Ricorso  della Regione Lombardia, in persona del presidente della
giunta    regionale   pro   tempore,   on. dott. Roberto   Formigoni,
autorizzato  con  delibera  di giunta regionale n. VIII/005094 del 18
luglio  2007,  rappresentata  e difesa, come da mandato a margine del
presente atto, dagli avv. Pio Dario Vivone e prof. Beniamino Caravita
di  Toritto  e presso lo studio del secondo elettivamente domiciliata
in Roma, via di Porta Pinciana, 6;

    Contro  il  Presidente  del Consiglio dei ministri, nella persona
del  Presidente  pro  tempore,  per  l'annullamento,  del decreto del
Ministero  della pubblica istruzione - Dipartimento per l'istruzione,
n. 41   del  25  maggio  2007  e  della  nota  del  Dipartimento  per
l'istruzione   del   Ministero   della   pubblica  istruzione,  prot.
n. 802/DIP,  del 29 maggio 2007, recante «Trasmissione D.M. 41 del 25
maggio  2007  relativo all'applicazione dell'art. 1, comma 605, lett.
f)  della  legge  n. 296  del  2006 del 27 dicembre 2006 - Istruzione
professionale»;

                              F a t t o

    Il  decreto n. 41 del 25 maggio 2007 del Ministero della pubblica
istruzione - Dipartimento per l'istruzione e la Nota prot. n. 802/DIP
costituiscono  la  riprova  dell'attuazione dell'illegittimo percorso
intrapreso  dal  legislatore  statale  con  alcune disposizioni della
legge  n. 296 del 2006 e con l'art. 13 del d.l. n. 7/2007, convertito
con legge n. 40/2007, tutti atti elusivi del riparto di competenze in
materia di istruzione e istruzione e formazione professionale.
    Il  d.m.  n. 41  del  25  maggio  2007,  in  particolare,  e'  un
provvedimento   di   natura   transitoria   mirante   a  dare,  «fino
all'attuazione   del   quadro   normativo   di  riforma  del  sistema
dell'istruzione  tecnica  e  dell'istruzione  professionale» (art. 4,
comma  1, secondo periodo), immediata attuazione a quanto previsto al
comma  605,  lett.  f),  dell'art. 1  della Finanziaria 2007, dove e'
stabilito che, con decreto del Ministro della pubblica istruzione, si
devono    adottare    interventi    concernenti   «il   miglioramento
dell'efficienza    ed    efficacia    degli    attuali    ordinamenti
dell'istruzione   professionale  anche  attraverso  la  riduzione,  a
decorrere   dall'anno   scolastico   2007/2008,   dei  carichi  orari
settimanali delle lezioni, secondo criteri di maggiore flessibilita',
di  piu'  elevata  professionalizzazione e di funzionale collegamento
con il territorio».
    Su tale presupposto l'art. 13 del d.l. n. 13 del 2007, cosi' come
convertito  con modifiche dalla legge n. 40 del 2007, ha stabilito al
comma  1  che:  «Fanno  parte  del sistema dell'istruzione secondaria
superiore  di  cui  al decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, e
successive  modificazioni,  i  licei,  gli  istituti  tecnici  e  gli
istituti  professionali  di  cui all'articolo 191, comma 2, del testo
unico  di  cui  al  decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, tutti
finalizzati  al  conseguimento di un diploma di istruzione secondaria
superiore...»; quindi, al comma 1-bis che «Gli istituti tecnici e gli
istituti professionali di cui al comma 1 sono riordinati e potenziati
come  istituti  tecnici  e  professionali,  appartenenti  al  sistema
dell'istruzione  secondaria  superiore, finalizzati istituzionalmente
al conseguimento del diploma di cui al medesimo comma 1».
    Nel  dettaglio,  a  decorrere dall'anno scolastico 2007/2008, gli
Istituti  professionali  per le classi prime e, nell'anno successivo,
per  le  classi  seconde,  continueranno  l'applicazione dei piani di
studio  ex  d.m.  24  aprile  1992  recante  «Programmi  ed  orari di
insegnamento per i corsi di qualifica degli istituti professionali di
Stato», ma (art. 2, comma 1) con un carico settimanale di ore ridotto
da  40  (cosi'  come  previsto  dal d.m. del 24 aprile 1992) a 36. In
definitiva,  la  riduzione  consiste  nella  eliminazione delle 4 ore
inerenti l'area di approfondimento.
    L'area   di   approfondimento  viene  di  fatto  attribuita  alle
istituzioni scolastiche mediante gli strumenti offerti dall'autonomia
ma nei limiti del 20 % di cui al d.m. 13 giugno 2006, n. 47.
    Alle   36   ore   settimanali  del  primo  biennio  dovranno  poi
«aggiungersi  le  eventuali  ore  di  compresenza previste dal quadro
orario di ciascun indirizzo» (art. 2, comma 4).
    Secondo  quanto stabilito dall'art. 3, comma 2, «l'organizzazione
dei  percorsi  didattici  deve  privilegiare gli aspetti disciplinari
attinenti   alle   competenze   professionali   ed   alle   attivita'
laboratoriali».
    Ma  il  d.m.  n. 41 del 25 maggio 2007 e la Nota n. prot. 802/DIP
intervengono  anche  sul  personale  docente:  e,  infatti,  a  norma
dell'art.  4,  commi  2 e 3 del d.m., «il personale docente coinvolto
dalla  riduzione  dell'orario  di  cattedra  per  effetto  di  quanto
disposto  dall'art.  2  del presente decreto, completera' l'orario di
servizio  con  ore  di  insegnamento della stessa classe di concorso,
comunque disponibili nella scuola di titolarita'.
    Qualora   le   ore  non  risultassero  sufficienti  ai  fini  del
completamento,  i  docenti  potranno  essere  impegnati  nella stessa
scuola  in  compiti  di  istituto,  nonche' in iniziative finalizzate
all'arricchimento  dell'offerta  formativa,  fermo restando l'obbligo
della  copertura  delle  supplenze  brevi  e  saltuarie,  secondo  le
modalita'  previste  dal  C.C.N.I. sulle utilizzazioni e assegnazioni
provvisorie, nonche' nel relativo contratto d'istituto.».
    Il  decreto  ministeriale e la relativa nota oggetto del presente
conflitto  devono  essere  annullati  da codesta ecc.ma Corte perche'
emanati  dal Ministero della pubblica istruzione in palese violazione
del riparto costituzionale delle competenze legislative.
    Ed  infatti  essi  invadono, tra l'altro in maniera dettagliata e
puntuale,  una  materia,  l'istruzione  e  formazione  professionale,
riservata alla competenza esclusiva regionale.

                            D i r i t t o

    1.  - Illegittimita' per violazione degli artt. 117, 118, Cost. e
dei  principi  di  buona  andamento dell'amministrazione (97 Cost.) e
leale collaborazione (art. 120 Cost.).
    1.1.  -  Il settore della «istruzione e formazione professionale»
si  e', da sempre, mosso in una dimensione distinta rispetto a quella
della istruzione. Gia' la Costituzione del 1947, nell'attribuire alla
competenza  delle  costituende  Regioni  la  materia dell'«istruzione
artigiana   e   professionale»  (art.  117,  primo  comma  del  testo
originario),  indico'  la  strada  per  un deciso decentramento nella
materia de qua.
    Sia   nell'ambito  della  formazione  professionale,  svolta  con
finalita'  «addestrative»  al  di  fuori del sistema scolastico e con
sbocchi   unicamente   lavorativi,  sia  nell'ambito  dell'istruzione
professionale,  svolta  all'interno  del  sistema  scolastico  e  con
possibili   sbocchi   nel   mondo   del  lavoro,  ovvero  -  dopo  il
«prolungamento»  a cinque anni dei corsi degli istituti professionali
(1969-70)  -  nella  frequenza di una facolta' universitaria, insiste
un'attivita' regionale significativa.
    Tale   competenza   ha   fondato  la  sua  giustificazione  nella
necessita'  che  il  complicato  rapporto  tra dimensione formativa e
dimensione    pratico-lavorativa    dovesse    trovare   gestione   e
coordinamento   ad  un  livello  istituzionale  vicino  alla  realta'
territoriale, e quindi economica-produttiva, di riferimento.
    Il  processo di decentramento a favore delle regioni di una serie
di  funzioni  amministrative  anche  in materia di istruzione muove i
primi passi all'inizio degli anni Settanta.
    Il  d.P.R.  n. 10 del 1972, recante «Trasferimento alle regioni a
statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di
istruzione  artigiana  e  professionale e del relativo personale», ha
attribuito alle regioni (art. 1):
        i corsi di addestramento professionale;
        i corsi aziendali di riqualificazione;
        l'addestramento professionale degli artigiani;
        la formazione professionale degli apprendisti;
        l'istruzione  artigiana  e  professionale  negli  istituti  e
servizi  dipendenti  dalla  Direzione  generale  per  gli istituti di
prevenzione e di pena del Ministero di grazia e giustizia;
        la  formazione  professionale  diretta  allo  svolgimento  di
professioni sanitarie ausiliarie e di arti sanitarie ausiliarie;
        l'orientamento   e   la  qualificazione  professionale  degli
invalidi del lavoro e degli invalidi civili;
        ogni altra funzione in ordine alla formazione e addestramento
professionale  attualmente  svolta dagli organi centrali o periferici
dello  Stato,  ferme restando le competenze di cui al successivo art.
7.
    Pertanto,  la  formazione  professionale, ben prima della novella
costituzionale  del  2001, e' stata attribuita in modo quasi naturale
alla   sfera   regionale,  come  attestano  numerose  pronunce  della
giurisprudenza  costituzionale.  Tra  le  tante,  merita  una nota la
sentenza  n. 89 del 1977 dove codesta ecc.ma Corte ha ricostruito «la
portata della "materia"... "istruzione professionale", quale presente
al legislatore all'atto del trasferimento alle regioni delle funzioni
relative,  in  adempimento  del  precetto  costituzionale.  Il nucleo
essenziale  di  tale  concetto emerge, con sufficiente chiarezza, dal
dibattito  sviluppatosi in sede dottrinale e nelle varie occasioni di
progettazioni normative. In sostanza, deve ritenersi che l'istruzione
in  parola  superi  l'ambito  del  concetto  comunemente  accolto  in
precedenza,   in   quanto   ora   si   caratterizza  per  la  diretta
finalizzazione  all'acquisizione  di  nozioni  necessarie  sul  piano
operativo  per  l'immediato  esercizio di attivita' tecnico-pratiche,
anche  se  non  riconducibili  ai  concetti  tradizionali  di  arti e
mestieri. E sotto tale profilo si distingue dalla istruzione in senso
lato,  attinente  all'ordinamento scolastico e - tranne le limitate e
transitorie  competenze regionali ex art. 4, d.P.R. 1972, n. 10 -, di
competenza  statale;  la quale, pur se impartisce conoscenze tecniche
utili  per  l'esercizio  di  una o piu' professioni, ha come scopo la
complessiva  formazione  della personalita'. Tale, dunque, essendo la
portata   della  materia  "istruzione  professionale"  di  competenza
regionale,  e'  evidente come non possa considerarsi ad essa estranea
la regolamentazione dei corsi ex lege 1971, n. 426; i quali, appunto,
non  risultano  rivolti ad una formazione culturale di tipo generale,
sibbene  a  fornire  precisamente  quelle cognizioni tecnico-pratiche
(come   le   conoscenze  merceologiche)  necessarie  per  l'esercizio
dell'attivita' di commerciante».
    1.2.  -  Il  processo  di decentramento e snellimento del sistema
amministrativo  avviato  dalla  legge n. 59 del 1997 ha rafforzato la
devoluzione  di  funzioni  in  materia  di  istruzione  e  formazione
professionale a favore delle Regioni.
    Ed  infatti  nel  d.lgs.  n. 112  del  1998 si rinvengono diverse
disposizioni  volte a consacrare questo trasferimento di funzioni dal
centro   verso  le  Regioni.  E'  innanzitutto  da  segnalare  quanto
stabilito dall'art. 138, comma 1, che, tra le funzioni amministrative
delegate  alle  Regioni, ai sensi dell'art. 118, comma secondo, della
(allora   vigente)  Costituzione,  ha  individuato  espressamente  la
programmazione  dell'offerta  formativa  integrata  tra  istruzione e
formazione professionale (lett. a).
    Il  Capo IV, dedicato alla «formazione professionale», ha fornito
ulteriori elementi di potenziamento delle funzioni regionali.
    In  primo  luogo,  si  sono  ribaditi i confini della «formazione
professionale»,  da  intendersi  come  «il complesso degli interventi
volti   al   primo   inserimento,   compresa  la  formazione  tecnico
professionale  superiore, al perfezionamento, alla riqualificazione e
all'orientamento professionali, ossia con una valenza prevalentemente
operativa,   per  qualsiasi  attivita'  di  lavoro  e  per  qualsiasi
finalita',   compresa   la   formazione   impartita   dagli  istituti
professionali,  nel  cui  ambito  non  funzionano  corsi di studio di
durata  quinquennale  per  il conseguimento del diploma di istruzione
secondaria superiore, la formazione continua, permanente e ricorrente
e  quella  conseguente a riconversione di attivita' produttive» (art.
141,  comma  1). In secondo luogo (art. 141, comma 3), si precisa che
l'«istruzione   artigiana   e  professionale  si  identifica  con  la
formazione professionale».
    Quindi  l'art. 143 ha conferito alle regioni «tutte le funzioni e
i  compiti  amministrativi  nella  materia  formazione professionale,
salvo  quelli  espressamente mantenuti allo Stato dall'art. 142». E a
ben  guardare, tali ultime funzioni, cioe' quelle rimaste allo Stato,
sono  tutte  di  natura generale, di indirizzo e di coordinamento. Vi
rientrano, solo a titolo di esempio:
        l'individuazione     degli    standard    delle    qualifiche
professionali,  ivi  compresa  la  formazione tecnica superiore e dei
crediti formativi e delle loro modalita' di certificazione;
        la  definizione  dei  requisiti  minimi  per l'accreditamento
delle strutture che gestiscono la formazione professionale;
        la   definizione   degli   obiettivi   generali  del  sistema
complessivo   della  formazione  professionale,  in  accordo  con  le
politiche comunitarie;
        la  definizione  dei  criteri  e parametri per la valutazione
quanti-qualitativa dello stesso sistema.
    Il successivo art. 144, comma 1, ha poi trasferito alle regioni:
        a)  la  formazione  e l'aggiornamento del personale impiegato
nelle iniziative di formazione professionale;
        b)  le  funzioni  e  i compiti svolti dagli organi centrali e
periferici  del  Ministero  della  pubblica  istruzione nei confronti
degli  istituti  professionali,  trasferiti  ai sensi del comma 2 del
presente  articolo, ivi compresi quelli concernenti l'istituzione, la
vigilanza,   l'indirizzo   e  il  finanziamento,  limitatamente  alle
iniziative  finalizzate  al rilascio di qualifica professionale e non
al conseguimento del diploma.
    Il  comma  2  ha poi disposto che «con decreto del Presidente del
Consiglio  dei  ministri,  su  proposta  del Ministro per la pubblica
istruzione,  d'intesa  con  la  Conferenza  Stato-Regioni, da emanare
entro  sei  mesi  dall'approvazione del presente decreto legislativo,
sono individuati e trasferiti alle Regioni gli istituti professionali
di cui all'articolo 141.».
    Su  questo trasferimento fu previsto un regime transitorio (comma
3)  finalizzato  alla  «salvaguardia  della  prosecuzione negli studi
degli alunni gia' iscritti nell'anno precedente.».
    La  regionalizzazione  degli  istituti  professionali  ha trovato
definitiva  consacrazione  nel  successivo  comma  4, dove essi hanno
assunto la qualifica di enti regionali.
    1.3.  -  Il  quadro  cosi' delineato fa emergere nitidamente come
gia'  nel  «lontano»  1998  non  fossero  previste  alcune competenze
statali  sul  monte ore settimanale degli istituti professionali, sul
dettaglio  dei  programmi  e  sull'utilizzo del personale docente. Il
decreto  ministeriale n. 41 e la Nota prot. n. 802/DIP, al contrario,
non  solo  disciplinano  una  materia  di  spettanza regionale, ma lo
fanno,  in  maniera  particolare e specifica, intervenendo in settori
che  gia'  il  d.lgs.  n. 112 del 1998 aveva escluso dalla pertinenza
statale.
    Non  va  dimenticato, ancora, che l'art. 68, comma 1, della legge
n. 144  del  1999  (poi  abrogato)  ha non solo trasformato l'obbligo
scolastico sino a 15 anni in diritto di formazione sino a 18 anni, ma
ha  stabilito  che  esso  «puo'  essere  assolto  in  percorsi  anche
integrati  di  istruzione e formazione» nel «sistema della formazione
professionale di competenza regionale» (lett. b).
    1.4.  -  Se  quello  appena  descritto  era il quadro, abbastanza
definito,  sulle  attribuzioni in materia di formazione professionale
sotto  la  vigenza  del vecchio testo costituzionale, non v'e' dubbio
alcuno   sul   fatto   che  la  competenza  regionale  nella  materia
dell'istruzione   e   formazione   professionale   abbia  trovato  la
definitiva  consacrazione  costituzionale con la Riforma del Titolo V
della Costituzione del 2001.
    La  Legge  cost.  n. 3 del 2001, nell'ottica tesa alla definitiva
realizzazione di un sistema di istruzione e formazione policentrico e
destatalizzato,  ha inserito nel testo costituzionale tre elementi di
novita':
        la competenza concorrente sulla materia «istruzione»;,
        la  costituzionalizzazione  dell'autonomia  delle istituzioni
scolastiche;
        il   riconoscimento   della   competenza   residuale,  quindi
esclusiva,  delle  regioni  in  materia  di  «istruzione e formazione
professionale».
    Sembra  opportuno  soffermarsi,  brevemente,  sul  dato  testuale
dell'art.  117,  terzo  comma  Cost.,  nel  quale  sono esplicitati i
suddetti  principi.  Si  legge  nel  comma  3  che, tra le materie di
legislazione  concorrente,  vi  e'  l'«istruzione,  salva l'autonomia
delle  istituzioni  scolastiche  e  con esclusione della istruzione e
della formazione professionale».
    Secondo  una  regola  ermeneutica  tradizionale,  le disposizioni
devono  essere  interpretate  secondo  il  senso  «fatto  palese  dal
significato  proprio  delle  parole  secondo  la connessione di esse»
(art. 12, comma 1, delle disp. sulla legge in generale).
    Davvero  pochi,  pertanto,  sono  i  dubbi circa la reale portata
semantica  del termine «esclusione», che non puo' essere la stessa di
(fare)   «salva»   utilizzata   in   riferimento   alle   istituzioni
scolastiche.
    L'istruzione   e',   dunque,  materia  concorrente,  sulla  quale
insistono  sia  lo Stato (con i principi fondamentali) sia le regioni
(con  le  norme  di  dettaglio).  Ma  entrambi, nel disciplinare tale
materia,  non  possono  non  tener  conto  della presenza di un altro
soggetto,   le  istituzioni  scolastiche,  cui  vengono  riconosciute
determinate  funzioni  e  la  cui autonomia, di tipo funzionale (come
riconosciuto  espressamente  dal d.P.R. n. 275 del 1999 di attuazione
dell'art.  21  della  legge  n. 59  del  1997), e' tutelata a livello
costituzionale.  Questo  deve  intendersi quando l'istruzione diviene
materia  concorrente,  «fatta  salva  l'autonomia  delle  istituzioni
scolastiche».
    Con  «esclusione»  dell'istruzione  e  formazione  professionale,
invece,   significa   operare  una  netta  separazione  tra  l'ambito
dell'istruzione  e quello dell'istruzione e formazione professionale.
La  prima,  l'istruzione,  e'  soggetta  ad  un  triplice  intervento
statale: a) le «norme generali sull'istruzione» (ex art. 117, secondo
comma,  lett.  n);  la  «determinazione  dei livelli essenziali delle
prestazioni  concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti  su  tutto  il  territorio nazionale» (ex art. 117, secondo
comma,  lett.  l);  e  i  principi  fondamentali,  in quanto trattasi
appunto  di competenza di tipo concorrente. La seconda, al contrario,
in rapporto con la prima, e' una materia su cui insiste la competenza
esclusiva delle Regioni, soggetta ai soli LEP statali.
    1.5.  -  E  d'altronde,  questo  scenario  e' stato costantemente
avvalorato dalla posizione netta ed uniforme che codesta ecc.ma Corte
ha  assunto  rispetto  alla  istruzione  e formazione professionale a
seguito  dell'evoluto  quadro  costituzionale:  ogni  qualvolta si e'
presentata  l'opportunita',  ha  riconfermato la competenza esclusiva
regionale.
    Nella sentenza n. 34 del 2005, dopo aver ribadito l'importanza di
un  «sistema  integrato  istruzione/formazione  professionale»  viene
«salvato»  un  articolo  di una legge regionale (l'art. 41 della l.r.
Emilia  Romagna  n. 12  del 2003) la cui disciplina, sull'«educazione
degli  adulti»,  «senza  contrastare con quanto stabilito dalla legge
statale,  si  muove  sul  versante del sostegno all'acquisizione o al
recupero  di  conoscenze  necessarie  o  utili  per  il reinserimento
sociale  e  lavorativo e, dunque, in un ambito riconducibile a quello
affidato  alla  competenza  regionale  in  materia  di  istruzione  e
formazione professionale».
    Ancora  piu'  specifica e' la successiva pronuncia n. 50 del 2005
dove la Corte ha affermato che «la competenza esclusiva delle Regioni
in  materia  di  istruzione  e  formazione  professionale riguarda la
istruzione e la formazione professionale pubbliche che possono essere
impartite  sia  negli  istituti  scolastici  a  cio'  destinati,  sia
mediante  strutture proprie che le singole Regioni possano approntare
in relazione alle peculiarita' delle realta' locali, sia in organismi
privati  con  i  quali vengano stipulati accordi»; di conseguenza «la
disciplina  dei  tirocini estivi di orientamento, dettata senza alcun
collegamento  con  rapporti  di  lavoro,  e  non  preordinata  in via
immediata   ad   eventuali   assunzioni,   attiene   alla  formazione
professionale di competenza esclusiva delle regioni» (stessi principi
si ritrovano nella pronuncia n. 51 del 2005).
    Tale  orientamento  si  rafforza nelle sentenze successive: nella
n. 384  del  2005  si  legge  che «sulla base della giurisprudenza di
questa  Corte,  la  competenza  esclusiva delle Regioni in materia di
istruzione  e  formazione  professionale  non  concerne  le attivita'
formative  e di aggiornamento predisposte dal datore di lavoro per il
personale  dipendente»;  nella  sentenza n. 253 del 2006, la Corte ha
ancora  una volta «salvato» dalla declaratoria di incostituzionalita'
delle  norme  regionali (art. 3 e 4, comma 1 della l.r. Toscana n. 63
del  2004)  sulle  pari  opportunita'  nell'accesso  ai  percorsi  di
formazione  e  di  riqualificazione  rispetto a persone che risultino
discriminate  e  esposte  al rischio di esclusione sociale per motivi
derivanti  dall'orientamento  sessuale  o  dall'identita'  di genere,
perche'   «a   prescindere  dalla  natura  di  mero  indirizzo  delle
disposizioni  in esame, esse costituiscono espressione dell'esercizio
della  competenza  legislativa  esclusiva  regionale  in  materia  di
istruzione  e  formazione  professionale  che la Regione puo' offrire
mediante  strutture  pubbliche  o  private per soddisfare le esigenze
delle  varie  realta'  locali; le norme regionali impugnate, percio',
non  incidono  sulla disciplina dei singoli contratti di lavoro e non
invadono la competenza dello Stato in materia di ordinamento civile».
    E' recentissima una pronuncia (Corte cost., sent. n. 21 del 2007)
nella  quale  la  Consulta  ha dichiarato non fondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  38,  comma  2,  della  legge
Regione  Sardegna  n. 20  del  2005  in quanto ha ritenuto che «nello
stabilire che la formazione dalla legge definita formale debba essere
prevalentemente   esterna,  non  alteri  i  rapporti  tra  formazione
interna,  la  cui disciplina compete allo Stato, e formazione esterna
di  competenza  regionale,  mantenendosi  percio' conforme al sistema
delle  competenze  concorrenti  e  del  concorso di competenze che si
verifica in tema di apprendistato».
    Si  deve  altresi' evidenziare come in altri casi, codesta ecc.ma
Corte  abbia  dichiarato  incostituzionali  norme  regionali  proprio
perche'  le  loro  previsioni  non  erano riconducibili «alla materia
della  "formazione professionale" di competenza legislativa residuale
delle  regioni»  (cosi'  Corte cost., sent., n. 31 del 2005, ma anche
n. 9 del 2004).
    Anche  la  giurisprudenza amministrativa, chiamata a giudicare in
materia  di  formazione  professionale  (si  veda tra le ultime anche
c.d.s.,   sez.   IV,  sent.  n. 862  del  2005,  dove  la  formazione
professionale e' stata riconosciuta quale compito istituzionale delle
regioni)  per  l'esercizio  delle  arti  ausiliarie delle professioni
sanitarie, ha limpidamente riconosciuto che «la competenza in materia
di   formazione   e   istruzione   professionale  e'  da  ritenere...
interamante   devoluta   alla  sfera  delle  attribuzioni  regionali»
(C.d.S., sez. IV, sent. n. 510 del 1989).
    1.6.  - Quest'ultima pronuncia e' particolarmente rilevante anche
perche' risolve eventuali dispute circa la differenza concettuale tra
istruzione professionale e formazione professionale, dal momento che,
sotto  il  profilo  della  loro  attribuzione,  esse costituiscono un
unicum di spettanza regionale.
    E  d'altronde  che si tratti di un unicum e' dimostrato anche dal
dato  letterale del testo costituzionale novellato nel 2001: al terzo
comma  dell'art.  117,  infatti,  si parla di istruzione e formazione
professionale e cioe' si utilizza l'aggettivo professionale declinato
al  singolare  e non al plurale, come invece sarebbe stato necessario
nel  caso si fosse intesa una istruzione professionale distinta dalla
formazione  professionale. Anche l'argomento letterale, dunque, rende
evidente  come  «istruzione  e  formazione professionale» rappresenti
chiaramente  un'endiadi  attraverso  la quale si fa riferimento ad un
concetto  di  carattere unitario, spettante alla competenza esclusiva
regionale.
    Il  quadro  normativo  e giurisprudenziale sviluppatosi sino alla
fine  degli  anni  novanta  ha  chiaramente  dato luogo ad un settore
«formazione professionale» in cui la competenza spettava naturalmente
alle  Regioni,  seppur  anche nelle forme piu' morbide della delega o
del conferimento di funzioni.
    La  Riforma del Titolo V nel 2001 ha comunque sciolto ogni dubbio
in  merito  e ha attribuito la competenza esclusiva sull'istruzione e
formazione  professionale alle Regioni, anche perche', come sostenuto
da  codesta  ecc.ma  Corte  in  una  importante  decisione, «e' (...)
implausibile che il legislatore costituzionale abbia voluto spogliare
le Regioni di una funzione che era gia' ad esse conferita nella forma
della  competenza  delegata  dall'art. 138  del  decreto  legislativo
n. 112 del 1998». (Corte cost., sent. n. 13 del 2004).
    Alla  luce  dello  scenario normativo e giurisprudenziale e delle
argomentazioni esposte, risulta evidente come il decreto ministeriale
e  la  relativa  nota  qui  censurati  siano  stati  emanati violando
palesemente  il  riparto  costituzionale  in  materia di istruzione e
formazione professionale: essi, infatti, stabiliscono, in riferimento
al   primo   biennio   degli   istituti   tecnici  e  degli  istituti
professionali,  quali  devono  essere  i  programmi,  a  quanto  deve
ammontare  (e  di che tipo deve essere) il carico ore settimanale, le
modalita'   di   utilizzo   del  personale  docente  e,  addirittura,
interferiscono  in  quella  autonomia  delle istituzioni scolastiche,
oggi costituzionalmente riconosciuta e garantita, andando a prevedere
cio'  che le istituzioni devono o possono fare in relazione all'«area
di approfondimento».
    Non  vi  sono  dubbi  circa  l'ambito  entro  il  i provvedimenti
impugnati  si  muovono:  l'istruzione  e formazione professionale, di
competenza   esclusiva   regionale,   che   significa   pieno  potere
legislativo  ed  amministrativo  da  parte  delle  Regioni  e solo un
residuo  potere  statale  di  intervento,  per  lo piu' limitato alla
definizione  dei  «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti  civili  e  sociali»  (ex  art. 117, secondo comma, lett. m),
Cost).
    Nulla  di piu' lontano dalla semplice definizione dei LEP risulta
essere l'intervento statale qui censurato che al contrario disciplina
in  modo  unilaterale,  puntuale  e dettagliato una materia riservata
alla  pertinenza  regionale.  Ne', d'altronde, sarebbe sostenibile la
tesi  secondo  la  quale,  ad  esempio,  la definizione del monte ore
rientrerebbe  nell'ambito statale dei LEP perche', come affermato con
chiarezza  dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 279 del 2005,
essa  rientra,  invece,  tra  le  «norme generali» che, pur sempre di
competenza  statale,  sono pero' valevoli solo per l'istruzione e non
anche per l'istruzione e formazione professionale.
    1.7.  -  Ecco,  quindi, che emerge l'ulteriore e grave violazione
del  dettato  costituzionale  dal momento che i due provvedimenti qui
impugnati  sono  stati  adottati in totale spregio del benche' minimo
rispetto del principio di leale collaborazione con le Regioni.
    Non  solo lo Stato ha invaso in modo manifesto ed illegittimo una
materia  -  l'istruzione  e  formazione  professionale,  al contrario
riservata  alla  esclusiva competenza regionale - ma lo ha fatto come
se  le Regioni non avessero alcuna voce in capitolo: non v'e' traccia
alcuna  della  volonta'  statale di sentire e coinvolgere le Regioni,
prima  di  incidere  cosi'  pesantemente  in un settore che invece e'
esclusivo regionale.
    Ma  anche  qualora  codesta  ecc.ma  Corte volesse derubricare la
materia  di  riferimento  sostenendo  che  si tratti della piu' ampia
«istruzione»,   la   invasivita'   dell'intervento   statale  non  si
attenuerebbe per nulla. L'«istruzione» e' materia (ex art. 117, terzo
comma,   Cost.)   concorrente   che  significa  potesta'  legislativa
regionale  salvo  che per la determinazione dei principi fondamentali
spettanti  allo  Stato.  Anche  in questo ambito il peso regionale e'
molto forte.
    Rispetto,  dunque,  a  questi  ambiti competenziali, lo Stato, al
contrario, ha agito come se fosse l'unico soggetto titolare di potere
legislativo   e   amministrativo.  Esso  ha  operato  come  se  tanto
l'istruzione,   e   a   maggior  ragione  l'istruzione  e  formazione
professionale,  fossero  suoi  ambiti esclusivi all'interno dei quali
intervenire in modo unilaterale.
    2.   -   Illegittimita'   per  violazione  da  parte  degli  atti
presupposti  (art. 1,  commi  605, lett. f) e 622, della legge n. 296
del  2006 e art. 13 del d.l. n. 7 del 2007, cosi' come convertito con
modifiche  dalla  legge  n. 40  del 2007) degli artt. 117, 118 Cost.;
violazione  dell'art. 76  Cost.  e  eccesso  di potere legislativo ex
art. 70 Cost.
    Il  riparto costituzionale in materia di istruzione ed istruzione
e formazione professionale cosi' come delineato al punto 1 ha trovato
puntuale conferma nella legge delega n. 53 del 2003 (Legge «Moratti»)
attraverso  la  quale, infatti, il legislatore ordinario, in ossequio
ai nuovi principi costituzionali, ha ridisegnato il sistema educativo
di istruzione e di formazione.
    2.1. - L'aderenza della legge n. 53 rispetto al riformato dettato
costituzionale  emerge  in  modo inequivocabile gia' dal Titolo della
stessa:  essa, infatti, reca la «Delega al Governo per la definizione
delle  norme  generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle
prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale».
    Cio'  vuol  dire  che  in forza di tale legge il Governo e' stato
delegato  ad  emanare,  per  l'istruzione,  prima ancora dei principi
fondamentali,  le  norme  generali,  ma per l'istruzione e formazione
professionale (materia esclusiva regionale) i soli livelli essenziali
delle prestazioni. L'art. 2, comma 1, lett. c) recita: «e' assicurato
a tutti il diritto all'istruzione e alla formazione per almeno dodici
anni  o,  comunque,  sino  al conseguimento di una qualifica entro il
diciottesimo  anno  di eta'; l'attuazione di tale diritto si realizza
nel  sistema  di  istruzione  e  in quello di istruzione e formazione
professionale,  secondo livelli essenziali di prestazione definiti su
base  nazionale a norma dell'articolo 117, secondo comma, lettera m),
della Costituzione...».
    La  struttura  di  base del sistema e' tracciata dalla successiva
lettera d):
        «il  sistema  educativo  di  istruzione  e  di  formazione si
articola  nella scuola dell'infanzia, in un primo ciclo che comprende
la  scuola  primaria  e  la scuola secondaria di primo grado, e in un
secondo  ciclo  che  comprende  il  sistema  dei  licei ed il sistema
dell'istruzione e della formazione professionale.».
    Esiste, dunque, un'articolazione in due cicli:
        il  primo ciclo comprende la scuola primaria, della durata di
cinque  anni,  e la scuola secondaria di primo grado, della durata di
tre anni;
        il  secondo ciclo comprende il sistema dei licei e il sistema
dell'istruzione e della formazione professionale.
    La vera novita' riguarda il secondo ciclo: esso e' costituito dal
sistema  dei  licei  e dal sistema dell'istruzione e della formazione
professionale (art. 2, comma 1, lett. g).
    Il  sistema  dei  licei  comprende  i  licei artistico, classico,
economico,    linguistico,   musicale   e   coreutico,   scientifico,
tecnologico, delle scienze umane.
    Il  sistema  dell'istruzione  e  della  formazione professionale,
alternativo   al   sistema  dei  licei,  prevede  una  durata  almeno
quadriennale.  I  titoli  e  le  qualifiche conseguiti al termine dei
quattro anni consentono di sostenere l'esame di stato, utile anche ai
fini  dell'accesso  all'universita'  e all'alta formazione artistica,
musicale e coreutica, previa frequenza di un apposito corso annuale e
ferma  restando la possibilita' di sostenere come privatista, l'esame
anche senza tale frequenza (art. 2, comma 1, lett. h). Al termine del
terzo  anno gli studenti ottengono una prima qualifica spendibile nel
mondo del lavoro e riconosciuta a livello europeo.
    E'  questo, dunque, il sistema costruito dalla legge delega n. 53
del 2003.
    Al  termine  del ciclo di base comune a tutti i preadolescenti (8
anni  di  scolarita), gli studenti hanno la possibilita' di scegliere
tra  i  percorsi  liceali  mirati  alla formazione culturale e aperti
all'universita'   e   i   percorsi   di   istruzione   e   formazione
professionale,  aperti  alla  formazione  superiore, ma con finalita'
professionalizzanti  e  percio'  con  la  possibilita'  di  immediata
apertura  al  mondo del lavoro dopo il conseguimento di una qualifica
triennale.
    2.2. - L'elemento caratterizzante la «Riforma Moratti» sta dunque
nello   sdoppiamento   del  secondo  ciclo:  un  sistema  dei  licei,
appartenente  all'istruzione,  e  sul  quale  insiste  la  competenza
concorrente  Stato-Regioni,  e  un sistema di istruzione e formazione
professionale, di competenza regionale esclusiva. Ennesima riprova di
quest'ultima  competenza  residuale  regionale la si trova nella gia'
citata  lettera  h), dell'art. 2, comma 1, della legge n. 53, dove il
legislatore   statale  precisa  che  «ferma  restando  la  competenza
regionale  in  materia  di  formazione  e istruzione professionale, i
percorsi del sistema dell'istruzione e della formazione professionale
realizzano  profili  educativi,  culturali  e professionali, ai quali
conseguono  titoli  e qualifiche professionali di differente livello,
valevoli  su  tutto il territorio nazionale se rispondenti ai livelli
essenziali di prestazione di cui alla lettera c).».
    2.3.  -  Giova  ricordare  come, nelle more dell'approvazione del
decreto  delegato sul secondo ciclo di cui al d.lgs. n. 226 del 2005,
gia'  nell'anno  2002-03  sono  state  avviate,  da  parte  di alcune
Regioni,  sperimentazioni  dei  percorsi  formativi  di  istruzione e
formazione professionale.
    Ad  estendere a tutte le regioni le sperimentazioni ha provveduto
l'Accordo  quadro,  raggiunto  in  sede di Conferenza unificata il 19
giugno 2003 tra il Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della
ricerca  scientifica,  il  Ministro  del  lavoro  e  delle  politiche
sociali,  le  regioni,  le  province, i comuni e le comunita' montane
«per  la  realizzazione  dall'anno scolastico 2003/2004 di un'offerta
formativa sperimentale di istruzione e formazione professionale nelle
more  dell'emanazione  dei  decreti  legislativi di cui alla legge 28
marzo 2003, n. 53».
    Nella  Premessa  dell'Accordo  e'  ribadito, da un lato, che tale
offerta  formativa  «non predetermina l'assetto a regime dei percorsi
del  sistema  dell'istruzione  e della formazione professionale», che
sara'  stabilito  dai «decreti delegati previsti per l'attuazione del
diritto-dovere   di   istruzione   e   formazione»;   dall'altro,  la
titolarita'   in   capo  alle  Regioni  «della  programmazione  delle
attivita'  inerenti  l'attuazione del presente Accordo», cioe' quelle
di istruzione e formazione professionale.
    Per  quanto  stabilito  nell'Accordo,  tali percorsi sperimentali
devono  essere  rispondenti  alle  seguenti  caratteristiche  comuni:
«avere  durata  almeno  triennale; contenere, con equivalente valenza
formativa,  discipline  ed  attivita'  attinenti  sia alla formazione
culturale   generale   sia   alle   aree  professionali  interessate;
consentire   il   conseguimento   di   una   qualifica  professionale
riconosciuta  a  livello nazionale e corrispondente almeno al secondo
livello europeo (decisione del Consiglio 85/368/CEE)» (punto 3).
    Sono   queste   le  uniche  caratteristiche  che  debbono  essere
assicurate a tali percorsi su tutto il territorio nazionale.
    Sulle  modalita'  operative  di realizzazione di tali percorsi lo
stesso accordo (punto 7) ha rinviato a formali accordi tra le regioni
e gli Uffici scolastici regionali. 1)
    2.4.  -  Con  il  decreto  legislativo  17  ottobre 2005, n. 226,
recante  «Definizione  delle  norme generali e dei livelli essenziali
delle   prestazioni  sul  secondo  ciclo  del  sistema  educativo  di
istruzione  e  formazione ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53»,
il  legislatore  delegato  realizzo' un secondo ciclo di istruzione e
formazione  pienamente  aderente  al  disegno  tracciato  dalla legge
delega n. 53 del 2003. Infatti:
        «il  secondo  ciclo  del  sistema  educativo  di istruzione e
formazione  e'  costituito  dal  sistema  dei  licei  e  dal  sistema
dell'istruzione e formazione professionale» (art. 1, comma 1);
        «il  sistema dei licei comprende i licei artistico, classico,
economico,    linguistico,   musicale   e   coreutico,   scientifico,
tecnologico e delle scienze umane» (art. 2, comma 7);
        «nell'esercizio  delle  loro competenze legislative esclusive
in   materia   di  istruzione  e  formazione  professionale  e  nella
organizzazione  del relativo servizio le Regioni assicurano i livelli
essenziali  delle  prestazioni  definiti dal presente Capo» (art. 15,
comma  2),  insieme  a quanto disposto nei successivi commi 5 e 6, in
piena  sintonia  con  quanto stabilito dall'art. 2, comma 1, lett. h)
della legge n. 53;
    A  dire  il  vero, il d.lgs. n. 226 ha compiuto anche un passo in
avanti rispetto alla legge delega: nel momento in cui l'art. 1, comma
5  dichiara  che  «i  percorsi  liceali  e i percorsi di istruzione e
formazione  professionale  nei  quali  si  realizza il diritto-dovere
all'istruzione e formazione sono di pari dignita», afferma in maniera
espressa  un  principio,  quello  appunto  della  pari dignita' tra i
percorsi  del  secondo  ciclo,  che nella legge delega era «soltanto»
desumibile.
    Coerentemente  con la sua funzione attuativa, il d.lgs. agli art.
4-11  ha disciplinato in modo piu' dettagliato i percorsi dei singoli
licei,  «limitandosi»,  per  i  percorsi  di  istruzione e formazione
professionale,  ad individuare i livelli essenziali delle prestazioni
che le regioni devono garantire (art. 15-21).
    Ed,  infine,  va  segnalato l'art. 31, comma 2, a norma del quale
«le  seguenti  disposizioni  del  Testo  Unico  approvato nel decreto
legislativo   16   aprile  1994,  n. 297,  continuano  ad  applicarsi
limitatamente   alle  classi  di  istituti  e  scuole  di  istruzione
secondaria   superiore   ancora  funzionanti  secondo  il  precedente
ordinamento,  ed  agli  alunni  ad  essi  iscritti, e sono abrogate a
decorrere  dall'anno  scolastico  successivo  al completo esaurimento
delle  predette  classi:  articolo 82, esclusi commi 3 e 4; art. 191,
escluso comma 7; art. 192, esclusi commi 3, 4, 9, 10, e 11; art. 193;
art. 194; art. 195; art. 196; art. 198; art. 199; art. 206.
    L'articolo che qui interessa e' il 191 del d.lgs. n. 297 del 1994
che  ha individuato come istituti e scuole dell'istruzione secondaria
superiore  «il  ginnasio-liceo  classico,  il  liceo scientifico, gli
istituti  tecnici,  il  liceo  artistico,  l'istituto  magistrale, la
scuola  magistrale, gli istituti professionali e gli istituti d'arte»
(comma 2), disciplinati di seguito nei commi successivi.
    Ebbene  rispetto a questi istituti il d.lgs. n. 226, con la norma
ex  art. 31, comma 2, ha predisposto un regime transitorio volto alla
soppressione   degli   stessi   una   volta  che  le  classi  «ancora
funzionanti» si fossero esaurite.
    A  decorrere, quindi, dall'anno successivo a quello del «completo
esaurimento   delle  predette  classi»,  gli  istituti  ex  art.  191
avrebbero dovuto essere abrogati.
    2.5.   -  Il  richiamo  al  d.lgs.  n. 226  del  2005  si  rivela
indispensabile  affinche'  codesta  ecc.  ma  Corte possa cogliere in
pieno  la  irrazionalita', la superficialita' e la contraddittorieta'
che  ha caratterizzato il legislatore successivo ad esso, e che trova
una  prima  immediata applicazione nel decreto ministeriale n. 41 del
25  maggio  2007 e nella Nota prot. n. 802/DIP del 29 maggio 2007 qui
impugnati.
    Ed  infatti,  a  partire  dall'art.  1, commi 605, lett. f) e 622
della  legge  n. 296  del  2006  (legge «Finanziaria 2007») e poi con
l'art.  13 del decreto-legge n. 7 del 2007, cosi' come convertito con
modificazioni  con  la  legge  n. 40  del  2007, si e' intervenuti in
maniera  invasiva  sulla  materia della istruzione e della formazione
professionale  violando  apertamente  il nuovo dettato costituzionale
cosi'  come  risultante dalla Riforma del Titolo V del 2001 (v. punto
1).
    Proprio  per  queste  ragioni  e  per difendere e tutelare i suoi
interessi  la Regione Lombardia ha impugnato innanzi a codesta ecc.ma
Corte  costituzionale tanto i commi della legge n. 296 del 2006 tanto
i commi dall'uno all'8-ter dell'art. 13 del d.l. n. 7 del 2007, cosi'
come convertito con modifiche dalla legge n. 40 del 2007.
    I  commi  605,  lett.  f)  e 622 della legge n. 296 del 2006 sono
chiara  espressione di una volonta', incongruamente palesatasi per il
tramite  dello  strumento delle legge finanziaria, di modificare, con
forte    ricentralizzazione,    il    sistema    dell'istruzione    e
dell'istruzione e formazione professionale.
    E  invero,  con il testo del comma 622, in spregio non solo delle
nuove  attribuzioni  legislative  individuate dall'art. 117 Cost., ma
anche  dei generali principi di buon andamento dell'amministrazione e
di   leale  collaborazione,  si  stravolge  il  lavoro  compiuto  dal
legislatore  ordinario: difatti, si ripristina il concetto di obbligo
scolastico;  si  prevedono  dieci  anni  di istruzione obbligatoria e
comune;  nella sostanza, si introduce un biennio unitario tra sistema
dei licei e sistema dell'istruzione e formazione professionale; viene
innalzata  l'eta'  per  l'accesso al lavoro con evidenti ricadute sul
sistema  dell'istruzione  e  formazione  professionale; si incide sui
primi  due  anni degli istituti di istruzione secondaria superiore (e
quindi  in  un  segmento che gia' interessa l'istruzione e formazione
professionale) attraverso lo strumento del regolamento governativo ex
art.  17, comma 3, della legge n. 400 del 1988; sono apposti, in modo
marginale,   strumenti   eventuali   e   comunque   molto  deboli  di
coinvolgimento regionale.
    2.6.  -  Questo  progetto  di  riforma  parziale,  frammentata  e
illegittima   del  sistema  dell'istruzione  e  della  formazione  ha
trovato,  per quanto detto, un ulteriore definizione nell'art. 13 del
d.l.  n. 7  del  2007,  cosi' come convertito con modificazioni dalla
legge n. 40 del 2007.
    L'impianto  generale  dell'art.  13 contiene evidenti elementi di
discontinuita'  rispetto  all'impianto  di base predisposto a partire
dalla stessa legge delega n. 53 del 2003 e di fatto, compie una netta
sterzata  rispetto ad un progetto globale di riforma del sistema che,
cristallizzato  a  livello  normativo,  attendeva,  dopo  un  periodo
fisiologico   di   sperimentazione,  di  essere  portato  alla  piena
attuazione.
    Difatti  il  «sistema  dei licei», cioe' uno dei due percorsi del
secondo  ciclo,  e'  stato  sostituito  dal  sistema «dell'istruzione
secondaria  superiore»,  la  cui denominazione rimanda ad un concetto
certamente  piu'  ampio. E non puo' essere altrimenti dal momento che
componenti  di tale percorso non sono piu' solo i licei, ma anche gli
istituti  tecnici  e  gli istituti professionali di cui all'art. 191,
comma  2  del  d.lgs. n. 297 del 1994. Questi sono, secondo quanto e'
stato previsto nel successivo comma 3 del d.lgs. n. 297, gli istituti
che  hanno  come  fine precipuo «quello di preparare all'esercizio di
funzioni  tecniche  od amministrative, nonche' di alcune professioni,
nei   settori   commerciale   e   dei   servizi,  industriale,  delle
costruzioni, agrario, nautico ed aeronautico» (i tecnici) e quello di
«fornire la specifica preparazione teorico-pratica per l'esercizio di
mansioni   qualificate   nei   settori  commerciale  e  dei  servizi,
industriale  ed  artigiano,  agrario e nautico» (i professionali): si
tratta, evidentemente, di istituti di formazione professionale.
    A  ben guardare sono proprio le disposizioni da ultimo richiamate
a «legittimare» i provvedimenti ministeriale che qui si censura. Sono
queste  che,  di  fatto,  riproponendo  gli  istituti  tecnici  e gli
istituti   professionali,  «consentono»  al  decreto  (e  alla  nota)
impugnati  di  intervenire  sul monte ore settimanale, sui programmi,
sull'utilizzo del personale docente etc. degli stessi.
    Ma alla luce di quanto detto non puo' non emergere, al contrario,
la  palese  illegittimita'  delle  disposizioni dell'art. 13 del d.l.
n. 7  del  2007,  cosi' come convertite con modificazioni dalla legge
n. 40  del 2007, e delle disposizioni della legge n. 296 del 2006 che
le  hanno  anticipate:  una  illegittimita'  che, inevitabilmente, si
trasferisce  in tutta la sua gravita' nel decreto del Ministero della
pubblica  istruzione, n. 41 del 25 maggio 2007 (e nella Nota n. prot.
802/DIP),  che  delle  predette disposizione costituiscono la prima e
diretta attuazione.
    Invero,  l'intento  del  legislatore  statale  e' stato quello di
riattrarre  a se' in modo improprio ed illegittimo rilevanti porzioni
dell'istruzione    e   formazione   professionale,   cosi'   violando
drasticamente il riparto costituzionale nella materia de qua.
    Riprova  di  questa  volonta' sono da un lato la soppressione dei
licei  economico e tecnologico attraverso l'abrogazione dei commi 7 e
10  del  comma  2  del  d.lgs.  n. 226; dall'altro, il riordino ed il
potenziamento  degli  istituti tecnici e professionali come «istituti
tecnici  e  professionali»  (secondo  quanto si legge al comma 1-bis,
primo  periodo, dell'art. 13) che manifesta in modo inequivocabile la
scelta di rafforzare il profilo professionale di tali istituti.
    La  «statalita»  degli  istituti  tecnici  e  professionali trova
ulteriore conferma nel comma 1-ter, dove e' stabilito che saranno dei
regolamenti   governativi,   senza  alcuna  forma  di  partecipazione
regionale e quindi in spregio al principio di leale collaborazione, a
disciplinare  il  loro  funzionamento attraverso interventi in ordine
alla  riduzione  e  ai  contenuti  degli  indirizzi,  alla  scansione
temporale  dei  percorsi, ai risultati di apprendimento, al monte ore
annuale,  alla  riorganizzazione  delle  discipline  di insegnamento,
all'orientamento agli studi superiori.
    L'art.  13 del d.l. n. 7 del 2007, convertito con modifiche dalla
legge  n. 40  del  2007,  pertanto,  ignorando il percorso iniziato a
partire  dalla  Legge  Moratti,  ha ripristinato l'assetto precedente
previsto  dal  t.u.  approvato  con  il  d.lgs.  n. 297  del  1994  e
ricollocato  gli istituti tecnici e professionali, assunti nella loro
originaria  natura  di  istituti  di formazione professionale, non in
quella  che  sarebbe  dovuta  essere  la loro sede costituzionalmente
legittima,  cioe'  l'istruzione  e  la  formazione  professionale  di
competenza  regionale, bensi' all'interno del sistema dell'istruzione
secondaria  superiore,  al  fianco  dei licei, vale a dire in un'area
che,  rientrando nella materia «istruzione», e' soggetta ad una forte
influenza statale.
    In  definitiva,  il  legislatore nazionale con l'art. 13 del d.l.
n. 7  del  2007,  e ancor prima con i commi 605, lett. f) e 622 della
legge  finanziaria  per  il  2007,  dei quali il decreto n. 41 del 25
maggio  2007 costituisce diretta applicazione, ha voluto ripristinare
in  modo  illegittimo,  perche'  contrario  a  quanto  previsto dalla
Riforma  del  Titolo  V  della  Costituzione  e  alle posizioni della
giurisprudenza  costituzionale, una solida e strutturata istruzione e
formazione   professionale   statale   a  scapito  dell'istruzione  e
formazione professionale regionale.
    I  commi  1, 1-bis e 1-ter dell'art. 13, autentica fonte primaria
rispetto agli atti oggetto della presente impugnativa, nel momento in
cui  ripropongono  gli  istituti tecnici e professionali disciplinati
dall'art.   191   del   d.lgs.   n. 297   del  1994,  manifestano  un
atteggiamento   del   legislatore   statale  quantomeno  superficiale
rispetto  alla previsione dell'art. 31, comma 2 del d.lgs. n. 226 del
2005.  Qui  e'  stato  predisposto  un  regime transitorio laddove si
stabilisce  che  alcune  disposizioni  del  Testo Unico approvato nel
d.lgs.  n. 297  del 1994, tra cui l'art. 191 (con esclusione del solo
comma  7)  «continuano  ad  applicarsi  limitatamente  alle classi di
istituti   e   scuole   di  istruzione  secondaria  superiore  ancora
funzionanti secondo il precedente ordinamento, ed agli alunni ad essi
iscritti,  e  sono  abrogate  a  decorrere  dall'anno  successivo  al
completo  esaurimento  delle predette classi». Cio' significa che per
gli  istituti  tecnici e professionali previsti ex art. 191, comma 2,
del  d.lgs.  n. 297,  il  d.lgs.  n. 226  del 2005 ha individuato una
disciplina  ad esaurimento destinata alla loro soppressione una volta
che,  decorso  l'anno scolastico successivo al completamento di tutte
le  classi,  l'art.  191, ad esclusione del comma 7, verra' abrogato.
Nessuna  menzione  di  tale particolare regime e' fatta nell'art. 13,
che fa di fatto rivivere disposizioni destinate ad essere abrogate.
    Ecco  che,  allora,  viene  alla  luce  in  tutta la sua gravita'
l'illegittimita'  e  l'irrazionalita'  che  ha  mosso  il legislatore
statale:  egli  ha  operato  con interventi chirurgici, frammentati e
disorganici,  su alcune disposizioni del decreto delegato n. 226, che
nella  sostanza  ne hanno stravolto la linea, il senso e la sua piena
sintonia con la legge delega.
    Sono  irragionevoli  e  contraddittori  gli  effetti  che  questo
intervento  statale produce: nell'ordinamento, infatti, convivono una
legge   delega  attuativa  di  precetti  costituzionali,  un  decreto
delegato  oramai  completamente  svincolato  da  questa  e  per nulla
rispondente  ai  suoi principi e criteri direttivi, una legge statale
palesemente  in contrasto con il riparto costituzionale di competenze
in materia di istruzione e formazione professionale.
    3.   -  Illegittimita'  per  violazione  del  principio  di  buon
andamento    della    pubblica   amministrazione   (art. 97   Cost.);
irragionevolezza, carenza dei presupposti, illogicita'.
    I  due provvedimenti, oltre ad essere illegittimi perche' emanati
da  un organo in palese difetto di attribuzione, evidenziano elementi
di  illogicita'  e  contraddittorieta' che meritano di essere portati
all'attenzione di codesta ecc.ma Corte.
    3.1. - Essi sono innanzitutto la controprova di un agire da parte
del   Ministero  della  pubblica  istruzione  caratterizzato  da  una
profonda  irragionevolezza.  Ed infatti, seppur a partire dalla legge
n. 296  del  2006 si sia determinato un quadro normativo attorno alla
materia  istruzione  in  generale,  e  alla  istruzione  e formazione
professionale   in   particolare,  connotato  da  contraddittorieta',
incertezza  e  ambiguita',  il  Ministero  della pubblica istruzione,
piuttosto   che   attendere  una  auspicabile  stabilizzazione  dello
scenario  di  riferimento,  ha  avvertito  l'urgenza di adottare atti
immediatamente  applicativi  di quel quadro normativo. E lo ha fatto,
intervenendo  sul monte ore settimanale degli istituti professionali,
sui  programmi  e sul personale docente a decorrere gia' dal prossimo
anno scolastico 2007/2008.
    La  pretesa  di  approvare degli atti cosi' incisivi e puntuali a
fine  maggio  e  renderli  esecutivi  a partire dal mese di settembre
(quindi  a  soli 3 mesi di distanza!) gia' non convincerebbe rispetto
ad un contesto normativo lineare e stabile: se poi si manifesta, come
nel  caso  di  specie,  rispetto  ad un quadro precario, confuso e in
continua  via  di  evoluzione,  tale pretesa sfocia nella piu' totale
irrazionalita', arbitrarieta' ed illogicita'.
    E d'altronde la precarieta' che permea i provvedimenti in oggetto
risulta:
        dal  primo  «Considerato»  del  d.m.  n. 41  del 2007 dove si
legge:  «Considerato che la transitorieta' dell'intervento, in attesa
della  riforma  complessiva  del  sistema  dell'istruzione  tecnica e
dell'istruzione  professionale  e  l'urgenza  di dare attuazione alla
citata   norma   della   legge   finanziaria   2007   non  consentono
l'attivazione  di  complesse procedure per la definizione di un nuovo
ordinamento»;
        dalla  Nota  prot. n. 802/DIP dove si legge che «l'intervento
attuato  assume  un  evidente  carattere  di  transitorieta'  per  le
seguenti  motivazioni:  1) la necessita' di dare immediata attuazione
al  disposto  della finanziaria; 2) la circostanza che la definizione
dei  nuovi  percorsi  formativi nell'ambito dell'istruzione tecnica e
professionale,  prevede  l'avvio  di  una complessa procedura... (non
compatibili) con l'urgenza dell'intervento».
    Si   tratta   dunque  di  un  provvedimento  transitorio  emanato
nell'attesa  di  una  riforma piu' organica del sistema: e' lo stesso
Ministero,  pertanto,  che  espressamente riconosce la provvisorieta'
dell'intero  assetto  normativo  nella  materia  de qua che, infatti,
necessita di una «riforma complessiva».
    Ebbene,  nonostante  cio',  l'amministrazione  resistente ritiene
urgente (senza che vi sia alcuna traccia delle ragioni che sorreggono
tale  urgenza!)  dare  attuazione  ad alcune disposizioni della legge
n. 296 del 2006. Disposizioni che, per di piu', sono state le prime a
delineare  i  contorni della nuova instabilita' dal momento che hanno
riaperto   illegittimamente   le   porte  ad  un  intervento  statale
all'interno dell'istruzione e formazione professionale, in realta' di
competenza regionale, e hanno rimesso in discussione, stravolgendolo,
tutto  un  percorso  complesso  e  partecipato di riforma del sistema
formativo  ed  educativo  che si era sviluppato in modo conforme alle
nuove competenze costituzionali.
    In sostanza, invece di attendere che il nuovo percorso di riforma
raggiunga una adeguato livello di stabilita', ci si preoccupa di dare
immediata  attuazione,  senza prendere in minima considerazione tutte
le  gravi  conseguenze  che  comporta,  a norme isolate che, oltre ad
essere  illegittime  per quanto gia' detto, rischiano di incrementare
ed  esasperare  il  tasso  di  incertezza  e  confusione  nell'intero
settore.
    3.2.  -  Ancora,  del  tutto insufficienti sono le motivazioni di
merito  poste alla base della riduzione del carico orario di lezione:
ci  si limita a ritenere, in modo del tutto arbitrario, che il carico
di  40  ore  settimanali  ex d.m. 24 aprile 1992, sia «eccessivamente
gravoso» (v. secondo Considerato del d.m. n. 41) e altresi' «ostacolo
al  raggiungimento  del  successo  formativo»,  oltre  che  causa  di
«abbandoni  e  dispersioni  scolastiche  rilevanti».  Ma quale sia la
relazione  tra il monte ore settimanale e il successo formativo o gli
abbandoni  scolastici non e' dato sapere. Ne' tanto meno si comprende
come  questo scenario, di per se' preoccupante, possa mutare a fronte
di  una  riduzione  di  solo  4 ore a settimana, cioe' meno di una al
giorno!
    E'  evidente,  al contrario, la volonta' precisa di dare concreta
attuazione da subito, in modo illogico, incoerente ed approssimativo,
ad  un  progetto  di riforma del sistema dell'istruzione e formazione
professionale  che,  oltre ad essere illegittimo, e' altresi' lontano
da una piena definizione.
    Il  decreto  del Ministero della pubblica istruzione n. 41 del 25
maggio  2007  e la sua Nota prot. n. 802/DIP del 29 maggio 2007 sono,
dunque,  innanzitutto  illegittimi  perche'  non  spetta  alla  Stato
disciplinare,  e  per  di  piu'  in  maniera  tanto  dettagliata, una
materia,   quale  l'istruzione  e  la  formazione  professionale,  di
competenza esclusiva regionale.
    Ma  essi  si  risolvono  in  un  vero e proprio eccesso di potere
perche'   immettono   nell'ordinamento   elementi   di   illogicita',
approssimazione e palese contraddittorieta' generando solo confusione
laddove  il  settore  nel suo complesso attende da tempo stabilita' e
certezza.
                         S o s p e n s i v a
    Il decreto del Ministero della pubblica istruzione - Dipartimento
per l'istruzione, n. 41 del 25 maggio 2007 e la Nota del Dipartimento
per  l'istruzione,  prot. n. 802/DIP devono essere sospesi nelle more
del giudizio.
    In  caso  contrario,  infatti, si rischia che diventino esecutivi
provvedimenti   adottati  da  un'amministrazione  in  violazione  del
riparto  di  competenze  costituzionali  in  materia  di istruzione e
istruzione e formazione professionale, con gravissimo pregiudizio non
solo per la Regione Lombardia, ma per tutto il sistema complessivo.
    Ma  la  sospensione  si  rende  ancora  piu' necessaria stante la
imminenza  del  nuovo anno scolastico, a partire dal quale dovrebbero
applicarsi le pesanti previsioni del decreto e della nota.
    Cio'   difatti   comporterebbe  per  la  regione  ricorrente  una
frettolosa, confusa e inevitabilmente approssimativa rivisitazione di
tutta   una   serie   di   aspetti   (strutturazione  dei  programmi,
distribuzione   del   personale  docente  etc.)  che,  al  contrario,
necessitano   di   tempi  tecnici  adeguati  e  proporzionati.  Senza
l'indispensabile  sospensione dei provvedimenti impugnati, la Regione
Lombardia   dovrebbe   impiegare  strutture  e  risorse  ingenti  per
adeguare,  in  tempi  che  piu'  che brevissimi sembrano impossibili,
l'intero  assetto  dell'istruzione e formazione lombardo alle precise
ed incisive prescrizioni in essi contenute.
    Ma  il  danno  grave ed irreparabile si puo' apprezzare anche con
riferimento  all'interesse pubblico a che il prossimo anno scolastico
2007/2008  possa  partire  nella  piena  certezza e definizione e non
soggetto  a cambiamenti cui andrebbe inevitabilmente incontro qualora
la Corte costituzionale dovesse ritenere i provvedimenti legislativi,
di   cui   gli   atti   qui   impugnati  sono  immediata  esecuzione,
costituzionalmente illegittimi.
    Si   ritiene,   infatti,  opportuno  sottolineare,  ad  ulteriore
sostegno   della   imprescindibilita'   della   sospensione  dei  due
provvedimenti  oggetto del presente conflitto, come siano attualmente
pendenti  dinnanzi a codesta ecc.ma Corte due distinti giudizi in via
principale  proposti dalla odierna ricorrente per violazione (tra gli
altri)  degli  artt. 117,  118,  119  e  120  Cost.  Per  il  primo -
notificato in data 26 febbraio 2007, depositato presso la cancelleria
il 7 marzo 2007 - avente ad oggetto (insieme ad altri) anche il comma
622  dell'art.  1  della legge n. 296 del 2006 (Finanziaria 2007), il
sig.  presidente di codesta ecc.ma Corte ha gia' provveduto a fissare
l'udienza di discussione per il prossimo 12 febbraio 2008. Il secondo
-  avente ad oggetto i commi dall'1 all'8-ter del d.l. n. 7 del 2007,
cosi'  come convertiti con modificazioni dalla legge n. 40 del 2007 -
e'  stato  notificato  in  data 31 maggio 2007 e depositato presso la
cancelleria di codesta ecc.ma Corte in data 9 giugno 2007, e pertanto
in attesa di fissazione.
          1)  La  Regione  Lombardia e' stata tra le prime a recepire
          l'Accordo  firmando  il  25  settembre  2003  un Protocollo
          d'Intesa  con  il  MIUR e il MLPS nel quale si e' stabilito
          (art. 2,   comma   1)   che:  I  modelli  sperimentali  che
          coinvolgono  l'istruzione  e la formazione professionale...
          nella  Regione  Lombardia,  sono  articolati nelle seguenti
          tipologie di offerta:
                  a)  percorsi  triennali  sperimentali di formazione
          professionale  ed  eventuali successivi percorsi, collocati
          in  un  organico  processo  di  sviluppo  della  formazione
          professionale   superiore,   da  realizzarsi  in  strutture
          formative  accreditate  dalla regione. I percorsi triennali
          sono finalizzati al conseguimento di un titolo di Qualifica
          (attestato)   secondo   quanto   previsto  dalla  normativa
          vigente,  valido  per l'assolvimento del diritto- dovere di
          istruzione   e   formazione   fino   ai   diciotto  anni  e
          l'iscrizione   ai   centri   per   l'impiego,  nonche'  per
          l'acquisizione  di crediti ai fini dell'eventuale passaggio
          nel sistema dell'istruzione;
                  b)  percorsi  triennali  sperimentali di formazione
          professionale  ed  eventuali successivi percorsi, collocati
          in  un  organico  processo  di  sviluppo  della  formazione
          professionale superiore, da realizzarsi in istituti tecnici
          e professionali individuati sulla base di criteri stabiliti
          d'intesa  tra  la  Regione Lombardia e l'Ufficio scolastico
          regionale.   I   percorsi  triennali  sono  finalizzati  al
          conseguimento di un titolo di Qualifica (attestato) secondo
          quanto   previsto   dalla  normativa  vigente,  valido  per
          l'assolvimento   del   diritto-dovere   di   istruzione   e
          formazione  fino  ai diciotto anni e l'iscrizione ai centri
          per  l'impiego,  nonche'  per  l'acquisizione di crediti ai
          fini dell'eventuale passaggio nel sistema dell'istruzione;
                  c) realizzazione di LARSA (Laboratori di recupero e
          sviluppo  degli  apprendimenti atti a consentire i passaggi
          verticali ed orizzontali attraverso i percorsi attivati);
                  d)  realizzazione  di  azioni  di  orientamento, di
          personalizzazione  dei  percorsi e di sostegno agli allievi
          disabili;
                  e)   realizzazione   delle  iniziative  di  cui  ai
          precedenti  punti  c)  e  d)  svolti  in modo integrato tra
          Istituti   Tecnici/Professionali   e   strutture  formative
          accreditate dalla Regione.
              Il  successivo  comma  2  stabilisce  che  «I  progetti
          relativi  ai  percorsi  di  cui al comma 1, lettere a) e b)
          comprendono  la  definizione  di criteri e di strumenti per
          favorire  la  piu'  ampia  spendibilita'  della  formazione
          acquisita  ai  fini  della  prosecuzione  degli  studi  nel
          sistema dell'istruzione.».