ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 593 del codice
di   procedura   penale,  come  sostituito  dall'art. 1  della  legge
20 febbraio  2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in
materia  di  inappellabilita'  delle  sentenze di proscioglimento), e
dell'art. 10  della  stessa  legge,  promossi,  nel  corso di diversi
procedimenti  penali,  con  ordinanze del 15, del 22, del 29 e del 30
maggio,  del 1°, del 5, del 6, dell'8 (nn. 2 ordinanze), del 13 e del
15  giugno,  del  9  maggio,  del 15 (nn. 2 ordinanze) giugno, del 30
(nn. 6  ordinanze) maggio  e del 6 luglio 2006 dalla Corte di appello
di Palermo, rispettivamente iscritte ai nn. da 463 a 467, 469, da 471
a 475 e 522 del registro ordinanze 2006 e ai nn. 29, 30, da 151 a 157
del  registro  ordinanze  2007  e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica nn. 44, 45 e 47, 1ª serie speciale, dell'anno 2006 e
nn. 8 e 14, 1ª serie speciale, dell'anno 2007.
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 4 luglio 2007 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che,  con ventuno ordinanze sostanzialmente coincidenti
nella  parte  motiva, la Corte di appello di Palermo ha sollevato, in
riferimento  agli  artt. 3  e 111, secondo comma, della Costituzione,
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 593 del codice di
procedura penale, come sostituito dall'art. 1 della legge 20 febbraio
2006,  n. 46  (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di
inappellabilita'  delle  sentenze di proscioglimento), nella parte in
cui non consente al pubblico ministero di proporre appello avverso le
sentenze  di proscioglimento, se non nel caso previsto dall'art. 603,
comma 2,  del codice di procedura penale - ossia quando sopravvengano
o  si  scoprano  nuove prove dopo il giudizio di primo grado e sempre
che  tali  prove  risultino  decisive  -  nonche'  dell'art. 10 della
medesima legge;
        che  la  Corte  di appello premette, ai fini della rilevanza,
che in forza dell'art. 10 della legge n. 46 del 2006 - il cui art. 1,
sostituendo  l'art. 593  cod.  proc.  pen.,  ha sottratto al pubblico
ministero il potere di appellare le sentenze di proscioglimento - gli
appelli  proposti  dal pubblico ministero e da cui traggono origine i
giudizi a quibus dovrebbero essere dichiarati inammissibili;
        che,  tuttavia, la Corte rimettente dubita della legittimita'
costituzionale  della nuova disciplina, immediatamente applicabile ai
procedimenti  pendenti  in  forza  appunto  dell'art. 10 della legge,
assumendone  il contrasto con gli artt. 3 e 111, secondo comma, della
Costituzione  per  irragionevolezza  e violazione del principio della
parita' tra le parti;
        che,  richiamata  la giurisprudenza costituzionale in tema di
giudizio  abbreviato  (ordinanze  n. 165  del  2003, n. 347 del 2002,
n. 421  del 2001), si osserva che, sebbene la previsione di limiti al
potere di impugnazione del pubblico ministero non si ponga di per se'
in   contrasto   con   la  Costituzione,  la  diversita'  dei  poteri
processuali  riconosciuti alle parti deve pur sempre essere assistita
da   idonee   ragioni   giustificatrici:   ragioni   che   la   Corte
costituzionale ha individuato nella peculiare posizione istituzionale
del  pubblico  ministero, nella funzione allo stesso affidata e nelle
esigenze connesse alla corretta amministrazione della giustizia;
        che la preclusione all'appello del pubblico ministero avverso
le  sentenze di proscioglimento introdotta dalla legge n. 46 del 2006
non   troverebbe   invece  «ragionevole  giustificazione  nei  limiti
richiesti dalle richiamate pronunce della Corte» e sempre collegati a
«istituti   deflativi  in  cui  rinunce  dell'imputato  producono  il
risultato   apprezzabile   della   definizione   piu'  sollecita  del
processo»;
        che  la  disciplina  censurata, nel riservare «esclusivamente
all'imputato  lo  strumento di un nuovo giudizio di merito per vedere
riconosciuta  la propria innocenza», si porrebbe inoltre in contrasto
con  il principio di ragionevolezza, tenuto conto di quanto la stessa
Corte  costituzionale ha finora affermato in ordine alla garanzia del
doppio  grado  di giurisdizione: e cioe' che, in un sistema in cui il
doppio grado non forma oggetto di garanzia giurisdizionale (ordinanza
n. 421  del  2001),  «non  e'  la  doppia  istanza  che garantisce la
completa  difesa,  ma  piuttosto  la  possibilita'  di prospettare al
giudice  ogni  domanda  ed  ogni ragione che non siano legittimamente
precluse» (ordinanza n. 316 del 2002);
        che di conseguenza il legislatore non potrebbe che assicurare
ad  entrambe  le  parti  il  potere  di sottoporre la decisione ad un
«controllo  critico  da parte di un giudice sovraordinato», salvo che
sussistano   ragionevoli   motivi   che   giustifichino  una  diversa
disciplina;
        che,   infine,   un  ulteriore  profilo  di  irragionevolezza
emergerebbe  dal  raffronto con il potere di proporre appello avverso
le  sentenze  di  condanna che il legislatore ha mantenuto in capo al
pubblico ministero.
    Considerato  che  il  dubbio  di  costituzionalita'  sottoposto a
questa Corte ha per oggetto la preclusione, conseguente alla modifica
dell'art. 593  del  codice  di  procedura penale ad opera dell'art. 1
della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura
penale,   in   materia   di   inappellabilita'   delle   sentenze  di
proscioglimento),   dell'appello  delle  sentenze  dibattimentali  di
proscioglimento   da  parte  del  pubblico  ministero  e  l'immediata
applicabilita'  di tale regime, in forza dell'art. 10 della legge, ai
procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima;
        che,  stante l'identita' delle questioni proposte, i relativi
giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica pronuncia;
        che,  successivamente  alle  ordinanze  di rimessione, questa
Corte,  con  sentenza  n. 26 del 2007, ha dichiarato l'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 1 della citata legge n. 46 del 2006, «nella
parte  in cui, sostituendo l'art. 593 del codice di procedura penale,
esclude  che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze
di   proscioglimento,   fatta   eccezione  per  le  ipotesi  previste
dall'art. 603,  comma 2,  del  medesimo  codice, se la nuova prova e'
decisiva»,  e  dell'art. 10,  comma 2,  della  medesima legge, «nella
parte  in  cui  prevede che l'appello proposto contro una sentenza di
proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in
vigore della medesima legge e' dichiarato inammissibile»;
        che, alla stregua della richiamata pronuncia di questa Corte,
gli  atti devono essere pertanto restituiti ai giudici rimettenti per
un nuovo esame della rilevanza delle questioni.