si e',
pertanto,  attribuita  la  legittimazione a sollevare la questione di
legittimita'  costituzionale  con  una motivazione carente, in quanto
non  tiene  conto  del  sistema  normativo di riferimento (si veda la
sentenza  n. 415  del  2006)  e, in particolare, non considera che la
legge  non  prevede  un  riesame  da  parte  del giudice relatore del
giudizio   del   presidente   sull'ammissibilita'   dell'istanza   di
fissazione  dell'udienza,  costituente  il  presupposto  della stessa
nomina del relatore.
    4. - Le altre ordinanze non presentano, invece, problemi riguardo
alla legittimazione degli organi remittenti.
    Le  questioni,  pertanto, devono essere scrutinate nel merito nei
termini in cui sono poste con le ordinanze dei Tribunali di Verbania,
di Avellino e di Monza.
    Va   premesso   che   non  spetta  a  questa  Corte  fornire  una
ricostruzione  del sistema processuale introdotto con i provvedimenti
legislativi  cui  appartengono  le  disposizioni  censurate,  ne'  e'
possibile  nel  caso  in  esame  il  recepimento,  quale  base  dello
scrutinio  di  costituzionalita',  di  esiti interpretativi accettati
dalla  giurisprudenza comune (cosiddetto diritto vivente). Si tratta,
infatti,  di  un  complesso  normativo  di recente entrato in vigore,
riguardo  al  quale  si  riscontrano  orientamenti non concordi della
magistratura  di  merito  e  sui  quali la Corte di cassazione non ha
ancora avuto modo di pronunciarsi.
    Tuttavia,  secondo  opinioni  non controverse, il cosiddetto rito
societario  e'  ispirato  alla  finalita'  della  maggiore  possibile
rapidita'    del    processo,    da   raggiungere,   anzitutto,   con
l'identificazione   dell'oggetto   della   lite   nei  suoi  elementi
soggettivi  ed oggettivi, con la delimitazione di cio' che e' oggetto
di  controversia  nella  ricostruzione  dei fatti, e quindi di prova,
rispetto a quanto e' pacifico, e con la previsione di una prima fase,
a tal fine predisposta, che si svolge esclusivamente tra le parti.
    Alla soddisfazione di tale esigenza di rapidita' sono preordinate
la  fissazione  di  termini  brevi  e  coordinati  per  le rispettive
attivita'  delle  parti  e  la previsione di preclusioni, ma, come e'
ovvio,  il  risultato  della  rapidita'  del processo non puo' essere
conseguito se non nel pieno rispetto di quei principi costituzionali,
i  quali  riguardano  specificamente  il processo, come il diritto di
difesa,  o  che  devono  realizzarsi  anche  nel  processo,  come  il
principio  di eguaglianza, il quale, secondo l'esplicitazione fattane
con   la  modifica  dell'art. 111  Cost.,  nel  linguaggio  giuridico
corrente  si  esprime con la locuzione di «principio di parita' delle
armi»;  parita'  riguardo  alla  giurisdizione  che  questa  Corte ha
definito  come uno degli essenziali principi alla base dello Stato di
diritto (sentenza n. 24 del 2004).
    5.  -  Tutto  cio' premesso, e' fondata la questione proposta dal
Presidente del Tribunale di Monza.
    La   motivazione   che  sorregge  la  proposizione  di  tutte  le
questioni,  nel  loro  nucleo essenziale comune a tutti i remittenti,
consiste  nell'addurre  la  violazione  del  principio di eguaglianza
(artt. 3  e  111  Cost.)  in  tema  di  disciplina dell'esercizio del
diritto  di  difesa  (art. 24  Cost.).  Essa  si  fonda  sui seguenti
argomenti:  a)  il convenuto puo' ritualmente presentare l'istanza di
fissazione dell'udienza fuori dei casi indicati dall'art. 8, comma 2,
lettere a)  e  b), del decreto n. 5 del 2003 - e, quindi, anche se ha
allegato fatti diversi da quelli prospettati dall'attore in citazione
-  entro venti giorni dalla propria costituzione, eventualmente prima
che l'attore abbia potuto replicare e anteriormente alla scadenza del
relativo  termine;  b) l'istanza di fissazione dell'udienza, ai sensi
dell'art. 10,  comma 2,  del  d.lgs.  n. 5  del  2003,  determina  la
decadenza  di  tutte  le parti - nei casi in esame di parte attrice -
dal  potere  di  proporre  nuove eccezioni, di precisare o modificare
domande  o  eccezioni  gia'  proposte, nonche' di formulare ulteriori
istanze  istruttorie  e  depositare  nuovi  documenti  e, quindi, del
diritto  in  se'  di  proporre  la  memoria  di  replica; c) siffatte
decadenze,  nelle  ipotesi,  ricorrenti  nei  giudizi  a  quibus,  di
deduzione  da  parte del convenuto di circostanze di fatto diverse da
quelle  prospettate da parte attrice e idonee a privare queste ultime
in tutto o in parte degli effetti che ad esse si riconnettono, ledono
il  diritto  di  difesa  dell'attore  nei suoi profili di facolta' di
allegazione dei fatti e di contestazione di quelli da altri dedotti e
di  potere  di prova, venendo a determinare una posizione illegittima
di  vantaggio  per il convenuto; d) non ha alcun rilievo il fatto che
le  decadenze  suddette  non  siano rilevabili di ufficio, ma debbano
essere  eccepite  dalla  parte  che vi abbia interesse nel primo atto
successivo,  ai sensi dell'art. 157 cod. proc. civ; e) non ha rilievo
la  disposizione  che  prevede  la  possibilita'  della remissione in
termini, in quanto, da un lato, essa non fonda un diritto della parte
ma  prevede  una  mera facolta' del giudice, dall'altro, essa ha come
presupposto  l'eventualita'  di  irregolarita'  nello svolgimento del
processo  e  non  puo'  essere  quindi  un correttivo del fisiologico
svolgimento di questo.
    Le esposte ragioni devono essere nella loro sostanza condivise.
    Infatti,  contrariamente  al  presupposto implicito nel censurato
combinato  disposto  e  cioe'  che  soltanto le ipotesi espressamente
previste  nelle  lettere a)  e b) del comma 2 dell'art. 8 del decreto
n. 5   del   2003  determinano  un  allargamento  dell'oggetto  della
controversia, questo puo' derivare anche da altre deduzioni difensive
del  convenuto,  che non e' possibile circoscrivere dettagliatamente.
In tali ipotesi, l'attore deve poter esercitare pienamente il proprio
diritto  di  difesa  e  tutte  le  facolta' e i poteri che ad esso si
riconnettono. E a tal proposito non ha rilievo stabilire, compito del
resto estraneo a quelli propri di questa Corte nel presente giudizio,
se  nel  sistema  del  d.lgs.  n. 5  del 2003 l'istanza di fissazione
dell'udienza   presentata   dal   convenuto   nel   termine  previsto
dall'art. 8,  comma 2,  lettera c), comporti la decadenza dell'attore
dal  diritto di notificare la memoria di replica, oppure le decadenze
specificamente  indicate  nell'art. 10,  fermo restando il diritto di
notificare  la  memoria  di  replica,  perche'  cio'  che conta e' la
privazione   ingiustificata  dell'esercizio  di  fondamentali  poteri
insiti  nel  diritto  di difesa (di allegazione e contestazione delle
allegazioni  altrui,  di  deduzione  di prove, di modificazione delle
proprie domande in conseguenza delle difese di controparte).
    6.  -  Una  volta  accertato  che dalle norme censurate deriva la
violazione  degli  evocati parametri costituzionali nei quali trovano
la  loro  radice  diritti  fondamentali  quali  il  diritto di difesa
considerato   di   per  se'  e  con  riguardo  alla  posizione  delle
controparti  nel processo, e cioe' quale diritto di parita' (artt. 3,
24 e 111 Cost.), la Corte deve farsi carico del rimedio.
    A  tal  proposito  e'  da  ritenere  che il tipo di rimedio possa
essere  ricavato  dallo  stesso  sistema  processuale del quale fanno
parte le disposizioni censurate.
    Si  puo',  infatti,  rilevare  che  in  numerose disposizioni che
prevedono  e  regolano  il  diritto  di  replica  delle  parti  si fa
riferimento,  con  locuzioni  diverse ma sostanzialmente equivalenti,
alla  circostanza  che  sia  la  linea  difensiva della controparte a
determinare il diritto di replica.
    L'art. 6, comma 2, nel disciplinare il contenuto della memoria di
replica dell'attore, stabilisce che egli puo' «proporre nuove domande
ed  eccezioni  che  siano conseguenza [...] delle difese proposte dal
convenuto»  (lettera b)  e  che  puo'  chiedere di «chiamare un terzo
[...] se l'esigenza e' sorta dalle difese del convenuto» (lettera c);
a sua volta l'art. 7, nel disciplinare le repliche ulteriori, prevede
l'esercizio  di  poteri  che  siano conseguenza della linea difensiva
posta in essere dalla controparte.
    Si  puo'  quindi constatare che il sistema processuale, posto che
l'esigenza  di  soddisfare  il contraddittorio attiene alla tutela di
diritti  fondamentali,  modella  il diritto di replica in funzione di
tale  esigenza,  avendo  presente  non  un contraddittorio astratto e
puramente  ipotetico,  ma  quello  che, attraverso le deduzioni delle
parti, viene in concreto a delinearsi come correlativo all'effettivo,
specifico oggetto della controversia.
    Sulla  base  di  tali  considerazioni,  sarebbe rimedio eccessivo
dichiarare   l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 8,  comma 2,
lettera c),  escludendo  la  possibilita'  di un'immediata istanza di
fissazione  dell'udienza  anche  nell'ipotesi di comparsa di risposta
che  neghi  il  fondamento della domanda senza in alcun modo ampliare
l'oggetto  della  controversia,  sicche',  per questa parte, non sono
fondate  le  questioni  come  proposte  dai  Tribunali  di Verbania e
Avellino.
    Viceversa, la disposizione sulla quale incidere, come prospettato
dal  Tribunale  di Monza, e' quella dell'art. 8, comma 2, lettera a).
Essa,  infatti,  disciplina  il  diritto  di  replica  ed assicura lo
svolgimento del contraddittorio in casi specifici di allargamento del
thema   decidendum.  E'  la  specificita'  delle  ipotesi  a  rendere
illegittima  la norma, sicche' a queste va aggiunta, per identita' di
ratio  e  in  conformita'  al  sistema  del  d.lgs. n. 5 del 2003, la
generale prescrizione che il diritto di replica sia conseguenza delle
difese del convenuto.
    Deve essere, pertanto, dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 8,  comma 2,  lettera a), del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5,
nella parte in cui non prevede anche l'ipotesi che il convenuto abbia
svolto difese dalle quali sorga l'esigenza dell'esercizio del diritto
di replica dell'attore.